𝐗𝐋
⚠️⚫: Attenzione, sono presenti scene violente!
Il sangue è un tessuto fluido di importanza vitale che svolge molteplici funzioni nel nostro corpo, che non può essere sostituito da altro.
Simbolicamente parlando, invece, è la rappresentazione della morte, naturale o violenta, ma è visto anche come l'energia e la linfa vitale umana.
Si può ricondurre alla vita stessa, perché se si ha vita si ha anche morte.
Se si nasce, si deve morire.
E come il sangue scorre nelle vene, può scorrere lungo la nostra pelle, indebolendoci, venendo estirpato da noi stessi.
Perché il sangue è il nostro potere più grande, ciò che ci fa rimanere in piedi, ma ciò di cui, privati di esso, può farci piegare su noi stessi.
Ciò che ci tiene in vita è la chiave della nostra stessa morte.
E come il sangue cola, anche le lacrime colano, amare e acide fino a disintegrare la pelle.
Il dolore soffoca il respiro, come se potesse bloccarsi in gola, come se il cuore desiderasse di smettere di battere ma fosse costretto a farlo.
Dolce, dolcissima morte è la più temuta, ma certe volte è la più voluta.
Le gambe tremano, come foglie al vento, deturpate e luride, mentre le braccia sembrano non avere la minima forza anche solo di alzarsi di qualche centimetro.
Tutto il corpo di Esme è deturpato, come se volessero disintegrarlo.
Sporco di sangue, di polvere, di urine, di lacrime. Semplicemente sporco.
Come se non valesse nulla, come se anche l'aria fosse troppo per lei, e non si meriterebbe nemmeno quello.
«Per aver commesso crimini indicibili contro la comunità magica, lei, Esme Smith, è in dovere di ripagare le sofferenze arrecate»
Ancora una volta inizia una tortura terrificante nei confronti della donna, portandola ad urlare a squarciagola, non si è ancora abituata nonostante sia passato tempo dalla prima volta in cui ha subito quelle angherie.
Ma aprire e richiudere delle ferite fa fin troppo male.
La pelle inizia a strapparsi, lacerarsi, marcandola con aggressività e privandola della minima energia che può avere.
I capelli sono paglia, la fronte gronda di sudore e ormai le guance sono rigate dalle sue lacrime, dal suo pianto fragoroso e colmo di angoscia, rovinando le sue gote che un tempo erano rosse e vivaci.
La guardia la osserva con un sorrisetto, soddisfatto ogni volta che le viene fatto del male, ogni volta che può vederla soffrire per mano di lui stesso.
Si diverte a farle più del dovuto, nessuno controllerà mai il suo operato e, anche se fosse, sa per certo che verrebbe solo lodato.
Una delle cose più apprezzate da quell'uomo è la tortura psicologica, rendendosi conto di quanto sia ogni giorno più facile ingannare e traumatizzare la mente di quella povera donna.
Trattiene delle grosse e grasse risate quando la vede supplicare, lei l'intrepida Smith piegarsi ad ogni minima parola, la trova davvero patetica.
«Come si chiama il tuo bambino?» le domanda con un sorriso beffardo, interrompendo quel tagliarsi della pelle e avvicinandosi al suo corpo legato ad una sedia.
Lei scuote la testa, con l'affanno, mentre ancora piange per il dolore.
Le ferite iniziano a ricucirsi, lasciando delle piccole cicatrici che verranno poi riaperte ancora una volta, come sempre, come ogni giorno.
«Ho detto: come si chiama il tuo bambino?»
«No, non te lo dirò» deglutisce e il labbro inferiore trema mentre pronuncia queste parole, temendo qualsiasi possibile confessione riguardo il bambino e il marito.
L'uomo si avvicina a lei, Esme percepisce il suo fiato vicino l'orecchio e ciò la terrorizza.
Non può vedere, non può muoversi, può solo percepire odori e suoni, qualche contatto sulla pelle e la paura inghiottirla completamente.
«Sei una mammina protettiva, vero Smith?»
«Non parlare del mio bambino» balbetta leggermente, ma si tiene seria.
Quando si parla di Scorpius e Draco diventa impenetrabile.
«Fai molto ridere, Smith. Quando si tratta della tua famiglia sei un agnellino, poi sei pronta a distruggere quella degli altri»
Si riferisce ai suoi zii, delle persone che probabilmente non ha mai conosciuto, aride di sentimenti, ma che è solo un pretesto per farle ancora più male, per ferirla non solo fisicamente ma anche mentalmente.
Il suo è un gioco e sa benissimo che può vincerlo, ormai lei è allo stremo.
«Sarebbe divertente e giusto ripagare ciò che hai fatto, non trovi?»
«No, no, no....» ripete frenetica, scuotendo il capo e iniziando ancora una volta a piangere «Non il mio bambino, non il mio bambino»
«Prendere un coltello e... zac, infilzarlo come uno spiedino»
Dalla gola di Esme fuoriesce un urlo forte e disperato, prima di parlare: «Il mio bambino no, ti prego, ti supplico».
Sorride compiaciuto dal suo comportamento, godendo da capo a piedi nel vederla così sensibile.
Sente un senso di potere incredibile nel vedere quella strega così acclamata colma di paura.
Esme si morde il labbro inferiore, ormai strappandolo per quante volte è stato solcato dai denti, non volendo che quell'orribile persona possa solo pensare a Scorpius.
In realtà, a lui non interessa di quel bambino, non si scomoderebbe mai a compiere tale omicidio, semplicemente adora vederla impaurita.
«Dimmi un po', allora, come potrei ripagare ciò che hai fatto?»
«Non il mio bambino, non lui» ripete come una macchinetta, senza pensare ad altro.
Un ghigno pieno di malignità si disegna sul volto di quell'uomo insensibile, ora può divertirsi ancora di più, soddisfacendo la tua mente perversa e crudele.
Tira fuori dalla tasca una lama, portata appositamente per giocare un po', stringendola con forza nel palmo della mano.
«Allora se non devo toccare quel bambino, devo farlo con qualcun altro»
Non aspetta altro tempo che, inaspettatamente, colpisce con quell'arma il fianco di Esme.
Mai aveva fatto tale gesto, questa è l'ennesima novità di quel mostro.
Lei urla come mai aveva fatto prima, soprattutto per via dello stupore, sentendo la fredda lama addentrarsi nella sua pelle.
Viene tirata fuori, un colpo di bacchetta ed è ricucita.
Non può tentare di ucciderla, non ha quell'intento per salvarsi la propria pellaccia.
Desidera solo divertirsi.
Alza ancora una volta il pugno, con il manico stretto tra le dita, e l'affonda di nuovo nello stesso punto.
Il sangue gronda dal suo fianco, sporca la bianca tunica, e le provoca un dolore indicibile.
Fa roteare il pugnale dentro la sua carne, la sente sgolarsi, ridacchiando silenzioso per quella scena.
Quel liquido rosso cola, cola, cola e ancora cola.
Assieme alle lacrime, quelle gocce aspre che le ricalcano il viso.
Le corde vocali sembrano strapparsi per le sue urla, segno della sua immensa sofferenza, così indicibile che è impossibile da descrivere accuratamente.
Nessuna parola potrebbe essere tanto esplicativa, far comprendere quanto è dolorosa la pelle lacerata.
Ancora cola, lungo il suo fianco, sporcando la sua gamba, facendola tremare.
Senza energie, senza nemmeno voglia di vivere.
L'uomo si stacca, la guarda soffrire e la lascia così.
Nessun tentato omicidio, nessun effetto collaterale.
La testa di Esme si inclina verso il lato destro, mugola sofferente e singhiozza.
Non riesce a capacitarsi di tanta cattiveria, del perché quel mondo si sia accanito con lei a tal punto. Vorrebbe scappare via, tornare tra le braccia del marito, a sorridere al figlio, a lavorare con i suoi amici. Si domanda perché sta subendo tutto quello, cosa ha portato la vita ad odiarla così tanto. Saranno ventisei anni fin troppo lunghi e sa bene che forse non riuscirà nemmeno a trascorrerli tutti.
Ha compreso il loro piano alla perfezione: non può essere uccisa, quindi vogliono indurla alla morte. È passato davvero poco tempo, ma è già arresa.
Nel momento in cui ha preso ogni colpa e si è consegnata alle grinfie del Ministero è stata consapevole della sua fine, consapevole che non aveva scampo.
«Vuoi mangiare o devi continuare a piangere?»
Non ha la forza di farlo, sente ancora troppo dolore, per questo non risponde, continua a piangere.
L'uomo prende il piatto che le spetta, con del riso bollito ed insipido, e porta una cucchiaiata vicino le sue labbra: «Mangia, non avrai altro prima di sera».
La bocca trema mentre si apre, accoglie con fatica quel cibo e lo ingoia duramente.
Le viene data anche dell'acqua, ma tossisce, priva di forza.
Troppa è la stanchezza che la pervade e vorrebbe stendersi, dormire un po', non riesce davvero a sopportare le sue giornate.
Quando viene fatta alzare ode una risatina divertita da parte dell'uomo, non comprendendo il motivo e sentendosi solo umiliata per ciò.
Nessuno aveva mai riso di lei in quella maniera.
«Sei patetica, Smith»
Lui ha notato una macchia umida tra le sue gambe che sporca ancora di più quella tunica già lurida.
Per la paura, per tutto il dolore, ha orinato senza rendersene conto, come un bambino che fa la pipì a letto per colpa di un brutto sogno.
Il suo braccio viene strattonato, viene trascinata di nuovo nella sua cella e sbattuta lì dentro.
Si accascia sul freddo pavimento, sente freddo, così trema e ansima ripetutamente, sentendo le ossa sgretolarsi per il gelo. Forse è davvero patetica, ma stanno privando quella donna della sua anima e del suo essere.
Non c'è decenza in ciò che fanno, estirpando dalla sua persona ogni essenza umana.
Si rende conto che sta toccando il fondo, ma cerca di tenersi quantomeno lucida.
Deve farlo proprio per la sua famiglia, proprio perché stando in quel posto permetterà a Draco e Scorpius di essere sani e salvi.
«Unforgettable, that's what you are. Unforgettable, though near or far» inizia a cantare la canzone dedicata al suo bambino, quella dolce melodia di Nat King Cole.
Lo fa con voce sussurrata, tremante, aggrappandosi a quel ricordo e quelle parole per rimanere quanto più viva possibile.
«How the thought of you does things to me...» balbetta presa da mille singhiozzi, tirando su con il naso e sentendo ancora un profondo dolore lungo tutto il corpo, per ogni cicatrice che le hanno lasciato sulla pelle.
Pensa al suo amato piccolo, ai suoi capelli biondi, a quel profumo di talco che lo avvolge. Per non parlare di quegli occhioni chiari, uguali a quelli del marito, che la riempiono di amore.
Così, adesso, pensa anche a quell'uomo, a quel bellissimo e incredibile Malfoy che le ha rubato il cuore. Ai suoi baci, alle sue carezze, alla sua voce calda, ogni singolo particolare che riesce a farla resistere.
«Fly me to the moon, let me play among the stars» passa alla loro canzone, la canticchia con poco fiato in gola, cercando di rifugiarsi nei suoi bei ricordi.
Rifugiandosi nel ricordo di loro due quando erano dei ragazzini a fare l'amore assieme sotto le coperte.
Si chiede se mai lo rivedrà, se mai l'amerà una volta che uscirà da quel posto.
Si chiede se troverà un'altra persona, se l'abbandonerà.
Spera solo che lui stia bene, anche se dovesse rifarsi una vita, ne soffrirebbe sicuramente ma avrebbe senso.
Ventisei anni senza di lei sono tanti, sicuramente vorrà trovare qualcuno per Scorpius, magari una mamma amorevole.
Lo ama infinitamente, più di ogni altra cosa esistente, e spera solo che lui sia felice, con o senza di lei. Non esiste nessuno al mondo che potrebbe amare Draco come Esme, davvero nessuno. Alcuna donna sarebbe capace di fare così tanto per lui, per quel bellissimo uomo dai capelli biondi.
Forse non sentirà più la sua voce, i suoi baci, le sue carezze, ma non importa se sta bene.
Ha sempre promesso di proteggerlo, di fare qualsiasi cosa per lui, ed è ciò che farà oggi e per sempre. Se la sua vita è necessaria anche solo per strappargli un sorriso allora la darà ben volentieri.
Lei è una donna stanca: da bambina era sola ed intrappolata nel proprio destino profetico, per poi passare ad un'adolescenza piena di conflitti e responsabilità; la vita adulta si stava mostrando gentile ma, a quanto pare, il destino di Esme Smith è amaro, destinato ad essere distrutto.
Probabilmente è quello che le spetta, come se la sua missione di vita fosse proprio soffrire pur di beneficiare il prossimo, eppure vorrebbe così tanto almeno un'ultima carezza da parte del marito.
«In other words...I love you, Draco» mormora con un filo di voce, sentendo ancora il corpo coperto di sangue caldo.
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"Fill my heart with song
Let me sing forevermore
You are all I long for, all I worship and adore"
Draco ascolta la loro canzone che fuoriesce dal giradischi, ripensando alla moglie e sentendo il proprio cuore svuotarsi, sentirsi un vero e proprio buco nero.
Gli occhi sono gonfi di lacrime e tra le mani ha una bottiglia di vino, mentre questi sono rivolti verso la grande finestra del salotto, alza le pupille al cielo e cerca di riconoscere qualche costellazione.
Lo faceva sempre con Esme: Cassiopea, Pegaso, Auriga, Orione, forse le loro preferite.
Passa la lingua contro il labbro inferiore e prende dalla tasca il suo cannocchiale, ormai invecchiato, che la moglie gli regalò parecchi anni fa.
Ammira il cielo come un tempo, ma ciò non gli provoca più un sorriso.
Allora beve, ingurgita l'alcol e osserva ogni singolo puntino brillare.
«Oggi c'è la Luna Crescente... la tua preferita» parla da solo, forse un po' trascinato dal vino «Dicevi che era più bella di quella piena, ricordi?»
Non sta alcuna Esme lì, eppure trasportato dal liquido e anche dalla musica sente dal profondo del cuore di voler chiacchierare con lei nonostante non sia al suo fianco.
Gli manca parlare con qualcuno, lui lo faceva solo con lei e adesso deve tenersi tutto dentro come un tempo.
E si sa, Draco Malfoy si trova in parecchia crisi nel gestire le proprie emozioni.
Quel pezzo di ghiaccio non riesce ad elaborare così tanto dolore e così tanta preoccupazione, fondendosi in una paura immensa: la paura di perderla, la paura di dover sul serio trascorrere quei ventisei lunghissimi anni senza di lei.
Si vorrebbe svegliare da questo incubo ma, ahimè, questa è la realtà di Draco Malfoy.
Lui è un uomo stanco: un'infanzia costellata dall'ipocrisia, per poi passare ad un'adolescenza che si stava rovinando con le sue stesse mani, per colpa della sua codardia e degli insegnamenti sbagliati che ha ricevuto dalla famiglia.
Sperava in un destino migliore, che grazie alla sua incredibile compagna si sarebbe potuto svolgere meglio. Ma è solo, ancora una volta, e inizia a pensare che sia destinato proprio a questo: alla solitudine.
Eppure, vorrebbe dare almeno un ultimo bacio alla sua amata.
«Sembrano i tuoi occhi... o forse sto impazzendo» accenna un'amara risata e si appoggia contro il muro, continuando a guardare il cielo, sembrando piuttosto tormentato «Quando stringi gli occhi sembrano due lune crescenti... due piccole lunette»
Sfrega una mano contro il proprio volto e sbuffa, stanco anche solo di pensare.
Gli fa male, gli fa incredibilmente male al cuore.
Oggi ha chiesto ai nonni di tenere Scorpius volendo rimanere qualche minuto da solo.
Ogni tanto necessita dei momenti in cui può lasciarsi alle sue debolezze.
Si sente incredibilmente solo, vorrebbe riaverla lì vicino, vorrebbe sentire le sue mani gracili accarezzarlo.
La schiena si trascina contro il muro e finisce seduto a terra, con una gamba piegata, il braccio teso su esso e la mano che tiene stretta la bottiglia in vetro.
Quegli occhi arrossati fanno colare lacrime che richiedevano da un po' di fuoriuscire.
«Io non posso farcela senza di te» mugola preso dai singhiozzi «Non posso crescere il bambino da solo, non posso passare i miei giorni senza di te. Io non sono forte come te Esme, io sono un codardo... io non posso, non posso, davvero, non posso»
Sembra una macchinetta rotta, continua a bere imperterrito e necessita solo di lamentarsi, di buttare fuori tutto ciò che quotidianamente reprime.
«Lo guardo e gli mento, Esme. Guardo nostro figlio e gli dico che va tutto bene, ti rendi conto? Gli parlo di te, gli racconto ogni cosa» prende un grosso respiro e ingurgita un grosso sorso di vino «Non posso andare avanti in questa maniera, perché io non sono forte, io non riuscirò a resistere. Non sono nessuno senza di te, non valgo nulla senza di te»
Un lamento esce dalla sua bocca, prende un profondo respiro ma sembra che l'aria non voglia entrare nei suoi polmoni.
«Io non voglio passare la mia vita senza di te, Esme... avrò più di cinquant'anni e tu non sarai con me» si riversa a terra, si mantiene sdraiato con una gamba inclinata e il vino che continua a riversarsi in bocca.
Tossisce, fa colare il liquido agli angoli delle labbra fino ad arrivare al collo.
Emette un urlo disperato, pieno di angoscia, facendo quasi tremare per il dolore la casa.
Probabilmente anche quelle mura stanno percependo il suo stato d'animo, si sentono altrettanto sole senza quella donna a passeggiare per le varie stanze.
«In other words, I love you, Esme...» mugola l'ultima parte della canzone con il poco fiato rimasto, ormai arrivata alla conclusione.
Il braccio cade spontaneo e la bottiglia si frantuma in mille pezzi.
E come quel vetro anche il suo cuore è completamente rotto.
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Io lo so che mi odiate tantissimo quando faccio succedere cose brutte, ma mettete tutto quello che sta succedendo nelle vostre tasche perché potrà essere molto utile in seguito.
Ogni cosa è collegata...
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo e vi invito come sempre a lasciarmi una stellina se è stato di vostro gradimento e/o farmi sapere che ne pensate con dei commenti!
Ci vediamo sabato, LadyD 💚
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