Capitolo 5: sulle due sponde del fiume

Centosettantesimo anno del drago, ore dieci del mattino. Le palpebre del piccolo licantropo si aprirono lente, e con altrettanta lentenza misero a fuoco il soffito. Era in un comodo letto, ricoperto di bende da cima a fondo. Nonostante le condizioni del suo corpo, il suo viso era ben ligio e pronto a captare i segnali.

- (Dove mi trovo?) - Si chiese confuso, guardandosi in giro.

Intorno a lui vi erano tutti i suoi compagni d'esplorazione, anche loro nelle sue stesse condizioni. Sospiri rilassati e tuonanti russare era ciò che scandiva la composizione dello spartito. Drapion, Irūpa, Shinso e Chaki erano coloro che suonavano le potenti percussioni.

- (Come ci sono finito qui?)

Si trovava nel palazzo di Albarosa Flor, dove ella curava personalmente i suoi pazienti più gravi. Riconobbe le lenzuola di Swanna, le coperte azzurre e la colorazione verde smeraldo delle mura. Il letto era comodo e profumato: come il giorno dopo lo scontro con Elliot Dandelion, era la stanza perfetta per il riposo, tranquilla anche se un luogo di cura. 

Non aveva idea del perché non si ricordasse niente di come ci era arrivato. Era ben conscio di avere una buona memoria, e non era mai successo che a stanchezza titanica avesse avuto delle perdite. Una nuvoletta pensante si manifestò sopra la sua testa. Ricordava tutto: dalla promessa fatta a Sobek, dalla custodia dei pargoli delle Kuroi Kiba ai villageri di Crillaropoli e persino la dichiarazione di Denwa nei confronti di Lana. Il suo cuore aveva fatto un sobbalzo quando aveva assistito alla scena. Era impossibile dimenticare quella sensazione: non aveva potuto fare a meno di provare felicità e allo stesso tempo invidia nei confronti di quei due. Nel recupero di quella memoria un sorriso si stampò sul suo volto. 

Si ricordò anche che aveva voluto, a tutti i costi, rimettersi in piedi ed applaudire a loro, così come avevano fatto gli altri abitanti di Crillaropoli nel sentire quella proposta. Ovviamente, Shinso gli aveva gridato di non sforzarsi ulteriormente, ma come capitano del Team Skyriders ritenne di non poter rimanere indifferente di fronte a tale gioia. Nel frame successivo del ricordo, notò che ad un certo punto la visione si era ruotata di novanta gradi, e tutto quanto si era perso in un effetto sfocatura fatto con Photoshop. Alla realizzazione del significato di ciò, spalancò gli occhi in disagio.

- (Sono collassato in quel momento!?)

Era incredulo. Issare una bandiera con uno sguardo duro e indomabile, per poi svenire come una pera lessa sul pavimento della piazza. Il palmo della sua mano destra si sbatté sul suo volto con violenza.

- (Che figura... dopo tutto quello che ho fatto...)

Gli sembrò di sentire il dolore della botta che il suo cranio aveva ricevuto durante la caduta. Caduta che aveva riaperto alcune delle ferite più gravi cucite da Gogomaru. Era stato provvidenziale il fatto che Flor si fosse avviata in anticipo: il piccolo licantropo avrebbe potuto subire grossi problemi, e forse non sarebbe più potuto tornare in piedi. 

Fortunatamente, ciò non era successo: era sano e salvo, poteva solo maledire lo stato pietoso nel quale si era ridotto. A lui e agli altri esploratori rimaneva pensare alla fierezza dei loro risultati raggiunti: avevano salvato l'anima di una città intera e allo stesso tempo di pokémon alla deriva dalla società. Scosse la testa, per poi recuperare i suoi pensieri positivi mentre guardava i suoi compagni riposare.

- (Quindi... c'è l'abbiamo fatta, eh?)

Le sue membra sentirono di nuovo il richiamo del cuscino. Buttò la testa all'indietro come se ci volesse affogare. Ripensò alla storia appena letta e scritta all'interno dell'Antro della Belva: allo strenuante combattimento contro le Kuroi Kiba, al cruento scontro contro il Feraligatr di sette metri, e al suo confronto in un mondo interiore creato dai loro cuori. Si guardò la mano destra, la stessa mano che aveva posto fine alla vendetta di quel triste Mizukage. All'inizio rifletté su di essa i pensieri che aveva in ciò che sarebbe stato un'importante pezzo di vita suo, per poi chiudere il pugno, ricordandosi della promessa fatta a quel boss criminale.

- (Ho ribaltato tutto... eh?)

Con la sinistra si strinse la Sciarpa dell'Armonia, tenendola salda ma con la stessa delicatezza con cui ci si abbracciava con una persona che ti stava a cuore. Ricordò quei flebili momenti passati con Amelia nella visione bianca. Nel realizzare di aver avuto un'altra occasione per rivedere la sua partner, si tirò il velo leggermente verso di sé e vi nascose dentro il muso, come se non volesse far vedere ad altri spettatori l'ingenua felicità dipinta nel suo volto. Poi, la sua montagna russa scese per i pendii più spaventosi, andando a recuperare i ricordi sopiti nel suo animo. Dalla promessa che aveva fatto al suo sacrificio: si rese conto che non era ancora riuscito a mantenere i suoi voti, e il sorriso divenne più mesto. 

Allo stesso tempo tuttavia recuperò una nuova speranza. Amelia aveva avuto un contatto con lui: la sua ricerca non era un sogno impossibile. Dopo di che, recuperò i ricordi della porta oscura, quella che il Totodile aveva aperto. Era avvenuto un incontro, durante la sua convalescenza, dopo che nel mondo reale Sobek si era risvegliato. Il suo io passato lo aveva guardato negli occhi, per poi puntarli verso la sua vita da umano prima di entrare nel mondo Pokémon.

- Ascoltami. - aveva detto l'uomo della porta, - ora che questa porta è stata aperta, non posso più bloccarla. Essendo ricordi di una vita che non è più tua, farò in modo di tenerla almeno socchiusa. In questo modo, ti torneranno a piccoli passi, lasciandoti il tempo di elaborarli. Li recupererai un po' alla volta, ogni volta che ti addormenterai.

Avevaabbassato lo sguardo al suolo dubitante, per poi fare un sospiro dirassegnazione, quando il suo io passato gli aveva detto quella frase.  

- Lo so. - disse l'umano del passato, - Avresti preferito che rimanessero là dietro. Ma lo sai come funziona... E' il prezzo da pagare per aver voluto leggere il suo cuore. E...

Si era girato verso di lui, con sguardo severo.

- Sono sicuro che, in fondo, ti aspettavi una cosa del genere.

- Non posso fuggire da esse per sempre, - aveva detto Rukio, - Prima o poi, avrei dovuto confrontarmi con loro.

Non poteva fare altrimenti. Dopotutto, la persona con cui stava parlando era sé stesso. Chi meglio di lui poteva conoscerlo?

- Se potessi... anch'io avrei fatto a meno della storia dietro a questa porta, - disse l'uomo in impermeabile, - ma... è quello che mi ha reso quello che ero... e quello che, inconsciamente, ha reso te quello che sei. Mi sbaglio?

Al ché, davanti a quella frase, Rukio aveva replicato:

- Siamo la stessa persona. Possiamo mai contraddirci a vicenda?

- Quindi... siamo sulla stessa pagina?

Nessuno dei due voleva riprendere quella tragedia, ma tutti e due erano consapevoli che era il pezzo più importante del loro puzzle.

- Ora... ho cose troppo importanti da proteggere.

Mentre disse quella frase, le immagini di Amelia, Shinso e Kenji spuntarono nella sua mente.

- Non mi posso fermare.

L'uomo in impermeabile guardò dai suoi occhi bui quel piccolo lupo bipede con lo sguardo di fuoco, con la determinazione di chi poteva prendere il mondo tra le sue mani e metterlo a soqquadro da cima a fondo, con il cuore che non avrebbe mai perso di vista quello che contava veramente. Era invidioso di lui, ma allo stesso tempo era felice. Sentimenti contradittori, per chi si stava semplicemente guardando allo specchio.

- C'è la puoi fare, - disse, - in passato eri troppo debole. Sei rimasto per tutta la vita un bambino che guardava il mondo con gli occhi di un bambino. E sei rimasto così tanto accecato dalla sua crudeltà, che hai perso la voglia di crescere. Ma ora... tu non sei più me.

Si voltò indietro, dirigendosi verso la porta oscura.

- Forse... in questa nuova storia...

Aprì le sue ante, sparendo nella coltre di luce che scaturì da essa.

- Riuscirai a diventare un adulto.

Era sempre stato molto severo con sé stesso e con i suoi difetti, lottando contro di essi per essere la versione migliore di sé. Il fatto di aver recuperato quel libro perduto tra gli scaffali, rese più forte in lui la determinazione di essere la persona che era diventata. Non gli fu mai più chiaro del cosa doveva raggiungere; non gli fu mai più chiaro del perché non poteva permettersi di perdere altro; non gli fu mai più chiaro del perché lui fosse il combattente del tramonto. Un forte sguardo si stampò sul suo volto: ad uno come lui, non era concesso dormire sugli allori.

- (Non volevo davvero rivedere cosa c'era lì dietro. Ma forse... è stato un bene.)

Si levò le lenzuola dal corpo, per poi poggiare i piedi sul terreno. Si rimise in piedi. Nonostante la convalescenza, non sentì alcun peso sulle sue membra né alcun calo di pressione. Fece un movimento rotatorio con le braccia, e due flessioni con le gambe. Nel farlo, un verso di grillo venne emesso dalla sua schiena, e realizzò che se avesse fatto anche solo un piegamento in più sarebbe rimasto secco.

- (Dannato scemo, - pensò riferendosi a sé stesso, - che cosa ti aspettavi?)

Fortunatamente vi erano delle stampelle lì vicino. Approfittò di queste per riuscire ad avere modo di muoversi.

- (Reggi ancora un po'. Non è il momento per te di riposare.)

Si diresse verso l'uscita della stanza. In pochi attimi, aveva analizzato e catalogato ogni elemento che vi era al suo interno. Dove era ricoverato, non vi era l'oggetto dei suoi pensieri, ed era ciò che l'aveva costretto a rialzarsi ed uscire a cercarlo.

- Non avevo modo di sapere dove si trovava Crillaropoli... Non avevo alcuna idea di fondare una banda criminale e acquistare potere.

Mentre pensava a quelle parole, il suo sguardo si fece più cupo e determinato.

- Queste sono tutte idee... Che il mio tenente Bisharp Aragram Bishop... mi ha messo in testa.

- (Aragram Bishop... il tenente che eseguiva le mutilazioni... e che ha contribuito alla vendetta a Sobek.)

Come fotografie veloci, riprese i ricordi presi da Arbok con lo Shinkutsu in riferimento allo scoppio di Shinso, e dei suoi pochi attimi nel sesto piano dell'Antro della Belva in cui aveva potuto scambiare parole con il Bisharp. Imboccò il corridoio. Fece pochi passi alla volta.

- (E' cauto e calmo... e con un occhio analitico. Ha la capacità di rimanere a sangue freddo anche in situazioni scaldanti. E' il tipo da programmare ogni sua azione.)

La prima stanza che vide aveva la porta chiusa. Decise di usare un po' di Meisoku per percepire la vita aldilà della porta.

- (Da quello che ho visto... è stato lui a suggerire la ritirata a Kurokiba Sobek, per salvare gli scagnozzi dalla tecnica di finta morte di Shinso.)

Kage Ninpō: Mozart Requiem. La tecnica inventata dallo stesso Frogadier per non essere costretto a fare ciò che era il mestiere del suo clan.

- (La tecnica funziona, ma lui non lo sapeva. Quando ha visto il tempo tornare indietro lentamente per i sottoposti, ha visto una possibilità di non perdere uomini. E quando ha visto che più Shinso veniva...)

Le immagini dove Sobek maltrattava la Schiumorana arrivarono nella sua testa. Il suo cuore iniziò a battere più velocemente e il sangue a ribollirgli nelle vene. Si sentì male: si fermò un attimo e si strinse il petto.

- (Calma. E' nel passato.)

Fece dei respiri profondi. Riuscì a mettere sotto controllo la sua stessa ira. Il Bisharp aveva visto che più Shinso si indeboliva, più il Meisoku intorno ai suoi scagnozzi si affievoliva. Da qui, aveva preso la decisione di non toccare il ninja immediatamente. Rukio aveva superato tre porte nel tempo di quel pensiero.

- (Per questo gli ha portati via e ha lasciato in sospeso la situazione in quel momento. Non ha potuto fare altrimenti. Il posticipare la sua condanna per avere il tempo di curarli è stata la scelta giusta. Per non perdere uomini. Sono sicuro... che persino lo stesso Sobek ha riconosciuto fosse la soluzione più ideale.)

Si fermò. Per un attimo, i suoi occhi smisero di prendere stimoli esterni e si chiuse in sé stesso.

- (O... tutti hanno pensato così.)

Dopotutto, non aveva preso precauzioni contro gli altri esploratori. Vi erano anche lì delle motivazioni giuste.

- (Voleva evitare di attirare l'attenzione sulla zona di the Hills... per questo non ci ha fatto uccidere tutti sul momento. Ha lasciato fare a Sobek, che ha impartito a Crillaropoli l'ordine di cacciarci via ed uccidere Shinso più tardi. Il tempo necessario per curare i suoi scagnozzi è ciò che ha determinato la scelta del mezzogiorno. E noi eravamo costretti a tornare indietro e non poter aiutare nessuno per paura che succedesse a loro qualcosa. E il rapimento di Elliot era un deterrente in caso noi tentassimo altro.)

Fermò il suo passo lento. Corrucciò lo sguardo, puntando gli occhi sul pavimento.

- (Suona tutto molto plausibile. Se non fosse... che lasciando rapire Elliot a Sobek ci ha costretti a recuperarlo. Se voleva che ce ne andassimo, era l'ultima cosa che doveva fare. E poi... l'ha messo in quella sostanza strana.)

Lo strano liquido metallico, quello in cui l'eroe di Borgo Tesoro era imprigionato nell'ottavo piano dell'Antro della Belva. Nella sua mente, collegò anche che una sostanza simile era stata usata ieri dai sottoposti di Tonx per immobilizzare Dingo, senza successo.

- (L'hanno usata anche i carcerieri... Dovrò chiedere a loro di cosa si tratta.)

Il corridoio che stava percorrendo era vuoto. Il legno marrone alternato a marmo smeraldo si colorava dei pensieri del piccolo licantropo.

- (Comunque sia... se davvero voleva che ce ne andassimo, doveva evitare di portare via il Mirai no Senshi, e farci fare un'altra cosa. Qualcosa che, in quel momento di panico, probabilmente nessuno ha pensato.)

Chiuse gli occhi, rivenne a lui in mente il vecchio Crustle del villaggio di Crillaropoli.

- (Farci sancire il contratto.)

Haō no Rippōken: Keiyaku. La tecnica che metteva a completa disposizione nel corpo e nello spirito una persona nei confronti di un'altra. Ripensò a ciò che gli aveva detto il Crustle sulla tecnica degli Haō.

- (E' necessario bere il sangue di entrambi, scrivere le condizioni e scegliere la punizione. Ma per come era la situazione, avevano tutto il tempo per farlo. Con Benji che seguiva i loro ordini, potevano farcelo fare uno alla volta, o usare me prima come deterrente, minacciando la mia dipartita o altro.)

Una goccia di sudore scorse sulla sua guancia destra. Era rimasto immobile dall'inizio del pensiero.

- (Liberi da ripercussioni; diritto di vita e morte su di noi; impossibilità di comunicare con l'esterno. Non si contano su una mano i benefici che ne avrebbero scaturito. Bastava minacciare di uccidere Shinso, e tutti avrebbero risposto di sì. Perché questo corso di azioni non è passato di mente ad uno come lui? E' molto semplice.)

Strinse gli occhi. Guardò davanti a sé come se avesse notato il soggetto oscuro della tela.

- (Perché non aveva alcuna intenzione di metterci in difficoltà. O meglio... mettermi in difficoltà.)

Aveva visto le linee guida lasciate dal pittore. Quelle che l'osservatore attento doveva seguire.

- (Lui voleva che noi entrassimo nell'Antro della Belva. Voleva che affrontassimo Sobek, o più che altro... voleva che affrontassimo Dingo)

Ripensò a tutte le informazioni che aveva avuto da Irūpa: dal comportamento del coccodrillo, dal suo modo di essere, e dall'utilizzo del Veloscuro. E ripensò anche alla frase detta dal Krookodile, prima di sparire in una nuvola di fumo.

- DOV'E QUELLA DANNATA SCATOLA DI LATTA?!

- (Non ho più alcun dubbio.)

Passò la sesta porta. Era iniziato tutto per causa sua. Aveva fatto entrare quegli intrepidi avventurieri in un dungeon lungo dove non vi era luce sull'uscita. Ed ora stava mostrando la sua mano completa.

- (Ti sei mostrato, finalmente...)

E le carte nascoste dietro il mantello nero.

- (Black Coat.)

Il misterioso nemico, colui che stava seminando sul cammino del piccolo licantropo i germogli del male, che attiravano e alimentavano ciò che era più recondito nelle anime mortali, calpestando ciò che era in quelli che desideravano la serenità. Quello era il primo contatto diretto che avevano avuto con il tenebroso essere dallo scontro con il Machamp. Che la sua identità corrispondesse alla figura paterna di uno dei suoi compagni era un'informazione ancora non a portata di mano per il Riolu.

- (Non aveva il braccio destro metallico descritto da Rokujo e Yamiscilla, ma non mi stupirei se fosse qualcosa come una protesi, o che sia qualcosa che si manifesti a volere. Non mi stupirei nemmeno se fosse rinchiusa in uno spazio dimensionale con la tecnica Hoshi Hōseki. Dopotutto, aveva delle lettere Unown sulla testa.)

Arrivò in fondo al corridoio, dopo aver passato la decima porta. In un incrocio a T, stava una stanza aperta priva di porta, dove all'interno le finestre lasciavano scendere pochi raggi di sole, puntati sul lettino da ricovero. Su di esso, vi era il corpo inerme del Senken no Kenkaku Byakuken Kenji, di cui si riusciva a scorgere tra il bendaggio solo la foglia sulla testa e l'occhio destro. 

Rukio si avvicinò a lui utilizzando le stampelle, fino ad arrivare al suo fianco sinistro. Sapeva i dettagli delle sue ferite da Gogomaru Kamigami, la quinta Kenju, conosciuta a loro solo come Matsuyama Bobu. Costole rotte; perforazione polmone sinistro; occhio sinistro lacerato. La carta dello spadaccino bianco era riuscita a ricucire e a tirare fuori pericolo il Grovyle, e dall'esperienza di due giorni fa sapeva di poter contare sulla Shirotsutsuji per il trattamento. 

Il lenzuolo copriva le gambe e il busto del Byakuken, mentre le braccia erano posizionate sopra di esso per controlli del battito e per eventuali iniezioni. Al suo braccio destro vi era attaccato un tubicino con una sacca di plastica per la fleboclisi, l'iniezione diretta di sostanze nutritive nelle vene per chi non era in condizione di nutrirsi da solo, e al suo muso vi era attaccata una maschera dell'ossigeno. Non era mai successo che il Legnogeco fosse stato ridotto in tale condizioni. Non era nuovo il finire come il suo capitano in situazioni pericolose e di rompersi qualche osso nel processo, e sapeva che per i Pokèmon erano ferite gravi ma non impossibili da trattare. Per cui, vedere per la prima volta quegli strumenti che, forse, aveva visto in qualche film quando ancora era umano, al piccolo licantropo si strinse il cuore.

- (Kenji...)

Era stato il Black Coat a ridurlo in quel modo: lo stesso avversario che il Grovyle aveva tanto insistito a combattere, lo stesso per il quale aveva provato rabbia e risentimento. Nemmeno Shinso sapeva la ragione che l'aveva spinto a tale gesto: al di fuori della missione, sembrava avere un grosso conto in sospeso contro di lui. Nella mente intelligente dell'umano, era chiaro che c'era un collegamento con il Bisharp, un legame che, forse, avrebbe potuto aiutarli nelle loro indagini. Non poteva ancora stabilire se il filo d'Arianna fosse con il Black Coat o con Aragram Bishop, ma sapeva ciò che doveva fare. Era necessario trovare quel pezzo di puzzle e gli altri con cui si potevano incastrare. Così sarebbero potuti risalire alla vera identità di colui che stava giocando con il destino del mondo Pokémon. 

La chiave, sicuramente, risiedeva nel passato di Kenji, nell'io nascosto che si celava nella parte più profonda dei suoi ricordi. L'anima che il piccolo licantropo si era sempre rifiutato di conoscere, in virtù della fiducia per costruire una solida amicizia. Da capitano, tuttavia, non poteva sacrificare tutto per il sentimento: vi erano delle vite in gioco, e se c'era modo di reperire informazioni velocemente era necessario usare ogni mezzo possibile. 

Si avvicinò un pochino di più allo spadaccino verde. Fece per allungare la mano verso di lui, per usare l'abilità dello Shinkutsu. In questo modo, avrebbe potuto inserire in quella costruzione di lego il mattoncino mancante per arrivare al pokémon con il mantello nero. 

Mentre stendeva la mano, egli tremava. Sebbene la sua mente gli dicesse che fosse la cosa giusta da fare, il suo cuore si rifiutava con tutto sé stesso di rompere il suo veto e fare quel torto al suo compagno. Quando arrivò al punto che mancavano meno di due centimetri, chiuse il pugno lentamente, ritirandolo a sé e chiudendo gli occhi. 

Non avrebbe mai potuto farlo: non era da fare ciò ad un amico. 

Lasciò andare la mano e la fece cadere sul suo fianco destro. Poi riaprì gli occhi, continuando a guardare il suo compagno con occhi tristi e preoccupati.

- Quando me l'ha detto la mia assistente... non ci volevo credere.

Un tumulto al cuore venne all'eroe di Borgo Quieto. Non l'aveva sentita arrivare: non l'aveva nemmeno percepita con i suoi sensi d'aura di Riolu. Tale era lo stato pietoso in cui si trovava il suo corpo. Si girò lentamente verso l'entrata della stanza, verso la provenienza di quel commento.

- Ma vedo che è già sveglio... Ōryūgo Rukio.

Trovandosi davanti il medico presso la quale stava venendo curato.

- Signora Albarosa...

Shirotsutsuji Albarosa Flor, l'esperta dottoressa efferata nelle arti mistiche della cura del corpo e dello spirito, con dietro una delle sue assistenti Kirlia. Già trattati una volta presso di lei, il team Skyriders non aveva bisogno di essere ricordato quanto lei fosse capace. Oltre alle sue capacità tecniche, aveva un'anima encomiabile: trattava ogni suo paziente come se dovesse trattare suo figlio. Persino il demonio si sarebbe sentito al sicuro con lei. Tuttavia, non stava guardando il Riolu con gli stessi occhi di chi guardava il suo paziente preoccupato: il suo volto era cupo e triste, e per qualche strana ragione era privo di dolcezza. 

Si avvicinò al Riolu, senza dargli il tempo di dire qualcosa.

- Dios mios este bruto... (*)

Controllò il suo battito sul polso destro e sollevò l'altro braccio verso l'alto. Poi riabbassò il braccio e prese tra le sue mani il suo viso, posando delle fredde carezze sulle sue guance, mentre lo guardava negli occhi con lo stesso sguardo di una madre che voleva vedere le bugie di un figlio. 

Successivamente, passò la sua attenzione sulla Sciarpa dell'Armonia, quella stessa sciarpa creata con il Meisoku di Mew, che rappresentava il suo collegamento con Amelia. Provò a passarvi la mano, ma quando accadde il piccolo licantropo fece subito per mettersi in mezzo, cercando di interrompere il contatto fisico della dottoressa. 

Ma era troppo debole: riuscì solamente a mettere la sua mano su quella della Gardevoir, invitandola in disperazione con uno sguardo mite e preoccupato a trattare ciò che stava esaminando con cura. 

Essa chiuse gli occhi: era bastato il semplice tocco per raccogliere le informazioni che voleva.

- Come immaginavo...

Staccò la mano dalla sciarpa, guardandosi indietro.

- Puoi lasciarci da soli, Estela-chan? (*)

La Kirlia si inchinò rispettosamente.

- Sì, madre.

Lasciò la stanza a piccoli passi, facendo attenzione a non disturbare nessuno con la sua presenza. La Gardevoir fece qualche passo indietro, cercando di non mettere soggezione al suo paziente con la sua vicinanza.

- Avevo il sospetto... quando l'ho curato la prima volta, Rukio-dono - disse, - Ha sempre avuto una ripresa più veloce di quello che le hanno diagnosticato i medici. Mi sbaglio?

Continuò a guardare il viso del piccolo licantropo. Egli titubò in volto.

- Tuttavia, è il suo Konsoku la cosa più peculiare del suo corpo. Mentre, solitamente, la presenza di un'irregolarità di velocità di circolo del flusso di Meisoku è un problema di salute, lei è continuamente in questo stato. Il ché, rende lei difficile da trattare per alcune esigenze, come malattie virali. Ma nonostante queste complicanze, lei ha comunque una rapidità di recupero fuori dal comune...

Ancora una volta centro. Infatti, era l'unico Pokémon a cui, in quel caso, una medicina non era sufficiente. "Come immaginavo": era ciò che aveva detto dopo aver toccato la sua sciarpa. Rukio rispose a lei guardandola negli occhi a sua volta: dalle sue sfumature, voleva cercare di capire il segreto captato l'abile dottoressa.

- Capisco... sei quel tipo di persona, - disse lei, chiudendo gli occhi rassegnata nella nota dell'atteggiamento di Rukio, - Lei è una persona intelligente, Rakujitsu no Senshi. Se le è ben chiara la mia immagine, allora saprà quanto sia inutile nascondere a me la verità sul suo corpo... sul suo spirito...

Il piccolo licantropo aveva il cuore in gola e gli occhi spalancati.

- ... e su quella sciarpa che si porta appresso.

Davanti a tale medico, che era stato in grado di curarli in tempo record, non era possibile nascondere condizioni celabili con un sorriso ed una voce amabile. Il piccolo licantropo lo aveva capito, ma ciò che non voleva far vedere la luce del sole era troppo importante per rivelarlo in tale modo. Fino all'ultimo, nella sua chiusura, voleva sperare che non vi fosse niente di ciò che stava pensando, ciò che stava per uscire dalle labbra della Gardevoir.

- Ma capisco bene che è un terribile peso per lei. La verità dietro il suo corpo... ciò che si porta dietro... e ciò che ha influenzato e tuttora influenza... è un fardello molto grande. Comprendo bene che voglia fare di tutto per nasconderlo, e voglia essere solo lei il giudice e boia di tutto quello che ne deriva. Ma... comprenda che io, al momento, sono il suo medico, e quello dei suoi colleghi. E' quindi in mio dovere fare tutto il possibile per trattate i miei pazienti, e fare in modo che la mia ricetta venga seguita tassativamente nel modo corretto.

Riaprì gli occhi. Quegli occhi blu cobalto di una regina che guardava il suo suddito con carità e allo stesso tempo spietatezza.

- Farò in modo... di alleggerire quel peso.

Si avvicinò a lui, con lo stesso fare di una madre che voleva dare il segreto della felicità al proprio figlio. Poi, coprendosi la bocca con la mano destra, iniziò a bisbigliare nell'orecchio dell'eroe di Borgo Quieto. La faccia dell'eroe rimase impassibile per tutto il tempo, ma i suoi occhi tremavano. Era come trovarsi di fronte al proprio genitore, e sentirsi rivelare ciò che aveva con tanta fatica tentato di nascondere. Quando ella finì, si rialzò in posizione eretta: continuò a guardare il piccolo Riolu con quegli occhi glaciali.

- ... ora, mi dica se ho ragione o meno.

Non ebbe il coraggio di guardare in faccia il suo dottore e sfidarlo. Il suo sguardo era chiuso e rivolto verso il basso, e dalla sua bocca non aveva alcuna parola da dire.

- Sarò franca con lei, Ōryūgo Rukio.

Il Riolu riaprì gli occhi, ma non riuscì ad alzare il viso.

- Quello che sta facendo... sta alle due sponde di un fiume. Non dirò che sta facendo una cosa sbagliata. Se lei ha scelto questa via, l'ha fatta per una ragione che non è dettata dal buon senso, ma solo da quello che ha qui dentro.

Disse, mettendosi una mano sul cuore.

- Vi è un sogno candido da una parte... è un incubo cupo dall'altra. Questo corpo che lei possiede... non sarà ancora per molto in grado di reggere le catene che sta cercando di impugnare strette.

Riuscì ad alzare il proprio volto. La sfumatura glaciale della dottoressa era svanita. In quella candida pelle e in quegli occhi azzurri, vi era pensiero debole ed apprensivo nei confronti del piccolo licantropo, e la bocca chiusa con severità. 

Lei aveva capito perfettamente perché stava facendo tutto ciò. Colei che stava parlando non era un'anima insensibile.

- Come medico, è mio dovere dirle che ha due terapie affrontabili.

Ma colei che doveva seguire il suo voto di dottore.

- Finisca immediatamente di contare sul Blue Dusk. Oppure...

Anche se rischiava di andare contro i principi dello stesso paziente.

- Si tolga quella sciarpa. Adesso.

Ella capiva da dove proveniva. Non vi era nessuna volontà in Flor di giudicarlo per le sue scelte, scelte che lo avevano portato ad essere quello che era. Il combattente del tramonto, l'eroe che aveva salvato il mondo dalla Materia Oscura e che nonostante tutto continuava a combattere per un mondo migliore e a porgere la propria mano a chi ne aveva più bisogno. Anche a costo di sacrificare ciò che era un bene per lui; anche a costo di mettersi in mischia indossando un completo di spine. 

Eppure, anche lui aveva i suoi segreti: come ogni comune mortale, aveva qualcosa che non voleva mostrare. Per il bene di tutti o per il suo, non era dato saperlo. Ma era consapevole, che non era una cosa su cui poteva patteggiare. Continuando a guardarla negli occhi, toccò delicatamente la Sciarpa dell'Armonia che aveva indosso. Poi, chiuse gli occhi e mosse leggermente la testa verso destra. Nel gesto si inchinò in avanti. 

"La ringrazio per la sua preoccupazione, ma non lo farò": bastò quel portamento per comunicare questo messaggio alla dottoressa.

- ... capisco...

A quella risposta, la Gardevoir lasciò andare la mano sul cuore, facendola cadere lungo il suo fianco destro. Poi, si voltò indietro, dirigendosi all'uscita. Si fermò dopo aver fatto tre passi, indicando con quella stessa mano il paziente ancora in cura.

- Il ragazzo qui presente... - disse riferendosi a Kenji, - ha subito danni al Meisoku di entità fatali. Il suo corpo è ristabilito: a fatica, ma niente di fuori dalle mie competenze. Ci vorrà del tempo affinché si riprenda del tutto, soprattutto per le ossa che necessitano cure chirurgiche e lente. Purtroppo, non meno di trentadue giorni. 

Il periodo più lungo che il piccolo licantropo avesse mai sentito. Per un pokémon, un mese di recupero equivaleva a sei mesi umani. Tale era l'entità del danno subito dal Grovyle.

- Per quanto riguarda lei... il suo Meisoku si ristabilizzerà tra sette giorni. Per il resto...

Lasciò andare la mano, come la mano che non poteva più stringere la lenza che aveva tirato.

- Sono amaramente affranta... ma è fuori dalle mie capacità curare chi non vuol essere curato...

Dopo quella frase, Flor lasciò la stanza a mani giunte e a capo chino, facendo respiri lenti e sentendo un grosso peso sul suo petto. Era molto stanca, troppo triste per avere la forza di pensare alla bellezza del mondo. In quel pensiero lo era anche il piccolo licantropo. 

Era la prima volta che qualcuno scopriva quel segreto. Nemmeno l'abile Chansey di Brusilia ci era riuscita. Con tutto il tempo che era passato da quando aveva appreso lui stesso la firma nascosta della sciarpa non ci dava più ormai peso. Aveva fatto già pace con ciò, ma ora che aveva nuove responsabilità e nuovi legami l'anima all'interno del mortal guscio divenne di nuovo torbida di una mesta sensazione. 

Si incamminò all'uscita della stanza, lasciando socchiusa la porta come l'aveva trovata. Una volta superato il varco, si fermò. Mosse il volto in avanti, per poi chiudere gli occhi come una sorta di rassegnazione.

- Ora capisco perché ha bisbigliato...

Riaprì gli occhi, consapevole di dover affrontare una conversazione che voleva evitare a tutti i costi.

- Da quanto... sei qua?

Non si era accorto di niente. Il suo Meisoku, a causa dello scontro di ieri, era troppo instabile per poter esercitare le sue capacità percettive. Alla sua destra, vi era Setsukō Irūpa con le braccia incrociate. Aveva gli occhi chiusi e la schiena appoggiata al muro. Rimasero fermi in quella posizione per dieci secondi: per il piccolo licantropo, quel silenzio fu più eloquente di mille parole.

- Dall'inizio... eh? - disse, facendo uno sbuffo scocciato.

Un artiglio ghiacciato gli si ravvicinò sotto il mento. Era abbastanza vicino per poter decidere in pochi secondi il mutevole desiderio possibile di congelarlo vivo o tagliargli la faccia. 

Il Riolu rimase impassibile, con lo sguardo puntato verso un vuoto anteriore. Sembrava che al pokémon Emanazione non importasse niente. O meglio, riteneva inopportuno negare o confermare quello che la Gardevoir aveva bisbigliato all'orecchio.

- Deduco... che non sia servito a niente la sua discrezione, - uscì dalle sue labbra.

- Già. - commentò secca la felina, - ho sentito tutto.

Era veramente un pensiero inutile: il capitano del team AWD aveva con sé il segreto della sciarpa, quello stesso pezzo di puzzle che con tanta fatica il Riolu aveva cercato di nascondere.

Non era per cattiveria il motivo per cui l'aveva nascosto per tanto tempo; non era nemmeno questione di poca fiducia delle persone intorno a lui. Nonostante era ben consapevole di queste certezze, e ben conscio di essere in pace con sé stesso, non biasimava la reazione della felina. E nella sua colpevolezza egli non poté che essere molto onesto con sé stesso e con lei.

- Se vuoi punirmi per questo... hai tutto il diritto di farlo. - disse il Riolu con tono tranquillo, - me lo merito.

Parlò come il carcerato che aveva accettato la sua punizione, con la certezza di essere un imperdonabile mostro. Tale era il peccato nei loro confronti per il possessore della Sciarpa dell'Armonia. L'eroe di Borgo Quieto, colui che aveva debellato il mondo dalla Materia Oscura, era colpevole e si doveva punire per il suo reato nei confronti dei suoi compagni. Nella sua logica, non aveva modo di opporsi a quella punizione. 

La felina, tuttavia, chiuse gli occhi glaciali, e ritirò l'altrettanto gelido artiglio facendo sparire l'azzurro freddo delle nevi.

- Non sarei mai in grado di essere il tuo sceriffo. Io non potrei mai.

Nella sua mente, le immagini della sua vecchia amica Mienfoo scorsero nella sua testa.

- Sono... l'ultima persona a poterti dire qualcosa.

Il piccolo licantropo sbatté gli occhi incredulo. Oltre ad essere stato risparmiato nonostante a mani colte nel fango, la Lamartigli stava mostrando un lato che, se fosse stato ancora nel suo mondo, avrebbe definito molto umano. Era chiaro che non era l'unico, come il suo compagno Shinso, ad essere tormentato dal suo passato, ma mai si sarebbe aspettato di sentirsi salvo dalle grinfie del capitano del team AWD.

- E poi... posso capire perfettamente il motivo per cui non ci hai detto niente.

Un'espressione triste si stampò sul volto del Riolu. Solo a ricordare quel particolare sentì la malinconia e l'inferiorità di fronte al mondo prendere tutto il suo corpo. La felina distolse lo sguardo e si ripoggiò al muro. Puntò lo sguardo verso il basso, incrociando le braccia, e continuò a parlare a cuore aperto al capitano del team Skyriders.

- Il Meisoku che mi hai donato... è stato molto utile.

Il pokémon Emanazione, prevedendo il pericolo di Dingo, aveva deciso di donare una porzione in più della sua aura alla felina. Senza di esso, probabilmente non sarebbe mai sopravvissuta. Ella ne era perfettamente consapevole, e dall'alto del suo orgoglio riuscì ad ammettere a sé stessa che l'odiosa pantegana l'aveva aiutata molto. La conversazione risultò troppo strana per lui: non sembrava minimamente di stare parlando con il pokémon di ghiaccio.

- E... grazie per averci protetto, senza che noi ce ne accorgessimo, per tutta la missione.

Non capì quella frase all'inizio. Non riuscì immediatamente a comprendere il motivo per cui si trovò destabilizzato da quelle parole. Si girò verso di lei, guardandola come se dovesse avere capito ma ancora stava cercando la risposta. La felina aveva ancora gli occhi chiusi: era chiaro che si trattava di una rivelazione che il piccolo licantropo avrebbe dovuto trovare con facilità, che doveva essere ovvia per lui. 

Osservò il volto dell'orgogliosa ladra. Le sue parole corrispondevano al suo stato d'animo: non vi era rabbia nei confronti del piccolo licantropo per quel segreto. Invece, vi era pietà e tristezza, e la furia nascosta non era in lui ma verso sé stessa. 

Il Riolu spalancò gli occhi in sorpresa, quando riuscì a leggere completamente quelle linee meste dipinte sulla faccia della Lamartigli, tremando di fronte a ciò che ella aveva potuto riuscire a scoprire.

- T-tu...

- L'ho realizzato durante il combattimento contro quel viscido rettile.

Non ci voleva credere. Aveva fatto in modo che nessuno lo scoprisse. Doveva essere qualcosa che doveva rimanere celato. Fino all'ultimo sperò che non si trattasse di quel segreto.

- Il tuo God Gift... non prende il dolore e le ferite solo a tuo piacimento, quando ti fa comodo per usarlo per il Blue Dusk.

Perché ovvia era la ragione per cui doveva rimanere nascosto.

- Viene trasmesso a te, continuamente, in piccole parti, da parte di ogni portatore, fino a che non riprendi il Meisoku ceduto.

La vera identità del God Gift. Una verità non arrivabile tramite mezzi convenzionali, ma che si era comunque presentata all'attenzione di Setsukō Irūpa. Era stato il prezzo dell'ingente quantità di aura ceduta a lei: così come i suoi sensi erano collegati a lui, a sua volta parte dei sensi del Riolu erano stati inviati a lei, come i ricordi dell'Eroe di Borgo Quieto inerenti al suo incidente con Dedenne, quando egli l'aveva ferita per sbaglio durante l'allenamento con Mawile. 

Donando parte del suo Meisoku, Rukio incrementava le capacità fisiche difensive e la canalizzazione del Meisoku per gli attacchi con le persone con cui condivideva la sua aura, e allo stesso tempo mitigava il dolore e l'entità delle ferite subite da questi. Il danno mitigato, veniva riflesso nel corpo del portatore originale. Parte dei miracoli di vita e di morte avvenuti all'interno dell'Antro della Belva erano stati aiutati da questa prerogativa, ed era il meccanismo che permetteva a Rukio di equilibrare la sua forza esplosiva e di proteggere da danni ingenti lo stesso bersaglio dei suoi attacchi. Tutte queste informazioni erano pervenute al capitano del team AWD. Così come inevitabilmente il real volto di tale disciplina. 

Non era il dono di una divinità che rinvigoriva i propri fedeli; non era un miracolo che permetteva di sconfiggere le forze del male.

- Il vero nome della tua tecnica non è God Gift. Ma...

Ma quella di un piccolo uomo, che non riusciva a sopportare l'idea che i suoi compagni e le persone intorno a lui venissero ferite al posto suo.

- Godō Futōgi (*).

"Spirito indomabile della via del guardiano". Il piccolo licantropo aveva cercato di svilupparla, nella settimana di riposo dopo lo scontro con Slade, per permettere ai suoi compagni di poter combattere contro i portatori di Veloscuro, che si erano rivelati influenzabili solamente dal suo Meisoku. Donare la sua aura sembrava la soluzione più logica, ma non poteva fare in altro modo se non cedendo anche parte dei suoi sensi collegati al suo Konsoku. Era inevitabile che dunque avrebbe ricevuto anche il dolore subito dai riceventi come rinculo. 

Per un pokémon normale, questo sarebbe stato visto come un effetto collaterale. In sua determinazione, egli lo vide come effetto aggiuntivo, un modo concreto per proteggere i suoi amici anche quando per lui era fisicamente impossibile. Ma non poteva dire in alcun modo a nessuno questa seconda caratteristica: se fosse stata rivelata, era molto probabile che nessuno avrebbe accettato.

- Quello che sta facendo... sta alle due sponde di un fiume.

- Conoscendo la tua schifosa ingenuità... - continuò la Weavile, - è anche uno dei motivi per cui quel coccodrillo è sopravvissuto al tuo attacco, e hai riportato danni più gravi di lui.

Potendo inserire parti della sua anima nelle sue mosse, con lo stesso meccanismo poteva usare sia Gaia Force che Godō Futōgi. Non era necessario dire quali dei due avesse utilizzato nell'ultimo momento prima dell'utilizzo del Sōryūkinken contro Sobek. Il piccolo licantropo distolse lo sguardo, grattandosi la parte dietro della testa con la mano sinistra. 

Era molto preoccupato: palpitava con la stessa intensità di chi stava per ricevere una punizione dalla propria madre. La situazione era diventata difficile: se tale segreto si fosse venuto a sapere, avrebbe trovato delle difficoltà a continuare la missione. Nessuno sarebbe venuto in combattimento con lui, se alla fine chi rischiava davvero la vita era principalmente il Riolu. 

Quale vero amico avrebbe permesso al suo compagno di giochi di finire volontariamente in una situazione pericolosa? O, peggio, sarebbero andati loro stessi in situazioni pericolose senza l'aura di Rukio, al rischio di incontrare un portatore del Veloscuro e trovarsi incapaci, come Kenji e Shinso durante lo scontro con Slade. 

Cosa poteva fare? Ora era tutto nelle mani dell'orgogliosa felina, colei che non avrebbe mai accettato un aiuto simile dal suo rivale.

- (Non che qualcun altro lo accetterebbe... ) - Pensò il piccolo licantropo.

L'unica cosa che rimaneva a lui, era una sola. Si girò verso di lei, pronto a gettarsi tra i suoi artigli.

- Per favo-

- Non dirò niente.

Il Riolu si bloccò immediatamente, completamente paralizzato.

- E' impossibile che possa dire una cosa del genere.

Chiuse gli occhi, completamente rassegnata.

- E non sono stupida. Al momento, è la nostra unica carta contro questi abomini.

Gli riaprì fermi, determinati più che mai.

- Spero che tu ti renda conto che sei in debito con me. Se lo riterrò necessario, ti fermerò. Non esiterò un secondo a spiattellare tutto. E tu mi dovrai dare ascolto. Intesi?

Non poteva dire niente. Non vi erano giri di parole fattibili; non vi erano appelli accorati; non vi era rabbia da sormontare qualunque avversità del destino. Tra senso di colpevolezza e lucidità adulta, sapeva di non poter controbattere contro il secondo capitano della missione Veloscuro.

 Piegò la testa verso il basso lentamente, mostrando un procinto di inchino.

- Sissignora... - uscì dalle sue labbra, senza alcuna obiezione nel suo tono.

La Lamartigli aveva sempre avuto quel senso che molte femmine avevano ma non sapevano di avere. Si comportava in quel modo con Drapion e Arbok, e loro due la seguivano senza battare ciglio, sapendo quanto ci tenesse a loro nonostante la sua dura scorza. Vedersi in un ruolo simile con il piccolo licantropo, contro il suo giurato rivale, la fece sentire strana. Così come il Riolu, ora, sarebbe stata legata a lei in dipendenza, lo sarebbe stato anche lei nel medesimo sentimento. 

Era inevitabile: nonostante tutto quello che era successo, ella sapeva di essere ancora inferiore a lui. 

Quale determinazione ci voleva per prendersi il dolore altrui come se niente fosse? Quale per cercare di comprendere la cattiveria altrui e salvarla? Quale per mettersi in gioco in ogni ora, in ogni minuto e in ogni secondo della propria esistenza, per il raggiungimento di un'utopia? Aveva anche lei un ambizione simile? Aveva anche lei modo di realizzarla? Era troppo debole? O, come pensava, non stava ancora facendo tutto il possibile? 

In tali domande, la felina si allontanò da lui, dirigendosi verso la stanza in cui veniva tenuta a riposo. In quel movimento, il piccolo licantropo rimase con il capo chino per tutto il tempo. Ella si fermò dopo aver compiuto sedici passi.

- Te lo prometto.

Il piccolo licantropo rialzò lo sguardo, puntandolo verso la Lamartigli.

- Non starò più nella tua ombra. Farò in modo di diventare più forte...

E più che giurarlo a lui, cercò di giurarlo a sé stessa.

- Così non sentirai più il bisogno di difenderci.

Dopo quella frase, si allontanò. 

Nascosto in una stanza nei loro pressi, tra le ombre, vi stava il ninja di Neronotte.

*******************************NOTE DELL'AUTORE*******************************

- Explaining:

- Legenda:
Dios mios este bruto: mio dio questo stupido.
Estela: stella.
Godō Futōgi (護道不撓気): Spirito indomabile della via del guardiano.

-F.A.Q.

- Curiosità

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