20. Interrogatorio

Per la prima volta dopo anni, Alexander riuscì a dormire per più di sei ore di fila. Non c'era dubbio che il merito fosse di Roxen, della sua promessa di aiutarlo a ritrovare suo fratello.

E avrebbe dormito ancora per un altro paio d'ore, se qualcuno non avesse bussato in maniera concitata alla sua porta. «Signore! Signore Presto! Gli Anziani! Gli Anziani sono qui!» Vlacu pareva decisamente allarmato.

Alexander si tirò su di malavoglia. Affrontare quelle mummie all'alba non era affatto un buon risveglio.  «Entra, Vlacu, aiutami a indossare abiti consoni a quest'occasione, perchè fosse per me li accoglierei così». Il pigiama di Alexander consisteva in una vecchia t-shirt dei Rammstein e un paio di pantaloncini neri, tutti bucherellati.

«Mio Signore, dovreste anche lavarvi a modo la faccia. Le ferite come vanno? Sono guarite?» Vlacu si apprestava a preparargli sul letto gli abiti ufficiali: una divisa da cadetto nera, con tanto di cappa e rifiniture rosso vivo, seguite da bottoni e gemelli dello stesso colore.

Alexander sbadigliò stiracchiandosi.  «Sì, sono guarite tutte, tranne il moncherino, ma lascerò che buchi la giacca e che anche gli Anziani vedano come mi ha conciato il loro caro Conte».

 «Signore, ricordatevi che quel vampiro ha in mano molto potere, non basterà la parola di un ragazzo». Gli abbottonò la divisa e gli stirò con la mano il doppio petto.

Alexander sbuffò.  «Non parleranno col ragazzo, è da un po' che scalpita per uscire e penso che questo sia proprio il suo momento, questo smacco gli ha dato parecchio fastidio». 

Vlacu si inchinò, aprendogli la porta e lasciandolo passare.


Quando arrivò nella Sala del Trono erano tutti in piedi, in piccoli gruppi che si sussurravano segreti o si passavano informazioni, probabilmente sbagliate, sulla cattura del Conte. Quasi nessuno si accorse dell'arrivo di Alexander, ma man mano che lui si dirigeva verso il trono il brusio si acquietò fino a esaurirsi in silenzio. 

Alexander li guardò in attesa che lo sommergessero di domande, e invece tacquero. Tenevano gli sguardi bassi, qualcuno tossicchiava invitando il proprio vicino a farsi avanti, ma l'unico a parlare fu Antoniu che si inchinò, con un piglio quasi orgoglioso al cospetto del suo figlioccio. «Mio Signore, diteci: è vero quello che si dice a Bran? Avete dato fuoco al castello del Conte?» Un piccolo sguardo di complicità da parte di Antoniu fece sorridere Alexander, prima che lasciasse prendere il controllo al Principe delle Tenebre.

 «Osate veramente mettere in dubbio la parola del vostro sovrano, razza di stolti?» Gli occhi di Alexander si colorarono di rosso cremisi nel giro di pochi secondi e questo bastò perchè un brivido di paura serpeggiò tra la folla. Quella voce cavernosa e antica non ammetteva incertezze.

Uno dei tirapiedi del Conte, provò a sollevare la testa. «Mio Signore, ci sembra così assurdo, che il Conte abbia osato privare un vampiro delle proprie ali. Sappiamo tutti a che punizione si va incontro...»

Il viso del Principe delle Tenebre assunse un'espressione soddisfatta e perfida. Non aspettava altro: si tolse la cappa, poi la giacca e infine la camicia rosso vermiglio e tra lo sgomento dei presenti mostrò loro il moncherino d'ala che sbucava dalle sue spalle.

Il brusio divenne vero e proprio rumore: i simpatizzanti di Alexander aggredirono gli alleati del Conte con spintoni e male parole e la sala divenne un terreno di scontro tra le due fazioni.

«Lui dov'è?» Chiese Antoniu, una volta intimato agli altri anziani di tacere.

Il Principe si rivestì con tutta calma prima di rispondere. «Si trova nelle segrete, ma nessuno ha l'ordine di avvicinarsi. Subirà un interrogatorio dal sottoscritto e in seguito sarei veramente tentato di darlo in pasto alle belve...». Si guardò gli artigli affilati e poi finse uno sbadiglio. «Sono stanco dei suoi tentativi di uccidere i miei ospiti per continuare ad avere potere nei miei momenti di vuoto».

L'aria nella sala sembrò improvvisamente essere risucchiata. Nessuno osò più fiatare. 

Un sorriso sprezzante e tetro si dipinse sul volto del Principe.  «E ora levatevi di mezzo, stupidi zerbini».

Uno dei vantaggi di essere Principe delle Tenebre, era che quando entrava in gioco lui, nessuno osava opporsi e tutti tremavano al suo passaggio.

                                                                                 🔥🔥🔥

 «No, Sara, non capisci: puoi tornare. Xander lo ha messo in prigione. Non sto scherzando». Lionel camminava avanti e indietro nella sua stanza, parlando sempre più eccitato al telefono.

 «Passamela», Alexander tese la mano verso l'amico.  «Sara, ti ordino di tornare a Bran, la tua taglia è ufficialmente decaduta e nessun altro potrà più farti del male».

 «Oh, Dei! Xander! Oh, Dei! Grazie, grazie», Sara dall'altra parte della conversazione scoppiò a piangere. 

Alexander restituì il cellulare a Lionel.  «Ora è tutta tua, io vado a svegliare Roxen», si sfregò le mani con una certa energia.

 «Sei sicuro delle tue intenzioni?» Lionel gli gridò dietro, ma il vampiro non si voltò.

Se era sicuro delle sue intenzioni? Assolutamente sì. Bussò un paio di volte, ma nessuno rispose.  «Oh, Roxy! Sveglia! È ora di prendere tè e pasticcini col Conte».

Dall'altra parte si sentì uno scivolare di coperte e lenzuola e un rumoroso sbadiglio. La porta si spalancò mostrando una Roxen con i capelli arruffati, gli occhi gonfi e una smorfia contrariata della bocca. «Di solito i vampiri non dormono di giorno?» Grugnì, lasciando che Alexander entrasse.

Il vampiro notò subito le tende chiuse e un piccolo libricino adagiato sul comodino accanto al letto. Vi era stato inserito un segnalibro di fortuna e dalla copertina tutta pieghe e screpolature sembrava molto consumato. «Tu invece non sei un tipo mattiniero, eh?»

Roxen nel frattempo si era infilata la felpa scura del giorno prima e stava cercando di sistemare i propri capelli in una treccia. «Vuoi davvero interrogare il Conte con me? Sono poco diplomatica, non so se si è capito».

Oh, sì. Voleva interrogarlo con lei proprio perchè era in grado di fargli perdere le staffe e questo andava a vantaggio loro. Prese il libricino dal comodino e ne lesse il titolo. «Merda, ma quindi è vero?»

Roxen si voltò a guardarlo. «Già, non sono riuscita a leggerlo, mi fa troppa paura».

Alexander annuì, leggendo l'intestazione della prima pagina. 

Non c'è bene senza male. Lui torna sempre.

«Ci credo. Lo leggeremo insieme».

«Ecco questo mi fa ancora più paura». Lo sguardo di Roxen più che impaurito sembrava disgustato.

Alexander alzò gli occhi al cielo sbuffando. «Ho capito: è finita la tregua. Ieri ti facevo pena per le ferite, ma oggi sono guarito quindi sono tornato a essere un vampiro e basta. Chiaro. Vado dal Conte».

Roxen incrociò le braccia al petto e dondolò da un piede all'altro. «Scherzavo», mormorò «Devo abituarmi ad avere... fiducia in uno della tua specie. Scusa».

Alexander le indicò il corridoio. «Andiamo».


Le segrete erano buie e strette, un inconfondibile odore di umido penetrava nelle narici. Non vi erano prigionieri, solo celle vuote con ceppi penzolanti o catene arrugginite sparse sul pavimento. Nessuna finestra, poche lanterne appese al basso soffitto in pietra e un'eco costante dei loro passi. Arrivarono in fondo alle prigioni, e lì videro la cella isolata del Conte. 

Il prigioniero era girato di spalle e accucciato in un angolo accanto al muro in pietra.

«Ehi, vecchio» Alexander tintinnò con una chiave arrugginita contro le sbarre. «Siamo qui per farti delle domande».

Roxen si avvicinò alla cella «Se fai il bravo non ti strappo i canini».

Alexander la guardò soddisfatto. Proprio quello che desiderava.

«Andatevene!» Il Conte ringhiò rivolto al muro, ma la sua schiena vibrava nervosa.

«Oh, andiamo, Conte, non costringermi a far uscire Lui, è molto adirato per quello che hai combinato questa volta».

Il Conte si girò lentamente. «Se potessi davvero contare sul Suo aiuto, l'avresti fatto uscire allo scoperto nei giorni scorsi e invece ti sei fatto torturare come uno stolto».

Alexander ghignò, sapeva che quel viscido avrebbe fatto leva sul suo orgoglio, ma non avrebbe ceduto. «E va bene, Roxen allontanati».

Il Conte sgranò gli occhi e se è possibile si rintanò ancora di più nell'angolo. «Anche se verrà allo scoperto io non parlerò».

«Oh, Alex, non senti un po' di freddo qua dentro?» Roxen afferrò le sbarre e piano piano le rese incandescenti.

Mentre Alexander la guardava incuriosito, il Conte scattò rapido verso la strega afferrandole le mani e ficcandole gli artigli nella carne. «Ahi!» 

Alexander spinse via il Conte e afferrò Roxen per la vita portandosela al fianco. «Stai bene?» Le prese le mani osservando i graffi profondi che le aveva fatto il Conte, il suo profumo gli inondò le narici e subito la sete gli serrò la gola. Senza rendersene conto rafforzò la presa sulle mani di lei, che fortunatamente le ritrasse subito, guardandolo con occhi spalancati. Due enormi occhi smeraldo.

Alexander chiuse gli occhi, mentre la bocca bramava di assaggiare quel sapore. Cercò con tutto se stesso di ricacciare indietro quel desiderio così feroce, quella voglia disperata di quel sangue dall'odore così delizioso, finché una risata tetra e in quel momento salvifica, interruppe quel vortice di brama sanguigna che si stava scatenando in lui.

«Oh! Il principino ha trovato il suo Sangue di Rosa. Questo sì, che si è interessante».

Roxen si allontanò veloce da Alexander, stringendosi le mani al petto. Guardava ora lui ora il Conte, ma Alexander sapeva che non era né il luogo né il momento per affrontare l'argomento. Scacciò definitivamente la sua sete e riprese controllo di sé. «Non cambiare discorso, vecchio», si avvicinò alle sbarre e con una catena fatta di ghiaccio lo trascinò ai suoi piedi.

Il Conte parve oltraggiato oltre ogni misura per quel gesto. «Uno schifoso mestizio magico! Lo sapevo, lo sapevo che tua madre ti aveva contagiato con i poteri! Che schifo, il sangue puro dei Kropowskji mischiato con quello di una strega del villaggio!»

Alexander digrignò i denti: ne aveva fin sopra i capelli, avrebbe lasciato che il Principe lo disintegrasse. Ma prima ancora che potesse trasformarsi una sfera di fuoco gli sfrecciò accanto all'orecchio producendo un sibilo scoppiettante.

Roxen, al suo fianco, fissava il Conte che si copriva il volto con le sue ali, mentre tentava di spegnere con la sola forza del fiato le fiammelle sparse sul suo braccio. «Brutta megera!» Le urlò contro.

«Forse tu non hai capito che ora sei alla nostra mercé. Tutto quello che devi fare è rispondere alle nostre domande, non nausearci con le tue insulse idee politiche antiquate e anche poco corrette: la madre di Alexander gli ha TRASMESSO i poteri, non è che lo ha contagiato. I nostri poteri sono doni, razza di vecchio rattrappito che non sei altro!». Le dita di Roxen sfrigolavano ancora, come se fossero vogliose di scagliare altre sfere di fuoco.

Alexander fu colto da un moto di orgoglio, per la prima volta non si stava vergognando di essere un mestizio e la persona che fino al giorno prima diffidava di lui era colei che in quel momento lo stava supportando. 

«Tu non hai nessun diritto di parlarmi in questo modo! Sei solo una ragazzini ficcanaso che ha manie di distruzione». Il Conte aveva perso completamente il controllo, attaccandosi alle sbarre e agitandosi come un animale in gabbia.

«Adesso basta, Conte. Non siamo qui per perdere altro tempo. Vogliamo sapere se sai cos'è la Minaccia Primordiale e se hai avuto contatti con lei in passato». Alexander posò lieve una mano sulla spalla di Roxen per far intendere anche a lei di calmarsi. 

Il Conte si fermò e guardò Alexander come se soppesasse il valore delle sue informazioni. «Cosa ci guadagno a rispondervi?» La calma serafica e affascinante che lo contraddistingueva era tornata nelle sua voce e sul suo viso, aveva capito che aveva una possibilità di contrattazione. 

Alexander sospirò, prese uno sgabello mal ridotto lasciato da qualche guardia qualche decennio prima e vi si sedette, guardando con invidiabile pacatezza il Conte davanti a lui. «Stamattina si è riunito d'urgenza il Consiglio degli Anziani, tutti sanno già cosa mi hai fatto, ho mostrato loro anche le prove. Non ci guadagnerai niente, perchè niente è il tuo potere di contrattazione: o ci rispondi, o Roxen incendierà la tua cella. Fine». A rafforzare le parole di Alexander, Roxen fece brillare tra le mani una splendida sfera di fuoco.

Il Conte snocciolò subito tutto le informazioni che aveva e persino la sua voce suonò grave e intimorita, ogni volta che pronunciava il nome Minaccia Invisibile.

«Io non ho avuto contatti diretti con essa, ma si dice che un vampiro folle sì, che sia stato addirittura lui a riportarla nel nostro mondo». 

Alexander notò subito Roxen irrigidirsi e sbiancare al suo fianco. Con mani tremanti la vide avvicinarsi alle sbarre e stringere forte. «Quindi vuole distruggere il nostro mondo, giusto?»

Il Conte si alzò con fare circospetto, come se avesse timore di essere udito da altri oltre che da loro. «Oh,» disse in un sussurro «noi siamo solo l'inizio. C'è un motivo se perfino le divinità si sono scomodate nel chiamarvi» e qui proruppe in una risata di scherno, che atterrì sia Alexander che Roxen.

Dopo un momento di smarrimento Alexander ricordò un particolare importante che aveva detto loro la Sacerdotessa. «Ci hanno parlato di pietre magiche, pietre che incrementano i poteri dei prescelti. Ne hai sentito parlare?»

Lo sguardo del Conte si illuminò, allargandosi sbeffeggiante e Alexander capì che ne avrebbero avuto ancora per un po'.




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