Capitolo 12
Ho sempre trovato strano il pensiero di come tutti noi siamo destinati, un giorno, ad esalare il nostro ultimo respiro e morire. In un modo o nell'altro arriva il momento in cui il nostro cuore si ferma per sempre, il sangue smette di scorrere sotto la nostra pelle e i muscoli degli arti si irrigidiscono.
Ogni singolo essere umano nasce con il solo scopo di morire.
E' un fatto che mi fa pensare, forse anche un po' troppo. Se devo essere sincera, l'idea della morte mi è sempre stata appresso, come uno di quei tormentoni estivi che non riescono a uscirti dalla mente e partono a tutta birra nel tuo cervello nei momenti meno opportuni. Ecco, praticamente la stessa cosa.
La morte è un punto fermo. Non si va più a capo, dopo di essa. Tutto per te finisce, mentre la Terra continua comunque a girare intorno al Sole, le stelle continuano a brillare nel cielo, la Via Lattea continua a condurre la propria esistenza nello spazio..
Tu no. Quando muori diventi solo la frase posta nella fine di un romanzo. La tua corsa è finita, per sempre.
Credo in Dio, ma non in una vita dopo la morte. E' quasi un paradosso, lo so. Certe volte mi metto a fissare il soffitto, la notte, e parlo nella mia testa fino a che ne sono in grado, fino a che in qualche modo le pillole fanno effetto.
Il pensiero che c'è qualcuno mi sta ascoltando, lassù, mi rassicura. Mi fa sentire meno sola. Qualcuno forse mi sta a sentire, qualcuno forse mi aiuta a superare le difficoltà. Forse non sto attraversando tutto ciò in completa solitudine.
Credo che sia proprio per questo che sin dalla notte dei tempi gli esseri umani hanno sempre creduto in qualcosa, in un'autorità al di sopra di tutto che ci osserva e che tiene a noi. Gli esseri umani hanno sempre creduto in questo qualcosa per non sentirsi soli. E' più facile, così.
Nascere per morire. Mettere un punto fermo. Credere in un Dio. Sembra assurdo. Perché nascere se poi moriremo tutti? Molte religioni proclamano che l'esperienza terrena è solo una preparazione a quello che verrà dopo, a un'eternità spirituale. Darebbe un senso, darebbe un senso al non andare a capo. Ma quando mi immagino di vivere, in qualunque modo, dopo la morte...non ce la faccio.
Forse è stupido, stupido avere paura di esistere ancora e ancora, in un loop infinito, ma credo che sia proprio questo il punto. Io però non riesco a concepirlo. Il pensiero dell'infinito mi fa tremare le ginocchia. Non sono già in grado di gestire la mia vita adesso, come sarei in grado di farlo per sempre?
Chiudere gli occhi e non riaprirli, dormire per sempre e finirla lì. Sarebbe più facile.
Il pensiero della morte mi perseguita perché, in fondo, probabilmente, è tutto ciò in cui ho ogni volta sperato. Tutto ciò che ho ogni volta voluto.
***
- Sembri uno di quei cenci usurati, scoloriti che uso per lavare il pavimento del bagno-, le parole di Simone mi colpiscono come una sberla, la mattina seguente alla serata di pattinaggio sul ghiaccio.
Mi guarda dall'alto del suo letto, mentre io me ne sto comodamente sdraiata sul materasso sul pavimento. La testa mi fa talmente male che sembra sul punto di scoppiare e sento i muscoli tremare leggermente sotto le coperte, ma cerco comunque di alzarmi puntellando il gomito contro le coperte, accennando un sorriso.
Ieri l'ho fatto cadere di faccia. A quanto pare Simone Santoro mantiene le proprie promesse: ho davvero dormito per terra.
- Sei sicura di stare bene?-
Il ragazzo si sporge completamente verso di me, il busto allungato in avanti e una mano schiaffata sulla mia fronte quasi con riluttanza. Si ritrae dal tocco nemmeno due secondi dopo, alzando un sopracciglio.
- Scotti-
- D...davvero?-, biascico. Ho caldo ed è come se le mie ossa si stessero spaccando in minuscoli frammenti.
- Già-, borbotta per poi alzarsi dal letto facendo scricchiolare le molle. Sembra estremamente annoiato di trovarsi in questa situazione. Mi lancia una lunga occhiata prima di avvicinarsi alla porta. -Torno subito-, e chiude la porta alle sue spalle.
Il silenzio mi inghiottisce. Sbatto le palpebre e mi passo la lingua sulle labbra spaccate, e sento subito il sapore del sangue in bocca.
Dovrei alzarmi anche io, ma non ne ho le forze. E' come se qualcuno fosse arrivato durante la notte e mi avesse succhiato via tutte le energie, e come se non bastasse devo aver sudato freddo perchè il tessuto del pigiama è completamente zuppo.
Sono un mucchio pesante, un rottame. Sgranchisco le dita prima di lasciare ricadere la testa all'indietro sul cuscino con un tonfo sordo.
Molto probabilmente l'uscita di ieri al freddo non ha giovato un granchè al mio corpo. Ho sempre avuto una salute sia mentale che fisica abbastanza cagionevole, ma non pensavo che sarei stata male la Vigilia di Natale. La Vigilia di Natale...dopodomani dovrei partire per la montagna, da Davide...Sto pensando a vanvera.
Credo che dovrei smetterla.
Non ce la faccio.
Quanto tempo sono qui da sola? Quindici minuti, trenta? Sembra un'eternità. Il mio corpo brucia, il sangue nelle vene è incandescente.
Non mi accorgo nemmeno come la porta viene riaperta e non mi accorgo nemmeno che qualcun'altro è presente nella stanza fino a che Donatello non si inginocchia al mio fianco con un bicchiere colmo d'acqua e una pastiglia bianca in mano. Un'altra pastiglia. Odio le pastiglie.
- Simone mi ha detto che hai la febbre-, pronuncia lentamente, -cosa ti senti?-
Sbatto le palpebre.
- Male ovunque...non riesco ad alzarmi. E le mie ossa hanno qualcosa che non va-, dico con fatica. Mio zio accenna un sorriso, porgendomi il bicchiere. Io continuo a guardare scettica la pasticca.
Lui me la lascia in mano e aspetta che io la mandi giù. Sono costretta a farlo per sentirmi meglio.
- Con l'antibiotico non puoi prendere nient'altro, ricordatelo-
Mi lascia stendere di nuovo. Ho gli occhi pesanti e ho estremamente caldo, ma la testa comincia già a farmi meno male. Non realizzo di starmi addormentando, fino a che la bocca si fa impastata e io non riesco a rispondere alle domande di Donatello.
Sento alla fine che mio zio si alza, lasciandomi una bottiglia d'acqua accanto al comodino.
Esce poi esce dandomi una carezza sui capelli.
O forse no.
Non lo so.
Fatto sta che i cardini della porta scricchiolano una quarta volta e qualcuno sospira. E poi qualcuno mi solleva dal materasso ai piedi del letto, lasciandosi andare in un sospiro.
Qualcuno ha messo le mani sotto le mie ginocchia, e le mie gambe dondolano per qualche attimo nel vuoto. Quel qualcuno ha una presa ferma.
Ho la guancia schiacciata contro una spalla e dei capelli mi solleticano il naso. Non riesco ad aprire gli occhi.
Poi vengo stesa su qualcosa di morbido. Il letto. Qualcuno mi ha messo sul letto e poi mi lascia andare, ritraendo le proprie dita dalla mia pelle bollente con cautela.
Esita. Incombe su di me. Mi sistema i capelli di lato.
Forse è la febbre. Forse sto già dormendo da un pezzo e nulla di questo è successo.
Non lo so.
La realtà che mi circonda è sfocata. Questa realtà sa di sogni infranti e fumo.
N.A. Se questo capitolo è molto confuso è perchè Noelle è in preda alla febbre e non capisce ciò che effettivamente succede.
Comunque da ciò che ho scritto si vede che ho cominciato filosofia lol e soprattutto si vede come la scuola mi stia già danneggiando i neuroni.
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