CAPITOLO 14 - Senza

La finestra temporale nella quale era stata catapultata da Giovanni si rivelò un'esperienza pressoché sconvolgente.

Il rumore dei quattro o forse cinque deumidificatori che si erano accesi automaticamente dopo che l'uomo aveva azionato la corrente erano fastidiosi e ricordavano i suoni meccanici di una fabbrica in piena attività.

<<Metti questo Bianca>>. Il cappotto dal taglio anni cinquanta che le arrivò sotto gli occhi sbloccò finalmente il suo sguardo impietrito e la ragazza con un grosso sforzo si ricollegò al presente, indossando il capo senza fare troppe domande.

<<È dunque questa la tua casa Giovanni?>>.

Il pavimento della stanza di cemento era stato ricoperto da finto legno, alla sua sinistra una vecchia e piccola stufa, sicuramente non sufficiente per riscaldare l'ambiente. Due poltrone in pelle visibilmente usurate stavano una di fronte l'altra. Non vi erano finestre ma lampade ovunque. Una gigantesca libreria ricopriva tutto il perimetro della stanza, eccezion fatta per l'angolo in cui vi era posto un piccolo mobile con scrivania e pochi utensili per preparare il caffè. Bianca rimase molto colpita dal piccolo dispositivo che lampeggiava e con sua sorpresa qualche minuto più tardi l'odore piacevole e forte pizzicò le sue narici, seguito dal rumore inconfondibile: dalla caffettiera uscì del caffè.

<<Direi che questo è più un ufficio per me! Ti va una tazzina?>>.

<<Ma che diavolo ...>>.

La ragazza rifiutò con un gesto gentile ma confuso.

<<Non ti facevo così antica Bianca, è solo una caffettiera automatica!>>.

Invitò la ragazza a seguirlo con un piccolo inchino, mentre lei era nuovamente distratta, questa volta intenta a leggere i titoli dei libri pieni di polvere che la circondavano.

<<Hai letto tutto questo ben di Dio?>>.

Giovanni sorseggiava divertito il suo caffè, sembrava un bimbo di dieci anni, imprigionato nel corpo di un adulto.

<<Non siamo qui per i libri, non oggi almeno: su, da questa parte>>.

Un corridoio stretto, dal soffitto irregolare portava in un'altra stanza, senza porta.

Enormi scaffali di alluminio contenevano oggetti di tutti i tipi che sembravano divisi accuratamente per categorie.

<<Questo è il magazzino degli oggetti smarriti, qui rimangono per i primi nove mesi>>.

<<E poi che si fa?>>.

<<Bé dipende dagli oggetti: la maggior parte li ripulisco e li porto alle comunità che ne hanno bisogno, alcuni li tengo perché possono sempre servirmi>>.

<<Tutta l'ultima fila del primo scaffale ha superato l'anno. Siamo qui per dividere ciò che si può portare o meno nei centri di sostegno della città>>. L'uomo fece una breve pausa, offrendo alla ragazza una sedia, lavorarono poi per diverso tempo senza parlare molto, si scambiarono solo opinioni riguardo agli oggetti. 

<<Vado a prendere degli scatoloni per trasportare le cose: Paul ci darà un passaggio fino al centro di accoglienza>>.

Il buon Giovanni sparì in pochi istanti e Bianca rimase sola nei sotterranei della stazione.

"Non conosco nessun Paul", disse lei perplessa a se stessa.

Una strana energia l'avvolse, l'unico rumore che riusciva a percepire e che copriva tutti gli altri era quello dei deumidificatori.

Aveva già scartato diverse cose che secondo lei non potevano proprio avere una seconda vita: mise accuratamente gli oggetti in uno dei bidoni adibiti ad un secondo controllo.

Un tonfo, probabilmente proveniente dalla stanza accanto la spaventò.

Azzardò un: <<Giovanni! Sei già tornato?>>. Ma nessuno rispose.

Timorosa, decise di appoggiare a terra gli oggetti che stava ispezionando e di affacciarsi al corridoio.

"Ma perché mai m'è venuto in mente di mangiare il gelato proprio oggi!" , ripeteva fra sé e sé dopo aver sentito nuovamente il rumore che però questa volta riconobbe.

Proveniva dall' altro lato della stanza dove si trovava. Istintivamente si mise a cercare un collegamento alternativo. Provò a controllare dietro agli scaffali ma non sembrava esserci nessuna porta.

Tornò nella stanza dei libri ed iniziò ad ispezionare la libreria. D'un tratto si accorse che dietro al mobile della caffettiera automatica sembrava esserci una porta che pochi attimi prima aveva ignorato.

Spostò con delicatezza il tavolino e di conseguenza il mobile in legno che non era affatto pesante, la polvere cadeva leggera su di lei.

L'energia di paura e curiosità l'elettrizzava. "Tutto questo è assurdo, forse dovrei aspettare Giovanni. Ma se poi lui non me lo lasciasse fare ... Eppure ho sentito dei rumori, da qualche parte dovranno pur provenire".

Aprì la porta con coraggio, senza pensarci più di tanto, zittendo le sue insicurezze.

Uno scricchiolio forte accompagnò il movimento della porta.

Un tunnel buio era ciò che aveva davanti ai suoi occhi.

"Forza Bià. O adesso o mai più". Non era mai stata tanto coraggiosa in vita sua, estrasse il suo cellulare vecchio modello dalla tasca ed azionò la torcia, posta ad una delle estremità del dispositivo.

Camminò per diversi minuti, voltandosi di tanto in tanto per riuscire a capire quanto si fosse allontanata dalla porta che aveva lasciato appositamente aperta, come fonte di luce alternativa.

Il terreno era irregolare ed il pensiero che ci potessero essere topi o pipistrelli la terrorizzava maggiormente. Voleva arrivare in fondo. Canticchiava per distrarsi, sciocche canzoni inventate sul momento, che descrivevano la folle situazione nella quale si era ritrovata.

Raggiunse finalmente la fine del tunnel, si voltò ad osservare la piccola porta che si era lasciata alle spalle, la sua misura ormai era grande quanto un pollice. "Grazie Giovanni del cappotto datato ma in pura lana, Sabrina impazzirebbe per questo capo".

D'improvviso quella che le sembrò la figura di un uomo o di una donna chiuse la porta alle sue spalle.

<<Giovanni sei tu? No! Non chiudere ti prego!>>. Il suo eco fece ritorno alle sue orecchie come risposta negativa ai suoi scongiuri.

Rimaneva un'unica via d'uscita: percorrere la piccola scalinata in ferro che scendeva in quella che era una grossa botola.

<<Che assurdità è mai questa. Ma perché mi caccio sempre in queste situazioni>>, disse a voce alta e lo sconforto e l'ansia la presero di sprovvista.

Lasciò scendere qualche lacrima che s'impose di bloccare.

Percorse le gradinate in ferro e saltò per raggiungere il pavimento. La scalinata era troppo corta.

Le emozioni che provava non avevano ormai più alcun nome, erano difficili da descrivere.

Rimase in silenzio ad osservare quello che sembrava un set cinematografico. Un luogo dimenticato da tutti, seppellito sotto migliaia di anime che corrono e vagano ogni giorno.

Un luogo carico di passato. Una sensazione di pieno rispetto l'invase, l'aria che si respirava sembrava malsana e negativa.

Un unico binario si trovava davanti a lei in quella che somigliava ad una piccola stazione alternativa, dimenticata dal mondo.

Il binario era ancora collegato con l'esterno: ad ostacolare la fuoriuscita del vecchio treno dal tunnel vi era solo una vecchia stanga in legno.

Il calore e la luce l'avvolsero. Fuori si poteva intravedere nuovamente il confuso mondo moderno rappresentato dall'intreccio di chissà quanti binari.

"Dev'essere un treno merci", pensò. Prima che potesse elaborare qualsiasi altro pensiero si avvicinò ai vagoni in legno ormai marcio ed usurato e vi diede un occhiata dentro.

La sensazione di tristezza s'impadronì del suo animo fragile e dovette scendere subito. Le mancava l'aria.

Fece pochi passi in direzione dell'uscita del tunnel ed una scritta vecchia incisa nella pietra che diceva :"Binario 21" rubò la sua attenzione.

Fece per uscire fuori dal tunnel anche se non le sembrava un'ottima idea.

<< Felice che tu sia arrivata qui >>.

Il cuore le si fermò. Un uomo stava seduto sul piccolo muretto di fronte al treno.

Si avvicinò lentamente per lasciarle il tempo di riprendere fiato.

<<Non è una delle migliori vie d'uscita da questo posto, su vieni ti porto in superficie. Credo tu abbia visto e sentito abbastanza per oggi ragazzina>>.

L'uomo parlava con un accento straniero. <<Che c'è, non avrai mica paura dell'uomo nero?>>.

<<Queste battute non fanno ridere>>, disse Bianca con un sorriso tirato all'uomo di colore.

<<Felice di sentirtelo dire, ora andiamo, Giovanni ci aspetta>>.

Seguì l'uomo senza riuscire a non fare delle piccole pause per voltarsi ad osservare quel luogo più e più volte.

L'uomo alto spinse con poca fatica una porta scorrevole in legno che sembrava quella di una stalla.

L'uscita dava su di un piccolo piazzale che era rimasto immutato almeno da un centinaio d' anni. Seguì l'uomo senza dire una parola con ancora il cappotto addosso e le braccia strette e conserte. Il caldo non fu sufficiente da riuscire a distrarre Bianca dalle brutte sensazioni e dall' adrenalina che aveva accumulato.

<<Non dovresti girare da sola per i sotterranei>>.

<<Io sono Bianca>>.

<<Molto piacere, Paul>>.

Raggiunsero l'entrata laterale della stazione Centrale in pochi attimi ed il tempo sembrò riprendere il suo normale corso.

<<Credo che tu possa togliere il cappotto ora>>. Bianca sorrise all' uomo dai lineamenti gentili che infondevano gioia di vivere.

<<Grazie, me ne ero scordata>>.

<<Giovanni ci aspetta già al furgone>>.

Raggiunsero Giovanni e nessuno dei tre riuscì a proferire parola. Bianca era visibilmente sconvolta.

Il percorso dalla stazione al centro di accoglienza fu relativamente breve. I finestrini erano aperti e finalmente l'aria piacevole sembrava sollevare l'umore di Bianca che era seduta al centro cercando di farsi più piccola possibile per non urtare i due uomini seduti ai lati.

<<I ragazzi del centro saranno felici di conoscere una faccia nuova Bianca!>>.

<<Che cos' era quel posto Giovanni?>>.

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