19. Risposte - Answers

La stanza era buia e puzzava di chiuso, di stantio. Un odore umido di legno antico lo accolse, insieme al familiare odore dolciastro delle candele. Vlacu l'aveva fatta preparare ovviamente, ma lui ci aveva dormito solo un paio di notti prima di essere catturato dal Conte.

Trovò i suoi vestiti piegati sulla sedia. Si tolse i resti di quelli che aveva addosso e si portò davanti allo specchio. Premette l'interruttore e la luce sfarfallò emettendo il suo rassicurante ronzio. Piano piano la stanza si scaldò e i colori presero il loro posto.

Sembrava la camera di un vecchio con quel letto dalla spalliera in legno massiccio piena di fronzoli intagliati, per non parlare del comodino con la lastra di marmo appoggiata sopra e l'armadio, austero, di fronte a lui, con le sue ante imponenti e lo specchio nel mezzo, quello stesso specchio che era in grado di restituirgli la propria immagine riflessa, l'unico in tutto il castello. Alexander si accostò a esso e iniziò a esaminarsi tutte le ferite che aveva sul davanti, non osava immaginare come fosse messa la schiena. Il Conte ci aveva dato giù pesante, e lui, stupido, non aveva voluto cedere a chi avrebbe potuto aiutarlo e spazzarlo via in meno di cinque secondi.

Oh Sì, sei stupido eccome, ragazzino.

Alexander sospirò. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti anche con LUI.

Lasciami stare, non è il momento adesso.

Buffo che tu creda ancora di potermi dire come comportarmi con te. Sono io che decido.

Finché non ci saremo allineati penseremo ancora in maniera individuale, caro Principe.

Ahahah, come credi, ragazzino, come credi. Ma la sete che provo io la provi anche tu e la strega ha un che di appetitoso.

Sta lontano da lei!

Oh, temo che sarà molto difficile, considerando che il suo sangue ci chiama.

Vattene.

Tornerò.

Alexander si adagiò stancamente sul letto. Riposare. Era quello che desiderava fare, ma con tutta quella sete da domare era praticamente impossibile e quel bastardo lo sapeva bene.

Con uno sforzo enorme, riuscì a far rientrare l'ala sana, ma il moncherino dell'altra rimase fuori. Lo toccò, causandosi da solo altro dolore alle costole. «Dannazione, fa malissimo».

Afferrò l'interfono che aveva fatto installare qualche mese prima e chiamò Vlacu. L'anziano vampiro apparve dopo pochi minuti. «Signore, sono desolato, ma pare che siano sparite tutte le sue scorte».

Alexander avrebbe voluto mettersi a urlare per la frustrazione. «Benissimo! Dovrò andare a caccia!» Spalancò con rabbia l'anta più grande dell'armadio, facendo svolazzare le lunghe tende verdi con ricami gialli, e prese un pesante mantello nero, lo tese a Vlacu, mentre si infilava velocemente una felpa scura e dei jeans. 

Vlacu lo aiutò a indossare il mantello. «Siete sicuro, mio Signore, di voler uscire nelle vostre condizioni?»

«No, Vlacu, ma purtroppo stasera ne ho la necessità, tu lo sai che ne farei volentieri a meno».

«Perchè non chiedete alle guardie allora?» Vlacu gli aggiustò il cappuccio in modo che il volto fosse al riparo dalla luce.

«Con il Conte qui al castello preferirei che stessero qui. Non ti preoccupare per me, ci metterò poco».

«A fare cosa?» Roxen sbucò dalla porta, rimasta socchiusa.

Alexander le lanciò un'occhiataccia attraverso lo specchio. «Va' a dormire, strega».

Roxen entrò e iniziò a guardarsi attorno, toccando dei ninnoli di vetro su una mensola accanto alla porta. «Non riesco, ho ancora tanta adrenalina in circolo, e poi...» si voltò verso di lui con un sorriso civettuolo. «Mi sto annoiando».

Alexander scosse la testa. «Ma tu non eri quella che più lontano mi stava meglio stava?». Afferrò un altro mantello dall'armadio, avendo capito che sarebbe stato inutile mettersi a discutere con lei. Inoltre era assetato e debole, quindi prima sarebbero usciti prima se ne sarebbe liberato. Le lanciò addosso il tabarro nero e la sorpassò, precedendola nel lungo corridoio.

Roxen fece non poca fatica a indossare il mantello, era veramente pesante, ma Vlacu l'aiutò. «Sono contento che andiate con lui, mia signora», le sussurrò. «Non si è affatto ripreso». Roxen gli strinse le mani. «Lo so, Vlacu, ero venuta a controllarlo», gli ammiccò velocemente e poi seguì Alexander, già in fondo al corridoio che probabilmente sperava di seminarla.


L'aria era umida e pesante. Si stendeva addosso come un telo freddo e irrigidiva i movimenti. Per quanto Alexander fosse ancora ferito, procedeva spedito, sentendo Roxen dietro di sè che batteva i denti per il freddo pungente di quella sera. «Dove stiamo andando?»

Tutt'intorno si sentivano solo i loro passi scricchiolare sul terreno duro. Gli occhi di Alexander si abituarono presto alla penombra e trovarono subito l'entrata del bosco. «Di qua! Ora dovrai fare silenzio». Alzò un dito per fermarla. «Stiamo entrando nel bosco, devo fare una cosa... una cosa che disgusta anche me, ma a quanto pare ne ho bisogno per velocizzare la mia guarigione stavolta». La cercò con gli occhi e si aspettava di trovarla sul punto di vomitare o gridargli contro e invece, Roxen era salda al suo fianco e nel suo sguardo non vi era più giudizio.

«Lo capisco. Ti credo, ho visto coi miei occhi che sei una persona corretta, anzi ti chiedo scusa per come ti ho trattato le scorse volte».

Alexander si sentì pugnalare in pieno petto. Se solo Roxen avesse saputo chi si celava veramente in lui avrebbe di nuovo perso la sua fiducia. E se avesse saputo quanta sete aveva di lei di in quell'istante sarebbe scappata il più lontano possibile. 

Si aggiustò il cappuccio. «Grazie», fu l'unica cosa che riuscì a dire prima di addentrarsi nel bosco.

Strinse forte l'arco che si era procurato prima di uscire dal castello. Il cuore gli martellava nel petto e sentiva i passi di Roxen alle sue spalle. 

Certo che un piccolo assaggio potremmo anche farlo, ragazzino.

Alexander scrollò le spalle, non era il momento di perdersi in chiacchiere con Lui. Si accucciò dietro un cespuglio che permetteva la visuale su una piccola radura. Quello era il posto perfetto per attendere un cervo o un cinghiale. Lo stomaco gli gorgogliava e la testa era pesante. Doveva sperare di fare in fretta.

Roxen si inginocchiò accanto a lui e ne intravide il profilo attraverso il cappuccio, la luce ormai fioca del tramonto gli mostrò un lieve rossore del viso. «Se vuoi posso fare da esca».

«No, non vorrei rischiare di ferire te». Cosa diamine le saltava in testa? Lo stava deconcentrando.

«Dopo mi dirai chi sei davvero?» Ad Alexander cadde l'arco da mano. Rimase con lo sguardo fisso sul cespuglio per un momento interminabile e Roxen continuò. «Non sei un vampiro come gli altri. Aldilà del fatto che sei mestizio, c'è qualcos'altro. Vlacu porta un certo rispetto verso di te, e hai detto che se i nobili vampiri venissero a sapere cosa ti ha fatto il Conte, darebbero la caccia a lui e non a noi per averlo catturato. Siedi su un trono, i quadri della tua famiglia sono appesi per tutto il castello... Sei un nobile, fin qui ci arrivo da sola, ma non sei comunque come gli altri. Ti ho detto che ti credo, che credo in te Alexander Kropowskji, quindi dopo che ti sarai sfamato, mi dirai la verità?»

Un cervo fece capolino da un albero e Alexander era ancora scioccato. Era stato uno stupido a pensare che la strega non se ne fosse accorta. Troppo debole per mettere in fila le idee, troppo preso dalla questione di Sara e Lionel per poter rendersi conto che tutto a Bran gridava ciò che era.

Fece un respiro profondo, afferrò l'arco, incoccò la freccia e in pochi secondi il cervo fu abbattuto. Saltò rapido il cespuglio e si accovacciò accanto all'animale agonizzante.

Lo accarezzò cercando di calmarlo. «Mi dispiace, bello, mi dispiace tantissimo, ma devo farlo». Estrasse la freccia e si chinò a bere, tenendo bloccato sotto di sè quel povero cervo. Più beveva più sentiva il calore allargarsi nel corpo, le braccia e le gambe riprendere vigore e la testa meno pensante, i pensieri più presenti.

Si aggrappò all'animale abbracciandolo, implorando il suo perdono. Il suo sangue non gli piaceva nemmeno. Ma era stata una scelta necessaria: o lui o Roxen.

Con la coda dell'occhio, vide Roxen alzarsi in piedi, stringersi le mani al corpo come infreddolita. Una lacrima le rigò una guancia e a quel punto smise di bere. Si vergognava di sè stesso, delle sue azioni. 

Si asciugò la bocca e tirò il cappuccio fino a nascondersi gli occhi. Le si avvicinò a passo lento. «Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere...» Roxen gli pulì una goccia di sangue dalla mano. «Non ti preoccupare, ho visto di peggio nella mia vita», accennò a un sorriso, ma lui si vergognò ancora di più.

Sottrasse la mano. «Tanto per cominciare il mio vero nome è Alexandrei Vladimir Kropowskji» le diede le spalle incamminandosi verso il castello. «E sono il Principe delle Tenebre».

                                                                               🔥🔥🔥

Roxen fissava la foto di Alexander, Sara e Samuel da bambini, che aveva trovato sul comodino di lui. Osservando bene, solo Alexander era un bambino, gli altri due sembravano dei ragazzini delle medie. Chissà, forse avevano modificato il loro aspetto per non fargli sentire troppa differenza di età. Io non ho foto con Giada e Mina, quando torno potrei farmene qualcuna con loro. Già, ma quando tornerò?

Alexander le posò un tazza di tè fumante tra le mani. «Bevi, nonostante il mantello hai preso parecchio freddo là fuori».

Roxen inspirò il profumo di quel tè addolcito da un cucchiaino di miele. Era piacevole sentire le dita che a poco a poco si scaldavano a contatto con la tazza. Ne bevve un sorso, evitando lo sguardo ansioso di Alexander.

Non si erano più detti nulla. Era stata lei a chiedergli la verità, ma non si aspettava che fosse quella. 

Lui si era tolto il mantello pesante e lo aveva riposto nell'armadio, aveva lasciato che Vlacu prendesse l'arco e che se ne andasse, chiudendosi la porta alle spalle, come se avesse capito che una discussione importante stava per avere luogo. 

Lionel era al telefono con Sara qualche stanza più in là. Roxen lo aveva udito passando per il corridoio.

Bevve ancora. Questa volta un sorso più lungo che le scaldò il petto. Alexander era seduto su un piccolo divanetto di fronte, aveva le mani in grembo e continuava a torturarsele, alzando di tanto in tano gli occhi su di lei.

Il Principe delle Tenebre. Tra tanti vampiri, proprio lui. Difficile da mandar giù come notizia.

«È per questo che Vlacu ti è così obbediente?» Strinse le dita attorno alla tazza.

 «Già», Alexander fissava un punto davanti a sè.  «Ma lui era anche molto devoto ai miei genitori, si sarebbe comportato così comunque».

«Anche tuo padre era il Principe delle Tenebre?» Un brivido nel pronunciare ad alta voce quel titolo le percorse tutta la schiena.

«No, lui no, ma mio nonno sì, per questo fin da piccolo ho potuto vivere in questo Castello». Un lieve sorriso apparve sul volto di Alexander, ma durò il tempo di un battito di ciglia.

«Quando lo sei diventato?» Posò la tazza quasi vuota in grembo e fissò Alexander nei suoi occhi scuri.

Il ragazzo si alzò in piedi e le sfiorò la mano prendendole la tazza. «Circa un anno e mezzo fa. Ho dovuto superare diverse prove. Le chiamano Le Cento prove, ma non sono proprio cento. Si tratta di prove fisiche, prove di coraggio, di astuzia, di perseveranza e di forza di volontà. Sono una proforma in realtà, perchè lo spirito del Principe sa esattamente dove vuole andare», serrò la mascella come se ne fosse infastidito. «In più non possono proporsi vampiri con più di duecento anni di età, vuole carne giovane il Principe...» ancora quel tono di ribrezzo.

«Tu non hai potuto scegliere di farti da parte?» Ora Roxen capiva, ora sapeva perchè entrambi odiavano quella missione: non avevano potuto scegliere nulla nella propria vita.

«Lo spirito del Principe mi aveva già scelto alla fine della seconda prova. La cosa buffa? Dobbiamo ancora allinearci, perchè io lo rigetto».

Roxen scattò in piedi e afferrò Alexander per la felpa. «Non mollare, Xander! Se ci sei riuscito finora puoi farcela, tienilo a bada e sarà in tuo potere».

Il vampiro la scrutò, inclinando il capo di lato. «Chi sei tu? E che nei hai fatto di Roxen?» Le sorrise e lei si allontanò subito come scottata. Aveva sentito di nuovo quel flusso potente di energia che passava dall'uno all'altra.

«Mi hai chiamato Xander, vuoi farmi credere che ora, nonostante tu sappia la verità su di me, sono tuo amico?»

Roxen si mangiò nervosamente un'unghia. «No», bofonchiò. «Assolutamente no. Ti ho chiamato Xander, ma non mi è piaciuto per niente. Suona stupido, decisamente stupido. Continuerò a chiamarti Kropowskji, sì».

Il sorriso dal volto di Alexander sparì. «Hanno iniziato a chiamarmi così Sara e Samuel, dopo che anche mio fratello è scomparso... per farmi sentire meno solo».

Roxen iniziò di nuovo a guardarsi intorno, quando era entrata aveva notato un'altra foto di Alexander da piccolo. Eccola. Era sulla mensola più alta, sopra il letto. Si tolse le scarpe e si arrampicò prima sul materasso e poi sul cuscino.

«Ehi!» Alexander la tirò per un passante dei jeans. «Che diamine stai facendo? Fai sempre così in casa d'altri?»

Roxen, lo ignorò e prese la foto. Sì, era una bambino carino, questo glielo concedeva. Accanto a lui c'era un ragazzo, molto simile all'Alexander che si trovava davanti ora, ma invece di avere gli occhi scuri come antracite, li aveva azzurro ghiaccio, come la donna del ritratto posto nel corridoio di ingresso. Indicò il giovane «Questo era tuo fratello?»

Alexander gliela strappò da mano. «Questo è mio fratello, sono sicuro che sia ancora vivo e tu mi aiuterai a trovarlo, giusto? Dovevi darmi una risposta una volta tornata dal Monastero, ricordi?»

Roxen si sedette a gambe incrociate sul letto, ignorando volutamente il profumo di Alexander che risaliva dalle coperte. «Ti aiuterò, d'accordo, ma ho ancora tante domande».

Il vampiro si sedette accanto a lei, spalla contro spalla. «Puoi chiedermi tutto quello che vuoi, mia signora». Roxen lo guardò di sottecchi e lo sorprese a sorriderle sornione. Lo spinse via con una gomitata. «Non tutta questa confidenza, Kropowskji».

Alexander scoppiò a ridere e lei ebbe per la prima volta la sensazione che quel suono fosse "casa", che per una volta si trovasse al posto giusto nel momento giusto.

«Non mi importa se d'ora in poi mi tratterai male, hai detto che mi aiuterai a ritrovare mio fratello e questo vale tutto per me». 

Roxen si portò le ginocchia al petto. «Il Principe delle Tenebre potrebbe farmi del male?»

Silenzio. Sapeva che quella domanda avrebbe rotto quella strana atmosfera che si stava creando tra loro. Aveva capito che Alexander era bravo a farsi voler bene dalle persone, ma lei non era tra quelle. Era pur sempre un vampiro, e che vampiro! Fidarsi è un conto, affezionarsi è un altro.

«Sì, potrebbe farti del male, per questo quando ti avvertirò di allontanarti da me dovrai farlo, in qualsiasi situazione o luogo ci troviamo. Non ho controllo su di lui quando prende il sopravvento». Il suo tono era tornato serio e quella nota di scherzosa riconoscenza era sparita.

«D'accordo. Tuo fratello da quanto è scomparso? Se devo aiutarti ho bisogno di informazioni».

Alexander guardò con attenzione la foto che ritraeva lui e suo fratello. «Ho i ricordi un po' confusi di quel periodo. Ricordo che quando avevo circa cinque anni ci fu una strage nel villaggio di streghe e stregoni che stava al limitare del bosco, all'ingresso della Foresta Incantata».

Roxen si dovette mordere la lingua, il vampiro le stava dando quelle informazioni come se fossero risapute, e qualcosa che suonava famigliare c'era, ma lei avvertiva come della nebbia attorno a esse. 

«In seguito alla strage, qualche mese più tardi furono uccisi anche i miei genitori, io ero nascosto dentro all'armadio di mia madre. Non ho visto il vampiro, nemmeno Vlacu perchè si era occupato di far scappare la servitù su ordine di mio padre, o almeno così mi è stato detto».

Un fitta dolorosa le colpì la testa. Anche lei era nascosta quando sua madre venne uccisa. Non lo fece intenzionalmente, ma la sua mano si mosse a cercare quella di Alexander e la strinse. Lui si fermò. «Scusa», mormorò ricambiando la stretta.

«Insomma, non so come ma io e mio fratello riuscimmo a scampare alla follia distruttiva di quel vampiro e per i due anni successivi si è occupato lui di me. Poi una notte è sparito, senza dire nulla, senza lasciare tracce. So che è assurdo pensare che dopo dieci anni lui sia ancora vivo, ma sento che è così, Roxen». Le lasciò la mano, e tirò su col naso.

La strega si mise a giocherellare con la sua treccia, tenendo lo sguardo basso. Aveva capito che per Alexander era stato un momento difficile da gestire, e probabilmente la stanchezza di quelle giornate di tortura aveva completamente abbassato la sua corazza di imperturbabilità che tanto amava ostentare. 

«Ok, forse con un qualche oggetto che gli apparteneva e un incantesimo di localizzazione potrei provare a rintracciarlo».

Alexander scosse la testa. «Ci ho provato, grazie ai quaderni che mia madre mi ha lasciato ho potuto studiare un po' di magia e quell'incantesimo era scritto molto chiaramente, se vuoi te lo mostro, ma non ha portato a molto. È come se ci fosse una barriera che mi impedisca di trovarlo».

Roxen alzò gli occhi al cielo, mordendosi per l'ennesima volta la lingua. Se sei un novellino fare un incantesimo di localizzazione non ti riuscirà sicuramente, succhiasangue. Dovresti lasciar fare a un'esperta.

«Possiamo riprovare insieme, così mi fai vedere come hai fatto». 

«Ti stai trattenendo dal darmi dell'incompetente, vero?» Alexander le pungolò il fianco.

Roxen lo guardò minacciosa facendo sfrigolare le dita davanti alla faccia del ragazzo. «Prova a toccarmi ancora e sei morto e sì, visto che me lo chiedi, mentalmente ti sto dando dell'incompetente, visto che non hai potuto studiare magia in una Congrega, o sbaglio?»

Alexander alzò le mani. «Va bene, mia signora, faremo a modo tuo».

Roxen gli lanciò contro un cuscino. «Smettila di chiamarmi così».

«E come ti devo chiamare? Tu mi hai chiamato Xander, ci vuole un nomignolo che sancisca la nostra amicizia, la nostra nuova alleanza».

Più Roxen gli intimava di smettere più lui continuava a provocarla. «Non so, i tuoi amici come ti chiamano? Rox, Roxy Foxy? Comandante? Megera?»

 Roxen si alzò dal letto, decisa ad andarsene da quella stanza. «Vedo che il sangue di cervo ti ha ridato energia, io però ora sono stanca e voglio andare a dormire». Posò la mano sulla maniglia.

«Roxy?» Alexander la trattenne di nuovo per il passante dei jeans. «Grazie, grazie per avermi salvato la vita, grazie per aver curato la mia ala e qualche ferita, grazie per aver deciso di aiutarmi a ritrovare mio fratello e grazie per aver accettato chi sono».

Maledizione. Se mi guarda così non sono capace di odiarlo. Sospirò e senza aggiungere nulla uscì.    



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