16. Torture

Più lo frustavano, meno sentiva dolore, ormai. Il suo corpo si era abituato a quella violenza, ed era così stanco, affamato e distrutto da essersi completamente alienato da sè stesso. Non gli importava delle minacce o dei ricatti del Conte, gli bastava che non coinvolgesse altri vampiri nei suoi piani assurdi di potere. Li avrebbe solo sacrificati per i suoi scopi.

L'ennesima frustata lo fece piegare in avanti, ma non emise un solo suono. Era legato ai polsi e alle caviglie al muro ammuffito con catene di metallo arrugginito, che lo graffiavano e infettavano le sue ferite.

«Fermi così, per oggi può bastare». Il Conte uscì dall'ombra e fissò dall'alto della sua posizione un Alexander stremato.

Le prigioni erano buie e umide, la sua parte umana soffriva terribilmente quella condizione, ma la sua parte vampira continuava a rigenerarsi curando le ferite in poco tempo e così il mattino seguente la tortura ricominciava daccapo finché il suo corpo diceva basta e lasciava che il dolore diventasse parte di sè, come il sangue che scorre nelle vene.

Il lacchè del Conte si inchinò e lasciò a terra la frusta, per poi sparire nel buio più tetro.

«Sai» l'anziano vampiro gli diede un calcetto alla caviglia, facendolo sbilanciare e tirare le catene delle braccia. «Non capisco perchè tu non voglia accettare il mio patto, in fondo saremmo contenti tutti quanti così».

Alexander ridacchiò scuotendosi tutto. «Forse è colpa della demenza senile se non capite».

Il Conte serrò la mascella e gli diede uno schiaffo talmente forte da voltargli la faccia. «Continua pure a scherzare, stupido. Potresti avere un alleato potente al tuo fianco e invece continui a fare la scelta sbagliata».

Alexander alzò la testa e lo fissò con durezza. «La mia scelta è più che giusta. Ora più che mai ne sono convinto. Non lascerò mai che umani e vampiri vengano sacrificati per la vostra sete di potere».

Il Conte scoppiò a ridere. «Ma i vampiri gioverebbero della mia proposta. Insomma, li avete resi dei fuori legge».

«I vampiri stanno scoprendo di essere liberi di scegliere, di non essere obbligati a bere sangue per vivere, soprattutto sangue umano. Si stanno liberando della loro dipendenza, della loro eterna prigionia e stanno scoprendo di avere molte più possibilità». Alexander drizzò le spalle come poté e con fierezza sfidò il Conte a controbattere.

Il viscido anziano per risposta gli diede un pugno nel ventre, facendolo sputare sangue.

«Ne ho abbastanza dei tuoi discorsi idilliaci, visionari e contro natura! Noi vampiri ci cibiamo di sangue, amiamo il sangue, lo necessitiamo e tu ci stai privando della nostra linfa vitale, stolto!» Il Conte ansimava dalla rabbia. «Liberatelo, mi ha scocciato, voglio ammazzarlo con le mie mani».

I servi del Conte, sgusciarono come serpi verso la fioca luce e liberarono Alexander, che cadde faccia a terra, senza riuscire a ripararsi con le mani, indebolite dal troppo stringere delle catene.

Il pavimento era freddo e duro, leggermente viscoso. Alexander restò a terra per qualche secondo, col respiro che gli faceva andare su e giù la cassa toracica. Un colpo di tosse lo scosse tutto e qualche rivolo di sangue gli uscì dalla bocca.

Con fatica fece strisciare prima una mano e poi l'altra di fianco alla testa e si alzò. Lentamente prese di nuovo possesso del suo corpo, sentendo ogni singola ferita sulla schiena aprirsi e chiudersi al minimo movimento.

Il Conte lo osservava con disgusto. Alexander sapeva di essere solo un ostacolo da togliere di mezzo per lui, peccato che questo non bastasse a farlo ritrattare e accettare le sue condizioni. Ora che era libero poteva usare un'arma di cui nessuno a Bran era a conoscenza: la magia. E lo avrebbe fatto anche a costo di scatenare un rivolta da parte di tutto il Consiglio degli Anziani. Lui era un Mestizio ed era il momento di mostrarlo.

Si massaggiò i polsi studiando i movimenti del Conte, che camminava davanti a lui come una pantera pronta all'attacco. Improvvisamente le poche luci fioche vennero spente da un colpo di vento. Alexander sfoderò gli artigli e si preparò a difendersi. Gli occhi si abituarono velocemente al buio pesto e poté riconoscere un'ombra che gli si gettò addosso. La scansò e la sentì imprecare alle proprie spalle. 

«Trasformati, Alexandrei! Mostra il tuo vero potere, dammi un assaggio della forza del nostro signore», gracchiò con ironia il Conte.

Alexander cercò di individuare il punto in cui era il suo nemico e con un lieve gesto della mano gli fece cadere una cascata di acqua bollente addosso.

«Che diamine...» Il Conte non riusciva a parlare, balbettava cose senza senso, ma soprattutto, ora era visibile chiaramente ad Alexander, che poteva vedere la traccia della propria magia anche al buio.

Riprendendo un po' di forza, gli balzò sopra e iniziò a riempirlo di pugni e calci, sfogando tutta la rabbia e il senso di ingiustizia accumulato in quei giorni. Il Conte sembrava subire senza trovare un modo per difendersi, preso alla sprovvista, finché non infilzò i suoi lunghi artigli taglienti nei polpacci di Alexander. Il ragazzo gridò, cadendo in ginocchio con un tonfo sordo al suolo. Il Conte lo prese per il collo e lo sollevò in aria, stringendo sempre di più.

«Ho detto: TRASFORMATI!» Gli ringhiò in faccia e lo lanciò con tutta la forza che aveva contro il muro.

Alexander sbatté prima la schiena e poi la testa contro una macchina da tortura. Riuscì a mala pena a emettere un lamento, mentre sentiva le ossa scricchiolare sotto il suo peso. Aveva male ovunque, ma non voleva arrendersi. Rotolò a fatica su un fianco e cercò di pensare a come attaccarlo. Avrebbe potuto far ricorso a Lui e in quel modo metterlo a tacere per sempre, ma dopo avrebbe anche dovuto calmare le acque. Era troppo difficile pensare con tutte quelle ossa rotte, avrebbe rimediato in seguito a tutte le problematiche che sarebbero sorte. Ora voleva solo che quell'incubo finisse. «E va bene, vuoi vedere il mio vero potere e potere sia», sibilò a denti stretti trasformandosi. 

Lentamente gli crebbero i canini, le unghie si allungarono, dalle spalle sbucarono ali giganti da pipistrello e i suoi occhi divennero rossi come braci di fuoco.

«Sono qui, vecchio».

                                                                                   🔥🔥🔥 

Lionel aveva sellato i cavalli e stava attendendo Roxen nel cortile del Castello. Andare a cavallo da una fortezza all'altra gli dava l'impressione di essere in un'altra epoca.

Mentre Roxen si faceva spiegare da Vlacu come poter entrare nel maniero del Conte senza essere visti, Lionel scrisse un messaggio a Sara.

Ehi, volevo solo dirti che stiamo bene e che probabilmente Xander è stato trattenuto da un certo Conte. Come stai tu? Com'è la situazione a Mediana?

Voleva avere un tono leggero, per non farla preoccupare, ma non sarebbe bastato un messaggio a metterla tranquilla, non finché non fosse stato ritrovato Alexander sano e salvo.

Il Conte è molto pericoloso, state attenti. Spero che Xander sia vivo. Io passo il mio tempo a uccidere mostri insieme ad Algidea e Giada. Non preoccuparti per me, piuttosto fate in modo di tornare tutti e tre sani e salvi, per favore.

Vlacu ci ha detto che è ancora vivo, almeno su questo puoi starne certa.

Ok, bene. Questo aiuta un po', grazie.

Lionel avrebbe voluto rassicurarla di più, ma c'era ben poco che potesse dirle. Lui non poteva neanche immaginare cosa avesse passato Sara prima di andare a Mediana, quale fosse la sua vita lì in quella terra così ostile e piena di regole da seguire. Gli era bastato ascoltare Vlacu in quel brevissimo resoconto per capire che vi erano gerarchie rigide e una costante lotta tra poteri. Si toccò il disegno a forma di rosa sul braccio, pensando che avrebbe fatto di tutto per renderla felice, se solo lei glielo avesse permesso. 

«Forza», Roxen gli diede un colpetto sulla spalla. «Andiamo a salvare il vamp... il mio alleato, così potremo tornare a casa il prima possibile».

Lionel non poté fare a meno di sorridere all'aperta ostilità di Roxen verso i vampiri. Prima o poi avrebbe capito che non tutti  loro erano dei folli omicidi.

«Come pensi di fare una volta che saremo lì? Non credo che potremo entrare tranquillamente come abbiamo fatto qua».

Roxen salì sul suo cavallo dal manto color cappuccino. Lo accarezzò sul collo con decisione, dandogli qualche colpetto con la mano. «Non lo so, Vlacu ha detto che il castello è fatto di pietra e metallo, che esiste una sola porta in legno, ma non ricorda se è quella che dà alle cucine o alle segrete. Puntiamo a trovare quella, potrò disintegrarla col fuoco ed entrare, il dopo si vedrà».

Lionel prese le redini del suo purosangue nero pece. «Sembri piuttosto decisa».

Roxen scosse la testa. «No, è solo l'unica cosa che posso fare».

Vlacu aveva detto di attraversare il bosco, era la strada più veloce e meno in vista per arrivare al castello del Conte. Una volta arrivati nelle vicinanze avrebbero dovuto lasciare i cavalli accanto a un piccolo ruscello e poi trovare l'unica porta in legno che avrebbe potuto farli entrare.

«Quel viscido del Conte lo sta torturando, ne sono certo!» Aveva detto l'anziano vampiro. «Lui ha preso come una sfida le parole dette dal signore Alexandrei alla riunione, quindi si starà vendicando! É un fanatico delle torture». Aveva agitato i pugni in aria come se potesse colpirlo lui stesso e Roxen gliele aveva prese gentilmente.

«Ve lo riporteremo, lo prometto».

Vlacu l'aveva guardata negli occhi con profonda commozione. «Grazie, mia signora. Lui ha solo me e io ho solo lui».

A quelle parole Roxen si era sentita stringere il cuore in una morsa di compassione. Lo capiva, capiva benissimo come si sentiva Vlacu, lui era per Alexander ciò che Soriana era per lei. 

Un nodo le strinse la gola e non riuscì a dire altro, per cui si erano congedati così, con quella promessa che nascondeva ora sentimenti mutati.

Lionel e Roxen partirono alla volta del castello, guardandosi attorno circospetti. Il bosco era un ambiente selvatico, pieno di rumori sinistri che facevano balzare Lionel al minimo fruscio, mentre Roxen manteneva una calma sorprendente e avanzava a passo spedito verso il maniero.

«Non potresti illuminare la strada con la magia del fuoco?»

«Se usassimo la magia per rischiarare il sentiero ci giocheremmo l'effetto sorpresa, Lio». Roxen gli lanciò un'occhiata divertita. Non si aspettava che lo stregone fosse così timoroso.

Lionel sbuffò. «Senti, solo perché dicono che sei la strega più potente e quindi una prescelta, non è che devi prendere in giro i poveri stregoni impauriti, ok?»

Roxen rise. «Non ti facevo così ironico».

«L'ansia mi rende logorroico e divertente».

«Ho notato, anche se a Mediana sei più intraprendente... ma forse è perché vuoi fare colpo su qualcuno». Gli scoccò un'occhiata allusiva e portò il cavallo al galoppo distanziandolo.

«E io non ti facevo così pettegola».

Roxen stava per controbattere, quando udì uno strano scricchiolio proveniente dall'alto. Fermò il cavallo e fece segno a Lionel di stare in silenzio. Qualcosa si era mosso tra le fronde degli alberi.

Scrutò attentamente tra l'oscurità. Era notte e la luna si vedeva appena. Non avrebbe voluto usare la magia del fuoco, ma se qualche animale li avesse attaccati ne sarebbe stata costretta.

Restarono immobili nel buio per un breve minuto, che per loro sembrò durare un'ora e poi ripresero a muoversi, col cuore più pesante e con la lingua annodata.

Dopo poco, Roxen sentì di nuovo un leggero fruscio sopra le loro teste. «Adesso basta», sussurrò. Non sopportava tutta quell'incertezza, poteva essere un animale notturno, come una bestia che voleva attaccarli e fare tutto il tragitto con quei pensieri l'avrebbe snervata.

Con un gesto della mano indicò a Lionel il sentiero e gli disse di proseguire in silenzio. Lui annuì preoccupato e lei gli si mise dietro, tendendo le orecchie al minimo suono, finché non individuò un punto nell'oscurità che aveva contorni troppo grandi per essere un semplice animale.

«Exsurge vel flamma et ostende mihi persecutorem». Una piccola fiamma si levò in cielo, viaggiando a una velocità inafferrabile e si fermò tra gli alberi a una ventina di metri sopra la sua testa.

«Trovato! O ti fai vedere o ti tiro giù a suon di sfere di fuoco!» Minacciò Roxen, sfoderando una palla fiammeggiante nel suo palmo.

Come un fulmine l'essere scese dagli alberi, balzando da un ramo all'altro, finché non atterrò sul cavallo di Roxen, puntandole una spada alla gola. «Eccomi qui, strega».

Roxen schiacciò la sfera di fuoco sul viso del nemico, facendolo urlare di dolore e cadere a terra. Veloce scese da cavallo e invocò una spada incandescente. Sovrastò il nemico minacciandolo. «Dimmi chi sei e forse ti darò una morte rapida». 

L'essere si copriva il volto ancora dolorante e bruciacchiato. Roxen lo stuzzicò col fendente, e lo sconosciuto si dimenò tentando di allontanarla.

 «Basta bruciarmi», si lamentò quello, indietreggiando e strisciando a terra.

Roxen sbuffò, quanta perdita di tempo, per uno che sembrava aver più paura di lei a stare lì. «Muoviti, ho cose ben più importanti da fare».

Finalmente l'essere si fermò e scoprì il volto, guardandola dal basso all'alto. Un vampiro. C'era da scommetterlo, pensò lei amareggiata.

Viso giovane e perfetto, leggermente ustionato dalla sfera di poco prima, occhi blu, quasi di ghiaccio e capelli color sabbia con striature più scure ai lati.

Il vampiro si protesse ancora una volta la faccia con il braccio, timoroso che Roxen potesse sguainargli contro la spada. «Sono Samuel, sono un vecchio amico di Xander. Non vi stavo seguendo, stavo proteggendovi dalle guardie e dalle belve nascoste in questo bosco. Molte sono state "addomesticate" dal Conte». Si tirò indietro i capelli con fare elegante.

Roxen ritrasse la spada e si guardò intorno. Effettivamente il bosco era molto calmo. Ripuntò i suoi occhi smeraldini su Samuel e gli fece cenno di alzarsi. «Non mi fido dei vampiri, men che meno di quelli che non conosco».

Il vampiro la guardò sorpreso «Ok, sei molto diretta». Le indicò poi il sentiero su cui aveva proseguito Lionel.

«Per mia sfortuna conosco molto bene il castello del Conte, quindi se accettate il mio aiuto vi mostrerò solo l'entrata da cui potrete accedere alle prigioni. È lì che il Conte tortura le sue vittime...» Si interruppe per un istante guardando in direzione della fortezza. «Tengo molto ad Alexander, ma non posso mettere piede là dentro». Abbassò lo sguardo, scrollandosi le spalle, come se un brivido lo avesse percorso da capo a piedi.

«Certo, a parole siete tutti affezionati ad Alexander, peccato che alla fine chi andrà a salvarlo sia io».

Samuel la guardò incuriosito. «Cos'hai detto?»

Roxen scosse la testa e raggiunse Lionel. «Niente, facci strada, ti tengo sotto tiro».

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