MEGAMI NO NAMIDA di kincha007
Genere: Fantasy, storico, paranormale
Kamakura, febbraio 1262.
Una strana e apparentemente inarrestabile serie di omicidi colpisce sempre più violentemente una capitale e un regno già martoriati da fame e carestia. Nonostante i tentativi dello shogunato di mettere a tacere la cosa, la notizia dei ritrovamenti di cadaveri resi irriconoscibili e dilaniati come da bestie diffonde lentamente e inesorabilmente il terrore.
A diciassette anni, tutto ciò che la giovane Natsuko desidera è poter continuare a vivere un'esistenza tranquilla accanto al ladro Daichi, fratello adottivo e persona più importante che le sia rimasta dopo la morte di Kogoro, colui che l'ha adottata dieci anni prima.
Ma è proprio la morte dell'uomo ad innescare una spirale di eventi che di tranquillo hanno ben poco.
Tra tutti i beni ereditati, Daichi si mostra misteriosamente geloso nei confronti di un unico oggetto, una gemma color delle fiamme. Ed è la pietra a mettere Natsuko di fronte all' abominevole verità su ciò che sta accadendo nel Paese e a intrecciare forzatamente il suo destino con quello di Munetaka, sesto Shogun, lacerato dalla propria impotenza di fronte alla piaga che sta dilaniando l'impero.
Al principe la ragazza deciderà di tendere la propria mano per accompagnarlo in un salto nel buio, alla ricerca di qualcosa che nell'aristocrazia di Kamakura è scomparso da tempo: la verità.
Ma la verità può scuotere nel profondo, specie quando è ben lontana dal mondo umano.
E nessuna famiglia a Kamakura è più vicina all'occulto e all'inumano di quanto lo siano i Kushieda, un clan con cui Natsuko, suo malgrado, scoprirà di avere conti in sospeso da più tempo di quanto immaginasse, un'eredità indesiderata che tuttavia è costretta ad accettare per avere una speranza di far luce sui misteri che la pioggia torrenziale che ha messo in ginocchio la capitale ha portato al suo cospetto.
Penombra. Solitudine. Rumore di pioggia.
La stanza era immersa in quei tre miracoli come il corpo di un malato nelle acque calde e vaporose di un onsen. Nessuna finestra era stata costruita; la sola fonte d'aria era la porta d'ingresso, in quel momento socchiusa. La luce era quasi assente. Ma non c'era bisogno di vedere per considerare quel luogo una casa.
Il sesto Shogun inclinò di lato la testa. Con aggraziati movimenti che ricordavano le danze in cui si cimentavano le ballerine imperiali e dei templi, agitò il braccio destro, che reggeva un profumato bastoncino di incenso. Fumo acre e al contempo dolce si diffuse intorno a lui. Quando l'aria ne fu satura, posò l'incenso in un minuscolo vaso di ceramica riempito di sabbia che era sul butsudan poveramente arredato. Su di esso aveva esplicitamente chiesto che venissero posti solo due oggetti, oltre a quel vasetto e ai bastoncini: una pergamena recante il ritratto del Buddha e accanto un'altra, più piccola ma infinitamente più importante per lui. Sul rotolo, con lettere eleganti, era stata scritta dal suo maestro la frase che ogni giorno si era imposto di leggere e ricordare a sé stesso.
"Il saggio compie la sua opera senza porsi come grande."
Il vecchio monaco Sanzō gli aveva confidato quelle parole il giorno stesso in cui era stato designato come Shogun, nove anni prima, e non era trascorsa una sola mattina senza che lui riflettesse sul suo senso.
Quella pergamena era il vero oggetto di venerazione del butsudan, quello su cui meditava profondamente per trovare la serenità e la forza per adempiere al suo ruolo. Il mantra doveva mostrargli la via, e finora non lo aveva mai deluso, ma il principe imperiale Munetaka non aveva intenzione di adagiarsi sugli allori a causa di ciò. La perseveranza era imprescindibile.
Si concesse un profondo respiro. Quell'attività quotidiana era la sola cosa che riuscisse a rilassarlo davvero. Anche se era ormai trascorso tempo da quando si era trasferito nel palazzo del Bakufu e aveva abbandonato il caos della vita di corte, la vita tra i corridoi della roccaforte del potere militare si rivelava una sfida altrettanto ardua per la serenità e il benessere spirituale della persona. Specialmente se quella persona possedeva di tutto fuorché le caratteristiche di una guida politica.
Se fosse stato un ragazzo normale con possibilità di scegliere il proprio destino, avrebbe scelto di diventare monaco. Credeva che solo così, perseguendo la via del Buddha, un uomo potesse davvero vivere in pace in questa vita, prima di spirare e abbandonare la terra corrotta.
Se fosse dipeso da lui, non sarebbe mai diventato Shogun.
Si stava ancora beando dei suoi pochi istanti di tranquillità, quando un suono di passi irruppe nelle sue orecchie. In contrasto con l'atmosfera mistica che si era appena creata attorno a lui con la complicità dell'inebriante aroma di incenso, quel forte rumore gli fece quasi male alla testa. Prima che potessero sorprenderlo intento a pregare, per non mettere in imbarazzo coloro che stavano per annunciarsi, si alzò dal morbido cuscino su cui era inginocchiato e chiuse le ante del butsudan, che in quel modo tornò a essere un gigantesco armadio intarsiato di giada e dai piedi dorati. Era un regalo giunto da oltremare per la sua nomina a Shogun, un tempo carico di oggetti cerimoniali dal valore ben maggiore. Aveva fatto portare via tutto, poiché non erano sani per colui che intendeva davvero perseguire il cammino zen.
- Munetaka-ōji -parlò una voce oltre la porta. - Chiediamo umilmente il vostro perdono e il permesso di entrare.
- Vi è concesso. - Dalla porta entrarono due guardie scelte. Munetaka, terzo principe imperiale, le ricevette in piedi. Era sorpreso di quella visita; nessuno era autorizzato a disturbare le sue preghiere. Quegli uomini sembravano angosciati.
- Cosa vi turba a tal punto da interrompermi?
- Si tratta di una coppia di messaggeri che è giunta qui dalle campagne circostanti - rispose prontamente il più tranquillo dei due.- Questa notte, tre dei loro soldati non hanno fatto ritorno dalla pattuglia delle strade.
Munetaka fu irritato da quella risposta. Tanta ansia solo per comunicargli che dei soldati erano caduti compiendo il loro dovere?
- Mi giungono notizie di questo genere incessantemente. Per quale ragione non avete aspettato qualche minuto per comunicarlo o non l'avete riferito al mio reggente?
- Chiedo umilmente scusa, Shogun-sama, però credo che dovreste vederlo con i vostri occhi.
- Vedere cosa?
- Il... il cadavere, mio principe.
Lo Shogun, dapprima infastidito, fu colto da un pessimo presentimento. Mai, nel corso di nove anni di carriera, qualcuno gli aveva avvicinato il corpo di un morto. Quella povera gente andava al più presto ricondotta alla propria dimora e cremata, affinché il loro spirito potesse trovare la pace. I suoi sottoposti erano tenuti a seguire scrupolosamente le norme Zen per quanto riguardava quelle circostanze; intuì subito che per infrangerle dovevano aver avuto una ragione seria.
- Conducetemi dove si trova questo corpo, allora.
I soldati non se lo fecero ripetere e lo precedettero. Lungo i corridoi non incontrarono una sola persona. La vita nel palazzo sembrava essersi bloccata, congelata sotto la fitta pioggia che li accolse all'esterno. Lo Shogun sopportò stoicamente il freddo sulla propria pelle. Il giardino, che aveva preferito privo di fiori e decorato esclusivamente con nodosi bonsai e arbusti circondati da algida breccia, sembrava ancora più spoglio. Varcato il gigantesco cancello in legno scuro che separava la proprietà dal resto di Kamakura, trovò ad attenderlo altri due uomini. Erano vestiti con abiti comodi, da viaggiatori, non con la classica e pesante divisa militare che l'esercito avrebbe imposto loro. Sembrava che non gliene importasse, come se quella fosse una questione estremamente triviale. In mezzo a loro c'era una cassa di bambù intrecciato; era sigillata. I militari si inchinarono vistosamente.
- Non abbiamo voluto portarlo dentro, ōji-sama. Non volevamo rischiare che il suo spirito infestasse la vostra dimora.
Munetaka annuì.
- Mi hanno riferito di tre morti, ma vedo un solo feretro. Come mai? - Quelli si guardarono, poi l'uomo a destra, il più anziano, mormorò:
- È l'unico che siamo riusciti a recuperare quasi intero, Shogun-sama.
- Che cosa volete dire? Mostratemi cosa c'è lì dentro, forza! - Il primo principe alzò la voce senza volerlo, per nascondere il peso del cattivo presagio avuto prima che andava ingigantendosi. Voleva porre fine a quella vicenda una volta per tutte, ma sentiva che quello non era che il principio. Si disciplinò, imponendosi la calma. Avrebbe voluto avere vicino il butsudan per sentire accanto a sé la protezione del Buddha.
Le guardie sollevarono con angosciante solennità il coperchio della bara. Munetaka dovette fare appello a tutte le sue forze perché le ginocchia non tremassero. Ciò che era dentro la cassa aveva perso quasi ogni traccia di umanità ed era identificabile come persona solo dal busto; o meglio, dalla parte del busto rimasta: la metà destra della cassa toracica, cui era ancora attaccato qualche brandello di pelle, era stata accostata al bacino come in un gioco di costruzioni. La metà sinistra del costato era stata strappata con violenza da fauci voraci, i cui segni erano ancora visibili sui pezzi di ossa ancora presenti. Lo stesso destino era toccato al cranio; materia cerebrale ormai secca era fuoriuscita dalla testa tranciata come polpa da un frutto. Si sentì morire anche lui, ma nello spirito. Avrebbe preferito essere torturato per ore nelle segrete del palazzo piuttosto che continuare ad avere quella cosa davanti un altro solo istante. Il suo cuore stava appassendo come un frutto colpito da una malattia, ma il suo ruolo gli impose di restare in piedi ed apparire impassibile.
- Cosa... Che è accaduto a questa persona? Chiunque capirebbe che non è stata una bestia. Un animale uccide per mangiare e divora l'intero cadavere, mentre questo... questo scempio sembra essere stato compiuto per pura cattiveria.
- La pensiamo allo stesso modo, altezza. Ma non sapevamo come comportarci. Avevamo pensato di celebrare le esequie con rito buddista, ma contro ogni aspettativa il monaco da noi chiamato si è rifiutato di officiarlo. Sembrava esaltato, tremendamente scosso, quando ha visto i morti. Non sapevamo come seppellirli, eravamo preoccupati. Poi la famiglia di uno di loro ha richiesto un funerale shintoista per la vittima. Abbiamo chiamato un sacerdote, e gli abbiamo chiesto se poteva spiegarsi quella situazione. Ha voluto esaminare anche lui il corpo. Non credo di aver mai visto il vero terrore finché non ho guardato negli occhi mezzi ciechi di quel vecchio, Oyakata-sama...
Munetaka lo incalzò a non fermarsi:
-Continua, per favore. Cosa ha detto il sacerdote? Ho motivo di credere che questa storia finirà nel peggiore dei modi.
- Perdonatemi per l'affronto, ma mi duole dovervi dare ragione. Quell'uomo ha accettato di celebrare il funerale dopo aver purificato le salme, ma abbiamo dovuto quasi obbligarlo. Ci ha detto che non verrà nulla di buono da questi cadaveri, che dovremmo bruciarli per sbarazzarcene quanto prima, perché per quelle anime le speranze sono pari a zero. Ouji-sama non si sbagliava quando ha detto che non sono stati attaccati dagli animali, ma da qualcosa di peggiore. Oyakata-sama, vi prego di perdonarmi e di credermi, di credere alle parole del sacerdote, sebbene sia un profano e sia lontano dalla via del Buddha, poiché essa non ha saputo rasserenare le nostre menti, questa volta...
Il soldato tacque. Aveva paura di parlare. Tutta la virilità imposta a quelli della sua classe sociale era stata lavata via dalla pioggia e dalle lacrime che si fondevano con essa sul suo viso angosciato. Munetaka attese che continuasse la frase con lo stesso atteggiamento che avrebbe adoperato un condannato a morte per aspettare la sua sentenza, i vestiti eleganti ormai zuppi e i lunghi capelli appiccicati al suo giovane viso. Avrebbe creduto alle parole che avrebbe udito, perché sapeva che non sarebbero state dolci o facili da accettare, ma amare e rovinose, come l'aura che sentiva emanare dai resti del soldato ucciso. Il Buddha lo avrebbe protetto e guidato, ma non poteva spiegare l'inspiegabile. Il Buddha dava consigli per i vivi, ma non salvava dai morti, né dalla morte. Munetaka voleva salvarsi.
- Secondo il prete si tratta di demoni, sire.
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