14. Shameless
Lo ha detto, quel venerdì sera, mentre con fare premuroso e... gentile mi tamponava i graffi con un fazzoletto strappato lì per lì.
Mi aveva avvisata, eppure io non sono stata ad ascoltarlo, l'ho lasciato parlare mandando le sue parole al vento. Non me ne è importato un fico secco dei suoi avvertimenti, delle sue velate minacce, dei suoi rigiri di termini, delle sue frasi con un senso nascosto.
L'ho lasciato fare. Non gli ho dato il giusto peso, come sempre d'altronde.
Il problema è che non ho mai preso Leonardo Aspromonte sul serio. Sono sempre stata imprudente, sprovveduta. Se solo avessi prestato leggermente più attenzione quella sera... se solo avessi analizzato meglio a fondo le sue parole.
Niente lo appaga di più che vedermi scontenta, insoddisfatta, rabbiosa, irritata e... umiliata, a quanto pare.
Dopodiché ha aggiunto dell'altro con una semplicità inaudita mista a veleno. «Da lunedì al Caravaggio si fa sul serio», ha proferito e io l'ho ignorato, ero troppo impegnata a incazzarmi con lui e con la presenza dei suoi amici del tutto imprevista.
Insomma, non mi sarei mai aspettata una mossa del genere. Non che sia una sorpresa, sia chiaro, però inaspettata decisamente sì!
La mia fotografia impera sotto gli occhi dell'agglomerato di studenti, pare stia urlando a squarciagola di essere notata e fotografata a sua volta. Ciò che mi sta accadendo in questi ultimi minuti di questo lunedì mattina di merda è il peggior incubo che ogni liceale teme: essere messo in ridicolo davanti a tutta la scuola.
Per di più con una fotografia che non passa di sicuro inosservata, e dal momento che l'hanno pure immortalata coi cellulari, sicuramente rimarrà nella storia di questo istituto. Finché ne avrò la nausea.
Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te.
Vero, più che vero, ma io non sarei mai arrivata così a tanto. Ho scattato una foto a Leonardo invadendo il suo spazio di privacy, ma rimane unicamente per me, non l'avrei mai pubblicata da qualche parte, né su un social e né in un luogo pubblico.
Tanto meno in luogo pubblico! Anzi, probabilmente entro tre o quattro giorni l'avrei di sicuro cancellata.
Quindi, perché?
Perché tutto questo sta succedendo a me? Io... io... non ho fatto nulla di sbagliato. È ingiusto. Sapevo che al mondo non v'è giustizia, lo so perfettamente, ma almeno per queste piccolezze la davo quasi per scontata.
Io sono sola.
Mi sento sola dinanzi a questa massa di persone fameliche e desiderose sempre di più della rovina del prossimo.
Stavolta nessuno viene in mio aiuto. Marta non c'è perché probabilmente ancora è a casa, Diego non sembra essere arrivato neanche lui, di Marco neanche l'ombra e così vale per Thalìa. Niente bagliore di speranza, di luce. Nessuno che mi viene a salvare.
Il brusio alle mie spalle si fa confuso, quasi che percepisco le risate, le parole e le grida sfocate; come se fossi sotto una campana di vetro, isolata dal resto degli altri.
Rimango concentrata su un solo e unico obiettivo: la figura di Aspromonte. La figura impassibile, severa ed evidentemente divertita.
Le sue iridi di ghiaccio dietro la montatura rotonda e color dell'oro mi lanciano occhiate taglienti, rese ancor di più affilate grazie a quella particolare rarità quale la sua eterocromia. Olivia, sempre incollata a lui come una vera e propria cozza con uno scoglio marino, continua a osservarmi. Mentre le spalle si alzano e si abbassano al ritmo della sua risata così bambinesca, sposta lievemente il capo facendo ondeggiare i suoi folti e ondulati capelli bronzei in una danza delicata quanto aggraziata.
Le labbra piccole e sottili si schiudono appena in un sorriso fine. Quasi sembra irreale che una ragazza così esile, minuta e delicata possa covare tanto disprezzo e rancore.
Si fa strada dentro di me un pensiero molto raccapricciante, "Sei consapevole che hai per migliore amica una Giuda pronta a pugnalarti alle spalle, razza di oca che non sei altro?".
Ad ogni modo, ora che ci penso, in fondo, ho seriamente bisogno di essere salvata?
Salvata, poi, da chi? Da questo ammasso di idioti che, a quanto pare, gli basta divertirsi con una banale foto appesa a una bacheca? E con "idioti" faccio riferimento ai quattro in piedi a pochi metri da me e non al resto del Caravaggio.
È vero, sono stata completamente messa a nudo e umiliata di fronte a tutta la scuola, come se l'aver scattato la fotografia a Leonardo al Forte d'Alabastro mi avesse ripagato con la stessa moneta, e con più pesantezza aggiungerei.
È vero, sono sola in mezzo a questa vasca di squali senza una gabbia di protezione. Però, ragionando con un po' di logica, è anche appurato che il saper replicare, il poter controbattere è senz'altro un diritto che mi spetta senza se e senza ma.
Sicuramente molti studenti dell'Artistico si aspettano una mia contromossa, di certo non si aspettano una vergogna resa. Non è da me.
Altrimenti che cavolo mi hanno soprannominata a fare dea Atena? Non perché sono solita a commiserarmi o a gettare la spugna con facilità. Be', non mi reputo un robot invincibile, diciamo che sono più incline a rimanere in piedi quando vengo colpita.
Concentrandomi al massimo, con un certo sforzo che mi costa un bel po' di fatica e sanità mentale, non cedo all'impulso di spaccare nuovamente un'altra superficie di vetro con un pugno, non ci tengo a rovinarmi anche l'altra mano.
Non cedo alla tentazione di mettermi a urlare come martedì scorso, quando ero nel bel mezzo della litigata fra Diego, Marta e Leonardo.
Non cedo, soprattutto, alla voglia di rompere quel naso fin troppo dritto di Aspromonte e alla voglia immane di afferrare Olivia per i capelli e di trascinarla a peso fino all'entrata del Caravaggio.
E per ultimo, ma non meno importante, riesco a sopprimere quell'impulso pungente di scoppiare a piangere. Tento di scacciare via quel fastidioso pizzicore agli occhi, largamente giustificato.
Stavolta prendo un bel respiro, devo tentare di calmarmi, devo riportare l'asticella della pazienza a livelli più consoni, dopodiché mi stampo un radioso sorriso sopra il mio volto di colpo divenuto rilassato.
Do un'ultima occhiata a quella foto del cazzo prima di voltarmi verso la direzione di Leonardo, prima di rivolgermi a lui con un tono così innaturalmente educato, quasi che pare fuori luogo col mio stato d'animo e con l'attuale situazione.
Ma si sa, a volte non è solo l'indifferenza che dà fastidio al nemico – poiché io sono un tipo che detesta rimanere in silenzio in questi casi –, a volte anche della sana educazione è un perfetto e preciso attacco.
«Non sapevo di essere diventata un tuo passatempo. Ti senti così annoiato a tal punto? Ad ogni modo, preferisco di gran lunga essere così» e vado a indicare premendo con il polpastrello dell'indice contro la finestra della bacheca, dove sotto di essa c'è la mia foto, «piuttosto che ridurmi come chi sta dietro l'obiettivo» continuo a parlare sempre con tono pacato e gentile.
Infine, con movimento studiato e lento, per niente frettoloso, vado ad afferrare la piccola maniglia della finestra di vetro, intenzionata a togliere di mezzo quel fottuto scatto. Tiro indietro la levetta un paio di volte quando constato, amaramente, che è chiusa a chiave e naturalmente della chiave non v'è la minima traccia. Scomparsa dalla piccola serratura che è posizionata pochissimi centimetri sopra la maniglia.
Per cui, sempre gentilmente, apro una seconda volta la bocca e mi rivolgo a nessuno in particolare.
Chi vuol intendere, intende.
«Mi piacerebbe che mi venga data la chiave, cortesemente» richiedo con tranquillità.
Tutti i presenti, da quando ho iniziato a parlare, si sono raccolti in un rispettoso quanto curioso silenzio, intenzionati a gustarsi e a godersi la scena. Un po' li capisco, gli spettacoli che offriamo con assiduità io e Leonardo danno piacere a guardarli.
Anche adesso che ho fatto esplicita richiesta nessuno dà fiato alle corde vocali.
Ma come? Un movimento così facile da eseguire non riesce proprio a nessuno? Strano che qualcuno di loro non sappia dove si trova.
Sicché, visto che la mia pazienza non è illimitata per quanto io sia armata di buone intenzioni, mi vedo costretta ad agire diversamente. Non avrei voluto ricorrere a questo, ahimè.
Senza smettere di sorridere angelicamente, sposto il capo quel tanto che mi basta per avere sotto tiro Viola Angeloni, la stronza traditrice dal viso costellato da una miriade di lentiggini. Mi soffermo per cinque secondi esatti su di lei, per far sì che si ponga qualche domanda.
Poi, agendo con un bello scatto felino – imparato in quegli anni in cui ho studiato danza – e facendo uso di tutta la forza che ho in corpo, mi muovo verso Viola facendo sussultare di spavento gli spettatori, ovviamente persino la coppietta di piccioncini ignari di questa reazione da parte mia.
Con una bella presa, che stupisce anche me, afferro il collo di Viola nella parte posteriore e la trascino a forza fino alla bacheca.
Dimenticandomi di far uso della delicatezza e di mostrare pietà, spingo il viso della ragazza con fin troppa foga contro il freddo vetro, premendo la parte sinistra del suo bel faccino. Avverto una certa scarica di adrenalina nei meandri dei miei arti.
Sensazione dolce. Ed è ancora più dolce sapendo chi ho sotto tiro e sapendo che ho ribaltato completamente la situazione.
Da preda a predatore.
«Se non avrò la chiave vorrà dire che aprirò questa cazzo di bacheca con la sua testa!» annuncio alzando leggermente la voce, per far sì di essere udita da tutti quanti.
Osservo quest'ultimo con la stessa espressione che avevo quando ho spaccato lo specchio dell'Arcadium, l'espressione di una che non si tira indietro e che non se la sta facendo addosso. Di una che non ha minimamente paura delle conseguenze.
«Dalle questa cazzo di chiave, che aspetti?» all'improvviso Viola, sotto le mie grinfie, urla a Olivia in evidente stato di terrore.
Basta davvero così poco per ridurla come un piccolo agnellino indifeso? La credevo più coraggiosa e spavalda. Perché per come si atteggia nei corridoi del Caravaggio tutto sembra meno che fifona come adesso.
E magicamente, neanche fossimo dentro le mura di Hogwarts, Olivia si ficca la mano nella tasca della sua gonnellina scozzese ed estrae l'oggetto che con fervore avevo richiesto. Con mano appena tremolante la allunga verso di me e io, sorridendole con gratitudine, l'afferro e nel contempo avvicino le mie labbra all'orecchio di Viola.
«Non avrei mai rovinato il tuo bel faccino, sebbene falso e ipocrita. Purtroppo mi avete costretta a ricorrere alle maniere forti, non era mia intenzione. Saprai perdonarmi?» le sussurro amorevolmente per poi abbandonare la presa dal suo collo.
Viola Angeloni non osa darmi una risposta tanto è rimasta traumatizzata, anzi, appena si accorge della sua libertà schizza veloce dai suoi amichetti, dai Perfettini, si rifugia dietro le loro spalle, aggrappandosi al braccio di Isabella.
Senza perdere altro tempo, perché mi sembra di averne già perso a sufficienza contando che è lunedì mattina, vado a infilare la chiave nell'apposita serratura e finalmente apro la finestrella di vetro, appropriandomi della fotografia. La prendo con entrambe le mani in modo da poterla rimirare meglio.
«Un bel ricordo di una... bella serata. Grazie» dico guardando dritto negli occhi di Leonardo, incerto sul cosa rispondermi.
Anche se non posso fare a meno di chiedermi il perché di questo colpo basso data la sua premura verso di me la notte di Halloween, dentro quel bagno. Non credo che soffra di disturbo bipolare...
Comunque sia, ho capito che col cazzo sia bene fidarsi di un Perfettino, per di più di uno come Leonardo Aspromonte. In quei millesimi di secondi, al Maverick, ci stavo quasi credendo. Meno male che ho cambiato idea subito.
Finalmente, alla fine dei giochi, dalla folla degli spettatori fuoriescono i componenti della mia squadra, arrivati or ora. Finalmente potrò mostrare loro che non ho bisogno per forza di qualcuno per difendermi.
Diego e DarthMart vengono verso di me insieme, inaspettatamente, a Ludovico. Segno che Diego lo sta cominciando ad accettare.
«Okay, sai che ora vorrei una spiegazione, vero?» comincia a parlare Diego con una certa e solita smorfia di sfida, ovviamente e chiaramente indirizzata verso colui che gli sta più sulle palle.
Ma non è Diego a catturare la mia totale attenzione, non è lui a farmi preoccupare.
Ludovico, nel frattempo, a differenza di Marta e Diego non ha interrotto la marcia, bensì è letteralmente volato fino al cospetto di Leonardo esibendo un'espressione da brivido, roba da farti rizzare i peli delle braccia.
Sta quasi per alzare una mano, quando nota Olivia avvinghiata al suo braccio. Prima esamina a lungo il suo visino, dopodiché sposta gli occhi sopra la figura di Viola, abbracciata a Isabella.
Senza volerlo e senza aspettarselo, ne sono sicura, scoppia a sogghignare, di fronte a quel teatrino vivente che rappresentano.
Ovviamente Ludovico è al corrente di quella particolare sottotrama che molti non ne sono a conoscenza. E, sempre ovviamente, non può far a meno di ridergli in faccia poiché Ludovico è un suddetto shameless: un senza vergogna.
Mi rendo conto che, ogni tanto, incarno anche io una perfetta shameless, e non è niente male.
Scuoto il capo, tentando di ignorare la sua fragorosa risata. Schiarisco la voce prima di iniziare un piccolo discorso diretto praticamente a tutti, «Giochetti come questo» e alzo in alto, bene in vista, la mia fotografia, «non ricoprono di gloria una persona, soprattutto se la persona in particolare è pienamente maggiorenne e anche Rappresentante d'Istituto. V'invito, perciò, a dimenticare questo spiacevole inconveniente e a tornare fuori a fumare almeno la metà di una sigaretta. A breve la campanella suonerà ed è lunedì mattina per tutti».
Nemmeno fossi un dio sceso in terra, sorprendentemente, i ragazzi con ancora addosso i loro giacchetti e i loro zaini fanno dietro front e si recano alla volta del cortile, intenti a seguire il mio consiglio. Incredibile.
«In questa scuola io voglio meno odio e più amore, e anche meno rotture di cazzo, se possibile» aggiungo per ultimo, mentre arrotolo la foto, togliendomela via dalla vista.
«Con amore intendi anche scopare?» commenta un ragazzo dalla testa completamente rasata, sullo stile di un marine americano. A occhio e croce mi pare che faccia l'Artistico anche lui, ma ignoro quale anno.
Al che io, senza provare minimamente vergogna, annuisco affabile, «Anche lo scopare, certo, ma con le dovute protezioni. Non vogliamo che scoppi un'epidemia di clamidia o di sifilide».
Il ragazzo allora mi fa dono di un sorriso decisamente malizioso prima di alzarmi il pollice, «Ben detto, Atena!». E va a unirsi alla scia che procede in direzione dell'esterno.
Quando non c'è quasi più nessuno a osservare le nostre mosse, Diego è pronto come non mai a fiondarsi addosso ad Apollo, c'era da aspettarselo, imitando Ludovico.
Tuttavia mi ritrovo a bloccarlo con il braccio, premendoglielo contro lo stomaco. Gli faccio il cenno di darmi qualche minuto prima di dirigermi io stessa verso di lui. È una cosa che devo risolvere io senza l'aiuto di nessuno, men che meno con i cazzotti di Diego.
Mi rivolgo prima a Olivia, agendo da impeccabile gentildonna. «Non ti dispiace se te lo prendo un attimo? Prometto di non rubartelo» le domando con tanto di occhiolino.
Ora la piccola e delicata Olivia non sorride più audace come prima, anzi, quella non è una smorfia di disappunto? A me sembra proprio di sì.
Tanto che, quando vado ad afferrare per un lembo della giacca la sua dolce metà, si limita a fissarmi con la bocca spalancata senza neanche darmi uno straccio di risposta.
Perlomeno, io sono stata educata fino alla fine.
Ad ogni modo, me ne frego. Adesso sono intenzionata a parlare con Leonardo a quattrocchi, devo mettere in chiaro un paio di cosette con lui. E per adempiere a ciò devo farlo in un luogo isolato, con del silenzio e soprattutto con nessuno intorno a noi, né con qualcuno dei miei, né con qualcuno dei suoi.
Lo conduco senza una spiegazione nel piano sotterraneo.
Percorriamo gradino per gradino la scalinata, fermandoci a pochi metri dall'ultimo, l'importante è non avere rumore attorno e neanche degli uccelli del malaugurio.
Mi posiziono davanti a lui, togliendo la mano dal giacchetto e incrociando poi le braccia al petto. Inarco un sopracciglio e così facendo la frangetta va a solleticarmi la fronte.
Egli, sì, mi guarda, eppure senza una precisa espressione in viso.
È quasi apatico, decisamente imperturbabile. Inoltre la tonalità dei suoi occhi non contribuisce, lo fa apparire ancor più freddo del normale.
In ogni caso, decido di lasciar perdere e di concentrarmi sulle faccende serie. L'ho portato qui per parlare e parlerò.
«Sei di una bassezza unica» dico con voce atona, deglutendo, guardandolo come meglio mi è concesso dal mio metro e sessantasei d'altezza.
Come Leonardo mi sente dire questo, rotea gli occhi in segno di scocciatura. Già, lo so, sono una grande scocciatura per lui. E lui lo è per me, però a volte io mastico e mando giù il boccone amaro. Dovrebbe provarci ogni tanto.
«Da adesso dobbiamo evitare di fare queste bambinate, di cadere in questa banalità da studenti di primo. Noi ora siamo tenuti a dare l'esempio» continuo ignorando il suo sorriso sprezzante e superiore del cazzo che precisamente sfoggia... sempre! Come adesso.
«Come fai a essere sicura che sia stato io a farti quella foto per poi appenderla sulla bacheca?» mi fa una domanda che, in tutta onestà, non mi aspettavo affatto di ricevere.
Mi viene naturale esplodere in una risatina isterica e del tutto fuori controllo.
«Sono sicura dal momento che ci detestiamo a morte, che eravamo entrambi lì quella sera e che è diventata la tua ragione di vita rovinare me. È chiaramente opera tua, non prendermi per il culo» sibilo guardandolo tremendamente di traverso, con le labbra piegate in una smorfia di repulsione.
Leonardo mi imita, inarca un sopracciglio anche lui, «Ebbene no, ti do una brutta notizia, non sono stato io. Naturalmente non dirò chi è l'artefice, non fraintendere, è solo che detesto prendermi le colpe degli altri. Quindi, fuori mi chiamo» replica annoiato.
In quale universo alternativo esistente potrebbe aver senso compiuto questa affermazione? Cosa significa? Che vuol dire che non è stato lui?
No, è impossibile. Solo uno come lui è capace di certi sotterfugi, come quell'alzatina d'ingegno di lunedì scorso, dentro l'ufficio di Gandolfo.
Chi altro potrebbe mai?
Sto per aprire bocca per controbattere ma vengo anticipata e non solo, Leonardo muove persino un passo verso di me.
«A parte ciò, non è che sono annoiato, non farti strane idee in quella tua testolina contorta» asserisce premendo il dito indice contro la mia fronte coperta dalla frangetta, facendosi strada fra i capelli, «ma vedere e ammirare il tuo delicato viso che si contrae in balia di sentimenti negativi è come una droga per me» conclude raggiungendo un timbro di voce profondo e roco, da farmi rabbrividire.*
In seguito, toglie il dito dalla mia fronte e con la mano interamente aperta va a sfiorarmi la linea del mento, con scrupoloso riguardo e inaspettata delicatezza.
Avverto una piccola, seppur tangibile, scarica elettrica proprio sul punto esatto dove sta accarezzando con le dita. Sobbalzo appena all'indietro, ma ciò non basta a fargli discostare la mano.
Dovrei, però, allontanarmi io.
Già ho ribadito spesso che mi repelle essere toccata da lui. Ma mi sento bloccata, preda dei suoi occhi d'un tratto profondi e che mi annodano come se avessero fatto comparire delle catene intorno a me.
«La bocca piegata in una smorfia di rabbia» pronuncia come se stesse leggendo il testo di un libro proibito, e mi tocca le labbra al contempo, per essere più precisi con il pollice segue la circonferenza di esse, «le guance rigate di lacrime piene di tristezza», e mi tocca gli zigomi, «gli occhi traboccanti di ira e di astio», e mi tocca il contorno delle palpebre.
Leonardo mi tocca senza che io opponga, mi accarezza, mi sfiora, esercita un certo controllo su di me.
Ma... perché non sto tentando di farlo smettere? Perché non agisco come ho fatto altre volte? Cosa c'è di diverso adesso? Il come mi sta osservando? La distanza così breve fra di noi? Il suo tocco che praticamente va dove vuole? La sua voce di colpo divenuta roca e bassa? O, forse, è il flebile buio che regna qui sotto?
Mi accorgo che, no, non sto facendo niente per impedire questo contatto.
Mi accorgo di come le sue carezze – perché non so come altro definirle –, per quanto sbagliate e malsane, siano un toccasana per il mio stato d'animo.
Addirittura avverto una melodia risuonarmi nelle orecchie, come se ci accompagnasse in qualche modo.
Come se incitasse Leonardo a continuare e incitasse me a soccombere. Come se Leonardo stesse incarnando le fattezze di Lucifero e mi stesse soggiogando, una povera mortale.
«Mai provato con l'eroina? Perché se mi paragoni a una droga è bene che vai su qualcosa di più pesante» farfuglio miracolosamente qualcosa, socchiudendo appena le palpebre.
La sua risposta non tarda ad arrivare, «No, non ho intenzione di perdere bellezza, lucidità e intelletto per colpa di quella merda» replica con un piccolo sorriso dall'aria serpentina, «tutto questo è molto meglio e meno dannoso».
Fa riferimento a me, con la sua ultima frase. Fa riferimento a come io riesca a farlo divertire e a intrattenere al tempo stesso. E lo stesso vale per Olivia, forse anche per Viola, e per qualsiasi altra ragazza gli giri vicino.
Che razza di essere umano penoso. Proprio un testa di cazzo.
Quando si renderà conto che le persone non sono degli oggetti, dei giocattoli con cui sollazzarsi per breve tempo, allora sarà troppo tardi.
In uno schiocco di dita riprendo contegno.
Esattamente come sono caduta preda fra le sue spire, eccomi che riemergo dai fondali. Mettendo in moto la mia mano sana schiaffo via il suo tocco dalla mia pelle, liberandomi dal suo incantesimo. Spalanco gli occhi, quasi che minacciano di fuoriuscire.
«Hai finito?» pronuncio ruvida.
«Converrai che ho ragione» obietta abbassandosi appena per avermi meglio sotto tiro.
«Non hai sempre ragione tu, smettila di essere una testa di merda perché non ti porterà da nessuna parte questo tuo modo di fare! E adesso ti saluto, ho bisogno di pace!» esclamo perdendo poco a poco la pazienza che avevo accumulato con maestria.
Però non ce l'ho vinta.
Perché mentre mi allontano da lì, da lui, Leonardo comunque sorride con quella sua fottuta superiorità e convinzione di essere migliore di chi ha di fronte. L'importante ora, comunque, non è questo.
Adesso ho estrema necessità di ascoltare "Rock the Casbah" e, forse, di fumare un'altra sigaretta.
La prima ora del lunedì, come ormai stipulato dal calendario definitivo scolastico, abbiamo storia dell'arte con Lunanuova e durante l'appello Marta accanto a me è nel vero senso della parola gonfia come un gufo. Indubbiamente incazzata e accigliata.
Lo capisco dal modo in cui lancia occhiatacce a Lunanuova, dal modo in cui tiene distese le braccia sopra la superficie del banco e in cui arriccia le labbra. E lo capisco anche dallo sguardo assassino che, senza timore di essere scoperta, riserva al caro professore.
Quando giunge a pronunciare il suo cognome, Marta risponde con un «Prrrrrresente» talmente ringhiato che mi sembra di avere un lupo per vicino di banco e non una ragazza.
Nel momento in cui viene il mio turno però prevedo il peggio...
«Castellani Matilda» mi richiama lui, sbagliando come sempre il nome.
Non faccio in tempo a rispondere «Presente» che Marta spezza a metà la matita che ha in mano.
Deve esercitare una pressione davvero, davvero elevata. DarthMart non si permetterebbe mai di spezzare una matita! È uno strumento sacro per noi dell'Artistico, è un sacrilegio.
Mi sento in dovere di fare qualcosa, di tranquillizzarla. Da quando ha incontrato Emilio Lunanuova al Maverick ora Marta non riesce proprio a tollerarlo.
«La pazienza è la virtù dei forti» le sussurro mentre le vado a prendere la mano, stringendogliela.
Dopo aver portato a termine l'appello, però, il professore decide di far morire di rabbia la mia amica, a quanto pare.
«Auditore, prima di iniziare a spiegare l'argomento nuovo devo interrogarti. Devo almeno avere un tuo voto» sancisce con severità e freddezza, scatenando con ciò non solo la rabbia di Marta ma anche il malcontento generale della classe.
«Prof., è impossibile che Ludovico sia pronto per un'interrogazione a sorpresa!» esclama Dorotea Balestrieri.
«Già, come può pensare che sappia il vecchio argomento? Non c'è nemmeno la garanzia che abbia comprato il libro di testo» si aggiunge pure Marco.
«È un'ingiustizia!» gridano come cretini patentati i due Tommasi, mettendo le mani a coppa davanti alla bocca.
Ovviamente Lunanuova non si fa di certo mettere i piedi in testa da una classe di diciottenni. Sbotta di colpo, lasciandoci tutti senza parole, senza una mosca che osa volare.
«Ragazzi! Siete al quinto anno ormai! Dovete prendervi le vostre responsabilità e affrontare le situazioni con serietà, non potete più permettervi di lamentarvi come agnelli appena nati! Avete diciotto anni, non quindici. Ci tengo a ricordarvi, a ognuno di voi, che fuori nel mondo reale nessuno accetterà un lamento come giustificazione. Dovete tirar fuori gli attributi e affrontare qualsiasi circostanza e conseguenza» ci fa un bel discorsetto, che dubito fortemente ci dimenticheremo con facilità.
Dopodiché chiama Auditore alla cattedra, tira fuori dalla borsa di cuoio il suo fedele iPhone, apre l'applicazione del cronometro e rimane pronto per farlo partire.
«Parlami delle caratteristiche dell'Espressionismo» gli chiede dando il via ufficiale al fatidico minuto di tempo per rispondere.
Chiaro che Ludovico se ne stia zitto e muto, in piedi accanto a lui, con le braccia lungo i fianchi e un'espressione omicida.
Il minuto viene superato, purtroppo, e Lunanuova gli appioppa un tre.
Nell'intervallo, mentre fumo la consueta sigaretta sulle scale anti-incendio e mentre occupo con pigrizia un gradino intero con la lunghezza delle mie gambe intrecciate, osservo la fotografia che mi è stata scattata al Maverick e che è stata messa in bella vista davanti a gran parte del Caravaggio.
DarthMart, che è seduta un gradino sopra al mio, la analizza insieme a me, anche lei intenta a fumare un drum.
«Chi può essere stato?» dico ad alta voce senza volerlo.
«È stato Aspromonte» conferma prontamente, buttando fuori il fumo dalla bocca.
Faccio una smorfia insoddisfatta quando le sento pronunciare il suo nome. Dannazione, quanto vorrei fosse stato lui almeno il dilemma e il mistero sarebbero risolti!
«Non credo sia stato lui» purtroppo devo oppormi a malincuore. E mi vedo costretta a raccontarle ciò che mi ha detto nel sotterraneo, evitando di scendere in dettagli preoccupanti. Talmente preoccupanti che lasciano basita anche me.
«È stato uno del suo gruppo, uno di quelli che era presente alla festa di Halloween» ipotizza dunque lei.
«Oppure potrebbe essere un qualcuno di fuori, magari una talpa» aggiungo una complicazione in più.
«Certo che è signor pezzo di merda. Avrebbe potuto dirtelo, in fondo lo spirito di squadra dubito faccia parte del suo codice morale» asserisce Marta palesemente innervosita.
Al che scuoto il capo trovandomi in disaccordo con lei, sorprendentemente, «Salva il culo a qualcuno dei suoi. Io farei lo stesso per voi. Quasi che riesco a comprenderlo» le spiego, «vorrà dire che ce la caveremo da sole, no?».
«Oh sì, voglio senza dubbio venirne a capo!» conferma Marta.
«Inventeremo qualcosa» annuisco convinta.
Successivamente alziamo nello stesso momento gli occhi per posarli su Diego, che è in piena conversazione con Ludovico. Non posso fare a meno di sorridere di fronte a quella scena.
«Meno male che non ha dato di matto per tutto quello che è successo» enuncio con un sospiro.
Alla fine Diego è venuto a sapere della visitina dei Perfettini al Maverick, si è semplicemente ritenuto fortunato a non averli incontrati. Beato lui!
«Un vero record per lui» mi dà ragione Marta ridacchiando.
Come la mia amica finisce di parlare, dall'angolo del muro della scuola sbuca fuori Thalìa, accompagnata dalla sua migliore amica, Roona.
Viene verso la direzione in cui sono seduta e mi dedica un caloroso applauso. Un caldo e solare sorriso le incornicia la sua splendida faccia.
«Ho sentito di quello che è accaduto stamattina. Volevo farti i complimenti per come hai gestito la cosa, un comportamento da vera Atena il tuo» si complimenta con me, sedendosi sul gradino inferiore al mio.
«È un onore sentirselo dire da te» replico sinceramente lieta.
«L'Artistico ti adora ancora di più. Sei un idolo per le ragazzine e una vera gnocca tosta per i ragazzini» mi fa notare lei facendo l'occhiolino.
«Confermo. Le voci, per quanto le odi, le ho sentite persino io» si aggrega Roona allargando i suoi bellissimi occhi castani.
«Quasi che devo ringraziare Aspromonte allora, per tutta questa popolarità» mi viene da fare una battuta sarcastica.
Dopo essere uscita da scuola, essere ritornata a casa e aver pranzato, intorno alle tre e mezza del pomeriggio i miei amici mi passano a prendere con la macchina di Marco.
Hanno deciso che vogliono essere lì ad assistere mentre conquisterò anche io la mia patente. E, onestamente, sono così contenta che abbiano scelto di venire.
La loro presenza mi rassicura, in qualche maniera.
Sia Marta, sia Diego, sia Marco hanno garantito che rimarranno ad aspettare lì alla scuola guida la fine del mio esame pratico e che faranno il tifo per me.
Oltre la sottoscritta, a fare l'esame ci sono altri cinque ragazzi e io sono la seconda in lista d'attesa... per cui, non sono né la prima, ad aprire le danze, né l'ultima, a concludere. Per un certo verso è quasi un bene.
Quindi, durante l'attesa dell'arrivo dell'esaminatore, sperando che non sia uno stronzo testa di minchia, io e gli altri ragazzi ci stringiamo in un ultimo abbraccio di gruppo con Alessandra.
Tutti noi nutriamo grandi speranze e abbiamo la certezza di poterlo superare questo ostacolo. Tutti noi abbiamo superato il dramma della frizione, il dramma dello specchietto retrovisore e del freno a mano.
Abbiamo imparato e compreso quando è bene scalare o salire di una marcia. Abbiamo appurato che è bene guardarsi più dagli altri che da se stessi.
Crediamo in noi, insomma. Crediamo nelle nostre capacità. Siamo pronti per muovere il primo passo verso il mondo degli adulti, lasciandoci alle spalle gli ultimi sprazzi di adolescenza.
La prima a partire è Federica, una ragazza di due anni più grande di me. Lei era quella che aveva maggior problema con la frizione, era un vero incubo.
«Ricordati che prima di immetterti nella strada devi accendere la freccia» mi rimbecca Diego.
«Quando accendi la macchina mettila in folle e poi inserisci la prima marcia» insiste Marco.
«La partenza è stra-importante, ricordati di togliere il freno a mano» conclude per ultima Marta.
«Ragazzi» li richiamo all'ordine, «guardate che le so a memoria queste cose, sembra quasi che dobbiate darlo voi questo esame e non io!».
«Ci teniamo, sai? Non vogliamo mica che tu venga segata» commenta Diego sarcastico.
«Non verrò segata!» obietto alzando gli occhi al cielo.
Dopo i normali e consueti venti minuti di esame, Federica rientra con la Fiat Panda e con un sorriso così luminoso che brilla di luce propria.
Il suo esame si è concluso con esito positivo e finalmente ha sostituito il foglio rosa con una bella e splendente patente.
Wow... tra neanche un'ora anche io ce l'avrò fra le mani! Caspita, fremo dall'emozione!
È il mio turno, Alessandra mi fa cenno di avvicinarmi alla macchina.
Salgo a bordo con le urla d'incoraggiamento dei miei amici, un toccasana per i nervi. Non smetterò mai di amarli alla follia, quei tre.
Mi siedo sul sedile del conducente nel mentre che saluto educatamente l'esaminatore dall'aria bonaria.
Faccio un bel respiro profondo – il primo di una lunga serie –, mi allaccio la cintura di sicurezza, sistemo il sedile finché gli orli delle scarpe non arrivano ai pedali, mi occupo di sistemare anche lo specchietto retrovisore poiché Federica è qualche centimetro più alta di me.
Infine posiziono le mani sul volante, salde, per l'ultima volta a scuola guida. Speriamo.
Poi guardo l'esaminatore dallo specchietto retrovisore e sorrido, per niente in panico. «Cominciamo?».
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