46.

Liam:

Camminai a passi svelti, lungo il piccolo sentiero ricco di sassi.

Scrocchiai le dita nel momento in cui intravidi varie lapidi, contornate dall'erba secca e dal vento fresco che mi accarezzava la pelle.

Andai dritto per la mia strada sapendo già dove si trovava la tomba di mia madre.
Seppure non venga qua tante volte, avevo già impresso a mente l'esatto punto in cui ergeva.

Mi diressi spedito cercando di non crollare per tutti i pensieri che mi volgevano in testa, iniziando a respirare leggermente più veloce.

Oggi sono esattamente due anni che mia madre non c'è più.
Due anni dopo che il cancro me l'ha portata via.

Da un lato però mi rassicurava che non fosse più qui a soffrire in un modo disumano.
Perché il suo patire mi faceva ammattire.

Udii dei passi dietro di me, ma non mi voltai. Perché sapevo già di chi si trattava.

Appena captai quella pietra sepolcrale il cuore sembrò cessare di battere.
Ma non mi arresi e continuai a indirizzarmi lì.

Ogni movimento più veloce, ogni respiro più soffocato.

La prima cosa che notai erano dei fiori. Decine di bouquet appoggiati vicino alla sua foto. Ce n'erano di tutti i tipi, ma non ebbi idea di chi potesse averli portati.

Io non l'avevo mai fatto. Semplicemente perché non ci credevo, non ci credevo che potesse vederli.

Ci aveva lasciato.

E non era più qui con me.

Quindi a cosa potevano servire dei cazzo di fiori?

Non parlai con la lapide come fanno in molti. No, non lo feci. Perché lei non poteva sentirmi.

Ci aveva lasciato.

E non era più qui con me.

Mi stupii anche del fatto che fossi lì.

Il tempo sembrava essersi fermato, mentre continuavo a fissare la sua dolce foto un po' sbiadita.
Era la sua preferita.
Se l'era fatta scattare da mia sorella perché, dopo tanto tempo, si sentiva veramente bella. E non parlo solo di estetica.
Era felice e il suo sorriso le illuminava lo sguardo rendendola paradisiaca.

Quella sera rimarrà impressa nella mia mente per sempre.
Era l'anniversario di matrimonio di lei e mio padre e tutti insieme eravamo andati a festeggiarlo in un ristorante raffinato.

Si era messa un vestito nuovo, elegantissimo, e mio padre l'aveva elogiata con tantissimi complimenti.
Complimenti detti dal profondo del cuore.

Perché si amavano. Da morire.
E non c'era cosa più appagante di vederli in sintonia.

Sembrai assente, apatico, mentre i pensieri frusciavano nella mia mente.
All'apparenza freddo, ma in realtà era come se un fuoco mi stesse bruciando da capo a piedi.

Riducendomi in cenere.

Ma, come sempre, un delizioso torpore sembrò riportarmi alla realtà.

Due soffici braccia mi circondarono da dietro la vita, facendomi formicolare interamente, e la sue testa si appoggiò sulla mia schiena proteggendomi in un qualche modo.

Depositai le mie mani sopra alle sue, iniziando ad accarezzarle ed Emily si strinse ancora di più a me, per quanto possibile.

La sua presenza mi rasserenava, ogni dannata volta. E non sapevo se esserne impaurito.
Seppure stavano insieme da pochi mesi, mi sembrava di conoscerla da una vita.

Mi voltai verso di lei, in cerca dei suoi occhi che ogni volta mi calmavano. Mi sorrise fievolmente per poi abbracciarmi nuovamente appoggiando questa volta la testa sul mio petto.

La circondai con le mie braccia, ma non proferii parola. Adesso quello che mi serviva era solo un briciolo della sua compagnia.

Passarono attimi di silenzio, entrambi imbambolati a guardare la foto di mia madre.

Clary Brooks
02/15/1971 – 05/27/2013

«È bellissima», prese parola la mia ragazza, guardandomi di sfuggita. Io non risposi così continuò. «Perché non mi parli un po' di lei?»

«Cosa vuoi sapere?» le chiesi con un lieve sorriso, sorprendendomi ogni volta delle sue continue domande. Ma non mi davano fastidio, anzi, tutto il contrario.

Ricambiò il sorriso. «Cosa le piaceva fare?» domandò e io, senza starci un attimo a pensare, le risposi.

«Cucinare. Preparava di tutto.»
Ricordai mia madre ai fornelli che mi viziava con i suoi piatti deliziosi e il mio petto si strinse dall'angoscia.

«Vorrei aver assaggiato qualcosa allora. Golosa come sono...» ridacchiò riportandomi alla realtà.

«Avresti adorato la sua zuppa di carote... altro che la mia», scherzai ridacchiando leggermente, sentendo il peso al petto pian piano dissolversi.

Questa ragazza mi faceva bene all'anima.

«Nah, impossibile. La tua rimarrà per sempre la mia preferita.»

Non potetti fare a meno di sorriderle di nuovo, gesto che lei ricambiò al più presto.

Merda era proprio cotto.

Innamorato della sua dolcezza. Del suo buon animo.

Riportai lo sguardo su quei soffici petali che contornavano quella tomba oscura e dopo un lungo silenzio, decisi di confidarmi. «Mi manca un sacco.»

La sua espressione cambiò appena sentì la mia voce spezzata. «Perché non proviamo a rendere questo giorno un po' meno terribile? A tua mamma strazierebbe vederti patire...» provò a mormorare.

«Cosa intendi fare?»

«Non saprei... un giro in macchina, andare in centro, al luna park... qualsiasi cosa soltanto per risollevarti un po' il morale», cercò di rasserenarmi alzando lo sguardo per poi riappoggiare la testa sul mio petto.

«Penso sia fattibile», borbottai e sono convinto che la sentii fremere accanto a me.

La fissai e la vidi mordersi il labbro. «Tua madre sarebbe fiera di te per ciò che stai compiendo.»

Sbuffai. «Mh, non credo.» Lei sembrò allibita.

«Non credi?!» sbarrò gli occhi. «Liam stai facendo un percorso di studi strabiliante, con una media altissima, seppure tu sia molto impegnato con il football. Hai appena vinto cinque gare di seguito, badi alla tua famiglia, ti prendi cura della casa.
Con la tua intelligenza hai creato un sacco di amicizie, sei riuscito a farti amare dalla ragazza più incasinata della terra...»

Mi congelai appena sentii l'ultima frase. «Cosa hai detto?» inspirai di scatto, colto alla sprovvista e sembrò riscuotersi anche lei recependo ciò che aveva appena fatto uscire dalla sua bocca perfetta.

Era stupita e abbastanza intimidita, ma subito dopo sembrò ricomporsi. «Liam...»

Avevo il cuore in gola, ma cercai comunque di sibilare qualcosa. «Emily...»

Respirò profondamente prima di mormorare la frase che mi fece fluttuare, sentendomi in un altro pianeta. «Ti amo.»

Spalancai la bocca allibito, ascoltando il cuore pompare a un ritmo estenuante.
Subito dopo però mi ricomposi.

Senza un minimo di controllo la presi per le guance e mi fiondai sulle sue labbra rosee e piene.

La baciai con passione, intrecciando le mie dita tra i suoi capelli.
Non stavo pensando ad altro se non a lei.

A lei, a lei, a lei.

«Ti amo», le dissi tra un bacio e l'altro, sopraffatto dalle emozioni, incantato dalla sua figura.
«Non sai quanto cazzo», continuai per poi incollare nuovamente la sua bocca con la mia.

Dopo un infinità di carezze, di baci rubati e gemiti ingoiati ci staccammo sentendo l'affanno incomberci.

Sorrisi a trentadue denti e lei mi seguì a ruota.
Con le mani accarezzai tutto il suo viso... la fronte incollata alla sua.

E a un millimetro dalla sua bocca pronunciai la frase che mai mi sarei aspettato di poter anche solo pensare.
«Hai reso questo giorno di merda il più bello della mia vita.»

Mi alzo di scatto dal letto, sentendo la testa pulsare per questo risveglio.

Mugolo dal fastidio e inizio a massaggiarmi celermente le tempie, con gli occhi ancora mezzi chiusi.

Ma che cazzo...

Quel ricordo è ancora vivido dentro di me e mi ricordo ancora a memoria ogni gesto e ogni frase, ma mai mi sarei aspettato di sognarlo.

Mi stendo nuovamente sul letto percependo la pelle leggermente sudata.

Sembro morto, mentre non mi capacito di ciò che ho sognato.
Fermo, con gli occhi che guardano il soffitto e il cuore che batte ancora veloce.

Lei mi ha ammaliato.

E appena mi accorgo che questi battiti frenetici sono causati dal suo corpo, dalla sua voce, dalle emozioni che mi ha fatto provare e dagli sguardi che mi ha riserbato, non posso fare a meno di sorridere.

E devo tapparmi la bocca con la mano per cercare di smetterla.

Anche se al momento sembra impossibile.

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