57. Altre strade - Other ways

Roxen era rimasta fuori in veranda. Il freddo non lo avvertiva neanche più sulla pelle. Pensava e ripensava alle parole di Alexander: Se muori, muoio con te.

Inizialmente la storia del legame del Sangue di Rosa le era apparsa quasi romantica: aveva l'esempio di Sara e Lionel davanti agli occhi e le sembravano così dolci insieme, così perfetti l'uno per l'altra. Con Alexander era diverso, non sapeva bene quali fossero i propri sentimenti nei suoi confronti, e non conosceva neanche quelli di lui. Però erano così simili, così soli, che l'idea di avere qualcuno che la comprendesse più di altri le aveva fatto mettere da parte l'astio per i vampiri e nutrire fiducia in lui. Si era lasciata andare e si era trovata a essere vulnerabile ogni volta che le era accanto. Lei così orgogliosa che mai avrebbe fatto affidamento su un'altra persona, si sentiva sempre protetta quando c'era lui, per cui la scoperta di poter morire se l'altro moriva, di essere collegati a un punto tale da dover condividere la vita, la fece sentire in gabbia.

A diciotto anni non si poteva avere già il destino scritto, pensò amareggiata e la rabbia ricominciò a montarle dentro il petto. "Tutta colpa di Origine!" si strinse le braccia attorno al corpo e si fece scivolare contro la parete della veranda, rannicchiando le ginocchia al petto e mordendosi il labbro per trattenere le lacrime. Doveva incolpare qualcuno, qualcosa per quello che le era accaduto e le stava accadendo: se la Minaccia Primordiale non avesse deciso di gettare i mondi nel caos, lei e Alexander non si sarebbero mai incontrati e non avrebbero mai scoperto di essere così irrimediabilmente legati. Ognuno per la propria strada, come prima di quella notte a scuola.

Sentiva il profondo desiderio di scappare lontano, lontano da tutto quello, lontano dalla sua vita. Il cuore non aveva diminuito la sua velocità, anzi sembrava accelerare ogni secondo che passava e avvertiva questo formicolio come se il petto fosse traboccante di rabbia e angoscia. Non voleva. Singhiozzò cercando di incanalare l'aria nei polmoni. Non voleva essere legata per sempre a un vampiro. Non voleva che Alexander morisse a causa sua. Non voleva quel fardello, non un altro ancora.

Tutt'intorno aveva iniziato a nevicare e lei non se n'era neanche accorta. Sentì il rumore della porta d'ingresso che si apriva e vide Alexander uscire e fermarsi accanto a lei, in piedi. La guardò esasperato. Alzò la testa verso il cielo e buttando fuori l'aria si chinò, le infilò le braccia sotto le gambe e attorno alle spalle per prenderla in braccio e portarla dentro. Lei non oppose resistenza, anzi si aggrappò alla sua maglia con tutta se stessa - Io non lo voglio questo legame. -

Alexander attraversò la sala deserta e si diresse verso il corridoio, tenendo lo sguardo fisso davanti a sè - Non essere stupida. - la voce un po' roca - Non lo voglio neanche io, ma non c'è modo di spezzarlo. -

Roxen alzò la testa costringendolo a incrociare i suoi profondi e magnetici occhi neri con quelli smeraldo di lei - Perché lo accetti così passivamente? -

Alexander non rispose ed erano ormai arrivati davanti alla camera di Roxen. Con una spallata aprì la porta, che fortunatamente era stata lasciata socchiusa e, una volta dentro, si avvicinò al letto. Fece per adagiarla sul materasso, ma lei si aggrappò alla stoffa della maglia, come una bambina alla gonna della madre. Alexander le strinse lievemente le spalle e la risollevò, con delicatezza si sedette sul letto tenendola in braccio e poggiandola sulle sue gambe. Non voleva lasciarla andare, avvertiva la piacevole sensazione del corpo di lei a contatto col suo e per un attimo gli sembrò di riavere la metà umana che gli era stata tolta.

- Ti sembra che abbia accettato passivamente la cosa? - inclinò la bocca in un sorriso amareggiato, di disappunto. - Ti rendi conto di tutte le litigate che abbiamo avuto perché tentavo di allontanarti? Ti ho cacciata da Bran. - Ora era lui a fissarla negli smeraldi, ma lei abbassò subito la testa nascondendo il volto dietro i lunghi capelli.

Roxen non poteva nascondersi per sempre e non poteva continuare a evitare il suo alleato. Sollevò di poco il viso, schermandosi contro il petto di Alexander - Quindi cosa facciamo? - si arrischiò a domandare con una voce che suonava infantile.

Il vampiro sospirò cercando di staccare delicatamente la mano di Roxen dalla maglia, senza però lasciarla andare. - Niente. Lasciamo che sia e basta - trattenne le dita su quelle di lei, irretendole nelle sue. - Pensi che ti costringerò a seguirmi ovunque vada? Che ti terrò segregata nel Castello di Bran a sopportare tutte le rotture imposte dagli anziani? Che non ti lascerò proseguire gli studi, o innamorarti di qualcuno che non sia io? -

Quell'ultima domanda restò sospesa a mezz'aria, lasciata cadere in quel morbido silenzio che li circondava. Per un istante ci furono solo loro e il rumore dei reciproci battiti cardiaci, che suonavano una nenia dolce e malinconica, trasportandoli verso sogni di realtà differenti.

Roxen fece scorrere il palmo della mano contro quello di Alexander e lui le chiuse le dita sul dorso costringendola così a guardarlo in faccia e affrontare nuovamente il discorso.

La strega si prese ancora un attimo per tergiversare e mettere in ordini i pensieri e i sentimenti. Lei era sicura di non essere innamorata di nessuno e l'idea di esserlo in futuro non l'aveva neanche sfiorata. Non era per quello che rifiutava il legame, era solo perchè detestava l'idea di essere connessa così profondamente a un vampiro. Lasciò che la mano le scivolasse da quella di Alexander e chinò il capo seguendone il movimento, una scusa per distogliere lo sguardo da quello di lui. Troppo cupo, troppo intenso.

- Allora vuoi dirmi che ognuno proseguirà per la sua strada? - la voce le tremava e senza accorgersene riprese a giocare con le dita del vampiro: le sfiorava e le accarezzava, finendo poi con l'intrecciarle. Ne traeva sicurezza e in fondo alla sua mente sapeva quanto tutte quelle sensazioni fossero sbagliate ma giuste allo stesso tempo.

Lo sentì prendere una bella boccata d'aria e poi trattenerla dentro ai polmoni per poi farla uscire piano piano.

- Certo, con la sola certezza che ci sentiremo sempre un po' incompleti. Ma in fondo non saremo né i primi né gli ultimi. - I polpastrelli si schiacciarono leggermente sulla spalla nuda di Roxen, un movimento così istintivo e naturale che nessuno dei due se ne accorse. - Pensa agli esseri umani, che ignari di tutto quello che stiamo facendo per loro, si affannano a cercare la loro anima gemella e a volte si accontentano di una persona qualunque, pur di non sentirsi a metà. - Alexander chinò la testa per osservarla e lei gli posò il capo sulla spalla, lasciandosi completamente andare.

- Ok, mi va bene - sussurrò Roxen, mentre il cuore sembrò appesantirsi sotto quelle poche e semplici parole.

Alexander sorrise districando poi la sua mano da quella di Roxen e una sensazione di vuoto ondeggiò malinconica dall'uno all'altra, senza che se ne rendessero davvero conto.

Dopo qualche attimo di silenzio teso e pieno di parole non dette, Alexander le comunicò la decisione che aveva preso: - Ehi, strega. Io parto. Ho già detto a Vlacu di tornare a Bran. -

Roxen sentì la cassa toracica del vampiro vibrare sotto l'orecchio, ma non volle dare un significato a quelle parole. Le aveva udite confuse e lontane e sicuramente non erano vere, ma solo frutto della sua immaginazione. Poi il cervello aveva messo insieme gli stralci di frase che aveva captato e solo allora aveva capito che Alexander faceva sul serio.

Si allontanò da lui alzandosi velocemente in piedi - Dove vai? A Stonehenge? Da solo? - sembrava davvero una fidanzata paranoica.

Il vampiro scoppiò a ridere - Ti ho appena detto che non ti obbligherò a seguirmi ovunque io vada e tu mi fai il terzo grado? - fu irriverente, ma dopo quello che gli aveva fatto passare, si meritava di essere un po' beffata.

Roxen chiuse la bocca velocemente, arrossendo e sentendosi derisa, ma imperterrita continuò col suo interrogatorio - E la Profezia? Vuoi davvero abbandonare la missione? - la sua insistenza non aveva spiegazioni logiche. Alexander l'aveva rassicurata sulla libertà di entrambi, ma lei stava pretendendo che lui la seguisse in missione al Monastero. "Incoerente è il tuo secondo nome, Roxy!" si disse mentre si mordeva la lingua, nel vano tentativo di tenerla a freno.

- Vengo, avevo solo paura che non mi volessi, dopo la discussione in veranda - Alexander si sollevò dal letto e si diresse verso l'armadio della ragazza spalancandolo, stando ben attento a non mostrarle quel sorriso irriverente che gli era spuntato sulla faccia, come un segno indelebile che non voleva scomparire. - Allora muoviti, perché io non intendo aspettare un minuto in più! -

Roxen gli lanciò un cuscino sulla nuca - Ehi, succhiasangue, non mettere le mani nel mio armadio! Sparisci da qua e avvisa gli altri che siamo in partenza! - nel tono di voce si poteva chiaramente cogliere una nota di euforia mista a divertimento, che faticava a trattenere.

Alexander raccolse il cuscino e glielo rilanciò, sfiorandole una spalla, si portò la mano tesa alla fronte e batté, il piede destro contro quello sinistro proclamando: - Agli ordini, capo! - e uscì dalla camera ridacchiando, aspettandosi che lei lo rimbeccasse come era solita fare. Invece dopo qualche passo si fermò e si guardò dietro. La trovò ferma, sulla soglia della porta che lo guardava con un mezzo sorriso e gli occhi velati di un'insolita tristezza.

***

Lucy si era allenata mentalmente per quel momento, immaginandolo più volte senza dire nulla a Tricia, anche perchè l'amica non ne sarebbe stata contenta, ma aveva bisogno di affrontare Milacre e fargli capire che il comportamento che aveva tenuto in quei giorni nei confronti dell'amica era stato pessimo. Per non parlare delle imbarazzanti, quanto fuori luogo, proposte fatte a Roxen.

Stava passeggiando da un paio di minuti davanti la porta della stanza del druido, lisciandosi ciocche di capelli color ebano e facendole passare tra le labbra, in una sorta di rito ossessivo, finché non si arrestò di colpo, piantando i piedi sul pavimento e impedendosi di riprendere a camminare come una matta senza fare un vero passo in direzione di Milacre. Inspirò profondamente e bussò.

Il druido aprì la porta e quando si trovò davanti la giovane strega sussultò sorpreso - Lucy - si fece da parte per farla entrare, ma lei rimase ferma scuotendo la testa.

- Non è una cosa lunga, tranquillo - annunciò lei guardandolo con severità, come se fosse lì per fargli una ramanzina.

Milacre le diede le spalle tornando a concentrarsi su quello che stava facendo poco prima. Lucy notò una valigia aperta sul pavimento, piena solo a metà di diversi abiti. Lo seguì con lo sguardo e fu travolta da un'ondata di irritazione. Era lì per la sua amica, per dare un'ultima possibilità al druido di fare qualcosa di buono. - Tricia va a casa, non viene con noi -

- Oh, sì lo so! Buon per lei, no? - non si preoccupò neanche di guardarla.

Lucy alzò un sopracciglio colta da un moto di fastidio verso quel ragazzo che aveva creduto un amico sincero e di animo nobile. Si era rivelato essere un meschino e la delusione l'aveva colpita nel profondo costringendola ad aprire gli occhi. - Ma dove cavolo è finito il Milacre che avevamo conosciuto al monastero? Con i capelli se n'è andata anche la gentilezza? - non ce l'aveva fatta a trattenersi davanti a quella fredda indifferenza, ma così almeno aveva ottenuto l'attenzione del suo interlocutore che aveva alzato la testa rivolgendosi verso di lei.

Uno strano ghigno si materializzò veloce sul viso di Milacre e altrettanto velocemente scomparve lasciando posto a un'espressione apatica quanto insofferente - Siete voi che mi avete dipinto come un pacifico druido che se ne stava buono e zitto. Ma io sono così. Se voglio una cosa faccio in modo di ottenerla, con le buone o le cattive. - come se non ci fosse nient'altro da aggiungere chinò nuovamente il capo sulla valigia. Afferrò una maglia stringendola più del dovuto tra le dita e schiacciandola con stizza malcelata sopra gli altri indumenti.

Lucy strinse il sottile bordo della porta conficcandovi le unghie rovinate dalla lotta contro i mostri. Non sentì neanche dolore quando i polpastrelli toccarono il rivestimento in legno. Era troppo irritata per l'atteggiamento di Milacre e per essersi illusa di una sua redenzione. - Grazie per essere stato chiaro. Ti pregherei di essere un po' più gentile con Trish, almeno nel salutarla! - pronunciò quelle parole senza inflessione, mostrandogli che anche lei era capace di trattarlo con sufficienza. E da quel momento in poi quello sarebbe stato l'atteggiamento più consono nei suoi riguardi.

Chiuse la porta senza sbatterla, non si meritava neanche la sua rabbia. Vide un cono di luce fuoriuscire da una delle altre stanze che davano sul corridoio e subito dopo Samuel che varcava la soglia. Rimasero per una manciata di secondi a fissarsi. Lo stomaco di Lucy si torse appena, ma decise di evitare il vampiro, che a sua volta sembrava indeciso se rivolgerle la parola o meno. Optò per un sorriso di circostanza e passò oltre, rifugiandosi in camera con Tricia. Non era il momento per i chiarimenti quello.

***

Tricia aveva preparato tutto ed era pronta per partire. L'avrebbero accompagnata all'aeroporto e poi si sarebbero diretti al Monte Dorak. Vlacu, invece, sarebbe partito col primo aereo l'indomani mattina.

Non era triste e non aveva neanche rimorsi: non li stava abbandonando, stava solo prendendosi un momento di pausa, avrebbe fatto ritorno quando si sarebbe sentita di nuovo pronta ad affrontare tutte quelle battaglie. Aveva capito di non poter essere di aiuto nelle sue condizioni, non che fosse malata o debole, semplicemente tutta quell'ansia la devastava dall'interno. Rischiare la vita e non essere neanche utili alla missione dei prescelti non aveva senso, non per lei. Doveva solo riposare, staccare per un po' e magari studiare per diventare abbastanza forte da poter essere davvero un valido sostegno.

Il caos dell'aeroporto era confortante, sembrava che tutto quello che aveva vissuto fino ad allora fosse racchiuso in un bolla e che esistesse solo lì dentro, che la realtà, la normalità fosse fuori, dove tutto il resto del mondo ignorava la battaglia tra la Minaccia Primordiale e i Prescelti. Sospirò, buttando fuori tutta l'angoscia trattenuta. Peccato che non sia così, pensò.

Prima di salire sulle scale mobili che l'avrebbero condotta al controllo sicurezza, si voltò e guardò i suoi amici. Li accarezzò uno a uno con lo sguardo e poi si soffermò su Milacre. Doveva rassegnarsi con lui: inutile illudersi di un suo interesse. Lucy credeva che non l'avesse sentita, ma Tricia sapeva perfettamente che era andata a parlare con lui e che non era andata bene.
Spostò poi gli occhi sulla sua amica e le sorrise gioiosa.

Si erano conosciute alla Congrega di Mevi, a Greenwich ed erano state assegnate alla stessa camerata insieme ad altre giovani streghe, ma Lucy l'aveva colpita fin da subito con i suoi modi di fare un po' bizzarri: si era presentata dicendo che avrebbe dormito vicino alla finestra perchè aveva il bisogno di guardare fuori, anche durante la notte, altrimenti si sarebbe sentita soffocare. Lo aveva detto come un dato di fatto, non era un ordine, ma non ci si poteva opporre. Da quel giorno erano diventate a poco a poco amiche. E al Monastero, durante la loro permanenza forzata, avevano imparato a fare affidamento l'una sull'altra rafforzando il loro rapporto. Lucy le sarebbe mancata tanto, troppo.

Tirò indietro la testa per ricacciare giù le lacrime che le erano salite agli occhi, poi con un sorriso sicuro annuì, rasserenando l'amica che l'aveva guardata con preoccupazione.

Con un cenno della mano salutò tutti e si avviò verso i tornelli, ma Lucy la braccò avvolgendole le braccia attorno alle spalle e alla schiena, facendosi scivolare qualche lacrima lungo le guance, lacrime che furono asciugate subito per evitare di piangere entrambe come fontane.

Anche Roxen e Sara l'abbracciarono, quasi stritolandola e facendosi promettere che sarebbe tornata presto. I ragazzi invece preferirono delle discrete strette di mano e qualche goffa pacca sulle spalle. Sapeva non aver raggiunto un livello di confidenza tale da meritarsi un abbraccio, ma la loro timidezza la fece ridacchiare tra sè e sè.

L'unico che non aveva ancora salutato era Milacre e anche se avrebbe voluto impedirlo, il suo cuore accelerò un pochino, quel tanto che bastava a renderla nervosa. Come se non bastasse vide gli altri farsi da parte, allontanarsi piano piano, come se volessero lasciar loro un po' di intimità e ciò la mise ancor più in imbarazzo. Li maledisse mentalmente e si avvicinò al druido, mentre la voce gracchiante dell'altoparlante annunciava l'apertura del suo gate.

Lo fronteggiò stringendo tra le dita minute il manico del trolley - Sai perfettamente quello che provo per te - le parole le uscirono ben risolute, senza il minimo tentennamento.

- Sì, Tricia, ma io... -

Gli posò un dito sulle labbra con una certa sicurezza - Nonostante questo, non sarò la tua seconda scelta. Tienilo ben a mente - gongolante di orgoglio verso se stessa si voltò e senza più rivolgergli un solo sguardo oltrepassò i tornelli, un passo in più verso casa.

***

La notte era veramente oscura, non una stella o la luna che illuminasse il cielo. La strada da percorrere non era tra le più facili: piena di buche e di vie sterrate che attraversavano boschi, e salite ripide lungo il crinale del monte.

Avevano preso il mini-van a sette posti e lo stava guidando Milacre, mentre quasi tutti gli altri dormivano. Erano da poco passate le due di notte e ci sarebbero volute almeno quattro ore per raggiungere il Monastero.

Roxen era inquieta, fissava fuori dal finestrino. Aveva un senso di angoscia che le attraversava il corpo da parte a parte facendola rabbrividire di tanto in tanto e quando una civetta sfrecciò vicinissima alla macchina, sentì la paura divenire reale.

Accanto a lei Alexander si era assopito, ma era sicura che fosse sveglio, perché il suo respiro non era affatto profondo e regolare. Probabilmente anche lui avvertiva il turbamento di quel cielo nero, senza lumi, senza speranza.

Proseguendo incontrarono una strada asfaltata che si inerpicava attorno alla montagna, ma Milacre fu costretto a fermarsi. Era sopraggiunta una nebbia fitta, che non aveva niente di naturale, densa e impossibile vedervi attraverso: troppo pericoloso continuare, avrebbero rischiato di ritrovarsi giù per una scarpata senza neanche rendersene conto.
Appena la macchina smise di borbottare Alexander aprì gli occhi come fosse stato colpito in pieno viso. Odorò l'aria intorno e si affacciò tra i sedili anteriori, ticchettò un dito sulla spalla del druido attirando la sua attenzione - Milacre, guido io. Qui non è sicuro. Dobbiamo arrivare il prima possibile - serrò la mascella percependo il pericolo poco distante.

Roxen saltò sul sedile e senza aspettare altro scese dall'auto e chiese a Lucy di fare cambio, sedendo così accanto ad Alexander e lasciando che l'amica prendesse posto vicino a Samuel.

Alexander afferrò il cambio dell'auto con una mano, mentre l'altra l'avvolse saldamente attorno al volante. Lanciò un'occhiata veloce alla sua alleata e rimise in moto la macchina - Dirada la nebbia più che puoi, Roxy. È probabile che dietro ci siano dei demoni. -

Roxen deglutì, avendo avuto conferma ai suoi sospetti. Agitò una mano e spazzò via la fitta foschia e diversi occhi rossi iniettati di sangue fecero la loro comparsa.

- Maledizione! - Alexander digrignò i denti e ingranò la marcia. Come aveva immaginato una decina di demoni accerchiò la macchina. - Ragazzi, sveglia! È l'ora di ginnastica! - guardò attraverso lo specchietto retrovisore e schiacciò il pedale dell'acceleratore investendo un paio di esseri dalla pelle squamata.

Lionel si svegliò di soprassalto proprio nell'istante in cui Sara inveiva contro i nemici - Ma che cavolo, neanche una scampagnata si può fare? -

Samuel si accinse ad aprire la portiera, ma prima gettò un'occhiata alle sue spalle, con una nota di disappunto impressa sul viso individuò l'amica - Sara, tu e Lio state troppo insieme se inizi a fare queste battutacce! -

Lionel alzò un sopracciglio fingendosi offeso - Ehi! - ma la verità era che non riusciva a odiare Samuel: quel poveretto aveva solo avuto la sfortuna di essere stato amico di infanzia di Sara, ma era lui a essere il Sangue di Rosa della bella vampira bionda, lui e nessun altro.

- Ragazzi io vado, c'è quello col muso verde che mi sta fissando! - Samuel saltò fuori dalla macchina atterrando sul petto del demone dalla pelle erbosa e gli aculei sulla schiena.

- Così non vale! Se fai l'eroe poi mi fai sfigurare davanti la mia ragazza - Lionel si arrampicò sui sedili fino a raggiungere la portiera. Incoccò un paio di frecce di pura energia magica e le tirò contro un demone che aveva spalancato le fauci proprio davanti il suo viso.

Sara superò Lionel e si trasformò, sfoderando i lunghi artigli affilati con i quali si accanì contro un demone donna dai corti capelli a spazzola, di un biondo platino scolorito e la carnagione rossa piena di geroglifici. La vampira la graffiò, la demone la spinse a terra. Sara rotolò sulla schiena, sollevò veloce le gambe e sferrò una ginocchiata al ventre dell'avversaria. La demone cadde all'indietro tossendo. Sara le balzò alle spalle e le torse il collo spezzandoglielo.

Lionel era rimasto incantato a fissare Sara: era una vera furia in battaglia e non sapeva bene il perchè, ma ne fu elettrizzato.
Un demone interruppe le sue fantasticherie e fu costretto a sfoderare l'ascia. Si leccò le labbra con cupidigia, smanioso di poterla riusare dopo le prodezze dello scontro davanti lo Squarcio. - Ragazzi, spostatevi, ci penso io! Colpisci otto demoni e poi torna da me. - Lanciò l'arma che ancora una volta adempì al suo compito, decapitando a una a una le teste dei demoni.

Un gridolino di soddisfazione si levò dai presenti e Lionel gonfiò il petto, pavoneggiandosi divertito. Amava sdrammatizzare la situazione e quella lo richiedeva.

- Quell'arma è davvero figa! - Samuel ammirò la funzionalità dell'ascia mentre si spazzolava gli abiti passandoci sopra le mani, tentando di togliere i residui del demone che aveva trucidato.

Alexander osservò bene tutto intorno: nonostante avessero appena finito di combattere non si udiva alcune rumore, nemmeno quello degli animali notturni che scappavano per la paura. Troppo silenzio per i suoi gusti, come fossero rinchiusi in una camera insonorizzata.
- Presto, torniamo in macchinabprima che ne arrivino altri! - li incitò aprendo loro la portiera. Attese che tutti risalissero poi rimise in moto. Voleva arrivare il più presto possibile a destinazione. La parte anteriore della macchina grattava un po' sull'asfalto, ma non aveva tempo per ripararla. Era ridotta cosi perché nell'urto contro i demoni il paraurti si era ammaccato e lo aveva sporcato di sangue nemico.
Aveva le mani livide dal tanto stringere il volante e i suoi occhi saettavano da un lato all'altro della strada. - Sarà un viaggio molto lungo e movimentato. - annunciò imboccando la direzione indicata da un bivio.

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