Capitolo 7

Passò qualche giorno, in cui Matteo andò da solo a finire il giro di perlustrazione con la scusa che mancava l'ultima parte delle vigne da controllare per cui era inutile che andassi con lui. Parlai di quanto accaduto con mia madre e mio fratello e entrambi mi dissero di avere pazienza, tanto ne sarei venuta a conoscenza lo stesso presto o tardi: la cosa che mi lasciava perplessa è che i colleghi facevano di tutto per non entrare in argomento, per cui la mia curiosità si accresceva immaginando gli scenari più assurdi o drammatici. A pranzo io sedevo sempre vicino a Marisa che teneva banco nella conversazioni e a noi talvolta si univa Vincenzo che però parlava poco, era  sempre nel suo mondo, quando rispondeva a monosillabi era un evento, insomma non lo avevo ancora inquadrato. Gianna aveva preso qualche giorno di ferie per riposarsi per cui non potevo chiederle nulla, ma visto l'andazzo generale non credo che avrebbe risposto alle mie domande.

Insomma, letteralmente morivo dalla curiosità e non sapevo proprio come soddisfarla.

La settimana successiva incrociai Roberto nei corridoi dell'azienda: gli diedi il buongiorno, ma non mi rispose, anzi mi guardò persino male e tirò dritto. Giuro, mi imbestialii, perché non capivo cosa gli avessi fatto, l'avevo visto mezza volta, chi cavolo gli dava tutta questa prosopopea nei miei confronti? Non avevo ancora capito che avere una reazione veemente equivaleva a mostrare il fianco, per cui scattai: "Ehi, ma soffri di mutismo selettivo o sei capace di dire solo insulti?"

"Ma che vuoi? Ma chi sei? Levati dai piedi che ho fretta."

"Sono Stefania e ho iniziato a lav..." non mi fece neppure finire, mi superò con una spallata e mi lasciò così, come una cretina, nel corridoio, sembravo una pentola a pressione dal fumo che mi usciva dalle orecchie, metaforicamente parlando. Entrai nel lab più vicino, dove c'erano Marisa e Vincenzo che parlavano di lavoro e sbattei la porta nel richiuderla alle mie spalle: "Cafone di merda!" urlai dando un calcio a terra.

I due sobbalzarono al fragore della porta sbattuta e si girarono stupiti verso di me che fino a quel momento non avevo detto una sola parolaccia.

"Stefania che succede?"

"Succede, Marisa, che ho incrociato Roberto in corridoio, l'ho salutato per educazione ma lui, se avesse potuto, mi avrebbe fulminato! Ma che cavolo vuole? Menomale che sono stata educata, sennò che avrebbe fatto, mi avrebbe menato?"

I due si guardarono stupiti e scoppiarono a ridere:"Sembri proprio Willy il Coyote incazzato nero perché Beep Beep è sfuggito a un ennesimo agguato!" Vincenzo fece questa sintesi perfetta tra le lacrime, mantenendosi la pancia, imitato da Marisa che rideva ancora più fragorosamente, facendomi sentire esattamente come una bambina capricciosa; mi sgonfiai all'istante come un palloncino, pensando di essere pure un po' scema a dare importanza al saluto di un tipo così maleducato. Fu poi il mio turno di stranirmi: non avevo mai visto Vincenzo così disinvolto, anzi in realtà era sempre stato talmente tanto "sullo sfondo" che solo in quel momento mi resi conto di non averlo mai visto realmente. Lui intercettò il mio sguardo e scuotendo la testa disse:"So di sembrare strambo agli occhi degli altri, ma non ci bado, non mi faccio colpire dalle frecciatine però le colgo e le ricordo tutte... Strano sì, cieco o sordo no!"

"Io penso che ognuno di noi può essere solo quel che è, anche sul posto di lavoro, non credi?" gli chiesi.

" In linea generale dico di sì, però ho imparato presto che è necessario anche imparare a smussare gli angoli, le aziende sono come quelle famiglie in cui i rapporti tra i componenti sono in equilibrio precario, funambolico direi, per cui talvolta è meglio tacere se non si è capaci di fingere. Ovviamente molto dipende anche dall'interlocutore, se vuole lo scontro troverà qualsiasi pretesto per partire all'attacco."

"Vinci, tu sì che sei saggio!" gli disse Marisa dandogli una sonora pacca sulla spalla.

Vincenzo fece spallucce e tornò a concentrarsi sui fogli che aveva davanti, borbottando che "Vinci" non si potesse proprio sentire.

Quel pomeriggio fui convocata nell'Ufficio del Personale dalla Dottoressa Russo che voleva parlarmi urgentemente: non capivo come mai, quindi andai da lei con una punta di apprensione. Bussai  alla sua porta e quando lei rispose infilai dentro la testa:"Buonasera Dottoressa voleva vedermi?"

"Sì Stefania, entra."

Mi sedetti e lei partì subito in quarta:" Ti ho convocata per ricordarti che in entrata e in uscita devi passare il badge elettronico nel marcatempo, altrimenti ho difficoltà a calcolare le ore di presenza. So che sei alla prima esperienza, che non hai mai dovuto badare ad una cosa del genere, ma ciò non toglie che devi prestare maggiore attenzione, altrimenti da domani ti addebiterò i minuti di ritardo, capito?"

"Si Dottoressa, ho capito."

"Non vorrei che prendessi una brutta deriva o che pensassi che non me ne sarei accorta. Ciò detto, puoi andare."

Uscii senza battere ciglio, ero pur sempre nel torto, ma i modi di quella donna mi davano fastidio, un po' di garbo non l'avrebbe uccisa!

Lavorare alla Liparde si stava rivelando davvero "interessante".

Sulla soglia della porta incrociai Matteo che mi fece un sorriso tirato ed entrò nell'Ufficio: lo ammetto, feci una cosa da denuncia, rimasi dietro la porta per origliare la conversazione, sperando che parlassero di quanto accaduto con Roberto.

"Matteo ma sei impazzito a litigare con Roberto?"

"Maria, stai tranquilla non è stato un litigio quanto un acceso scambio di opinioni, non è successo niente."

"Non è successo niente perché la dottoressa nuova, cosa... Stefania vi ha diviso, anche se non ho capito come. Ti pare normale arrivare quasi alle mani sul posto di lavoro? Rischiate il licenziamento in tronco, l'ho detto a lui e lo ripeto a te: vedetevi fuori dall'azienda, picchiatevi, chiarite, fate come vi pare, ma non fate arrivare queste notizie ai dirigenti e non mettetemi in condizione di far partire delle lettere, ok?"

"Ok Maria, gli starò alla larga."

"Sì certo, come no, ci credo. Vorrei tanto sapere se ne vale la pena, non vi capisco proprio, tanto alla fine non ha voluto nessuno dei due..."

"Per cortesia, basta così, non voglio parlarne per cui se vuoi sapere altro chiedi al pecoraio. Posso andare?"

"Vai e stai calmo."

Corsi via in un lampo, se mi avessero scoperto, sarebbe stata una catastrofe, in  compenso, la mia curiosità cresceva ogni istante di più: per chi avevano litigato i due bisonti? Cosa era successo?

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