14. Arrivo a Bran
Roxen guardava la massa che si muoveva frenetica, come se in mezzo a essa potesse trovare un significato, una spiegazione a tutto quello che le stava accadendo.
Erano in aeroporto. Algidea era passata a prenderla al Monastero quel pomeriggio e in macchina c'erano anche Lionel e Sara. Avevano tutti delle espressioni contrite e lei non era da meno. L'idea di andare a Bran non l'entusiasmava affatto, ma a quanto pareva non vi erano scappatoie.
Le migliaia di persone che passavano loro accanto non avevano idea di quello che stava succedendo proprio davanti ai loro nasi. Erano totalmente ignare, pensavano solo alle loro prossime vacanze, al fidanzato appena salutato, alla figlia che partiva per l'Erasmus e a quando avrebbero rivisto il loro amore di lì a poco. Roxen lasciava scorrere lo sguardo su di loro e trovava quasi rassicurante il vociare di sottofondo, peccato che Algidea dovesse rovinare sempre tutto.
«Lionel verrà con te». Passò i biglietti al ragazzo e poi a lei.
«E Sara? Lei è una vampira, sarebbe la persona più adatta ad accompagnarmi» Roxen la guardò, ma la vampira abbassò la testa e si strinse nelle braccia.
«Non posso mettere piede a Bran. Ho una specie di taglia sulla testa... ma non per il motivo che pensi tu. Non ho ucciso nessuno, ho solo» Sara s'interruppe e batté più volte le palpebre. «Ho sfidato un vampiro molto potente, rifiutando di sposare suo nipote e così sono dovuta scappare».
Roxen avrebbe voluto dirle qualcosa, chiederle scusa per il suo comportamento, dirle che le dispiaceva, ma si vergognava troppo di sè stessa. Si era comportata proprio come una bambina capricciosa, dimenticandosi che tutti hanno un vissuto alle spalle e questo non sempre è lieto come ce lo si immagina. «Capisco», non riuscì a dire altro, ma notò lo sguardo riconoscente di Lionel.
Algidea batté le mani per richiamare a sè l'attenzione. «Ripeto: Lionel verrà con te, se hanno fatto del male ad Alexander ti servirà qualcuno che ti guardi le spalle. Là il cellulare funziona, quindi sei pregata di metterti in contatto con noi non appena sarete atterrati e avrai notizie, chiaro?»
Roxen alzò gli occhi al cielo sbuffando, «Sissignora».
In quel momento chiamarono l'imbarco. Roxen sentì i propri battiti aumentare appena un po', ma non era il momento di farsi prendere dal panico. Poteva farcela, non era sola. Con la coda dell'occhio guardò Lionel, che le appariva così calmo e sicuro di sè. Lo vide mettersi lo zaino in spalla e salutare militarmente Algidea. Poi notò come strinse forte la mano di Sara e come le passò un dito carezzevole sul viso. Pareva un gesto così intimo che Roxen distolse subito lo sguardo incrociando quello severo di Algidea.
«Mi raccomando» le disse, accompagnandola verso i controlli. «Non avere uno dei tuoi soliti colpi di testa. Fidati dei tuoi compagni e confrontati con loro, da soli non si arriva da nessuna parte».
Roxen sospirò. «Sono qui, vuol dire che mi sto fidando di tutti voi». Si allontanò dandole le spalle.
Algidea non aveva affatto capito quanto Roxen si stesse lasciando guidare da lei, da Soriana e quanto stesse cercando di fidarsi del prossimo.
Superò i controlli e con tutta la forza che aveva cercò di mandare giù tutto quel malessere e agitazione che le si muoveva dentro.
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Dal finestrino Roxen guardò in basso, era la prima volta in vita sua che prendeva l'aereo. L'ennesima fitta di inquietudine le afferrò lo stomaco. Inspirò a fondo. Fortuna che il viaggio sarebbe durato poco meno di quattro ore e non aveva scali, altrimenti avrebbe rischiato di impazzire: stare immobili, in posti angusti e scomodi, senza nessuna distrazione a parte il paesaggio dai finestrini e i suoi pensieri.
«Da quando tu e Sara siete così legati?» Spostò lo sguardo su Lionel, seduto accanto a lei. Doveva occupare la sua mente con qualcosa e l'argomento la incuriosiva parecchio.
Lo vide irrigidirsi, cambiare posizione sul sedile. «Da quando tu e Xander siete partiti, siamo rimasti io e lei e... ci siamo avvicinati».
Roxen storse la bocca. Una risposta troppo vaga per i suoi gusti. «Oh, andiamo! Tutto qui? Prima di partire l'hai addirittura accarezzata e cos'è quel tatuaggio sul braccio?»
Lionel coprì istintivamente il disegno della rosa e arrossì fino alla base del collo. «Forse è più il caso di dire che io mi sono avvicinato a lei e che lei si sia lasciata avvicinare, ora la situazione è complessa. Fatti bastare questo». Si tirò il cappuccio della felpa sulla testa e incrociò le braccia al petto. Il messaggio era ben chiaro.
Roxen tornò a rivolgere lo sguardo verso il finestrino. Appoggiò la testa contro il sedile maleodorante e provò a rilassarsi.
L'aereo aveva interni bianchi, diventati ormai grigi dall'usura e dalla scarsa pulizia, i finestrini erano ricoperti di condensa e goccioline, i sedili erano di una stoffa blu sbiadita ed emanavano olezzi poco piacevoli e infine la moquette era beigiolina, ricoperta qua e là di macchie scure. Un aereo low cost a tutti gli effetti.
Il mezzo saltellò come una macchina su un dosso, Roxen si tirò indietro contro il poggiatesta e si aggrappò con le mani ai braccioli. Strinse gli occhi tentando di tenere a bada il panico che si stava impossessando di lei. Un respiro profondo e tornò a concentrarsi su Lionel.
«Al Monastero ho conosciuto due persone che forse potrebbero aiutarci. Una è una strega delle Arti Curative e l'altra è un druido». Un altro saltello e un ondeggiamento costrinsero Roxen a respirare ed inspirare più volte prima di riprendere la calma.
«Ottimo, e mentre noi difendevamo Mediana a costo della vita, hai trovato anche qualcosa di utile per la missione o hai fatto solo public relations?» Lionel non la guardava, teneva la testa rivolta verso il basso e continuava a indossare il cappuccio.
Roxen non capiva perchè ce l'avesse tanto con lei. Non era stata mica una sua scelta far parte di quella missione e non era stata lei a chiedere che lui diventasse la sua guardia del corpo. Dannazione, pensò, come se io avessi qualche potere decisionale in tutto questo.
L'aereo cominciò a inclinarsi verso il basso e Roxen non pensò più ad altro.
L'atterraggio fu brusco. Tutti i passeggeri sussultarono, sentendosi improvvisamente gettati a terra. Stridii di freni e puzza di bruciacchiato si insinuarono tra le persone. Roxen chiuse gli occhi nella speranza che tutto avvenisse il più in fretta possibile. Aveva affrontato tante cose spiacevoli nella sua vita, ma quell'atterraggio la provò parecchio.
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L'asfalto sottostante era di un grigio molto scuro, il paesaggio che si trovarono davanti, una volta scesi dall'aereo, fu desolante: nebbia fitta e umida, ombre lontane che sembravano dire "scappate da qua" e persone silenziose e diffidenti.
Una volta usciti dall'aeroporto chiamarono un taxi che li condusse a Bran. Dovevano farsi lasciare in paese per raggiungere il castello a piedi. Roxen non riusciva a capacitarsi del fatto di doversi recare in un vero castello. Algidea non si era sbilanciata più di tanto sulle indicazioni. «Sono persone riservate, quindi non perdetevi in chiacchiere. Andate al castello, lì ci sarà sicuramente qualcuno che vi aprirà, poi se sarete fortunati vi farà entrare, altrimenti vi cacceranno a pedate come è successo al confratello di Lionel».
Si sistemarono sul retro del taxi, l'autista masticava appena l'inglese, ma capì la direzione. Lo videro scuotere la testa e sghignazzare. Roxen e Lionel si scambiarono uno sguardo preoccupato e pregarono in cuor loro di arrivare a destinazione.
Le strade erano piene di curve e le brulle campagne si alternavano a fitti boschi lungo la strada per giungere al paese. Più si avvicinavano al centro abitato, più i boschi si diradavano, ma la nebbia restava.
Nel cuore di Roxen si faceva strada la paura di essere arrivata troppo tardi. Lionel, per la prima volta da quando erano partiti, le diede una pacca, goffa, sulla spalla.
«Scusa per prima, immagino che anche tu stia facendo tutto il possibile per stare calma e affrontare questa missione come puoi. Io, in realtà, ero piuttosto esaltato all'idea di aiutarvi, soprattutto perchè mi sarei avvicinato a Sara». Un timido sorriso comparve sul volto del ragazzo. «Ma ho iniziato ad avere paura, i mostri sono stati tanti, hanno attaccato degli esseri umani, ne hanno uccisi parecchi e se questo è solo l'inizio, mi spaventa il futuro. Spero davvero che Xander sia vivo».
Roxen rabbrividì. Ascoltando le parole di Lionel lo sperò anche lei. «Sì, hai ragione. Fa paura, ma devo... dobbiamo, farci coraggio. Grazie per tutto quello che tu e Sara avete fatto per Mediana. Io dal mio canto ho scoperto poco, solo che questo nemico ritorna fuori ciclicamente e che vengono designati quattro prescelti che devono fronteggiarlo». Tirò fuori il libercolo che le aveva dato Jensen, non aveva ancora avuto il coraggio di aprirlo. Lo diede a Lionel. «Qui ci sono le testimonianze di un Monaco che ha vissuto l'ultima venuta della Minaccia Primordiale. Non l'ho ancora aperto. Voglio farlo con Alexander, non so perchè ma sento che impazzirei se lo leggessi da sola».
Lionel posò una mano sulla copertina logora del libercolo. Deglutì e lo restituì a Roxen. «Credo che tu abbia ragione».
A Roxen sfuggì un risolino isterico e arrotolò il libricino mettendolo nello zaino. Nel frattempo intorno a loro il paesaggio era cambiato e il cielo si era imbrunito. L'autista li lasciò in paese e senza attendere oltre s'incamminarono seguendo le indicazioni che davano verso il castello.
Quando lo videro spuntare da sopra la boscaglia rimasero per qualche istante a contemplarlo. La luce del tramonto colorava le guglie del castello di un rosso ambrato, Roxen lo trovò bello e luminoso, contrariamente a come se l'era immaginato. Le mura esterne un tempo dovevano essere state chiare, ma il vento e le intemperie le avevano ingrigite. Abbracciavano la collina creando una piccola corte.
Molte le torri di differente forma e dimensione che costellavano il perimetro del castello, davano l'idea di costituire una fortezza di vedetta e trasmettevano una certa sicurezza.
Quando vi giunsero davanti si resero conto di dover in un qualche modo entrare o almeno farsi aprire, ma non c'erano campanelli, né batacchi. L'unico modo sembrava bussare forte sul portone in legno.
«Bussiamo insieme, così è più probabile che ci sentiranno», Lionel si avvicinò al portone, mentre Roxen se ne restò ferma qualche passo dietro di lui.
Era giunto il momento di scoprire come stava Alexander e a lei tremavano le mani. Stai calma, si disse, è ancora vivo e tu non sei sola. Strinse i pugni, fece tre respiri profondi e insieme a Lionel iniziò a bussare.
Pensavano di dover scorticarsi le nocche, e invece, dopo neanche due tocchi, il portone si aprì e un uomo anziano, dal viso gentile sbucò fuori.
«Signore? Siete voi?» Aveva rughe sottili intorno agli occhi, la fronte lievemente stempiata e morbidi capelli bianchi.
Quando si accorse che Roxen e Lionel non erano la persona che stava aspettando corrugò la fronte e abbassò gli angoli della bocca.
«Ci scusi, forse non siamo le persone che stava aspettando, ma avremmo bisogno di chiedervi un'informazione». Roxen si fece avanti, mostrando tutta la cordialità di cui era capace, pur avendo davanti a sè il primo dei tanti vampiri che avrebbe visto da lì a poco.
L'anziano, vestito in livrea nera e bianca, divenne serio e fece un inchino. «Dica pure, signorina, sono al vostro servizio».
Lionel fece un cenno d'assenso verso Roxen e le si mise accanto, pronto ad agire nel caso le cose si mettessero male.
«Noi stiamo cercando un ragazzo, si chiama Alexander Kropowskji, ci aveva detto che lo avremmo trovato qui...» Roxen vide il viso dell'anziano illuminarsi e alzare su di lei uno sguardo speranzoso.
«Per tutti i Principi delle Tenebre! Siete la Strega! Oh, Signora, entrate, entrate, vi stavamo aspettando». L'anziano spalancò il portone e con decisa gentilezza fece entrare Roxen e Lionel all'interno del Castello.
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