§ 3- Il viaggio - Seconda parte §







Le mie dita giocano sul display del cellulare ormai spento. Ho passato la prima mezz'ora di questo terzo volo giocando a tris, perdendo miseramente contro il programma e adesso che le luci si sono abbassate per conciliare il sonno, non faccio altro che tenere gli occhi fissi sullo smartphone e la mente ancora in azione.

Da quando sono rimasta sola a Hong Kong, continuo a pensare a quello che mi sono lasciata alle spalle. Niente lacrime o drammi, solo introspezioni dure miste a considerazioni saccenti che mi hanno tenuto compagnia fino a questo momento. Un sospiro leggero esce dalla mia bocca, mentre osservo la coppia seduta al mio fianco. Stanno dormendo beati e, se non fosse per l'agitazione che sento dentro, forse lo starei facendo anche io.

Mi aspettano altre dieci ore di volo.

Oh mio Dio!

Le ore si seguono lente all'inizio, poi decido di guardare l'intera trilogia del Signore degli Anelli e allora corrono veloci, tanto da non rendermi conto di non aver chiuso occhio.

La signora al mio fianco si sveglia stendendo le gambe e le braccia davanti a sé per riscuotersi. Lancia uno sguardo al monitor acceso sulla testiera davanti a me e poi mi guarda.

"Good morning!" mormora con un accenno di sorriso.

Ok, questa la so!

Rispondo e torno a guardare il film. L'idea che voglia aggiungere altro mi getta leggermente nel panico e mi rendo conto, solo ora, che sono dall'altra parte del mondo e non posso più parlare italiano.

I titoli di coda le danno modo di continuare a parlarmi.

Perché il marito non si sveglia?

Capisco qualche parola, forse due e decido di mettermi alla prova, così le chiedo se può ripetere più lentamente.

Mi sorride e lo fa.

Stato facile!

Comprendo e mi alzo per farla passare. Il riassunto è che doveva andare in bagno.

Quando torna ha il viso truccato e i capelli spazzolati. È una donna elegante con occhi chiari e un caschetto biondo a darle un aspetto giovanile. Il fisico è asciutto e se non fosse per le rughe che le contornano gli occhi, potrebbe sembrare una ragazzina.

Subito dopo essersi seduta mi chiede da dove vengo. La risposta è facile. Continua a parlarmi, in modo lento e con frasi semplici, io rispondo in modo sintetico all'inizio e, senza rendermene conto, sto avendo la mia prima vera conversazione in inglese.

Scopro che si chiama Ann, ha sessantadue anni ed è sposata da quaranta con Pet, l'uomo che ancora dorme al suo fianco. Inoltre, mi rivela di festeggiare l'anniversario proprio al ristorante di Vincenzo, dove le ho detto che andrò a lavorare. Dice che mangiare lì, ne vale la spesa. Chiacchieriamo per una mezz'oretta, prima che lei svegli il marito e io mi renda conto che siamo quasi arrivati.

Allaccio la cintura e inizio a strofinarmi gli occhi, dopo trentacinque ore di viaggio non oso immaginare il mio aspetto e non ho intenzione di vedermi.

Ho paura!

L'atterraggio mi elettrizza, tanto che sento la stanchezza scivolare via a ogni sussulto di frenata.

Ricomincio a sorridere come una pazza senza un motivo apparente, ma la verità è che un motivo ce l'ho per essere allegra e forse più di uno. Sono ad Adelaide in Australia, tra poco vedrò il mio cuginone preferito e inizierò la mia avventura.

Ann, dopo essersi alzata, mi lancia uno sguardo perplesso che ha il potere di farmi sentire fortemente inadeguata.

"Hai una giacca?" mi chiede con la velocità di un bradipo.

"In valigia" rispondo concisa e lei mi consiglia di indossarla prima di scendere.

Le dirò grazie all'infinito per questa gentilezza, perché quando la mia persona esce sulla scaletta in metallo, manca poco che una raffica di vento gelido non mi scortichi viva.

Ok, sono davvero dall'altra parte del mondo! Penso con un accenno di ironia, mentre sento il freddo colpire la pelle del mio viso e darmi una scossa.

Armata di una forza nuova, forse dovuta all'eccitazione, scendo gli scalini a una velocità inaudita nonostante il bagaglio e mi fiondo all'interno dell'edificio.

I miei occhi corrono ovunque, posandosi su ogni volto in attesa di scorgere un viso familiare e, quando accade, non posso fare altro che corrergli incontro e farmi avvolgere dal suo affetto.

Mi stringe in un super abbraccio sollevandomi da terra come se non avessi peso, mentre si lancia in una serie di baci con lo schiocco sulla stessa guancia.

"Benvenuta, piccerè!" ammette una volta che mi ha rimessa a terra e dopo avermi scrutato con una lunga occhiata indagatrice, "Ma hai viaggiato in aereo o eri attaccata al carrello? Hai una faccia!" mi beffeggia divertito, prima di far passare un braccio sulle spalle per accompagnarmi verso l'uscita.

"Spiritoso!" replico facendogli la linguaccia, "È tua moglie quella speciale, io, meglio di così, davvero non potevo scendere" ammetto fingendo una mortale afflizione e scatenando un'altra sua potente risata, capace di scaldarmi come sempre il cuore.

Non appena entriamo nell'ampio parcheggio mi indica un SUV argento con il mento, posa il trolley nel bagagliaio e domanda perplesso: "Sei sicura di avere solo questo?"

Aspetto che si sieda lato guidatore e rispondo con un sorriso tranquillo: "Sì, tanto per due mesi non è che mi serve tanta roba."

"Sarà!" esclama sempre con un sorriso, "So che le donne viaggiano sempre con l'armadio dietro."

"Le donne forse", minimizzo con un'alzata di spalle, "ma io sono ancora una ragazzina e amo viaggiare leggera."

"È una dote di famiglia", conferma mettendo in moto, "come è andato il viaggio?"

"Bene" ammetto, rendendomi conto di quanto sia stranamente vero e aggiungo: "lungo, ma piacevole."

Senza neanche accorgermene cala un innaturale silenzio tra noi  e ancor meno mi rendo conto di esserne la causa.

I miei occhi si ritrovano naturalmente puntati sull'asfalto semi deserto, fissandosi sulla rosea linea dell'orizzonte che si staglia lontano. Il cielo sopra di noi pare avere un colore unico, talmente caratteristico da sembrarmi originale. Le nuvole bianche incise dal fuoco dell'alba sono immobili, mentre l'intera città si sta lentamente svegliando.

"Ti piace quello che vedi?" la sua voce calda si insinua nella mia euforia infantile  facendomi ripiombare nella vettura.

"Sì", ammetto con la gola secca, "ti sembrerà stupido, ma il cielo mi sembra diverso."

"È la stessa sensazione che ho provato io la prima volta" asserisce con lo sguardo un po' perso, come se il ricordo della sua prima traversata ancora lo segnasse.

"Allora non sono sciocca?" chiedo ironica per scacciare quell'espressione cupa.

"No", mi lancia uno sguardo e sorride, "un'altra caratteristica di famiglia."

Rimaniamo nuovamente in silenzio e io mi perdo a osservare l'ambiente che rapidamente scorre lungo i finestrini e cambia con l'avanzare dei chilometri. I palazzoni che costeggiano la strada che stiamo percorrendo mutano riducendo i volumi e l'opacità della loro fitta sequenza, lasciando spazio a palazzine di dimensioni modeste, villette e ampi spazi verdi.

Avevo visto che la città in cui vivevano dista circa ottanta chilometri dall'aeroporto, e non so dire se per l'euforia o per la stanchezza, mi sembra non passino mai.

"Manca molto?" chiedo per la terza volta guardando l'orologio sul cruscotto della vettura che segna le 7,10, sicura che il mio da polso sia nuovamente sbagliato.

"Dopo quaranta ore di viaggio, ti lamenti per un'oretta di macchina!" mi fa notare inarcando un sopracciglio divertito.

"Sì", protesto strofinandomi gli occhi, "lo so che è irrazionale, ma non vedo l'ora di arrivare a casa vostra e poter dire finalmente di essere arrivata."

Gli scappa una risata bonaria, di quelle tenere, che si insinuano e ti avvolgono il cuore facendoti sentire ben voluta.

"Comunque, manca poco", aggiunge indicando con il braccio un punto in lontananza, "laggiù, alla tua destra."

Seguo le sue indicazioni e per poco non mi viene un collasso.

"Stai scherzando!" starnazzo con voce roca. Senza voce. Bel modo di cominciare la mia nuova vita!

"No, signora!" ride, galvanizzato dalla mia reazione.

Questa è la casa che hanno comprato da due mesi e, c'è da dire, che sono la prima parente che arriva fin qui. Di solito è lui e la sua famiglia a venire in Italia.

"È spettacolare!" continuo con gli elogi spiaccicando il naso sul vetro, mentre i miei occhi catturano con reale entusiasmo ogni dettaglio dell'enorme villa posta su due piani in stile vittoriano che lentamente si avvicina. Ok, ci avviciniamo noi, ma sono dettagli.

La pietra antracite con cui è rivestita la facciata sembra rifulgere con i raggi solari e dare, alla torre sagomata dalle finestre bianche e dal tetto eccessivamente spiovente, un'aria austera e accattivante.

Viola, ripigliati è una casa mica un bel ragazzo! Mi ammonisco scendendo dall'auto e sentendo all'istante l'indolenzimento dei muscoli.

Il portone in legno scuro, dall'estetica a scacchiera, si apre proprio nello stesso istante in cui ci avviciniamo, facendo comparire la perfetta Yvonne, in una tuta color prugna, e la piccola peste allacciata nell'incavo del suo fianco.

"Ciao bella! Entra" esordisce abbracciandomi con il braccio libero prima si spostarsi per farmi entrare.

Un profumo di dolce mi inonda le narici facendo gorgogliare all'istante il mio povero stomaco.

A nessuno dei tre passa in udito.

"Appena sfornata" mi informa con un sorriso gentile e mi indica uno spazio oltre un arco rivestito in legno. Mi precede, fa due passi e si blocca. "Che maniere da drago!" prosegue come se parlasse da sola, poi si volta a guardarmi, accenna un sorriso che ha l'idea di essere una richiesta di scuse e chiede: "Preferisci farti una doccia, prima?"

Doccia?Ma io ho fame!

A dissipare il mio dilemma però, arriva l'immagine riflessa nello specchio appeso all'ingresso.

Proprio lì dovevi stare! Borbotto tra me contro l'oggetto malefico, mentre mi osservo con un po' di soggezione.

Ho il viso gonfio, tanto gonfio. Gli occhi nocciola sono mostruosamente arrossati, circondati da delle coloratissime occhiaie e il tutto, è messo magicamente in risalto dalla mia chioma leonina.

Faccio paura!

"Se ho tempo, magari farei prima una doccia" mi arrendo all'evidenza.

"Hai tutto il tempo che ti serve", mi risponde Yvonne con la sua tipica gentilezza, "vieni, ti mostro la tua camera."

Molla il piccolo a Vincenzo e mi precede su per le scale, entrando nella prima camera sulla destra.

"Oltre alla nostra, questa è l'altra camera con il bagno privato", esordisce indicandomi una porta color nuvole d'autunno, "abbiamo pensato che così potessi sentirti un po' a tuo agio."

"Siete davvero troppo carini!" ammetto pensandolo sul serio.

Lei mi sorride pizzicandomi la guancia con un gesto affettuoso, "Siamo una famiglia!"

Ritorna alla porta confermando che avrei trovato in bagno tutto l'occorrente e di sbrigarmi perché ha fame.

"A chi lo dici!" confermo fiondandomi in bagno e, senza neanche guardarmi intorno, mi catapulto in quella che è una docce più lunghe e rigeneranti della mia vita.

Mentre l'acqua calda mi scivola sul corpo, lavorando alacremente con lo scopo di sciogliere la tensione dei muscoli, posso permettermi di pensare con sollievo, di essere finalmente arrivata a destinazione.

*Mio spazietto*
Dopo questo viaggio interminabile, finalmente la nostra Viola è arrivata a destinazione. Ora non ci resta che attendere e scoprire cosa accadrà.
A presto!

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