12. Where is my mind?
Mi sono dovuta fermare un attimo perché altrimenti sarei collassata a causa delle forti emozioni che mi hanno invaso all'improvviso senza darmi il tempo di elaborarle con calma. Mi sono lasciata cadere a terra, con le spalle contro il muro del Maverick – se non altro pulito e non sudicio – e le palpebre serrate. Le tengo chiuse perché altrimenti le lacrime di un pianto disperato sarebbero uscite rovinandomi tutto il make-up di Halloween. Ma tanto è inutile, sono già straripate alcune.
Vedo i miei amici, Diego, Marta, Marco, Veronica e Thalìa. Vedo Diego e Thalìa ballare insieme, senza sfiorarsi, poiché conoscendo Diego ancora sa bene che non è il momento di esagerare.
Vedo Marco e Veronica che si agitano in una danza strana, particolare, non consona alla serata, ma loro se ne fregano, amano comportarsi da strambi.
Vedo Marta, corsa via incazzata chissà dove dopo aver appurato della compagnia in questa assurda nottata. La vedo con Lunanuova al seguito, che la rincorre per chissà qualche pazzo motivo, non mi vengono in mente idee plausibili.
Posso solo ipotizzare che Marta si metterà nella sua tipica modalità di ghiacciolo e farà una sfuriata al professore incolpandolo di aver erroneamente scelto il Maverick come luogo di divertimento. Incolpandolo di aver rovinato il nostro divertimento.
Vedo tutti loro, tutti quelli intrecciati alla mia vita. Li vedo mentre mi perdo in un pianto quasi disperato. Con i palmi delle mani mi premo contro i graffi che mi sono procurata alla gola, bruciano un bel po' ora che comincio ad accorgermene.
«Ma perché cazzo mi stai aiutando, porca puttana? Io e te ci odiamo a morte!». È ciò che ho urlato a Leonardo poco fa, dentro il bagno degli uomini, sorpresa e incredula che mi stesse dando una mano.
Diamine, perché? Perché preoccuparsi per Matilde, la dea Atena dell'Artistico, colei che è al primo posto della sua lista nera. L'unica cosa che lega lui a me è semplice e puro odio. Non può essere che avvenga il contrario, non può essere! Io che mi preoccupo per lui o lui che si preoccupa per me, non esiste! È una cosa che va contro natura.
«D'ora in avanti vorrò più di così».
Cosa avrà voluto dire? Che cosa avrà mai voluto farmi capire con questo? Cosa vorrà di più? Vorrà rendermi letteralmente in polvere? Vorrà fare in modo di farmi odiare dal Caravaggio intero, compresa la mia fazione? Non capisco, non riesco a elaborare.
Non ho provato neanche a reagire, a chiedergli che cosa stesse intendendo. Sono scappata come una codarda dando ascolto alla vocina dentro la mia testa, che mi ha imposto di andarmene via. Sono scappata via da Leonardo, cosa mai accaduta prima, mai una singola volta.
L'ho sempre affrontato, ogni giorno, da quando ne ho memoria. Non ho mai tremato di fronte a lui, sono sempre stata sicura di me e sfrontata. Un po' per giusta causa, un po' per divertimento. Alla fine, nonostante i nervi sempre tesi, mi diverte questa sorta di battaglia, mi tiene attiva, vigile, mi tempra nel carattere.
Ma stasera qualcosa è cambiato, qualcosa è andato nel verso sbagliato.
Il dio Apollo mi ha aiutata, ha visto quanto mi sono procurata con le mie stesse mani e mi ha dato una mano... e poi il pezzo forte, forse quello che mi ha fatto crollare del tutto.
Allora... davvero non gli basta più solamente schernirmi a voce, non gli basta più mettermi i bastoni fra le ruote trascinando in mezzo anche l'Artistico. Adesso, avrà come obiettivo solo ed esclusivamente me.
Non so se devo avere paura, se essere quantomeno felice del fatto che forse lascerà in pace il mio indirizzo. So solo, per adesso, che sono scoppiata in un pianto che pare essere senza fine. So che la mia notte di Halloween è rovinata, i festeggiamenti per i Rappresentanti d'Istituto, l'allegria, la bellezza dell'essere in compagnia, puf, tutto andato in fumo, spariti. E oltre a ciò è sparita anche la mia mente. È scomparsa.
Dov'è la mia mente?
«Matilde?». Una voce pronuncia il mio nome ad alto tono, così facendo da sovrastare la musica messa dal DJ del locale, cosa che mi fa appurare che la melodia, prima, era esclusivamente dentro la mia testa.
Ho gli occhi ridotti a due fessure strette e gonfie, segno palese di un pianto tormentato, ma credo si noti poco grazie alla luce bassa e tenue, tipica da discoteca, macabra, tipica di Halloween. Faccio fatica a mettere a fuoco la figura in piedi di fronte a me, alta. Quasi terrificante.
Io continuo a starmene raggomitolata per terra, con le spalle contro la parete e la testa che ciondola senza un motivo ben preciso. Mugugno qualcosa eppure dubito che la persona in questione mi abbia anche di poco percepita.
«Matilde, cosa ti è successo?», ripete nuovamente la voce, stavolta più preoccupata.
A questo punto la misteriosa persona si mette in ginocchio fino a raggiungere la stessa altezza del mio volto, e nonostante le palpebre semichiuse, in questo caso, riesco a identificare la figura nera.
«Rispondimi! Cosa ti è accaduto?» insiste egli poggiandomi una mano sulla spalla tentando di scrollarmi per farmi riprendere, «Ti sei calata una pasticca? Hai sniffato?» sento domandarmi.
Sebbene io sia reduce da uno sfogo epocale non posso fare a meno di sorridere; davvero ho tutta l'aria di una che sta nel pieno di un trip?
«Non sono altro che il risultato di troppi bicchieri di alcol, Marco...» replico arcuando le sopracciglia per agevolare il mio sorriso beffardo, «ho solamente pensato che il pavimento fosse comodo. Sto bene» mento mentre tossisco per via della gola troppo secca.
«Uhm, nemmeno peggio di quanto pensassi... forza, ti aiuto ad alzarti» pronuncia Marco infilando le mani sotto le mie ascelle, mettendomi in piedi come facevano mio padre e mia madre quando ero ancora una bambina.
La spinta dal basso verso l'alto mi fa girare leggermente il capo, dopotutto è vero che ho un bel po' di alcol a scorrermi nelle vene... Tuttavia riesco a rimanere in piedi e in equilibrio seppur precario. Ho addosso un paio di francesine nere con il tacco e diciamo che sopra di esse è difficile rimanere saldi ed eretti quando non si ha più il pieno controllo delle facoltà fisiche.
«Come mi hai trovata?» gli domando biascicando, sperando di essermi fatta sentire.
«In realtà è da un po' che ti cerco, e anche Marta. Sto cercando anche lei ma sembra svanita chissà dove» mi fa sapere Marco parlandomi direttamente dentro l'orecchio. Quindi anche Marta è sparita?
«Devo sedermi...» dico seria, mettendomi una mano sopra lo stomaco, pesante come una palla da carcerato. Ho timore di vomitare proprio qui, in mezzo alla gente, magari addosso a qualcuno nella peggiore delle ipotesi.
«Sì, certo! Qui ci sono i divanetti, siediti qui» annuisce Marco velatamente agitato, lo capisco dal fatto che ha accelerato il passo e io vengo quasi trascinata dal suo braccio intorno alla mia vita.
Come ho richiesto vengo immediatamente esaudita, Marco mi aiuta a sedermi sopra la morbida pelle dei divanetti del Maverick.
Appena poso le chiappe sopra il cuscinetto lo stomaco smette di causarmi disagio, anche se ora il dolore è emigrato tutto verso il cervello. La fronte mi pulsa, per non parlare delle tempie.
«Trova Marta... voglio assolutamente tornare a casa» piagnucolo senza volerlo, è come se mi scappasse dalla bocca senza chiedere il permesso.
«Trovo Marta. E tu che fai? Rimani qui tutta sola?» bofonchia passandosi una mano sulla folta chioma riccia e piena di sudore, rendendola più disordinata di prima.
«Rimango qui, non mi muovo di un centimetro. Prometto» deglutisco l'ennesimo groppo.
«Non è che ti ritrovo stesa da qualche parte?» si accerta lui puntandomi contro il dito indice. Al che scuoto il capo negando, agitando capelli e frangetta all'unisono, «Mi ritrovi qui, non ho nemmeno la forza di fare dieci passi» faccio una risatina sarcastica.
«Okay, vado alla ricerca di Marta Perduta. Ci rivediamo qui, farò in un baleno, sarà facile ritrovarla: mi basta scorgere i suoi lucenti capelli argentati» conclude Marco come se andasse a svolgere una missione importantissima. Ed effettivamente lo sarebbe, senza Marta io non posso ritornare a casa.
Sicché Marco gira i tacchi e sparisce in mezzo alla folla ancora per niente stanca di ballare e di divertirsi. La notte, evidentemente, è ancora giovane. Scommetto che ancora non sono neanche le tre e mezza.
Nel contempo che continuo a guardarmi intorno, tanto per fare qualcosa e tanto per distogliere l'attenzione dal dolore delle mie tempie, mi accorgo con sorpresa che accanto a me, a pochi centimetri, è seduta una ragazza. Non so esattamente da cosa sia vestita, ma la mia attenzione è totalmente catturata da un sol dettaglio, anzi due: da una specie di libro anche intesa come dispensa dall'aria solida e spessa che giace sopra le sue cosce e l'evidenziatore color, credo, rosa fosforescente che traccia le frasi più importanti.
Incredibile, questa ragazza, universitaria senza ombra di dubbio, sta studiando nel bel mezzo di una festa.
"Allora esiste qualcuno messo peggio di me, dentro questa gabbia di matti", mi viene da pensare facendomi comparire un sorrisetto stavolta più sincero.
Sarà quella lì la fine che mi aspetta semmai vorrò iscrivermi all'Università? Mi aspetta proprio una bella pedalata!
All'improvviso, mentre m'interrogo sulla convenienza del mio futuro, Marta spunta fuori dal nulla, piombandomi addosso. È apparsa come per magia.
Marta ha le guance arrossate, anche se non lo sento riesco a capire che ha il respiro affannato, segno che si è mossa velocemente per venire qui. Ha i capelli tutti scostati dietro le orecchie, altro segno che si li è tirati indietro per via del suo nervosismo.
Quando Marta è nervosa, le viene come un tic quello di portarsi le ciocche dietro l'orecchio. Lo fa ripetutamente, anche se ha la chioma in perfetto ordine. Per non parlare della sua fronte corrugata in una smorfia di disappunto e le sopracciglia incurvate verso l'interno, le danno un'aria alquanto arcigna e torva.
«Ma dove ti eri cacciata? Ti stavo cercando da un pezzo!» tuona Marta come una furia, ma sono più che sicura che sia incazzata con qualcuno in particolare e non con me.
«Pensa che io ho appena mandato Marco a cercare te» replico facendo spallucce, ignorando il suo tono super-mega-incazzato.
Marta si passa il pollice sopra il naso a mo' di grattarselo, poi rotea gli occhi e si guarda intorno con espressione quasi sofferente. Simile alla mia, tanto per intenderci.
«Voglio tornare a casa» diciamo unanime, nello stesso momento, come se ci fossimo lette nella mente.
Entrambe lo diciamo con aria scocciata e con modo secco e brusco, infischiandocene delle buone maniere. Esplodiamo in una risata divertita appena ci ascoltiamo, Marta non riesce a rimanere seria quando è con me, io non riesco a rimanerci con lei. Non in questi casi almeno.
«Sentiamo, perché vuoi tornare a casa?» mi domanda Marta incrociando le braccia al petto, l'espressione un pelino più serena.
«Sai com'è... l'incontro con Leonardo mi ha nauseata il giusto» taglio corto, tanto cosa altro c'è da spiegare? Basta pronunciare il nome di Leonardo per non aggiungere altro. Nessuno meglio di Marta può afferrare. «E tu, invece?» stavolta domando io.
«Tsk», lei alza le iridi al cielo, ritornando scocciata, «a te ha nauseata l'incontro con Aspromonte, a me ha nauseata l'incontro con Lunanuova. Il professorino mi ha seguita, ci credi? Credeva che fossimo lì per spiarlo! Che cazzo... L'ho dovuto trattare con la mia solita sufficienza, capisci, Mats? Non ho potuto fare altrimenti. Certo, non ho dimenticato di dargli del "lei", però comunque penso di averlo azzerato».
«Bella serata del cazzo» le do ragione tirando su col naso quasi libero del tutto.
«Puoi ben dirlo. E inoltre, come se non fosse bastato Lunanuova, sai chi altro ho beccato dopo la mia sfuriata? Non indovinerai mai...» dice pestando il pavimento con il piede, scuotendo il capo.
«Uhm... credo che non mi stupirà più di quel tanto ormai» affermo con nonchalance.
«Oh, ti stupirà invece! Ti lascerà a bocca aperta!» obietta scoppiando in una risata maniacale, «Alberto Del Bianco, ecco chi altro mi ha seguita».
Per poco non casco giù dal divanetto facendo sussultare di spavento la povera universitaria accanto a me. Mi riprendo di striscio sulla spalliera.
«... chi?» ripeto facendo finta di non aver udito bene.
«Del Bianco. L'amichetto di Aspromonte. Il braccio destro di Apollo. Mi ha seguita e credo debba aver seguito per filo e per segno tutta la mia scenata perché quando mi sono allontanata da Lunanuova lui mi si è avvicinato e... mi ha chiesto se fosse tutto a posto. Ma dico io, stasera è vero che è la notte degli orrori, ma qui si sfiora il raccapricciante!» continua a spiegare la mia amica, sembra quasi stesse raccontando una barzelletta tanto si mette a ridacchiare durante le pause.
«Porco cazzo» è l'unica cosa stupida, insensata però d'effetto, che mi viene in mente di dire.
«Ma l'ho rimesso al suo posto, eh. È toccato anche a lui!» esclama Marta fiera di se stessa, «gli ho detto che non ci si deve mettere con la sua lunga appendice nasale, è sufficiente già Leonardo che rompe le palle a te. Un altro non ce ne serve».
E ascoltando il suo racconto non posso far altro che crederle sulla parola. Quando Marta si mette in modalità stronza di ghiaccio fa quasi paura. Le credo assolutamente.
Mi mordo il labbro prima di proferire, «Giuro che la prossima volta scelgo sicuramente un concerto o la Galleria di Giotto. Chiuso col Maverick. E Diego può andarsene tranquillamente affanculo». Mi metto persino la mano sul cuore.
«Al Maverick ci ritorno solo dopo essermi iscritta all'Università» promette Marta sbuffando.
«Dopo la laurea» sottolineo io.
«Ascolta, andiamo a cercare Thalìa. Dobbiamo dirle che abbiamo intenzione di levare le brande» mi propone scrocchiandosi il collo.
E a proposito di collo, devo fare in modo di coprirmi la gola. Non deve vedere ciò che ho combinato con la mia povera pelle. Altrimenti sarebbero spuntate fuori nuove domande, alle quali avrei dovuto rispondere, dire la verità contro voglia, ritornare in quello spiacevole argomento ossia "Leonardo sta rovinando la tua vita" e bla, bla, bla.
No! Non stasera. Non mi va di discutere con Marta per colpa di lui, ne ho fin sopra i capelli.
Per cui, appunto, mi aiuto con i capelli e mi vado a coprire la gola, chiudendola da sguardi indiscreti.
«Cerchiamo Thalìa» annuisco facendo finta di niente.
Io e la mia fedele compagna d'avventure prendiamo la seria e giusta decisione di abbandonare il Maverick prima del famoso orario prestabilito da quest'ultima.
Vietato andare via prima delle quattro, ebbene noi ce ne siamo andate alle tre e quarantacinque. Praticamente abbiamo perso.
Abbiamo mancato di fede anche al terzo punto: vietato annoiarsi, niente musi lunghi, incazzati o furenti. Un'altra sconfitta. Eccetto quel piccolo bonus da parte mia per l'aver dato un bacio ad un universitario, sennò per il resto come serata non è stata un granché... be', ho bevuto, parecchio aggiungerei, ma in realtà quello non sarebbe stata nemmeno una regola vera e propria visto che di prassi quando vai a ballare bevi comunque anche un singolo cocktail.
Non sento che abbia contato particolarmente.
Ad ogni modo, dopo aver trovato Thalìa ancora impegnata a ballare e a scatenarsi come avremmo dovuto fare pure io e Marta, le abbiamo domandato se aveva l'intenzione di ritornare a casa insieme a noi.
Lei, decisamente sbronza, ha replicato con fin troppa educazione che si sarebbe infilata nell'auto di Marco per il tragitto verso la proprio dimora. Per cui, DarthMart e io, abbiamo avuto in un certo senso il via libera. Potevamo svignarcela in un luogo più... tranquillo.
«Stai a dormire da me?» chiedo a bassa voce a Marta, con le orecchie mezze sorde per via della musica ad alto volume del Maverick, la nuca appoggiata come stessi per addormentarmi sul poggiatesta della sua macchina.
Marta, staccando per un attimo gli occhi dalla strada ma tenendo comunque ben saldo il volante, si volta verso di me. Mi dona un caldo sorriso, così caldo che riesce quasi a farmi percepire un certo tepore negli arti. «Sì, certo. Rimango».
«Meno male che domattina non c'è scuola...» borbotto girandomi dalla parte del finestrino per ammirare la Firenze notturna, uno spettacolo che col cavolo che me lo perdo.«Se ci fosse stata la scuola dubito che ci sarei venuta» è tutto ciò che proferisce Marta, con una bella smorfia di disappunto.
Il mattino seguente ci svegliamo esattamente alle dieci in punto.
Marta mi guarda con un occhio aperto e uno chiuso, i capelli sfuggiti alla gravità la fanno somigliare ad un leone albino. Non so con esattezza chi sia più esaurita questa mattina, se lei oppure io.
«Ciao» esordisce con uno sbadiglio privo di mano davanti, «come stai?» mi chiede con tranquillità. È la domanda di prassi dopo questo genere di serate.
Ci penso su qualche secondo prima di dare la risposta effettiva, mi gratto la testa sulla sinistra e scrocchio il collo stando bene attenta a non mostrare troppo. «Sto uno schifo» la metto al corrente con un sorriso da rimbambita. «E tu come stai?».
Marta serra le palpebre e inarca un sopracciglio, «Stesso» e mi fa il pollice all'insù.
«Andiamo a fare colazione» annuncio grattandomi la fronte.
«E di corsa! Ho una certa fame» asserisce Marta saltando in piedi, «e ho assolutamente bisogno anche di una sigaretta».
Preparo prima il cappuccino per Marta e infine lo preparo per me. Metto su in tavola sia le Gocciole, sia la marmellata e le fette biscottate.
Mi alzo con l'intento di riappropriarmi del mio cellulare, è giunta l'ora che io lo rimetta in vita.
Appena si accende immediatamente mi vibra fra le mani e squilla la suoneria per i messaggi. Caspita, chi può avermi cercato durante la notte? O magari durante la mattina?
Lo schermo m'informa che ho ben dodici chiamate perse da Laira, tre chiamate perse da Diego e una chiamata persa da... oh... la mia nonnina Fauste. L'ho pensata intensamente come non mai ieri notte!
«Dodici chiamate perse da Laira, tre da Diego e una da mia nonna» dico a Marta, un po' stupita.
«Dodici da Laira?» ripete cercando di non strozzarsi con il latte.
«Già. Vorrà sicuramente sapere come è andata la serata, e forse vorrà sapere anche cosa ha combinato Diego...» dichiaro piegando l'angolo della bocca, «e Diego vorrà sapere perché ce ne siamo andate prima di loro. Quanto a mia nonna, be', vorrà sentire come sta la sua unica nipote femmina».
«Perché Laira vuole sapere di Diego?» Marta chiede spiegazioni.
«Vorrei tanto sbagliarmi, ma credo che Laira abbia un debole per Diego. Così mi è parso» pronuncio velocemente, quasi nemmeno senza interesse. Ora sono impegnata a fare il numero di mia nonna Fauste, è proprio una coincidenza che lei mi abbia chiamata.
Mi porto il cellulare all'orecchio, desiderosa di sentire la sua voce. Ed eccola che risponde dopo due miseri squilli.
«Pronto, Matilde?» ecco la sua voce così tremendamente familiare in grado di farmi ritornare a essere una bambina di cinque anni.
«Nonna, ciao! Ho appena visto la tua chiamata... incredibile, e pensare che l'altra sera ti ho pensata, sai?» le parlo con una felicità fuori dal comune, raccontandole mezza verità.
«Nipotona cara, anche io ti ho pensata tanto in questi ultimi giorni. Così mi sono decisa e ti ho chiamata, ho telefonato anche a tua madre stamattina, sembrava stare bene» proferisce con la sua voce acuta e squillante, per niente adatta per la sua età, e, da non tralasciare, ancora presente quel suo piccolo, quasi insignificante, accento austriaco.
Di solito le nonne sono pacate, quiete, con i capelli lunghi, soffici e candidi come la neve. Dagli sguardi bonari e intente a cucinare torte, pasticcini e crostate. Intente a lavorare a maglia e ferree indossatrici di gonnone e megavestiti. Mia nonna Fauste no, è tutta l'esatto contrario. Lei è l'anti-nonna. Anzi, forse facciamo prima a dire che lei è una vera nonna austriaca.
Anziché portare i capelli lunghi per poi legarli in eleganti e stretti chignon oppure in delicate trecce, lei li porta cortissimi, più corti di quelli di mia madre. I suoi non sono del tutto bianchi bensì sono grigi, non ai livelli di Marta ovviamente. Alle orecchie non tende a portare delle perle lucidate, invece porta degli orecchini a forma di luna intagliati nel legno.
Lei non indossa gonne e vestiti, lei indossa sempre i pantaloni, corti e di cotone in estate, lunghi e di lana in inverno. Mia nonna non cucina crostate, mia nonna cucina il gulasch con patate, cucina lo strudel di mele e una sacher così buona che farebbe invidia a qualsiasi pasticcere.
Porta costantemente le scarpe da trekking e capita raramente di vederla seduta a non fare nulla. È sempre in movimento. Mio nonno Bert fa fatica a starle dietro.
«Adele è sempre in forma!» constato io beffarda.
«E tu allora come stai, Tilde?» arriva a chiedermi, naturalmente, senza dimenticarsi di chiamarmi col mio antico soprannome di bambina. "Tilde", un po' austricizzato.
"Eh, nonna... sapessi come sto realmente... se te lo raccontassi partiresti seduta stante con la macchina e verresti a prendere Leonardo Aspromonte per un orecchio".
«Come vuoi che stia? Abito in una delle città più belle del mondo, ho degli amici fantastici, un lavoro che mi soddisfa, la scuola mi piace e i miei genitori non sono da meno. Sto alla grande. Però una cosa è certa, mi mancate tantissimo tu, il nonno e zio Julian. Anche quei scapestrati dei miei cugini» enfatizzo allegra.
«Manchi tanto anche a noi. Sai che Julian ha acquistato un altro cavallo? Non immagini la gioia di Krishna» mi mette al corrente ridendo.
«Naturalmente lo cavalcherò anche io, è di diritto».
«Lo spero! E dimmi, come sta tuo padre? Fabrizio?» poi mi domanda sinceramente interessata. Nonostante il divorzio dei miei, i miei nonni materni hanno comunque lasciato immutato il rispetto verso mio padre.
«Anche lui non si lamenta. Sempre impegnato con il ristorante, ovvio, però è costantemente presente per me» dico ciò che è la verità.
«Meno male. Ne sono contenta. Ad ogni modo, questo Natale lo passerai da noi, vero? Ho sempre timore che con il crescere tu comincerai a dimenticare questo posto» mi fa lei tristemente.
«Nonna, è naturale che a Natale io venga da voi. È una tradizione che adoro e comunque come potrei dimenticare il posto dove sono cresciuta per metà? È un paradiso terrestre Livigno, impossibile davvero che io mi dimentichi di lui o di voi» la rassicuro e le prometto che avrei fatto sicuramente loro visita in inverno inoltrato.
«Fai attenzione, Tilde, inutile che ti fai programmi... tanto poi andrà al contrario di come volevi tu» ribatte sarcastica mia nonna. Facendomi arricciare a sua insaputa il naso.
Una volta consumato il pranzo telefoniamo a Diego. È giusto confabulare pure con lui, però diciamo che la siamo presa comoda per richiamarlo.
Dubito fermamente che Diego ci faccia caso.
«Ehi ciao, Diego» dico appena la chiamata è aperta, mettendo subito il vivavoce, «buon pomeriggio» biascico senza impedire a uno sbadiglio di lasciare la mia bocca.
«Ciao, Dieghito» si aggiunge Marta dietro di me, allungando le gambe lungo il muro della mia stanza, oltre la spalliera del letto. La testa tenuta al contrario e le chiappe premute sopra il cuscino.
«Buon pomeriggio anche a voi, stronzette. Ce ne avete messo di tempo per richiamare il vostro Diego» ci fa subito notare il nostro amico. Perfetto, come non detto... forse siamo state davvero delle stronzette.
«Scusaci» mi affretto a pronunciare con sincerità, «la verità è che ho richiamato prima mia nonna e poi abbiamo cazzeggiato fino all'ora di pranzo» gli spiego.
«Ovviamente che avete cazzeggiato» asserisce egli quasi divertito. «Ad ogni modo, io ieri notte ho fatto chiusura. Me ne sono andato in giro per Firenze stamattina vestito da Jason. Quando sono entrato dentro un caffè per fare colazione per poco non vengo denunciato ai carabinieri» poi proferisce senza darci il tempo di dire qualcosa. Intanto Marta si fa sfuggire un ghigno assai ironico quando sente la versione di Diego della sua mattinata.
«Non mi stupisco» sogghigno.
«Voi perché ve ne siete andate prima? Marco a un certo punto non vi ha più trovate, ha detto che eravate scomparse nel buio» c'interroga curioso.
«Ehm...» mi lascio scappare guardando Marta, che immediatamente si è rimessa in ginocchio sopra il letto squadrandomi prontamente e mimando un perfetto "no", «non mi sono sentita tanto bene. Ho bevuto troppo, credo, e Marta ha pensato che sarebbe stato meglio ritornare» dico una piccola bugia, omettendo la combo di presenze cui siamo entrambe incappate.
«Che dilettante. Mi auguro che tu ti senta meglio adesso...» mi prende in giro Diego.
«Alla grande, mi ci voleva un po' di silenzio, un water dove vomitare ed un'abbondante colazione» lo rassicuro.
«Insomma, al di là di questo, vi ho telefonato per proporvi il programmino di questo sabato sera» cambia di punto in bianco discorso, quasi eccitato.
«Dica pure» lo esorta Marta.
«Stasera Marco suona con i Denuclearizzati al bar Tre di spade. Siete dei nostri?» spiega in quattro e quattr'otto Diego.
I Denuclearizzati è la piccola band composta da Marco e i suoi tre amici musicisti, Alessio Fiorenzuola, Luca Giovanardi e Paride Lorenzi, del tutto esterni dalla vita del Caravaggio e di qualche anno più grandi di noi.
Marco è fin da sempre appassionato di musica, tanto che alle medie ha preso corsi di chitarra classica ed elettrica. Ciò gli ha permesso ad oggi ci fondare questa band e di esserne il chitarrista.
Il quartetto compone principalmente musica di genere alternative rock e, chi lo sa, con il dovuto impegno e perspicacia magari riusciranno a farsi conoscere davvero.
«Certo che siamo dei vostri» risponde con prontezza Marta senza nemmeno rifletterci.
«Naturalmente» mi aggrego anche io. Dopodiché, visto che siamo un gruppo piuttosto affiatato e decisamente sociale con chi se lo merita realmente, mi viene in mente un'idea.
«Che ne dici di invitare anche Ludovico? Il nostro nuovo compagno di classe?» propongo con naturalezza.
«Perché anche Ludovico?» mi parafrasa Diego sicuramente con un sopracciglio inarcato.
«Perché è giusto farlo entrare un po' nel giro. Andiamo... ormai facciamo il quinto anno, non dobbiamo per forza comportarci da stronzi» chiarisco con serietà.
«Non lo so, Mats, vorrei inquadrarlo meglio prima di accoglierlo ufficialmente» obietta l'altro con fare incerto.
«Cosa c'è di meglio di invitarlo fuori con noi, per inquadrarlo? È perfetto» insisto facendolo ragionare.
Sento Diego sbuffare dall'altra parte del telefono, lo sento ammutolirsi per far sì che ci rifletta un po'. Lo sento persino grattarsi i capelli.
«Okay» replica cedendo, «vedrò di contattarlo su Facebook. Diamogli una possibilità. Può sempre tornarci utile contro quella feccia del Classico. Sembra un vero attaccabrighe quel Ludovico».
«Bene. Allora ci vediamo stasera. Mi passi a prendere tu?» domando.
«Come temevo... certo, passerò a prenderti con la mia limousine. Alle nove e venti, fatti trovare pronta» accetta egli emettendo una finta risata disperata.
«Grazie» dico gioviale per poi riagganciare.
Infine io e Marta, dal momento che si è messo a piovere nuovamente, decidiamo di portare avanti il nostro pomeriggio di puro cazzeggio.
Trascorriamo la giornata a fare una maratona degli episodi migliori delle nostre serie tv preferite.
A un certo punto mi avvicino all'orecchio di Marta, come a sussurrarle un segreto. «Diego non è al corrente della compagnia che abbiamo avuto ieri sera. È chiaro che non li ha visti».
«Non saprà nemmeno di Lunanuova, allora» deglutisce lei senza staccare gli occhi dallo schermo del pc.
«Che rimanga fra noi» prendo questa decisione saggia.
«Tsk, se prima facevo scena muta alla sua interrogazione, adesso non riuscirò nemmeno a guardarlo in faccia! Non dopo che l'ho visto vestito da re Luigi!» esclama Marta con sdegno.
«Rilassati» provo a consolarla, «da lunedì spiega l'argomento nuovo. Per un po' faremo a meno delle sue interrogazioni».
Prima di uscire di casa mi premunisco di mettermi una sciarpa attorno alla gola, i graffi devono rimanere a tutti i costi coperti. Non sono in grado ancora di giustificarli pienamente con una scusa che regga. Mi posiziono davanti allo specchio vicino al portone d'entrata per darmi un'ultima occhiata, per dare un tocco di disordine alla mia frangetta.
«Benvenuto, novembre» commento verso il mio riflesso.
E siccome sono le nove e venti precise mi affretto ad andare di sotto, Diego sarà sicuramente arrivato.
Infatti me lo ritrovo davanti al portone del palazzo, la moto da cross accesa ed entrambe le sue gambe tenute saldamente a terra in modo da darle equilibrio. La sua testa e i suoi dreadlocks già protetti dal casco, qualcuno che spunta inevitabilmente all'infuori di esso.
Diego appena mi vede allunga la mano porgendomi il casco che dovrò mettermi io. Lo accetto facendo un cenno con il mento, come a ringraziarlo. Me lo allaccio ben stretto e salgo senza problemi sulla sella, dietro di lui, incollando i miei arti alla sua vita.
«Sai, ho invitato Ludovico come hai detto tu. Ha accettato» mi mette al corrente prima di dare un po' di gas alla moto.
«Bene, mi fa piacere sentirlo» replico.
«È strano, il tipo... strano nel vero senso della parola, non come lo siamo noi» continua a dire, «poi mi spiegherai perché l'hai voluto invitare proprio stasera».
«È molto semplice, mio caro Ares, perché noi siamo gentili. Siamo strani, è vero, ma prima di tutto siamo umani».
Non riesco ancora a crederci. Non ci ho minimamente fatto caso. Il pensiero non mi ha sfiorato la mente.
Questo non è da me! Io sono solitamente vigile e attenta, sempre con i sensori anti-Perfettini all'opera.
Mi accorgo solo adesso che siamo giunti nel luogo prestabilito a piedi, dopo essere smontata dalla moto di Diego, di dove realmente siamo.
Okay, siamo in Piazza della Repubblica, magnifica come sempre, luminosa, piena di gente, però purtroppo sta a significare che... ci ritroviamo nel territorio del loro luogo di ritrovo!
Siamo poco distanti dal Forte d'Alabastro! Il bar Tre di spade dove Marco si esibirà è praticamente sulla stessa linea d'aria.
Dannazione! Non ci posso credere. L'unica cosa che posso fare è augurarmi con tutta me stessa di non vederlo, almeno per questa sera.
«Mati! Diego! Siete arrivati, ce l'avete fatta!», fortunatamente vengo raggiunta da Marta, con addosso dei calzoni a zampa d'elefante color ruggine e degli stivali neri con qualche centimetro di tacco. Al suo seguito, lasciandomi quasi senza parole, c'è Ludovico.
E magicamente, in pochi secondi, sono in grado di scacciare la mia preoccupazione. Forse è bene che io rimanga serena. Devo smettere di preoccuparmi inutilmente, l'importante è stare alla larga da certi problemi, no?
«Ciao, ragazzi!» esclamo finalmente felice di vederli, «Meno male che la pioggia ha deciso di calmarsi almeno per questa sera».
«Sono stata io, in verità, ho fatto una specie di rito affinché potesse smettere» mi spiega Marta con tanto di occhiolino.
«Che spiritosa» commento dandole un buffetto sul piccolo naso che si ritrova.
«Oh! Ci sono anche T1, T2 e Yousef! Vado a salutarli» grida Marta guardando alle mie spalle con un largo sorriso, oltrepassandomi come un tornado.
Sicché rimango sola con Ludovico visto che Diego è già entrato dentro il locale, dove sicuramente si troverà Marco.
«Ehilà» gli faccio cercando di metterlo a suo agio.
Il suo grugno minaccioso è sempre lì. Come lo è anche la collana di catena legata con un lucchetto attorno al suo collo.
«Le trecce ti rendono più bambina» fa una considerazione Ludovico con il suo tono di voce duro e distaccato, come se stesse leggendo da un libro.
«Mi ringiovaniscono, tanto meglio» sottolineo senza lasciarmi intimidire dal suo modo di fare, pian piano mi abituerò.
«Falco ha detto che è stata tua l'idea di invitarmi» afferma ficcandosi le mani dentro le tasche di semplici jeans, «nessuno l'aveva mai fatto. O ero io che mi autoinvitavo perché gli altri avevano paura di me, oppure erano gli altri costretti a invitarmi perché altrimenti avevano timore di una mia reazione sbagliata».
Sono quasi lasciata di stucco quando sento pronunciargli tale frase.
«Fai parte dell'Artistico adesso. Fai parte del nostro gruppo. Non è giusto che qualcuno venga lasciato indietro» proferisco dolcemente.
«Comunque non mi era mai capitato. È una sensazione... strana» fa lui con la fronte corrugata, incerto sul come esprimersi.
«Ti fa sentire bene?» allora gli domando.
«Non mi fa sentire male» è la sua risposta dura e burbera.
«Si chiama amicizia» lo informo, «è così che ci si comporta con gli amici».
«A me non piace avere amici» m'interrompe Ludovico, «averli implica che prima o poi dovrai fare qualcosa per loro, anche cose stupide e idiote, cose che non si dovrebbero fare. Ovviamente anche loro prima o poi faranno qualcosa per te, e sarai in debito. Lo vedi? Ora io sono in debito con te. Non c'è niente di conveniente in questo circolo vizioso. Sii amico solo di te stesso e non avrai mai rogne. Preferisco incutere terrore».
«Buonasera, cinismo» replico rivolgendo all'insù un angolo della bocca, «eppure sei qui, con me e con i miei amici. Sei entrato di tua spontanea volontà nel "circolo vizioso"».
Interessante teoria, devo ammettere.
«Non era mai capitato che m'invitasse una ragazza» borbotta il secondo Ares, che a quanto pare si è rivelato essere proprio un altro Niccolò Machiavelli.
«Smetti di essere machiavellico e vedrai quante ragazze ti chiederanno di uscire con loro» concludo scuotendo il capo e dandogli una pacca sul braccio.
Voglio entrare dentro il bar e salutare Marco, e augurargli ovviamente in bocca al lupo. Sto per andare oltre la figura di Ludovico quando riapre bocca. «Resterai con me, durante il concerto?» mi chiede con quel tono indecifrabile.
«E se poi sarai in debito con me?» rispondo con un'altra domanda.
«È un po' che non sono debitore di qualcuno. Posso anche riprovare» m'illumina.
Mi viene da ridere quando gli sento dire questo. È un inizio perlomeno.
«Coraggio, entriamo insieme» gli faccio facendogli segno di seguirmi.
«Aspetta!» mi blocca di nuovo Ludovico, «Prima di entrare devo dirti una cosa».
Per cui incrocio le braccia al petto, mettendomi in attesa di ciò che Ludovico vuole dirmi. Si avvicina a me pericolosamente, senza sfiorarmi con le mani, bensì posa le sue labbra contro il mio orecchio, solleticandomi con le sue ciocche di capelli.
«Prima ho visto passare quel biondino dell'altro indirizzo» sussurra facendomi arrivare il suo caldo alito contro la pelle fredda del lobo,«era rivestito da un lungo giaccone, ma ho riconosciuto gli occhiali da vista e i capelli. Era con una ragazza a braccetto, però non la solita ragazza con cui l'ho visto da quando sono arrivato al Caravaggio. Non le somigliava affatto».
E tanti saluti al mio tentativo di restare lontana dal problema!
«Com'era fatta questa ragazza?» sono costretta a chiedere ormai incuriosita. Se non era con Olivia, allora con chi potrebbe essere?
«Aveva il viso pieno di lentiggini. E capelli castano chiaro legati in trecce come le tue, però decisamente più lunghe» me la descrive come meglio può, senza allontanarsi dal mio orecchio.
«No, non era Olivia» annuisco convinta dell'evidenza, «era Viola Angeloni, una delle sue più care amiche».
Caspita, sapevo sì che Leonardo frequentasse altre ragazze al di fuori della sua prediletta, ma addirittura con colei che si proclama la migliore amica... Non so... È subdolo! Lui potrebbe davvero ottenere chiunque voglia, basta solo che schiocchi le dita e qualsiasi ragazza del Classico e non cadrebbe ai suoi piedi.
Perché proprio Viola? Cosa vuole dimostrare? Lo sanno tutti che non ama Olivia, però Olivia qualcosa per lui lo prova. Così è essere cattivi...
«Hai visto dov'erano diretti?» tento di sapere.
Ludovico annuisce e m'indica con il dito la direzione esatta che conduce al Forte d'Alabastro. Fantastico.
Senza pensarci più di dieci secondi, perché altrimenti me ne sarei pentita e sicuramente avrei cambiato idea poiché maledettamente sbagliata e contorta, afferro per mano Ludovico, che ce l'ha incredibilmente rovente.
Me lo trascino dietro senza dire niente, senza spiegare. Sono troppo impegnata a maledirmi.
«Dove stiamo andando? C'è il concer...» comincia a parlare egli ma lo zittisco subito.
«Andiamo al Forte d'Alabastro» e tutto ciò che dico, «devo scoprire».
Mi maledico di nuovo, per la mia oscena incoerenza. Dov'è la mia mente, adesso?
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