17. Apollo che ruba un bacio ad Atena non s'è visto manco sui libri
Non sono mai stata una che, per cercare il divertimento, si scola litri su litri di bevande colorate e amarognole.
Diciamo che, quando sono in compagnia e quando ho voglia di ridere anche delle più semplici stronzate, sbevicchio un po'. Come tanti altri ragazzi della mia età, come tanti altri giovani, come tanti altri adolescenti.
Soltanto che, per colpa dell'effetto dei fumi dell'alcol, per colpa loro, ho preso sempre delle decisioni non tanto geniali, non tanto intelligenti.
Alquanto inconsistenti, decisamente frettolose e poco concrete. Assai stupide, assai insensate.
Cose che se avessi un alter-ego di me stessa, mi guarderei dall'alto in basso, a braccia conserte, con espressione sfiduciata e rassegnata.
Non mi direi niente, rimarrei in un silenzio di disappunto; sappiamo che uno sguardo vale più di mille parole, no?
Avessi avuto questo alter-ego per tutte quelle volte che ho preso decisioni cretine, be', penso che avrei potuto fare il mestiere di "voce della coscienza" a vita. Roba che il Grillo Parlante in confronto è un dilettante.
Magari avessi avuto un fottuto alter-ego tutte quelle volte.
Magari l'avessi avuto quando mi sono iscritta a un corso di cinese online, mentre sorseggiavo bellamente da una cannuccia appropriatamente lunga un angelo azzurro.
Magari l'avessi avuto quando ho telefonato alla Barilla per dire agli addetti che le loro Farfalle dovevano farle di dimensioni maggiori; le volevo più grandi perché almeno ne sarebbero bastate solo due o tre per riempire il piatto... tipici pensieri di una ragazza in preda all'anoressia, ovviamente.
Magari l'avessi avuto quando salii sopra una scopa per esterni insistendo che quella era la Nimbus 2000 di Harry Potter e che sicuramente avrebbe volato.
Oppure quando mi sono mangiata un cucchiaio di cannella, accettando la sfida dei miei amici.
O, meglio ancora, quando ho chiesto a Gabriele di sposarmi, già, ridevo come un'idiota.
O, addirittura, quando ho cercato di salire sopra la statua di Cosimo de' Medici, sopra la groppa del cavallo.
Mamma mia, quanto mi sarebbe servito un alter-ego!
Insomma si è capito che le decisioni sagge sono davvero, davvero poche.
A dirla tutta mi farebbe proprio comodo un alter-ego adesso, in questo istante. Perché sembra quasi che un'altra stupidaggine stia per aggiungersi a questa folle lista.
Cioè, sto andando dritta dritta nelle fauci di Leonardo, senza che abbia difesa e attacco innalzati alla massima potenza, senza neanche sapere cosa abbia intenzione di dirmi o di farmi.
Una mossa non del tutto astuta da parte mia, devo ammetterlo... anzi, decisamente da scema. E io non sono una persona scema, insomma!
Non ho paura, nonostante avverta qualche brivido lungo la spina dorsale, proprio in mezzo alla schiena, però ho come una brutta sensazione. Non roba da "previsioni del futuro", si sa che io proprio non ci faccio affidamento, solo una sensazione non bella!
Una sensazione piuttosto comune quando sai con certezza che stai per mettere in atto una cazzata.
Una improvvisa, ma non tanto inaspettata – poiché siamo entrati ufficialmente nel mese di novembre –, raffica di vento mi riporta in uno schiocco di dita alla realtà, fuori dalle mura di Johnny Bruschetta e sul vicolo nel quale è situato.
Mi ricorda più che altro che sono senza giacchetto.
Mi rannicchio inutilmente avvolgendo me stessa con le braccia, affrontando il freddo con soltanto un maglioncino di Stradivarius, rendendomi conto della mia inettitudine nell'aver dimenticato il giacchetto sulla sedia del ristorante.
Tiro su con il naso, ormai diventato tutto rosso per colpa del vino, e faccio per ritornare indietro al fine di andarlo a recuperare. Seriamente, è troppo freddo, poi io lo soffro terribilmente.
Ma purtroppo sono costretta a fare in maniera differente visto che vengo afferrata per le spalle da qualcuno e poi fermata sul posto.
Leonardo tiene premute entrambe le sue mani sopra di esse e utilizzando neanche una forza chissà quanto eccessiva mi obbliga a voltarmi nuovamente nella direzione opposta, non verso Johnny Bruschetta, bensì verso di lui.
A quanto pare c'è venuto all'entrata, non ad aspettarmi, okay, però per prendermi sì. Sicuramente mi stava attendendo qualche metro più in là, bene attento a evitare la luce dei lampioni.
«Dove hai intenzione di andare?» mi dice bruscamente, palesemente privo di tatto, a poca distanza dalla mia persona.
Mi ritrovo a pestare il pavimento come una bambina, naturalmente perché sono ubriaca. Non per altro.
«Ho scordato il giacchetto dentro il ristorante» piagnucolo infischiandomene della mia povera dignità, «ho freddo».
Oh, ma dov'è questa dignità? La vedete per caso? Ma ehi, eccola lì!
Ciao ciao, dignità, è stato un piacere!
«È un problema tuo» asserisce Leonardo con tanto di smorfia che affiora sulle sue labbra carnose e rosee, un pochino screpolate per via del freddo.
Egli non mi lascia il tempo necessario per rispondere qualcosa di idiota, poiché mi trascina letteralmente via da lì.
Abbandona la presa dalle mie spalle per farla finire unicamente in un solo braccio, e facendoci pressione mi costringe a muovere le gambe, a farmi allontanare dall'entrata del locale. Magari in cerca di un posto più nascosto, più lontano da occhi indiscreti, in un vicolo più "riparato", ecco.
Sai che scandalo se qualcuno che conosce lo vedesse insieme a me, una mera studentessa dell'Artistico, un'indecente fattona, non sicuramente alla sua altezza.
Per cui lo lascio fare, lascio che mi trascini via fino a raggiungere un vicolo lì vicino e un po' più buio degli altri, privo di ipotetici testimoni. Lascio che si metta a suo agio.
Gli faccio dono di questo vantaggio visto la grande sfuriata che sono pronta a elargirgli!
«Wow» osservo stupita e al tempo stesso dannatamente sarcastica, «sei stato veloce come Quick Silver a raggiungermi, Leo» lo chiamo ironicamente come Midorin stessa aveva scritto oggi sul nostro gruppo di WhatsApp.
«Ero al Forte d'Alabastro, all'Artistico non v'insegnano a usare un po' di logica oltre come sniffare polverina?» commenta Leonardo sdegnoso, come a dire che ciò fosse ovvio, «Per risponderti al telefono mi sono dovuto persino allontanare dai miei amici» lo dice come se fosse una tragedia, una tragedia di quelle greche, «diamine, sarebbe stato troppo imbarazzante davanti a loro».
Ovvio che sarebbe stato troppo imbarazzante, si tratta di me, si tratta di Matilde Castellani.
Anche per me sarebbe stato imbarazzante fossero stati i ruoli invertiti. Dunque mi ritrovo a far spallucce dinanzi a questa affermazione, tuttavia non abbandono quell'espressione sarcastica e arrogante.
«Scommetto che eri insieme a Olivia, la tua fidanzatina» faccio considerazione con una risatina carica di malizia.
Leonardo mi fulmina immediatamente con lo sguardo e se gli sguardi potessero davvero uccidere, a quest'ora sarei morta, riversa a terra.
Ma ancora non sono intimidita a sufficienza, quindi ritorno all'attacco.
«Pure Viola era presente?» mi gratto il mento con fare pensieroso, «Ti alternavi a baciare prima l'una poi l'altra? Chi lo sa...» e sfodero un perfetto ghigno maligno, «magari potreste fare anche una tresca a letto».
Leonardo non reagisce a quest'ultima provocazione, stranamente. Anzi, socchiude le palpebre con aria riflessiva, non ha l'intenzione di abboccare ai miei pungoli vocali.
«Te lo chiedo una sola volta, non ho intenzione di ripetermi» proferisce a voce bassa unendo i palmi delle mani a mo' di preghiera, «voglio vedere la fotografia e voglio sapere chi l'ha scattata».
Addirittura finge di mantenere la calma, siamo alla frutta.
«No» rispondo convinta, senza neanche prendere in considerazione la sua patetica richiesta e la sua patetica, quanto velata, minaccia.
Mi lecco le labbra per inumidirle, divenute secche a causa del gelido vento, poi riprendo a parlare, «Prima voglio sapere io chi è stato a far la foto a me! E soprattutto di chi è stata l'idea di sputtanarmi! Devo ammettere che quella è stata molto una mossa da "Apollo"... ami quando io vengo svergognata al cospetto di tutto il Caravaggio».
«Ascoltami bene, Matilde, non ho voglia né di giocare, né di sprecare tempo prezioso, perché, ebbene sì, il mio tempo è prezioso a differenza del tuo. La mia pazienza sta per raggiungere il limite e non esiste nemmeno nelle tue fantasie più proibite che una Fattona come te possa mettermi al ricatto» sputa velenoso il ragazzo quanto tagliente come una lama di una spada, affilata con cura.
Ed ecco che la mia di pazienza è andata ufficialmente persa.
Ciao ciao anche a lei.
«Ancora con queste etichette del cazzo?» esplodo infuriata per l'offesa uscita dalla sua bocca, e purtroppo da ubriaca, oltre che incline alle decisioni stupide, sono anche più emotiva del normale.
Elimino la distanza che ci separa, che separa me e lui, lo afferro con entrambe le mani per il bavero del suo lungo giaccone e lo sbatto senza fare attenzione contro il muro del vicolo. Per niente impegnata a preoccuparmi se si potesse fare male alla nuca.
«Tutto questo non l'ho voluto io!» urlo in preda alla rabbia ma anche in preda all'amarezza, «Non sarei arrivata a tanto se non per salvaguardare me stessa, sono stata costretta da voi!», sembro davvero fuori di zucca, fuori di me.
Gli occhi di Leonardo, che prima stavano guardando il mio viso, si spostano verso le mie dita intrecciate alla stoffa pesante del suo giaccone.
Inarca un sopracciglio quando si sofferma su di esse.
«Mi stai toccando» mi fa notare beffardo, «se non erro, a te repelleva toccarmi».
«Quando ritorno a casa mi laverò le mani con il sapone, con l'Amuchina, la candeggina, l'acido solforico, mi farò sciogliere la carne fino all'osso se sarà necessario! Ma fino ad allora sopporterò la contaminazione» ringhio a denti stretti, irritata da quell'altezzoso promemoria.
«Ti sei lavata con l'acido solforico anche quando ti ho tamponato i graffi e anche quando ti ho dato dono e fortuna delle mie dita carezzevoli sul tuo volto?» insiste Leonardo senza demordere, «A quest'ora dovresti essere sciolta nell'acido con più della metà del tuo corpo».
Un altro promemoria che avrei preferito evitare.
Tuttavia un promemoria che mi fa spalancare gli occhi e mi fa deglutire il niente, in una gola che brucia a causa del vino.
«Sei proprio un coglione. Un testa di cazzo. Un pezzo di merda. Un emerito infame. Centonovantuno centimetri di spazio sprecato. Non bastano parole per descrivere quanto sei disumano e perverso» dico assottigliando il tono di voce man mano che termino la frase.
Faccio un passo indietro e abbandono la presa dal suo giacchetto, la stoffa rimane lievemente spiegazzata. Comunque sia, continuo a parlare.
Non ho mica finito.
«Non hai avuto neanche la benché minima creanza di chiedermi scusa per la faccenda del cinema...» borbotto amaramente, piegando gli angoli della bocca.
«Non devo niente a una come te» mi fa notare Leonardo mentre si sistema il giacchetto, tirando all'ingiù il bavero, «anzi, io dovrei esigere delle scuse visto che mi hanno scattato una foto senza permesso».
Veramente... rimango senza parole. Incredula.
Il mio sconcerto viene allo scoperto senza che io lo controlli. Spalanco gli occhi di nuovo, con tanto di bocca.
«Mi prendi in giro?» scatto il capo verso in avanti, «Lo stesso trattamento è stato riservato anche a me, bamboccio che non sei altro».
«La differenza è che non sono io il colpevole, dunque non spetta a me scusarmi» riconferma Leonardo, dicendo che non è stato lui quella sera, «mentre sono assurdamente convinto che la piccola Atena, per piccola ripicca, abbia scattato lei la fotografia».
Nel mentre si passa una mano sopra la gola, un gesto quasi provocatorio.
«Non Diego, non troppo scaltro per architettare certi giochetti, lui è più un tipo che vuole lo scontro diretto e fisico, anziché quello psicologico. Non Marta, troppo impegnata a farsi gli affari suoi. Non Marco, troppo menefreghista di tutto ciò che lo circonda. Non Thalìa, troppo leale e giusta. Non Veronica, troppo con la testa fra le nuvole. E di sicuro non il nuovo arrivato, a mio parere troppo stupido» spiega Leonardo esibendo un sorriso affilato.
Tenta di carpirmi la verità, la dura verità.
Deve ringraziare l'alcol che ho ingerito perché altrimenti col cazzo che lo avrei mai ammesso. Deve ringraziarlo se ora io ho appena ceduto.
Estraggo fuori il cellulare dalla tasca anteriore dei jeans neri e gli sbatto in faccia la fotografia che io, e nessun'altro, ho scattato.
Gli mostro lo scatto incriminante. Lo scatto che avrei voluto eliminare.
«Sei un essere orribile, sleale e insensibile» lo accuso mentre senza volerlo mi metto a piangere, al contempo tendo il braccio con il cellulare in bella vista.
«Posso capire che t'intrattieni con altre ragazze oltre Olivia dal momento che lei non è altro che una bambolina adatta a far figura e per compiacere» farfuglio con i singhiozzi che si alternano, per colpa della mia emotività giunta alle stelle, «ma addirittura farsela con Viola, una sua migliore amica, è spregevole. Sicuramente nella tua lista ci saranno anche Diana, Costanza e perché no? Persino Isabella!».
«Come siamo accusatori, stasera» dichiara Leonardo qualche secondo dopo aver osservato la fotografia che ritrae lui e Viola, decisamente acido, «l'alcol ha proprio un bell'effetto su di te».
«È perché sei accusabile totalmente!» esclamo tirando su con il naso.
«Ti diverte così tanto infierire?» pronuncia egli annoiato.
«Potrei farti la stessa domanda... tu che provi immane piacere a tormentare me! Sai bene che ho problemi a gestire la rabbia, faccio fatica a controllarmi... andavo dallo psichiatra addirittura, che diavolo! Ma ciò non basta, non è bastato a fermarti» grido ormai fuori di me, noncurante delle parole che proferisco.
E notando che Leonardo rimane in silenzio io ne approfitto per continuare, a questo punto ho cominciato e devo finire, «Sì, te l'ho scattata io la foto. Gli altri nemmeno sanno che ho a disposizione un materiale così tanto prezioso. Perché a essere onesti nemmeno io so cosa farmene, volevo davvero mostrarla a Olivia, farle un... favore. Ma, effettivamente, perché scomodarsi per un qualcuno che mi detesta? Io non sono una brava persona, non sono buona come Madre Teresa di Calcutta. Non lo sono con me stessa, con Matilde, perché esserlo con qualcuno che non lo merita?».
Riprendo fiato, devo riprendere fiato.
Le guance le sento ribollire tremendamente.
È stata una vera e propria confessione. Alla fine l'ho ammesso.
E non mi è costato nemmeno tanto come pensavo, è stato davvero liberatorio.
Negli occhi di Leonardo sembra stia baluginando quello che sembra somigliare a un lampo di pietà, una sorta di compassione.
Ma, ahimè, dura letteralmente un istante, un battito di ciglia, perché le sue ritornano a essere le solite iridi glaciali con l'eterocromia che mette in soggezione.
Tutto ciò da me detto fin'ora è stato sprecato.
Leonardo si fa avanti di un passo, verso di me, con la linea della bocca dura e contratta.
«Cancellala» mi ordina duramente.
Io non posso far altro che rimanere esterrefatta della sua crudeltà, è come se avessi parlato a un muro anziché ad una persona in carne e ossa.
«No» è ovviamente la mia risposta, le lacrime si sono fermate per fortuna.
Leonardo rifà un altro passo in avanti, «Cancellala» ripete una seconda volta.
«Giammai» sibilo e al contempo vado a nascondere il cellulare sotto le braccia, stringendolo al petto, «ora vedrò io come usarla al meglio».
«Se non cancellerai una volta per tutte quella foto, giuro su mia madre e sulla collezione di spade di mio padre, che farò una cosa che odierai con tutta te stessa» annuncia Leonardo con voce imperiosa. «Lo giuro anche sul mio cavallo da polo, l'animale che amo di più, lo giuro sul mio Fibonacci III», insiste egli facendo un altro passo.
Mentre parla del fumo caldo esce fuoriesce dalle sue labbra.
«Stai buono, non ti avvicinare che mi fai allergia. Non ho l'antistaminico con me» tento di farlo fermare.
«Cancella la foto oppure ti bacio, Matilde» conclude alla fine, finendo di avvicinarsi, in maniera terribilmente seria. Non sembra stia bluffando. «È un ricatto che non puoi rifiutare» aggiunge.
Come no! Non ci crederei neanche se lo facesse!
Leonardo Aspromonte che bacia me.
Sembra una di quelle barzellette di cattivo gusto che racconta con tenacia mia zia Angelica.
«Vaffanculo, io non la cancello la foto. Io ti voglio rovinare. Voglio smerdare te e quelle altre due cretine... sai che scandalo a scuola! Il bell'Apollo, l'idolo del Classico, colui che siede sul Banco del Re, deriso, guardato di traverso, sbeffeggiato dal suo regno» esclamo stizzita, carica d'odio.
«Matilde, conto fino a tre» tuttavia m'informa il ragazzo, per niente scalfito dalla mia minaccia.
«Pfff, tu non mi baceresti mai. Apollo che ruba un bacio ad Atena non s'è visto manco sui libri» borbotto con tono beffardo, carico di sfida.
«Uno...» Leonardo comincia a contare.
Cazzo, ma fa sul serio? Che sia ubriaco pure lui?
«Non incanti nemmeno quelli che cliccano su "hai vinto un iPhone". Tu che baci un'artista di strada, una senzatetto, una che sembra venire da una comunità, un'estimatrice della cannabis e dai capelli metà rosa? Andiamo, ragiona!» borbotto cercando di farlo ragionare. Ma pare irremovibile.
«Due...» continua lui. Cazzo, deve essere ubriaco, senz'altro.
«Leonardo, mi metto a urlare, urlo che vuoi violentarmi» gioco la carta della psicopatica, sto sudando freddo, dio mio!
«Due e mezzo...».
Al Forte d'Alabastro la roba da bere è tanta, l'ho visto personalmente, è sicuramente ubriaco.
«Smetti!» sbraito tentando di spingerlo via lontano da me, ma invano, sembra sia inchiodato con i piedi per terra, «La foto rimane lì».
«Tre» termina il conto alla rovescia.
O mio dio, che faccio? Non so se scappare, se abbassarmi o se semplicemente scansare il volto.
Veramente, non so come muovermi!
Non l'avrei giurato che Leonardo sarebbe arrivato a tanto, anzi, non avrei mai giurato nemmeno che dicesse una cosa del genere.
Che faccio, che faccio, che faccio?
Le opzioni sono troppe, troppe per poterne scegliere una senza che il tempo scada. Anzi, il tempo sarebbe già scaduto.
Sicché rimango esattamente dove sono, con le spalle quasi al muro.
Leonardo Aspromonte, il dio Apollo del Classico, il mio arci-nemico per eccellenza, il perfettino dei Perfettini, mi prende il capo, delicatamente, mi attira a sé, sempre mostrando una certa cura, e tiene fede al ricatto.
Nel contempo, un Missing Moment di Marta.
La cena come al solito si è conclusa prima delle sette e mezza... tipico della fissa degli orari di mio padre.
Confesso che delle volte invito Matilde proprio per cenare a un'ora normale!
E anche questa sera abbiamo avuto la tavola apparecchiata intorno alle sei e tre quarti, e anche questa sera la missione è stata compiuta!
Tutti i ringraziamenti a Lucio Brunori, signore e signori.
Quindi la videochiamata con Emma su Skype la faccio intorno alle otto; sicuramente anche lei avrà finito di mangiare, oramai si è allenata a lungo a cenare presto!
Infatti non rimango per niente sorpresa quando mi accetta la chiamata e si collega in diretta con me, al computer.
Il volto di Emma occupa quasi tutto lo schermo, il sessanta per cento solo del suo sorriso sempre luminoso e sempre in bella vista.
Io e mia sorella siamo, si potrebbe dire, quasi uguali. Ci somigliamo.
Abbiamo gli stessi lineamenti, le stesse smorfie, gli stessi modi. Poche sono le differenze.
Lei ha i capelli più lunghi dei miei e più chiari, quasi tendente al biondo scuro. I suoi occhi sono più piccoli in confronto, ma dal taglio più lungo e sempre del medesimo colore.
A differenza di me, che punto quasi sempre sul casual mischiato al vintage, si veste con abiti fru fru, con abiti colorati e affatto tristi, molto raffinati.
Ecco, Emma è più raffinata di me.
Infatti, è solita a indossare un cerchietto – ne ha tantissimi, di ogni colore, di ogni sorta, di ogni grandezza – per tirare indietro la sua bellissima chioma e porta al collo una collana di velluto nero piuttosto aderente con una vera perla come ciondolo.
Per l'appunto, vedendola attraverso la webcam, indossa un golfino grigio ricamato e una camicia bianca con il colletto perfettamente stirato e immacolato che fa capolino dal girocollo.
Sì, decisamente Emma è più raffinata di me.
Io tendo ad avere più uno stile sbarazzino, più disinvolto.
Non per niente, se fisicamente mostriamo elevata somiglianza, caratterialmente siamo come sole e luna.
Io sempre con un portamento di ghiaccio, sempre distaccata con chi non conosco, che so farmi con maestria gli affari miei, che so tirare fuori un lato malizioso a comando e che posso sfoggiare una certa bravura nel fare discorsi in pubblico, senza avere paura.
Lei è decisamente spigliata, ama conoscere sempre gente nuova, più amici ha più si sente amata, Emma ha necessità di sentirsi adorata dal prossimo.
Lei ha un talento innato per i pettegolezzi, tuttavia non parla mai alle spalle degli altri in malo modo, il suo è soltanto un pretesto per conversare.
Lei praticamente è maliziosa sempre e si sente sotto pressione quando deve fare una dimostrazione o un discorso dinanzi a una grande folla di persone, perché ha paura di sbagliare, semplicemente.
Io non ho paura di sbagliare, io dico sempre cose giuste.
Mamma mia, che ego enorme come Ponte Vecchio che ho questa sera!
Evito di mettermi davanti allo specchio, sennò rischio di farmi i complimenti.
«Sono sfinita! Mon dieu!» esclama Emma facendo vibrare le casse del pc.
Mi fa persino sussultare sopra la sedia di fronte alla mia scrivania.
«Sono stata fuori l'appartamento da stamattina e sono rientrata solo venti minuti fa. Sono stata persino costretta a comprarmi qualcosa di pronto da mangiare per cena» mi racconta la sua giornata con voce lagnosa ma contemporaneamente stanca.
La capisco e le credo sulla parola, da quando è arrivata a Parigi per l'Erasmus si è trasformata in una trottola.
«Cosa ti sei comprata?» le chiedo portandomi le ginocchia al petto.
«Un pezzo di quiche ai funghi e una tarte tatin. Checché se ne dica, il cibo francese è davvero molto buono» m'informa facendomi vedere la tavola ancora apparecchiata con un solo piatto, uno solo bicchiere e un solo paio di posate.
«La tua coinquilina dov'è?» al che domando curiosa, visto che la tavola è apparecchiata per una persona sola.
«Isabeau è andata al cinema con il suo ragazzo e quindi sono sola, solina, soletta» toglie immediatamente il mio dubbio.
E come le sento pronunciare la parola "ragazzo", la lampadina delle ricordanze mi si illumina e mi incita a chiederle un'altra cosa.
«Come va la tua "tattica di seduzione" con Sylvain?».
Sylvain è un ragazzo francese che frequenta i suoi corsi nella stessa università e a quanto pare c'è del buon feeling fra di loro. Emma qualche tempo fa mi ha detto che avrebbe fatto in modo di conoscerlo a tutti i costi.
Mentre che aspetto che mia sorella mi narri di Sylvain, mi metto a navigare su Facebook, tanto per ammazzare la noia e leggere qualche stronzata.
«Siamo diventati buoni amici, te l'avevo detto che ci sarei riuscita! Inoltre abbiamo parecchie cose in comune. Prima o poi gli chiederò di uscire, sai, sono stufa del cliché che deve esser per forza l'uomo a invitare la donna» replica Emma con aria assai soddisfatta e orgogliosa.
Sto quasi per rispondere a mia sorella che sono davvero contenta per lei quando, scorrendo sulla home, incappo in uno di quei post di pagine sponsorizzate, per l'esattezza una locandina.
Una locandina dove spicca la scritta Teatro Don Chisciotte, seguita da un'altra che recita "La Locandiera" di Carlo Goldoni.
Tuttavia non è questo che cattura la mia attenzione, facendomi scorrere i post verso l'alto, bensì è il nome di Emilio Lunanuova, che sarà presente nelle vesti del Cavaliere di Ripafratta.
Già, il mio professore di storia dell'arte, stronzo e appassionato di teatro.
Leggo che la commedia ci sarà questa sera stessa, alle nove e un quarto. Uhm.
Porca puttana, mi è appena balenata in mente un'idea pazzesca, assurdissima. Credo che se ci rifletta sopra altri cinque minuti la potrei reputare una trovata di merda, il problema è che non ci rifletto oltre!
Anzi, colgo la palla al balzo!
Be', insomma, voglio fare ciò che sto per fare soprattutto perché sono annoiata e perché Matilde non è qui con me, ma anche per via di un certo battibecco avvenuto al Maverick...
«Ehm... Emma?» le dico con una voce che per niente non è mia, anzi, troppo squillante per i miei standard, «papà mi sta chiamando, devo andare a sentire cosa vuole, sicuramente qualche problema con il cellulare, sai quanto è impedito con certi apparecchi» le invento una scusa bella e buona.
Ciononostante Emma abbocca, diciamo, non so se abbia più creduto a me o alla impellente necessità di farsi una doccia.
Chiudo rapidamente la videochiamata su Skype e come una saetta mi sfilo di dosso i pantaloni della tuta, quelli tipici per stare dentro le mura di casa.
Rimanendo in mutande mi fiondo verso il mio armadio e, sapendo già cosa pescare, tiro fuori in paio di calzoni a sigaretta, dal taglio elegante.
Dopo essermeli abbottonati, viene il turno della parte superiore e, sempre sapendo cosa pescare, mi infilo una maglia nera con il girocollo in perle.
Per quanto riguarda le scarpe ne rubo un paio a mia madre, siccome portiamo lo stesso numero. Le rubo le sue francesine senza lacci e con un tacco discreto, senza farmi beccare, ovvio.
Infine mi spazzolo con meticolosità i miei capelli argentati e li tiro su in uno stretto, strettissimo chignon, e mi libero di tutti gli orecchini che regnano sulle mie orecchie, sostituendoli con un paio di pendenti dorati a bottone, sempre rubati a mia madre.
Sempre attenta a non farmi beccare, naturale.
Prima di avvolgermi nel giacchetto, passo per lo specchio del bagno al fine di incipriarmi il viso e di applicarmi un rossetto sulle labbra color rosa carne. Tonalità leggere ma comunque di classe.
Quando mi dirigo verso la porta di casa, a passo un po' più felpato del normale, mia madre naturalmente mi porge la fatidica domanda che mi ha accompagnato per tutta la durata della mia adolescenza, «Dove vai? Di mercoledì sera poi?».
Ha un udito allenato Regina Minareti, non c'è che dire.
«A teatro con Matilde», alla fine è pur sempre un pezzo di verità.
«Uhm, va bene, non tornate tardi, avete scuola domani. E non sporcarmi quelle scarpe! Assolutamente non perdermi quegli orecchini, santo cielo, Marta!».
Fantastico, tanto vale averglieli chiesti di persona.
Mentre scendo le scale del mio palazzo, senza correre e senza far rumore come è solita invece a fare Matilde, mi faccio il sincero augurio che a teatro, oltre il biglietto, vendano pure dei pomodori.
Sperando maturi.
Per aver pagato un biglietto di quindici euro spero vivamente che il caro Lunanuova li faccia valere tutti quei spiccioli.
Sicuramente gli altri attori avranno la loro bravura ed il loro talento, però io sono qui per testare le doti del mio professore, per cui sarò molto critica.
Apro, facendo leva sulla serratura, la porticina che mi da libero accesso al palchetto dalle piccole dimensioni dove mi siederò per tutta la durata dello spettacolo.
Appena poggio le chiappe sulla morbida seggiola, ho modo di avere sott'occhio il Teatro Don Chisciotte in tutto il suo umile splendore.
È un teatro piccolo, modesto, senza grandi pretese, però è accogliente e le decorazioni catturano l'attenzione senza problemi.
I colori predominanti sono un rosso cremisi ed uno sgargiante oro, che ricorda l'armatura di C-3PO.
Scintillante, è il termine giusto.
Le poltrone della platea sfoggiano quel caldo colore rosso, mentre i palchetti sui quali vi sono seduta anche io, si esibiscono in quel magnifico dorato adornato di decorazioni color rame. Una vera chicca per gli occhi.
Quando Emma era ancora qui a Firenze a studiare, almeno una volta al mese io e la mia famiglia si veniva a teatro.
Adesso quasi che faccio fatica a ricordare come sia fatto.
Mi sono dimenticata di quanto potesse emozionarti, addirittura con il sipario ancora calato e le luci tutt'ora accese.
Ad ogni modo, non si sono evoluti, non si vogliono proprio decidere a vendere i pomodori insieme al biglietto! Che delusione.
Aguzzando lo sguardo, privandomi della giaccia, mi guardo intorno e constato che, comunque sia, parecchie persone sono radunate qui per assistere alla commedia.
Effettivamente "La Locandiera" è un'opera che non passa inosservata, che non stancherà mai, è sempre un piacere poterne assistere al suo spettacolo o di leggerla in cartaceo.
Personalmente parlando, ce la fece leggere la nostra professoressa di italiano durante il terzo anno, e io ricordo che l'ho divorata con vivace interesse.
Non ho avuto mai modo, però, di vedermela rappresentata a teatro, purtroppo. Per cui, questa sera sarà la prima volta in assoluto e contando la nutrita presenza di persone ho giustificazione di avere alte le aspettative.
Alle nove e un quarto precise calano le luci dentro il teatro Don Chisciotte, il sipario dalla tonalità rosso vermiglione – più scuro delle poltrone della platea – si alza con movimento lento e imponente.
Comincia il I° atto, con l'entrata in scena del Marchese di Forlipopoli e il Conte di Albafiorita seduti a una tavola della locanda. Giustamente non è ancora il momento di Emilio Lunanuova, alias il Cavaliere di Ripafratta.
Sicché mi metto comoda, accavallando le gambe una sopra l'altra, e mi godo lo spettacolo, in attesa della sua comparsa.
Non devo aspettare chissà quanto, infatti, come sopraggiunge la quarta scena ecco che il mio desiderio viene esaudito.
Il mio prof. di scuola fa la sua entrata in scena, vestito con una camicia assolutamente settecentesca (tanto che mi ricorda il conte Fabrizio Ristori di Elisa di Rivombrosa!), pantaloni marroni e stivali neri alti sino al ginocchio.
Naturalmentebi suoi capelli corvini più lunghi della norma sono legati con raffinatezza con un fiocco di velluto verde scuro.
Adesso presto attenzione più acuta, più elevata, voglio cogliere anche il più minimo dei dettagli.
Voglio giudicarlo per la sua arte, sarò la sua critica personale; nonostante, tecnicamente, lui non sa della mia presenza.
Mi sporgo più in avanti, poggiando i gomiti sul morbido poggiagomiti del palchetto e osservo i suoi movimenti, le sue labbra, le parole antiche e melodiose che fuoriescono da esse.
Mi duole ammettere che la recitazione di Emilio è... molto buona.
È proprio diverso dal professore di storia dell'arte che mi fa lezione al Caravaggio tre volte a settimana. Voglio dire, i suoi occhi, per quanto ho modo di vedere, sembrano assai più sereni, non sembra ingessato e con la schiena sempre bene eretta, anzi, si muove con eleganza.
È signorile, aggraziato. Persino il suo tono di voce è differente.
Si può dire con certezza che quella lì, sul palco, è una persona felice alle prese con la sua passione. Si può dire che ci mette il cuore e l'anima.
Veramente, rimango di sasso di fronte alla sua performance. Mi rimangio il mio tirargli a tutti costi i pomodori.
Ecco che entra in scena Mirandolina.
Devo ammettere che l'attrice che la impersona è molto bella.
Un po' la invidio, per il fatto che è a conoscenza di quel lato di Emilio e soprattutto se lo vive in prima persona, ignorando l'altra metà che lo contraddistingue come emerito stronzo dentro quella scuola.
Verso il II° atto mi accorgo che nel mio cellulare, ovviamente in modalità silenziosa, c'è una chiamata persa.
Cavolo, è di Matilde. Accidenti, chissà cosa avrà mai voluto.
Mi sento subito in colpa per non averle risposto, tuttavia quando vado a ricordare che lei stasera avrebbe bevuto e che sarebbe stata in buone mani, ossia i suoi genitori, il senso di colpa svanisce totalmente.
Puff. Di colpo.
Dunque non la richiamo. Non ho niente di cui preoccuparmi.
È al sicuro questa sera.
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