Capitolo 18


La sera dopo Max ci accompagnò all'aeroporto dove, verso le 20, salimmo sull'aereo per tornare a casa: io e lui ci salutammo con un lungo abbraccio condito da poche parole.

- Ti avverto non appena atterro, ok? -

- Viene a prenderti papà all'arrivo? -

- Sì, non preoccuparti. -

- Ok allora, tienimi aggiornata sulle novità, anche se spero di tornare per qualche giorno a Natale. Marisa è stato un vero piacere conoscerti. - le disse spostando la sua attenzione su di lei.

- Anche per me e ti ringrazio per avermi ospitato, è stata una bella avventura. - gli rispose, tendendogli per mano.

Mio fratello dapprima gliela strinse poi la tirò a sé per un breve abbraccio e vidi che le sussurrava qualcosa all'orecchio, per cui lei gli sorrise e gli fece l'occhiolino.

Ci salutammo e io presi la mia collega sottobraccio dirigendoci al gate d'imbarco. Quando fummo in aereo, partii come uno schiacciasassi:

- Senti un po' Mari, che ti ha detto mio fratello quando vi siete salutati? -

- Ciao, a presto? -

-Sei di un umorismo irresistibile lo sai? Potresti darti al cabaret. -

- Beh sì, è un'alternativa. -

- Quindi? -

- Ok... Mi ha detto di tenere testa a Sergio e che, all'occorrenza, potrei liquidarlo con un bel calcio nel sedere, che se lo merita. -

- Max ha detto proprio così? -

- Ehm, no.. in realtà il suo eloquio è stato più colorito, se così vogliamo dire e non era il posteriore di Sergio che dovrei prendere a calci. -

- Mi pareva strano che mio fratello l'avesse toccata piano, in effetti. Niente altro da dichiarare? -

- No, signora agente della Dogana! -

- Braccia rubate al cabaret le tue, lo dico io! -

- Non ti far sentire dal dott. Liparde che mi licenzia! -

Scoppiammo a ridere e abbandonai l'argomento, per quanto fossi curiosa non erano fatti miei e sapevo che prima o poi Marisa avrebbe parlato se la situazione avesse avuto sviluppi.

Mio fratello invece no, sarebbe rimasto muto come un pesce.

All'arrivo riabbracciai mio padre, mandai un messaggio a Max e poi tornai a casa, con Marisa che dormì da me per comodità, anche se lei non voleva dare disturbo; sospetto, invece, che fosse imbarazzata davanti ai miei genitori che non fecero nulla di strano, ma ogni volta che parlavano di mio fratello come del "loro piccolo emigrato", beh lei arrossiva, mentre io fingevo di avere i conati di vomito. Mostrammo le foto ai miei, che avevano visto qualcosa sui social e vollero sapere i vari aneddoti collegati alle immagini: tra una risata e l'altra, ci dissero che anche loro da giovani avevano fatto le loro sciocchezze e che la resistenza all'alcool di Max era tutta un fattore genetico, mentre la mia inesistente tolleranza agli alcolici era inspiegabile. Trascorsi i miei due minuti di vergogna, io e Marisa andammo a letto, crollando tra le braccia di Morfeo.

La mattina seguente al lavoro incontrammo Vincenzo nel parcheggio.

- Good morning British girls and welcome back! -

- Ciao Vinci, tutto bene? Ci sei mancato, se fossi venuto ti saresti divertito di certo! - gli dissi.

- Anche voi mi siete mancate, però con le vostre foto mi sono fatto un sacco di risate, prossima volta che organizzate un viaggio insieme, vengo anche io che il divertimento è garantito. -

- Ci sono novità al lavoro? - chiese Marisa.

- Dall'università tutto tace, il che fa serpeggiare un certo nervosismo, a cui si aggiunge che senza di voi il lavoro era ovviamente aumentato. -

- Non ti far sentire da Matteo, che quello pensa di fare tutto lui qui dentro! - disse Mari.

- Ah Matteo ha avuto una bella doccia fredda in questi giorni! -

- Cioè? - chiedemmo all'unisono io e Mari.

- In questo periodo era programmata la manutenzione di alcuni apparecchi del laboratorio: ricordate la questione della bombola di azoto? Il tecnico ha scoperto che la bombola si era svuotata per una perdita del sistema, non perché l'avessi lasciata aperta io. -

- Ma che dici? -

- Sì si! Il tecnico convocò subito Sergio che in quel momento era con Matteo e gli disse che per il cedimento improvviso di una guarnizione che si era fatta inutilizzabile, l'apparecchio non faceva più tenuta per cui il gas usciva a poco a poco. Non è successo dopo il refill perché dopo le analisi, chiudendo la valvola che porta il gas al sistema, l'azoto non arrivava alla perdita. Sono stato convocato all'improvviso dalla Dott.ssa Russo che aveva avuto l'ordine dalla Direzione che mi venissero ridati i soldi che mi erano stati ingiustamente tolti, con le scuse dell'azienda. Lei mentre mi parlava era tutta stizzita, io per poco non gongolavo di gioia, tornai in laboratorio e ringraziai Sergio che, secondo l'Ufficio Contro il Personale, aveva avanzato per primo la proposta di restituzione dello stipendio. Incrociai Matteo qualche ora dopo, grigio in viso, ma non gli dissi nulla perché la sua faccia era sufficiente a darmi soddisfazione. -

- Oh, menomale che si è aggiustato tutto e che Bisonte 1 sia stato costretto a fare un bel bagno di umiltà. - dissi io.

- C'è un'altra cosa, Gianna non c'è, è a casa in malattia per qualche giorno, ma in realtà non sappiamo se tornerà: qualche giorno fa durante il solito briefing serale per organizzare il lavoro della mattina successiva, mentre eravamo al caffè sentimmo il rumore di un bicchiere ci girammo verso Gianna che era l'unica seduta e la vedemmo riversa sulla sedia. Era bianca come un cencio, le braccia abbandonate, la testa piegata di lato coi capelli che le coprivano il viso e le labbra di un rosa sbiadito, quasi impercettibile. Ci prese il panico, Matteo e Sergio si precipitarono verso Gianna, prendendola prima che cadesse e io chiamai subito l'ambulanza e il marito di Gianna. La sera tardi, Sergio mi comunicò che secondo il medico il bambino non cresceva a sufficienza e lei aveva avuto un forte sbalzo di pressione per cui era stata messa a riposo per una settimana, ma non era escluso che non sarebbe più tornata. Da allora gli animi sono abbastanza abbattuti. -

Restammo scioccate e sia io che Mari ci ripromettemmo di chiamare Gianna in giornata per sincerarci delle sue condizioni. Entrammo in azienda e sulla scrivania di gianna trovai un mucchio di lavoro da svolgere, ma era inevitabile che fosse così: Sergio passò a salutarmi, mi ragguagliò brevemente sulle ultime novità e poi se ne andò.

Mi misi di buona lena per cercare di smaltire quanti più arretrati possibile prima pranzo e proprio a quell'ora fui interrotta da un leggero bussare alla porta: era Roberto.

- Ciao, bentornata! -

- Ciao Bisonte! Dimmi che sei venuto a darmi una mano col lavoro, ti prego! -

- Assolutamente no, mi basta il mio! Piuttosto sai che ore sono? Andiamo a pranzo, che dici? -

- In mensa dici? - gli chiesi meravigliata.

- Per una volta vorrei mangiare comodo e poi tu e Marisa ci dovete raccontare qualche storia londinese. -

- Ok allora andiamo. -

In mensa tutti guardarono Roberto, meravigliati che fosse lì e che si trattenesse per mangiare insieme agli altri, l'espressione di Marisa e Vincenzo era di puro stupore, ma l'imbarazzo passò non appena Marisa iniziò a parlare del nostro viaggio, scatenando delle grasse risate: vedere Roberto ridere fu strano per tutti quelli che stavano mangiando, ma lui fece finta di non accorgersene o non gli diede peso.

Dopo il caffè, Roberto mi chiese di accompagnarlo alle stalle perché voleva parlarmi brevemente, per cui salutammo gli altri e uscimmo, non prima di vedere Marisa che faceva il cuoricino con le mani nella nostra direzione.

Che scema.

- Allora che devi dirmi? - gli chiesi, sempre con la delicatezza di un elefante in una cristalleria.

- Ecco, vorrei scusarmi dello scatto che ho avuto con te nel parcheggio un po' di tempo fa, sono stato sgarbato. -

- Più che altro ha avuto una reazione incomprensibile quando hai sentito la voce di mio fratello, perché ti sei agitato fino a quel punto? -

- Perché un giorno, non visto, avevo sentito Matteo e Gianna che parlavano del tuo imminente viaggio a Londra, che lui avrebbe dovuto fare anche il tuo lavoro mentre tu saresti stata a divertirti con un certo Max. Io non gli credetti, perché mi sembrava che tu fossi interessata a me e lo dico senza falsa modestia, quindi dimenticai la questione, fino a quella sera in cui una voce maschile esplose dal tuo telefono... Ricordai la conversazione origliata e mi inalberai. Questo è quanto. -

- Ma sei fuori? Mi hai trattato uno schifo perché hai creduto a quel cretino? Nonostante quello che ti ha fatto? -

- Hai ragione avrei dovuto chiedere a te, ma mi sono fatto trascinare dalla gelosia... -

- No caro mio, tu sei stato stupido perché non hai chiesto, per quanto io non ti dovessi spiegazioni: devi avere un'opinione di me molto bassa se ti è bastata una frase buttata lì a caso e che, nonostante quello che dici, si è sedimentata nella tua testa. Non hai capito niente di me e neppure di quanto sia manipolatore Matteo, perché tu gli permetti di intossicarti l'esistenza! -

- Stefania mi dispiace te lo giuro, hai ragione su tutta la linea e ti chiedo scusa... -

- No senti, meglio che me ne vada, perché mi sto arrabbiando e non voglio fare scenate, per ora le tue scuse ficcatele dove più ti aggrada e lasciami in pace. -

Me ne andai infuriata, lasciando Roberto nel piazzale, delusa da lui e amareggiata dal fatto che Matteo fosse inconsapevolmente riuscito a infilarsi tra di noi. Vidi da lontano proprio lui mentre rientravo nel corpo principale dell'azienda, ma all'ultimo momento riuscii ad evitarlo, se lo avessi avuto davanti, lo avrei preso a schiaffi.

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