11. L'arma incantata
Il Monaco condusse Roxen nel porticato del Monastero, quello che dava sul cortile interno.
La neve cadeva violenta, accumulandosi su un già presente strato massiccio adeso al terreno. Il vento ululava rabbioso, quasi come se volesse punire i pochi avventurieri che osavano attraversare il cortile in quel momento.
Roxen si strofinò le braccia attorno al corpo, lasciando che le dita irradiassero calore. Quando il Monaco si tolse il cappuccio riconobbe in lui alcuni lineamenti a lei noti: il viso lievemente spigoloso, i capelli neri ed estremamente lisci, gli occhi impertinenti di quel colore così raro da sembrare quasi viola e infine il modo di inarcare le sopracciglia.
«Tu sei Jensen, vero? Il fratello di Giada». Un luccichio divertito le attraversò lo sguardo.
Il Monaco annuì serio. Infilò una mano all'interno della tunica e ne tirò fuori un libercolo sottile, con la copertina malandata e le scritte del titolo sbiadite. «Giada mi ha inviato una lettera il giorno stesso in cui sei partita. So che non sembra, ma è una ragazza molto attenta al prossimo e per questo motivo mi ha chiesto di aiutarti nella ricerca». Tacque per qualche secondo, come se fosse combattuto nel rivelare i risultati del suo indagare. Alzò lentamente il braccio e diede il libercolo a Roxen. «Questi sono appunti di un Monaco vissuto ormai quattrocento settanta anni fa. Parla di un nemico molto potente, un nemico con molti alleati nel mondo sovraumano, ma con altrettanti oppositori, tra cui spiccavano quattro giovani dalle sorprendenti capacità magiche e sovrannaturali». Si interruppe, notando lo sguardo a tratti terrorizzato a tratti sconvolto di Roxen.
La ragazza se ne stava in piedi, con la testa china e il libercolo sgualcito tra le mani, ma non aveva il coraggio né di guardarlo né di aprirlo. Eppure anche Milacre le aveva detto che la Minaccia Primordiale era un nemico che si ripresentava ciclicamente nei Mondi per generare caos e distruzione, ma qualcosa in quel taccuino lo rendeva crudamente spaventoso. In quel momento Roxen avrebbe voluto la capacità di invocare i morti e chiedere ai quattro giovani di quattrocento settanta anni prima come avevano fatto ad affrontare un nemico simile, come avevano fatto a non scappare e a non avere paura.
«Potrai consultare gli appunti con tutta calma. Quando ti sentirai pronta. Ora sono tuoi, penso che tu abbia il pieno di diritto di condividerli con i tuoi alleati o tenerli per te. Fanne ciò che vuoi, Hai già una responsabilità molto più grande di te sulle spalle, ma sappi che non sei sola. Mia sorella ed io ti sosterremo».
Roxen ebbe finalmente il coraggio di leggere il titolo sbiadito. La Minaccia Primordiale e i Prescelti. Si trattenne dallo scoppiare a ridere, leggerlo così, stampato in bella grafia sembrava quasi una cosa ridicola, come fosse solo un'invenzione, un libro da leggere per passare il tempo.
«Ti ringrazio, Jensen e manderò un messaggio anche a Giada per ringraziarla, ma questo libro dovrò portarlo fuori dal Monastero, so che non è concesso», non sapeva perchè ma in cuor suo sperò che il Monaco le vietasse di portarlo con sè.
Sentì lo sguardo perplesso di Jensen su di sè. «Tu puoi». Sentì le gambe tremarle, ma si raddrizzò e improvvisamente sentì una gran voglia di litigare. «Bene e posso prendere anche qualche libro di magia antica? Sai, la mia Capo Magistra mi ha detto che avrei dovuto imparare anche quella, ma nessuno di voi è disposto a insegnarmela, mi sembra» lo guardò come se tutto quello che era successo fino a quel momento fosse colpa sua.
Il Monaco assottigliò lo sguardo e si rimise il cappuccio. «Non sei pronta per la magia antica, ma potrai portare con te un libro che ti si rivelerà quando sarai pronta. Te lo porterò stanotte, lo metterò davanti alla tua celletta».
Le dita di Roxen emisero un bagliore rosso, poi si spensero di colpo. Era inutile, che cosa avrebbe ottenuto litigato con Jensen? Alla fine aveva detto la verità, perchè i Monaci conoscono la storia e la verità e non puoi sfuggire alla verità. Lasciò cadere le braccia lungo le gambe, sconfitta dalla sua stessa impudenza. «D'accordo», sospirò. «Senti, sono qui ormai da una settimana, possibile che non ci sia un angolo di questo monastero in cui prenda il cellulare o anche solo un telefono? Ho davvero bisogno di comunicare con l'esterno, devo sapere cosa sta succedendo a Mediana nel frattempo».
Jensen la fissò per una manciata di secondi, sembrando quasi dispiaciuto per lei, poi le indicò una torretta che sporgeva dalla torre maggiore, come se fosse un braccio, alla quale Roxen non aveva mai fatto caso. «Solitamente si usa solo per le emergenze, ma chiuderemo un occhio per questa volta. Lì troverai il modo per comunicare con l'esterno».
Roxen arrotolò il libercolo e lo infilò nella tasca sul retro dei jeans, pronta ad avviarsi verso la torretta, ma a metà strada si bloccò. «In che senso troverò il modo per comunicare con l'esterno?». Jensen era già molto lontano e la tormenta di neve non dava modo alle parole di arrivare fino a lui.
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Lionel entrò in camera sbattendo col gomito contro lo stipite della porta. Era molto buio e lui era molto stanco. Non immaginava che i mostri che avevano varcato il Velo fossero così tanti. La situazione era allarmante e lui e Sara non potevano farcela da soli.
Roxen e Alexander erano partiti da più di una settimana e non avevano più avuto loro notizie. Sara era in ansia proprio per questa motivazione, soprattutto per Alexander.
«C'è qualcosa che non va, Lionel». Aveva dichiarato quel pomeriggio, mentre si attorcigliava i capelli attorno al dito, nel suo solito modo nervoso.
Lui l'aveva guardata con un misto di pena e gelosia. Sembrava che per Sara, Alexander fosse la persona più importante al mondo e che sarebbe morta per lui. Ogni volta che si trovavano a parlare di Alexander e Roxen, Lionel sentiva profonde fitte che gli toglievano il respiro.
Sapeva perfettamente di essere innamorato di Sara da molto tempo e forse aveva immaginato la loro collaborazione in maniera un po' troppo romantica, perciò quando si ritrovavano a dover combattere fianco a fianco o a fare il punto della situazione, veniva deluso dalla verità: per Sara era solo un compagno d'armi, nemmeno un amico. Quel giorno aveva deciso, per cui, di stare ad ascoltarla in silenzio, senza tentare di confortarla in alcun modo.
«Xander mi manda sempre un messaggio in codice in cui mi aggiorna sulla situazione a Bran, sui miei genitori e su mio fratello. Sono passati molti giorni e non è arrivato ancora nulla. Credimi è strano». Sara camminava al suo fianco, controllando il cellulare come se potesse apparire una notifica da un momento all'altro.
«E Roxen? Forse dovremmo andare alla Congrega a chiedere sue notizie. Io non ce la faccio con tutti questi dubbi... Lionel, mi senti? Perchè non dici niente?» Si era fermata bruscamente e lo aveva tirato per la manica della felpa.
Aveva evitato di guardarla, si sentiva meschino nel provare gelosia, ma non poteva farne a meno. Stava per dirle qualcosa, inventarsi una scusa, quando l'ennesimo mostro- fantoccio era scivolato sotto ai loro piedi e aveva intrappolato Sara fondendosi alle sue gambe.
«Oh! Odiosi esseri viscidi!» Aveva sbraitato lei cercando di liberarsi con gli artigli, col solo risultato di graffiarsi le gambe.
A quel punto Lionel aveva posato entrambe le mani sul terreno e aveva affondato le dita, percependo delle radici lunghe e robuste. «Radices altas, radices vitae, oriri tibi praecipio et furia captare». Aveva recitato veloce e, mentre Sara si dimenava, nel cemento erano comparse crepe da cui erano fuoriuscite radici legnose e appuntite, che con forza avevano intrappolato il mostro-fantoccio.
Le gambe di Sara erano tornate agili e, in mezzo secondo, la vampira aveva affondato gli artigli nel mostro, assicurandosi di ridurlo in mille pezzi, poi insieme a Lionel avevano raccolto ciò che ne restava in un'ampolla. L'avrebbero portata a Gridoror per farla analizzare.
«Ne ho abbastanza di questi cosi! Abbiamo bisogno di Xander e Roxen...» Sara si stava pulendo le gambe, quando Lionel le aveva gettato l'ampolla addosso.
«E io ne ho abbastanza di te che non fai altro che lamentarti e parlare di loro senza agire davvero. Se sei tanto preoccupata vattene a Bran e assicurati che lui stia bene!» Era sbottato, incapace di tacere, di tenere a freno il cuore che batteva all'impazzata.
Guardami, avrebbe voluto dirle, ho appena fatto una cosa fighissima e tu pensi a loro. Non ce la stiamo cavando male, infondo.
Sara lo aveva guardato confusa, poi come se si fosse ricordata di un torto subito, gli pestò un piede come una bambina indispettita. «Non posso tornare a Bran! Ma tu non sai niente di me, né di Xander, per quello parli a vanvera!» Gli aveva rilanciato l'ampolla e aveva fatto per andarsene, ma Lionel le aveva preso la mano fermandola.
«Se non mi parli di te io di sicuro non posso conoscerti. Finora mi hai aggredito, trattato come un bambino, usato come compagno d'armi e accusato di parlare a vanvera. Se invece di parlare solo della tua preoccupazione mi dicessi anche qualcosa in più su di te, forse potrei aiutarti e capirti meglio. Io così capisco solo che sei innamorata persa di Alexander e a me...» Si fermò, col fiato corto.
La ragazza aveva allontanato la sua mano e lo aveva fissato come se lo vedesse per la prima volta. Non tanto per quello che le aveva detto, ma per lo strano calore che aveva sentito quando lui le aveva preso la mano. Forse Lionel non se n'era accorto, ma lei sì. Era stata come un'ondata di sole, improvvisa, come quando le nuvole scoprono il sole d'estate e il caldo ti si aggrappa alla pelle dopo la frescura dell'ombra.
Non aveva saputo cosa fosse, ma lo aveva sentito chiaramente e ora che si erano allontanati era sopraggiunta in lei una sete violenta. Doveva allontanarsi da Lionel prima di azzannarlo alla gola. Forse era colpa della lotta col mostro, forse la stanchezza e le preoccupazioni, ma aveva desiderato ardentemente bere da lui.
Si era imposta di respirare profondamente e di mettere altri due passi di distanza tra di loro. «Io non posso più mettere piede a Bran senza essere uccisa a vista. Ho una specie di taglia sulla testa. Ma questo non ti riguarda. Ora è meglio che vada, siamo entrambi stanchi e dovremmo andare a riposare prima di fare cose di cui potremmo pentirci». Senza aspettare la risposta se ne era andata a passo svelto e Lionel era rimasto fermo con l'ampolla in mano.
Lionel era scioccato. Una taglia sulla testa. Cosa diamine aveva combinato di così grave, Sara? Si era innamorato di un'assassina? La mente era piena di domande e gli occhi erano pesanti per la stanchezza e il sonno arretrato. Si mosse lentamente, attento a non sbattere contro qualcos'altro. L'ampolla gli si agitava tra le mani: quel dannato mostro- fantoccio non faceva altro che sbattere il proprio corpo liquefatto da una parte all'altra della parete di vetro. Non poteva lasciarlo da nessuna parte, il mostro avrebbe fatto in modo di rompere l'ampolla facendola cadere.
Drizzò la schiena con fare stanco e bussò alla porta di Gridoror. «Avanti», la voce profonda del Capo Magistro lo invitò a entrare.
L'ufficio di Gridoror era sobrio, ma luminoso. Un'ampia finestra esposta a est permetteva alla luce esterna di illuminare tutto l'ambiente, anche se in quel momento fuori era quasi sera. I mobili in legno chiaro riflettevano i raggi artificiali del lampadario a forma di sole e andavano a sottolineare la rotonda figura dello stregone, che se ne stava seduto a sfogliare una serie di appunti alla scrivania.
Gridoror alzò appena lo sguardo e subito notò l'ampolla tra le mani di Lionel. Sospirò, soffiando dal naso in un moto di ribrezzo. «Ok, so già di che si tratta. Non c'è bisogno che lo analizzi. Porta quel mostro davanti all'ascia sullo scaffale».
Lionel lo guardò dubbioso, ma eseguì, come sua abitudine. Si fidava ciecamente di Gridoror, tutto ciò che aveva imparato lo doveva a lui, inoltre lo aveva accolto nella sua congrega nonostante le malefatte di suo padre, quindi gli doveva completa devozione.
«Ora stappa l'ampolla» gli disse con tono piatto, come se tutto ciò fosse all'ordine del giorno. Questa volta Lionel esitò. «Potrebbe scappare» azzardò, quasi in un sussurro.
Gridoror si mise a ridere. «Lo so bene, Lionel. Ma non andrà tanto lontano, fidati di me».
Lionel guardò quello strano liquido grigio dimenarsi e puntare tentacoli viscidi verso l'alto. Strinse con forza il tappo e dopo qualche secondo lo levò.
Come aveva previsto il mostro uscì immediatamente dall'ampolla, Lionel si ritrovò a terra, il mostro rimbalzò come una palla impazzita per la stanza e quando sbatté contro l'ascia fu risucchiato da quella, come se non fosse mai esistito.
Lionel rimase a fissare l'arma con meraviglia, mentre il suo deretano accusava la caduta di poco prima.
«Prendila». Gridoror gli indicò col capo l'ascia e gli sorrise, arricciando il naso a patata e colorando le guance di un bel rosso rubino.
Lionel si alzò e si avvicinò di nuovo allo scaffale. L'ascia era lì davanti a lui, lucida e dall'impugnatura nera. La contemplò, in attesa, come se dovesse agitarsi, rigettare fuori il mostro o altro.
Sentiva gli occhi di Gridoror puntati addosso, privi di pressione e pieni di simpatia nei suoi confronti. Allungò la mano e sfiorò l'impugnatura. L'ascia vibrò e come una calamita si attaccò al palmo di Lionel.
«É un'arma incantata, come molte qui nel mio studio», il Capo Magistro si alzò e lo raggiunse, sempre con quel sorriso rubicondo stampato sul viso. Lionel sentiva l'arma leggera, ma allo stesso tempo come fosse un prolungamento della sua mano.
«Alcune armi sono fatte solo per uccidere, altre per difendere, altre ancora per maledire, questa è fatta per catturare, ma se pensi che abbia bisogno di altre qualità, come, che so? Vibrare quando un mostro o un demone è vicino, puoi incantarla con una pozione specifica e una formula». Gridoror ammiccò, portandosi le mani dietro la schiena e dondolando da una gamba all'altra, facendo ondeggiare il suo pancione.
Lionel si passò l'ascia da una mano all'altra. Tutto poteva essere utile nella situazione in cui si trovava e tutto doveva essere sfruttato. Annuì compiaciuto e con occhi pieni di gratitudine guardò Gridoror in attesa al suo fianco.
«Grazie, Magistro. Lo farò sicuramente».
«Ne sono felice, non vorrei mai che il mio allievo migliore soccombesse durante una missione. Ricorda sempre di fare affidamento sui tuoi compagni e di non temere di chiedere aiuto. Io sarò sempre pronto a dartelo e anche Soriana e Algidea. E a tal proposito, per incantare le armi è meglio che ti rivolga ad Algidea, ne sa parecchio sulla magia bellica». A Lionel sembrò che Gridoror rabbrividisse nel pronunciare il nome di Algidea. In effetti era una strega che incuteva timore.
Non appena mise piede fuori dallo studio, il cellulare vibrò inondando il corridoio con una melodia ben conosciuta. Rispose alla chiamata e strinse l'ascia con decisione. «Arrivo».
Angolo Autrice
Questo capitolo è completamente nuovo, spero sia di lettura scorrevole e che i punti di vista siano facilmente intuibili senza cambi troppo repentini.
Vi chiedo gentilmente di farmelo sapere.
Grazie e a presto,
Anne
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