4.

«Tessa», chiamo la mia compagna di stanza –ancora per poco– distesa sull'altro letto con delle cuffiette nelle orecchie.

Sembra proprio non mi voglia ascoltare.

Non risponde, anzi, continua a dondolare la testa a tempo di musica.

«Tessa!» Alzo la voce guadagnandomi uno sguardo ostile da parte sua.

Almeno mi ha sentita...

«Che vuoi?» chiede burbera. Sembra sprizzare acidità da tutti i pori oggi...

Non che gli altri giorni non lo faccia.

Sospiro già infastidita per il suo atteggiamento. «Allora a te va bene? Non che debba avere la tua approvazione, ma vorrei saperlo.»

«Che cosa?» Aggrotta le sopracciglia come se non ci arrivasse davvero.

È rimbambita?

«Te l'ho spiegato ieri sera», le ricordo annoiata, ma lei pare ancora non capire.

Restiamo un attimo in silenzio, a debita distanza. Dopodiché, mentre allungo lo sguardo da un'altra parte, scoppia a ridere e non posso non notare il suo dente sporco di rossetto.

Imbarazzante.

«Aria davvero mi hai rivolto la parola ieri sera? Ero fatta, cosa vuoi che mi ricordi?» Sbuffa.

«Be', quando potrei parlartene? Sei sempre fuori e quando torni sei in quello stato», le spiego con finta tranquillità, cercando di essere il più cordiale possibile.

«Tipo adesso?» domanda con sarcasmo, come se mi ritenesse una cogliona.

La detesto. Vorrei ricavare una pentola, stile Rapunzel, per farla chetare certe volte.

«Ti ho detto che domani quasi sicuramente cambio camera. Me l'ha proposto una ragazza che non si sta trovando bene con la sua compagna di stanza. Le faccio questo favore», ripeto questa mezza verità, anche perché sinceramente non vedo l'ora di togliermi da questo buco grigio. «Volevo solo sapere se per te fosse un problema», continuo con un po' di timore.

Una piccola parte di me ha paura che inizi a fare scenate. Ma proprio una parte piccola piccola.

Sebbene sappia per certo che non gliene frega un cazzo di me.

Tessa mi scruta per un attimo, come se dovesse ragionare ancora un po' sulle frasi che ho esposto.
Successivamente ridacchia. «Solo questo? Da come mi hai parlato prima pensavo fosse importante.»

«Non lo è?» Sono leggermente offesa. Mi illudevo che un minimo di interesse ci fosse, ma dalla sua faccia sembra che non veda l'ora che mi tolga dai piedi.

«Aria puoi fare quello che vuoi.»

«Ok...» mugugno.

Lei mi fissa con circospezione per un altro po', ma poi espira facendomi un cenno con la testa. «Adesso mi dovrei vedere con uno. Tu devi uscire giusto?» chiede con finta innocenza, alzandosi dal letto. Si sgranchisce le gambe e la braccia tatuate mentre aspetta un cenno da parte mia.

In sintesi vuole che me ne vada al più presto perché deve scopare come un coniglio.

Sai che bello baciare una con il rossetto tra i denti...

Sorrido provando a non farle notare il mio fastidio. «Sì me ne vado, tanto ho un colloquio», scandisco indirizzandomi verso l'attaccapanni, dove è appoggiato il mio giubbotto nero.

Lo indosso pronta a uscire una buona volta di lì.

«Bene. A dopo, sempre se ci sarai.»

«Ci sarò, me ne vado domani.»

«Cerca di tornare non prima di un'ora...» Cerca di dire ma io ho già sbattuto la porta.

Ma dimmi te se devo rispettare sempre i suoi orari di merda.

Lei e quella sciarpa rossa possano andare direttamente a fanculo.

Ne ho abbastanza.

Dio... grazie Samantha che vuoi fare a cambio di stanza.

Se ieri ero un po' timorosa per ciò che mi aveva proposto, adesso correrei più veloce di Speedy Gonzales per arrivare da Emily.

Però che odio mamma mia!

Gliene urlerei di santa ragione, ma purtroppo non ci riesco. Forse per timidezza, per debolezza?

O un mix di entrambe le cose.

Fatto sta che purtroppo mi trattengo per paura di far intendere ciò che penso, anche quando non ce n'è alcun bisogno.

Esco dalle camerate sentendo il vento gelido accarezzarmi la pelle. Cammino per le strade innevate sorridendo a tutta la bellezza che mi circonda.

Ma dopo un po' mi faccio forza prendendo il cellulare.

Digito il numero, che ormai so a memoria, e aspetto pazientemente una risposta da parte di Mrs. Ivory.

Il tempo d'attesa sembra infinito, ma fortunatamente dopo un po' risponde.

«Pronto?» La sua voce mi risuona nell'orecchio procurandomi un'ondata di sollievo.

Sembra tranquilla.

«Salve», la saluto in un mormorio facendo attenzione a non scivolare su questo tratto di strada ghiacciato.

«Ciao Aria tutto bene?» mi domanda come sempre.
È così gentile come me...

Probabilmente le fo pena.

«Sì sto bene. Voi?» chiedo tentennando un attimo.

«Direi tutto apposto. Oggi è più solare. Lo è sempre quando nevica», mi spiega, riferendosi a mia madre. Sorrido.

Successivamente sento proprio la voce di quest'ultima, difatti Mrs. Ivory prontamente le sussurra. «Aspetta un attimo Anne. Sono con una mia amica.»

Una sua amica...

«Nevica?» Ovviamente la mia, come sempre, è una domanda stupida.

Me lo ha appena detto... che deficiente.

Però, anche questa volta, mi risponde calorosamente. «Sì! Devi vedere che bello il vostre giardino. Vero Anne?» Si rivolge a mia madre che risponde, ma non riesco a udirla bene.

Come se non bastasse per colpa della malattia le sue frasi stanno diventando pian piano sempre più incomprensibili.

E fa male.

«Semmai portala un po' fuori», le propongo col fiato sospeso e un vuoto allo stomaco che ormai conosco perfettamente.

Mia mamma adorava stare all'aria aperta, proprio come me.

Percepisco un suono sinistro, come se iniziassi a perdere la linea, ma poi ribatte. «Ci siamo già state stamani, dopo che il dottore l'ha visitata. Tutto bene tranquilla», mi rassicura subito dopo, visto che ormai mi conosce abbastanza da stabilire che quando comincia a parlare di fatti medici la mia ansia assale.

«A proposito. Le hai dato tutte le medicine anche oggi giusto?»

«Ovvio. Due pasticche di Neuralex e il Sedanam gocce. Gli integratori per l'ansia non l'ha presi perché ripeto, oggi è molto tranquilla», replica la badante con dolcezza.

Fremo impercettibilmente. «Non so davvero come ringraziarla. Per tutto», ribadisco ogni volta che la sento.

«Dammi del tu», prorompe duramente facendomi sorridere.

«Sì. Scusa.» Ridacchio però nel momento successivo divento nuovamente seria, ascoltando la sua voce delicata.

«Aria devi stare tranquilla. È il mio lavoro e lo faccio con piacere, non devi assolutamente preoccuparti. Noi stiamo bene, lo sapresti se non fosse così.»

«Sono anche in ritardo con il pagamento...» mormoro con la voce che trapela leggermente e la vergogna che prende il sopravvento.

Purtroppo la borsa di studio e i risparmi che avevo non bastano per mantenermi al college e per pagare le spese verso mia madre.
Sono in debito con lei e questa situazione mi disarma... non posso evitare di ammetterlo. Perché se un giorno Mrs. Ivory decidesse di andarsene io non saprei davvero come comportarmi.

Dio... non ci voglio nemmeno pensare.

«Aria non preoc...» ma io la interrompo.

Alzo gli occhi al cielo. «Lo so lo so, non devo preoccuparmi e che posso pagarti quando voglio e bla bla bla... Ma a me dispiace. In ogni caso sto andando adesso a un colloquio di lavoro. Speriamo bene.»

«Speriamo tesoro, ho fiducia in te. Sei una ragazza piena di risorse», mi elogia anche se io stessa stento a crederci.

Nonostante questo la ringrazio per la sua dolcezza che ha nei miei confronti.

Restiamo un attimo in silenzio, ma poi la prima a parlare è proprio lei.

«La vuoi salutare?» tentenna facendomi battere più velocemente il cuore.

Resto in apnea per un attimo non sapendo effettivamente cosa fare, ma poi espiro lentamente scuotendo la testa, anche se non può scorgermi.

Mia madre con la malattia che tiene non mi riconosce nemmeno, quindi a che servirebbe?

Mi farei semplicemente dell'ulteriore male.

«Non me la sento», mugugno incapace di proferire altro.

Dovrei sentirmi sollevata, ma ciò che provo è solo imbarazzo e senso di colpa.
Perché sono una codarda che non ha nemmeno il coraggio di fare una conversazione con mia madre.

«Va bene Aria. Ci vediamo a Natale quindi?»

«Sì vengo», sussurro per poi salutarla e riattaccare.

               •••••••••••••••••••

Già l'insegna fa cagare.

Questo locale in foto non era niente male, ma adesso, vedendolo dal vivo, sembra un fast food per gente poco raccomandabile.

Mi ostino a pensare che ciò che ho visto su internet sia un altro posto, ma l'indirizzo è proprio questo.

Brutto segno.

Sto quasi per scappare a gambe levate, però avevo già chiamato per questo colloquio. Mi sembra davvero irrispettoso non presentarmi neanche.

Sospiro esausta ma poi decido di varcare quella soglia mezza rotta.

Se l'esterno era brutto l'interno è ancora peggio. Mensole sudice, tavoli sparecchiati e quel nauseante odore di fritto...
Cavolo, internet imbroglia proprio certe volte.

C'è solamente una coppia di clienti seduta in fondo al locale. Sembrano due benzinai, date le loro divise sporche di olio. Stanno mangiando entrambi un panino super farcito, ridendo in modo sguaiato.

Come diamine ci sono finita qui?!

Eppure non sono nemmeno una ragazza perfettina, ma cavolo, non che voglia essere scortese... però questo posto fa veramente schifo.

Compio una smorfia arrivando al bancone. C'è un uomo sulla sessantina pronto a servire qualcuno. Ha una folta barba e la sua maglietta grigia fa vedere tutto il sudore che si porta appresso.

Il signore dai capelli brizzolati mi squadra per un attimo per poi cominciare a parlare con la voce mezza rauca. «Hamburger? Cheeseburger? Patatine? Birra?...» Provo a interromperlo con un cenno della mano, ma non si ferma. «Pepsi? Onion rings?»

«Ehm... no. Sarei venuta qui per quel famoso colloquio, non so se ricorda...» spiego con imbarazzo.

Mi squadra un'altra volta, questa volta più sfacciatamente e con evidente stupore. «Tu?»
È allibito.

Che imbarazzo.

Annuisco cercando di non occhieggiare ancora la sua maglietta sudata.

Bleah...

«Bene, sei assunta. Non me ne frega nulla se farai pena qua alla cassa. Con questo bel faccino sicuramente avremmo più clientela», prosegue con il suo discorso confondendomi.

Quest'uomo parla più di me, il che è preoccupante.

Lo blocco un'ennesima volta con una smorfia sul viso. «Purtroppo devo denegare l'offerta. Il posto è carino, ma purtroppo non è il mio stile. In più è un po' scomodo data la lontananza da casa mia. Mi dispiace», mento spudoratamente facendogli un mezzo sorriso intimorito.

La sua espressione cambia in un nano secondo.
È deluso, e per un attimo mi sento davvero in colpa.

Nonostante questo cerca di essere felice ugualmente. «Ah va bene. Sinceramente mi sembrava un sogno che una ragazza così bella si presentasse qua. In ogni caso hai il mio numero. Se cambiassi idea me fammelo sapere.»

Giammai...

«Certamente. Buona giornata!» Lo saluta sbrigativa e mentre lui ricambia esco da questo posto infernale.

Un altro locale andato.

Sbuffo scocciata. Ma perché nei film le ragazze del college trovano qualsiasi lavoro subito? Rendendolo così facile?

Perché la mia vita è sempre così piena di sfiga?

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