50.

È davvero possibile
dire a qualcun altro
come ci si sente?
Lev Tolstoj

Il vento gelido mi arruffa i capelli, appena metto piedi fuori dall'università.
Mi stringo il più possibile nel giubbotto, iniziando a percorrere il tratto di gaia per tornare verso i dormitori.

Percepisco il telefono vibrare così lo afferro celermente per scoprire chi mi ha contattato.
Le mani mi tremano appena lo sblocco e quando noto che il mittente è Liam, il cuore accelera, dettato dalle emozioni che quel ragazzo mi procura... anche a distanza.

Da Liam: Ci saresti mercoledì? So che Samantha ha solo due ore di lezione. Gliene potremmo parlare a fine mattinata...

Rabbrividisco, ma mi impongo di non cedere alla paura e di acconsentire.
Sam ha bisogno di sapere tutto quanto. Ogni sentimenti che provo per, ormai, il suo ex.

Rispondo in modo alquanto frenetico, con le dita che fanno quasi male dal freddo.

Da me: Va benissimo. Prima è meglio è. Non ce la faccio a tenermi tutto dentro.

Ed è vero, credo che non ci sia situazione più straziante di vederla piangere, distesa sul letto accanto al mio.

La sua risposta arriva in un nano secondo.

Da Liam: Anche io piccola. Ti scrivo dopo.

Sorrido per quel nomignolo, riponendo poi il cellulare in tasca.

Le mie falcate sono energiche, mentre rifletto su tutta la mattinata che ho affrontato.

Oggi avevo come prima ora sociologia e penso sia stata la lezione più terribile di tutto quest'anno.
Vedere Richard arrivare, ancora con l'occhio gonfio, mi ha percosso. E osservarlo lanciare varie occhiate sprezzanti sulla mia figura non ha affievolito il mio stato d'animo.

Ci sto male a vederlo così, ma lui sembra non capirlo. Mi considera solamente una stronza che ha giocato con i suoi sentimenti.

Be', questo è forse l'unico fatto dove non sono d'accordo.
So che può sembrare il contrario, ma non l'ho preso in giro. Mai.
Tutto ciò che ho vissuto con lui era vero. E mi piaceva.
Perciò non poter star più in compagnia di questo ragazzo meraviglioso ed essere conscia di tale lontananza mi duole.
Probabilmente dovevo comprenderlo fin da subito che per me c'era solo un forte amicizia... niente di più. Almeno non saremmo arrivati a tutto ciò.

Spero davvero che un giorno potrà perdonarci.

Sia a me che a Liam.

Come se tutto ciò non fosse abbastanza, nell'istante in cui sto per uscire dal parco della struttura, scorgo Samantha e Aria sedute sull'erba.

Sto per procedere spedita, ma sfortunatamente la castana mi ha già notato, facendomi segno di raggiungerla.

Sono tentata di scappare, ma so che sarebbe un po' ambiguo, perciò mi costringo ad andare da loro.

Più mi avvicino, più non mi capacito del fatto che Samantha stia fumando.

Mi siedo vicino a loro guardando la castana di sbieco ispirare dalla sigaretta, assorta tra i suoi pensieri.

Non l'ho mai vista farlo.

«Non sapevo fumassi», apro bocca lanciando un'occhiata ad Aria che però non ha intenzione di contraccambiare.

Sam gira gli occhi su di me. Due occhi spenti. «Solo quando sono stressata. Vuoi che mi allontani un po'?» chiede sapendo quanto mi dà fastidio l'odore del tabacco.

Nego, ma non approfondisco il discorso. So già il motivo per la quale è stressata.

Rimaniamo un altro po' in silenzio.
A quanto pare nessuno ha voglia di iniziare un discorso.
Sam continua a guardare davanti a sé, mentre Aria non ho idea di cosa le passa per la testa, ma ha un'espressione torva da quando ho messo piede qui.

Inizio a sentirmi realmente a disagio, a tal punto che devo per forza dire qualcosa. «Come state?»

Che domanda di merda.

Mi maledico mentalmente, ma Samantha, non aspettandomelo, mi sorride. Aria invece rimane zitta girando lo sguardo.
Il suo atteggiamento sta iniziando a infastidirmi.

Sam spegne la sigaretta prima di rispondermi. «Potrebbe andar meglio.»

Mi mordo il labbro, incapace di proseguire la frase.
Non so mai come consolare qualcuno, figuriamoci lei.

«Ehm... capisco», borbotto.

Lei si volta fissandomi. «Anche tu hai vissuto una rottura? Ricordo che me l'avevi accennato» mi domanda cogliendomi alla sprovvista. Allungo lo sguardo e osservo Aria alla prese con il suo telefono. A quanto pare non vuole proprio aiutarmi.

«S-sì», mormoro in ansia, mentre la castana continua a scrutarmi.

Dopodiché sospira affranta. «E come hai fatto a superarla?»

Sento il cuore pompare dal nervosismo, ma tento comunque di stare tranquilla e rispondere. «Non l'ho superata.»

Forse questa è l'unica frase veritiera che le ho proferito da quando sono arrivata qua.

E mi piange il cuore per questo.

Sento Aria sbuffare impercettibilmente. Sam si gira nuovamente e rimaniamo in quiete. Di nuovo. E comprendo che il nostro rapporto si è già complicato, seppure Samantha non sappia ancora nulla.

Posso solo immaginare il dopo.

Corrono attimi di mutismo, che mi fanno quasi cedere e scappare da loro, ma fortunatamente a prendere parola è di nuovo Samantha.

«Mi hanno preso come cheerleader», annuncia in modo esageratamente apatico.

Le sorrido, Aria invece resta china sul suo telefono, a tal punto che glielo vorrei strappare di mano e lanciarlo il più lontano possibile.
«È una notizia meravigliosa», mi congratulo.

Cerca di ricambiare il sorriso. «Dovrei esserne felice, la capitana è anche una ragazza d'oro però, non so...»

«Cosa?» chiedo cautamente.

«Questo significa che dovrò vedere Liam spesso il che rende tutto più... difficile», spiega con sguardo perso.

Sto per rispondere sin quando a parlare è finalmente Aria. «Te l'ho già detto. Inizia a fregartene.»

Sam sbuffa. «Fosse facile.»

«Più ci pensi peggio è. Non ti merita, credimi», le assicura lanciandomi per la prima volta uno sguardo.

Samantha resta zitta per un po', dopodiché si alza. «Adesso ho lezione. Ci si vede», sibila monocorde. Vedo Aria scattare su.

«Anche io.» Ma prima che se ne vada la blocco.

«Aria ti posso parlare un minuto?» Lei sembra vacillare, mentre l'altra ragazza ci guarda interrogative.

La castana resta un secondo lì perplessa, ma poi si arrende.«In ogni caso io devo scappare», aggiunge partendo in quarta.

Aspetto che Samantha si allontani per poi voltarmi verso Aria, ancora in piedi, che non ha, al momento, il coraggio di guardarmi.

«Per favore puoi smetterla di fare così?» la prego iniziando a sentire un forte peso sul petto.

«E cosa dovrei fare? Sentiamo» domanda con una nota di acidità, facendomi alterare.

«Dici tanto di essere mia amica, di sostenermi. Ma tutto ciò che fai è andarmi contro», rispondo a tono, delusa.

La vedo scattare per terra, sin troppo vicino a me. «Certo!» esclama in modo sarcastico. «Devo stare ogni giorno a consolare Sam, sapendo già di non poter far niente per migliorare questa situazione e dovrei pure stare dalla tua parte?»

La guardo male, adesso mi ha stufato. «Pensi che io non stia soffrendo?! Cazzo, lo so di aver sbagliato! Ma è inutile che così, a un tratto, inizi a comportarti così severamente con me.
Conoscevi già come andava a finire, sei stata la prima a saperlo. Di già ho mille problemi, non sopporterei anche questo.»

Lei sembra incazzarsi ancora di più. «È proprio questo che non sopporto! Emily tu non hai una minima idea di quelli che si chiamano problemi! Fortunatamente aggiungerei. Stai solamente allargando questo fatto. Che potrebbe essersi risolto da tempo se le avessi parlato all'inizio.»

Alzo gli occhi al cielo. «Questo non è un problema secondo te?!»

«No! Per niente. Te lo ripeto: stai esageratamente allargando la cosa», sibila sprezzante. «C'è gente che vive molto peggio, ma nonostante questo non si abbatte e continua a sorridere. Bisogna affrontarle queste cose, non allontanarci da esse facendo finta che non esistono.»

Scuoto la testa imperterrita. «Facile detto da te che non stai vivendo tutto questo! Io mi sento male ogni volta che poso lo sguardo su Samantha, figuriamoci rivelarle una batosta del genere!»

Sbuffa. «Facile detto da me?! Forse perché mi hai visto sempre sorridente? Fidati Emily, di problemi ne ho pure io, ma a differenza tua cerco di affrontarli.» È esausta e resto a bocca aperta nel momento in cui una lacrima le riga il volto.

Fremo sul posto quando capisco che in realtà non sta per niente bene. «Aria che hai fatto?»

Si asciuga le lacrime con il dorso della mano. «Cerco sempre di essere positiva, ma a volte diventa impossibile. Se sono così di cattivo umore non è per tutto questo.»

Inspiro di scatto. «P-per tuo padre?» tento di chiedere. Lei mi guarda e altre lacrime iniziano a scivolare sui suoi zigomi.
Non l'ho mai vista così e fa davvero male.

È proprio vero che a volte le persone all'apparenza forti, sono quelle che soffrono di più.

«Mi padre non è morto... almeno, non lo so», mormora e io non comprendo.

«In che senso?»

«È scomparso da quando mia madre si è ammalata. Ha una forma di Alzheimer e a quanto pare mio padre non si è preso la briga di mantenerci. È fuggito senza dire nulla quando avevo solamente quindici anni», tentenna raccontandomi la sua storia allucinante.

Sento pizzicare gli occhi, ma mi costringo a non cedere, continuando ad ascoltarla.

I suoi singhiozzi mi percuotono. «S-se in questo periodo mi vedi un po' giu è solamente per paura. Ho già perso t-tutto quanto, non voglio perdere a-anche il nostro rapporto», si sfoga e senza un minimo di controllo inizio a piangere insieme a lei.

Si copre il volto con le mani iniziando a tremare. «Non si ricorda nemmeno il mio nome», sussurra riferendosi a sua madre.

Oh mio Dio.

Senza aspettare altro mi allungo verso di lei stringendola fra le mie braccia, cercando di darle un po' del mio affetto. Lei continua a singhiozzare sulla mia spalla.
«Mi dispiace tantissimo Ari. È terribile», bisbiglio accarezzandola per poi stringerla ancora più forte.

«Scusami, n-non volevo prendermela c-con te.»

«Non ci provare nemmeno a scusarti», l'ammonisco subito.

«H-ho solo paura di q-quello che succederà. S-sapere cha tra u-un po' Sam non ci parlerà più m-mi devasta. V-voi siete le uniche p-persone che ho», mi rivela facendomi venire il magone.

Calde lacrime scivolano dai miei occhi incastrandosi con le sue. «Tu non mi perderai mai.»

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