§ 8- Adelaide café §
Il locale in cui mi ha portata è davvero interessante. Siamo a livello strada di una palazzina a tre piani con la facciata ricoperta da mattoni rossi. Sul lato d'ingresso c'è un colonnato con pergola che crea un'area attrezzata per i clienti, ma visto il clima entriamo all'interno, il quale mostra volte a raggiera sempre in mattoni rossi e un grande camino all'angolo.
"Il camino è acceso!" esclamo senza riuscire a trattenere l'euforia. È vero che nascondo le emozioni, ma solo quelle serie, ovvero quelle che possono in qualche modo svelare una parte del mio essere. Per le altre sono un libro aperto.
"Già!" replica guardandomi da sopra una spalla con un enorme sorriso. "Vuoi un tavolo lì vicino?"
"Il più vicino" confermo, rispondendo al sorriso.
Man mano che ci avviciniamo, mi rendo conto che i tavolini sono in legno scuro, lo stesso che compone la struttura delle sedie imbottite.
"Ti piace?" mi domanda dopo esserci seduti uno di fronte all'altra.
"Sì. È un posto molto accogliente."
"Grazie! Era quella l'intenzione" replica una donna in italiano, anche se ha un forte accento inglese.
Mi volto e scorgo una signora dall'aspetto elegante che indossa una divisa da cameriera.
"Benvenuti all'Adelaide café!" si prodiga appoggiando i menù sul tavolino. "Ben tornato, Alberto!" aggiunge, guardando il mio accompagnatore e dedicandogli un'occhiata materna.
"Grazie, Annika!" risponde sorridendole con gentilezza.
È sempre così cortese e solare che sembra un alieno!
"Vi lascio un po' di tempo per decidere, torno tra poco" prosegue la donna in inglese, lasciandoci soli.
"Cosa mi consiglia?" domando, senza neanche aprire il menù.
"Dipende da cosa preferisci."
"Mangio di tutto!" ammetto con una punta di imbarazzo, pensando ai miei chiletti in più, ma svanisce non appena mi risponde.
"È giusto che sia così se vuoi diventare uno chef."
"E lo voglio" confermo, sentendo i miei occhi brillare d'emozione. Pensare al mio obiettivo, ovvero diventare uno chef del calibro di Vincenzo, mi dà sempre una scarica di energia.
"Bene, allora, prima di scegliere per te, ho bisogno che rispondi a una domanda."
"Sono pronta!"
"Che cos'è per te il cibo?"
"Per me è un modo di comunicare" ammetto.
Lo vedo abbozzare un mezzo sorriso mentre si appoggia allo schienale della sedia e incrocia le braccia al petto. "Spiegati meglio."
Mi mordo il labbro interno per prendere tempo e riflettere. Non pensavo dovessi aggiungere altro a quelle parole e questo un po' mi destabilizza, perché odio parlare di me. Soprattutto con un estraneo. È anche vero però, che lui sarà il mio mentore per il prossimo mese, quindi, se davvero voglio imparare devo darci una possibilità.
"Vede", inizio sostenendo il suo sguardo, "io non amo particolarmente esternare i miei pensieri o le mie emozioni, quindi, utilizzo il cibo. Per esempio, se volessi dire a mia madre che l'ho pensata e che le voglio bene, le preparerei una torta al cioccolato anche senza motivo."
Sorrido e lui annuisce.
"Per lei, che cosa è?" domando diretta. Sono una fan del Do ut Des, lo ammetto.
"Per me il cibo è un modo per ricordare. Uno scrigno che racchiude momenti, emozioni e odori."
"Si spieghi meglio" lo imito incrociando le braccia al petto dopo essermi appoggiata allo schienale, mentre un accenno di sorriso mi spunta sulle labbra.
Ride divertito e risponde. "Vedi", inizia sostenendo il mio sguardo, ma in realtà non abbiamo mai smesso di studiarci, "io non ho problemi a esternare i miei pensieri o le mie emozioni e adoro serbarne i ricordi. C'è chi usa le foto, chi il cibo."
Scioglie le braccia per passare una mano nel ciuffo nero prima di proseguire, "Per esempio, se io volessi ricordare il primo giorno di lavoro in una cucina, cucinerei un piatto di tortellini in brodo e, ogni volta che li preparo, rammento sempre da dove sono partito."
"Bello!" esclamo sincera, mentre la cameriera spunta al nostro fianco.
Lo chef l'anticipa scusandoci, "Annika, concedici ancora qualche minuto, per cortesia."
La donna annuisce e se ne va con un sorriso.
Torna a guardarmi e adesso percepisco il peso del suo sguardo. I suoi occhi brillano con una luce talmente calda da essere accogliente. Mi sento troppo a mio agio e questo mi disorienta. Mi sconcerta stare bene con un estraneo come lo sono in questo momento con lui. Una tale familiarità la provo solo con Daniele e lei è la mia migliore amica.
"Credo di sapere cosa consigliarti" esordisce allegro.
"Sentiamo?"
Mi ignora e chiama la cameriera per ordinare.
"Annika, portaci due Buttermilk pancakes all'Adelaide e due cioccolate calde."
"Tutto qua?" domando, non del tutto soddisfatta. Insomma, ho già mangiato dei pancakes in vita mia, io volevo qualcosa di nuovo.
"Non li hai ancora assaggiati e già ti lamenti?"
"No", mormoro, "solo immaginavo qualcosa di particolare."
"Chi ti dice che non lo siano?" ribatte, mantenendo il suo punto di vista.
"Sono pancakes" sottolineo l'ovvio, con una comunicativa alzata di spalle.
"E tu avresti mangiato dei Buttermilk pancakes all'Adelaide, dove? Esattamente."
Sto per ribattere quando capisco cosa vuole dire. "Ok. Diamogli una possibilità."
"Grazie", ironizza, "a nome di tutti i cuochi australiani."
Durante l'attesa mi racconta un po' della vita in Australia. I pro e i contro di ogni sfaccettatura e, sull'ultima sua frase, esclamo all'improvviso: "Oh, cavolo!".
"Che succede?"
"Non ho la patente" spiego con preoccupazione.
"Scusa, e come pensavi di accompagnarli da sola?" ribatte, ridendo.
"No, ho la patente in Italia, ma non pensavo dovessi chiederne una qui."
"Ah", ride ancora, "tranquilla, dopo colazione andiamo in ufficio per prendere il foglio di circolazione."
"Non devo dare un esame, vero?" domando nervosa.
"No, basta la tua patente italiana. Ce l'hai dietro?"
"Sì."
"Ok, allora dopo ti accompagno" mi tranquillizza, mentre rivolge un sorriso alle mie spalle.
La tua disponibilità è meravigliosa quasi quanto il tuo profumo. Ok, fingiamo che non lo abbia pensato. Deglutisco, abbassando per un istante lo sguardo e ricompormi.
Arriva il cibo, sul quale mi avvento con una fame sconvolgente e, mio malgrado, devo ammettere che aveva ragione. La consistenza di questi pancakes non ha niente a che vedere con quelli che ho mangiato in Italia. Sono soffici e leggeri, nonostante il ripieno di cioccolato fondente con colature di quello bianco e fragole tagliate a fette. In bocca è una vera esplosione di gusto e sono assolutamente felice della sua scelta.
La cioccolata calda, inoltre, è assolutamente insolita. È meno densa, infatti, scivola nella mia gola come se fosse latte e caffè, ma con la diversità che ha un retrogusto fruttato. È chiaro che sia una ricetta particolare, che ovviamente ho tutta l'intenzione di scoprire.
"Direi che la colazione ti sia piaciuta è riduttivo!" esclama, incrociando le braccia al petto e lanciandomi uno sguardo soddisfatto.
"Sì, lo ammetto", confesso, "inoltre la cioccolata calda è deliziosa e particolare."
"Lo so" sogghigna contento. Sta aspettando la mia domanda, ma non gli darò la soddisfazione di cedere tanto facilmente.
"Troverò la ricetta su internet" gli dico diretta, facendogli capire che ho notato la sua espressione compiaciuta.
"Non la troverai" ribatte scuotendo il capo.
"Allora la troverò da sola."
"Senza aiuti?"
"Sì."
"Non ce la farai mai" mi sfida, sporgendosi in avanti. "Neanche io sono riuscito ancora a replicarla."
"Scommettiamo che io ci riesco prima di lei?" ribatto, convinta del mio potenziale.
Ride affondando i denti nel labbro inferiore senza rispondere.
"Paura, chef?" incalzo con ironia, cercando di non fermare il mio sguardo su quel malefico labbro stretto tra denti bianchi.
"No, nessuna paura", risponde con un sospiro, "qual è la posta in gioco?"
Inizio a pensare a una giusta ricompensa, ma il mio cervellino mi propone solo cose indecenti. E che cavolo!
"Ci devo pensare" ammetto, mordendomi l'interno della guancia.
"Beh, non posso accettare una sfida se non so cosa vinco."
"Sarebbe più giusto dire cosa vincerei" ribatto guardandolo negli occhi, sostiene lo sguardo e mantiene una postura rilassata.
"Sei davvero un bel tipo!" esclama con onestà, il che me lo fa apprezzare tantissimo, ma in fin dei conti lo aveva detto che lui dice sempre quello che pensa.
"Grazie!"
"Prego!"
Mi studia ancora qualche istante, in silenzio. "Davvero non c'è niente che vorresti?"
Una cosina ci sarebbe! Penso, completamente fuori controllo. Non so davvero cosa mi stia prendendo, ma alla fine opto per qualcosa di più maturo e pertinente.
"Mi insegna una sua ricetta."
"Una ricompensa esagerata, ma va bene" acconsente.
"E se vincesse lei?"
"Un buono" risponde, serio.
"Un buono per cosa?"
"Per una sera sarai al mio servizio."
"Una ricompensa esagerata", replico con preoccupazione, "sarò già ai suoi ordini per un mese intero, non credo sia una richiesta equa."
"Paura?" gongola, divertito e dannatamente compiaciuto.
"Non ho paura."
"Bene, allora!" allunga la mano sul tavolo.
"Ok" gliela stringo con forza.
Non hai la minima idea di chi io sia! Penso sicura di me e, un attimo dopo, la mia mente mi ricorda che neanche io so chi sia lui.
Bene. Immagino di essermi appena cacciata nei guai!
*Mio spazietto*
Ciao a tutti!
Allora, questa storia è già pronta nella mia testa, ma per pubblicarla con costanza ho bisogno di sapere che ci siete. Vi fa piacere se la continuo?
Attendo qualche cenno:-)
Buona serata!
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