10. Il Monastero
Il silenzio del Monastero era surreale, Roxen poteva addirittura sentire lo zampettare veloce e frenetico delle formiche, che passeggiavano lungo i muri in pietra della fortezza.
L'antico edificio sorgeva sul picco del Monte Dorak, addormentato tra le nevi perenni e circondato da una folta foresta di pini e abeti. Lungo la strada sterrata, che conduceva all'ingresso principale, vi era un viale di querce antiche. Sotto il ponte levatoio un fossato d'acqua stagna delineava l'intero perimetro della fortezza. Più che un monastero sembrava un castello medievale di vedetta: due torri alte e una piccola, feritoie disseminate per tutti i corridoi e le scale, ampie finestre che davano sulla vallata sottostante e una enorme cucina sotterranea. Le stanze erano sempre fredde e umide, benché arredate con pesanti drappi di velluto rosso e blu che respingevano la temperatura pungente all'esterno.
All'interno della fortezza vi erano alcuni spazi comuni, come la mensa, il grande salone con il camino e la biblioteca. Roxen passava la maggior parte delle sue giornate tra la biblioteca e il salone. Erano i luoghi più affollati, anche se restavano silenziosi come tutto il resto del Monastero, a parte lo sfogliare dei libri ei passi felpati sui grandi tappeti damascati. Ai Monaci era proibito avvicinarsi agli ospiti, solo alcuni di essi, designati da un Monaco superiore, potevano rapportarsi con gli estranei, gli altri non potevano neanche rivolgere loro lo sguardo e questo era un grosso problema per Roxen, dato che doveva chiedere aiuto per imparare la magia antica o estrapolare informazioni sulla Minaccia Primordiale.
Era arrivata da qualche giorno e già provava il forte desiderio di tornare a Mediana. Quel posto era fin troppo rigido. I Monaci imponevano agli ospiti di parlare il meno possibile e ancor meno di ritrovarsi per scambiarsi aneddoti ed esperienze. L'aura sacra del Monastero richiedeva rispetto e parlare era quindi riservato solo a comunicazioni estremamente importanti, solo che lei non aveva ancora capito quali argomenti fossero nella categoria degli "estremamente importanti" e di conseguenza era stata ripresa più volte con gesti categorici da diversi Monaci.
«Facile per loro: hanno il dono della telepatia!» Borbottò mentre entrava nell'immensa e antica biblioteca del Monastero. Spinse con un fianco la pesante porta, mentre con le mani sorreggeva una pila di tomi pesanti, dalle copertine scure e rigide.
La luce filtrava accecante attraverso le feritoie della biblioteca; le sbatteva contro quasi l'ammonisse per il solo fatto di far scricchiolare le scarpe sul pavimento lucido. Roxen lasciò cadere i libri con un tonfo e diverse teste si voltarono sconcertate nella sua direzione. Represse un sorriso mentre fingeva di cercare lo scaffale su cui riporre i libri.
«Ti piace proprio essere al centro dell'attenzione, eh?»
Roxen si voltò e sorrise sollevata. Era Milacre, un druido mandato direttamente dalle terre nebbiose del Nord per imparare al meglio i poteri metafisici dei Monaci e poter così difendere le terre a cui apparteneva. A lui erano dedicate vere e proprie lezioni, in cui i Monaci gli mostravano come creare scudi con la sola forza del pensiero, o sollevare oggetti e infine comunicare telepaticamente con gli altri druidi.
Il ragazzo aveva su per giù vent'anni o poco più, aveva lunghi capelli verde scuro legati in una coda, gli occhi con un taglio particolare, lievemente a mandorla e folte ciglia scure con cui la scrutava divertito. Le aveva rivolto la parola fin dal primo giorno. Guardava i Monaci e la loro rigidità con impertinenza, dall'alto al basso. A Roxen era stato subito simpatico, nulla a che vedere con la spocchia di Alexander.
«Non lo faccio apposta... insomma vivo in una Congrega di sole donne, è difficile che ci sia silenzio», ammiccò complice mentre infilava uno dei volumi, che aveva "appoggiato" poco prima, sullo scaffale sotto la lettera O, di Origine.
Roxen aveva scoperto che la Minaccia Primordiale era anche conosciuta col nome di Origine, l'origine del male e del caos, per la precisione. Se l'era scritto su un quaderno che portava sempre con sè nella borsa a tracolla. Lì annotava tutte le informazioni che le sembravano utili per la missione, anche se non sapeva bene cosa cercare e dove cercare. In questo Milacre le era stato molto utile. «È una presenza già nota», le aveva detto una sera accanto al camino ormai spento del salone.
«Cosa intendi?» Si era avvicinata a lui cercando di non farsi sentire dagli ospiti del salone.
Milacre aveva chinato il capo e guardandosi attorno aveva abbassato la voce, riducendola quasi a un sussurro. «Torna ciclicamente per seminare il caos nelle dimensioni. Non so altro, purtroppo. Ma perché a te interessa tanto?»
Roxen si era ritratta velocemente e si era chiusa in un mutismo schivo, per cui Milacre aveva smesso di farle domande e si era limitato a cambiare discorso.
Ora in biblioteca, i due ragazzi stavano riponendo al loro posto gli enormi libri che Roxen aveva preso in consultazione, mentre si scambiavano battute sottovoce, nonostante le occhiatacce dei Monaci presenti.
Roxen in realtà ascoltava poco di quello che le stava dicendo in quel momento Milacre, che stava raccontando della sua ultima lezione di telecinesi. Era più concentrata sugli ultimi appunti che aveva annotato sul suo quaderno e pensava che a parte un paio di pagine, non era riuscita a racimolare molte informazioni. Sperò che Alexander avesse avuto più fortuna a riguardo, anche se non aveva avuto più sue notizie da quando erano partiti. Non che ci tenesse a sentirlo, ma iniziava a sentirsi un po' fuori dal mondo là dentro.
Mentre annuiva educatamente a Milacre e sorrideva, intuendo che l'argomento fosse qualcosa di bizzarro, urtò senza volere contro il fianco di qualcuno alle sue spalle.
«Oh, caspita scusami!» si voltò immediatamente e si trovò davanti un'esile ragazza dai capelli neri, lunghi e un po' scarmigliati.
La ragazza si sistemò gli occhiali sul naso lungo e sottile, sgranando due grandi occhi marroni. «Scusa tu, ero assorta a leggere questo libro e non mi ero neanche accorta che ci fosse qualcuno nella corsia». La sua voce, notò Roxen, era piuttosto decisa e schietta per una che sembrava un pulcino appena uscito dal guscio.
Roxen le sorrise e lasciò cadere con curiosità lo sguardo sulla copertina del libro, d'altronde doveva essere veramente interessante per non accorgersi nemmeno della presenza di altre due persone!
Curare il corpo con la forza del pensiero. Di Joaennes Brachet
La ragazza sollevò il libro e lo passò a Roxen «Se ti interessa puoi prenderlo, io l'ho appena finito e ho preso tutti gli appunti che mi interessavano».
«No, tranquilla. Io al momento sto facendo ricerche storiche, ma ti ringrazio», le porse invece la mano e strinse la sua «Io sono Roxen e lui è Milacre».
«Lucy, piacere!» Sorrise coinvolgendo tutto il viso e Roxen avvertì un senso di familiarità. Quella ragazza era una strega.
«Sssht!» Un Monaco passò in mezzo a loro e li fissò con sguardo truce, nella speranza di disperderli. In particolare fissò Milacre, che si raddrizzò sulle gambe e sulla schiena mostrando di non aver affatto paura di lui.
Il Monaco, però, guardò intensamente il druido, finché questi, senza quasi rendersene conto, si ritrovò a terra inginocchiato. Roxen e Lucy si scambiarono un'occhiata allarmata e si allontanarono l'una dall'altra, ma il Monaco le bloccò e senza dare spiegazioni afferrò Roxen per la mano trascinandola con sè.
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Il viaggio in aereo era stato lungo e noioso, Alexander era riuscito a dormire poco, un po' per le turbolenze un po' perchè non sapeva cosa aspettarsi una volta atterrato.
Le nuvole si diradarono lentamente e la luce accecante del sole colpì le terre verdeggianti e spigolose della sua patria. Un senso di appartenenza gli trapassò il petto, facendolo rizzare con orgoglio.
Quando scese dall'aereo fu accolto da due signori in giacca a cravatta con occhiali scuri. Lo salutarono con deferenza, chinando il capo. «Ben tornato, Signore». Lo scortarono fino a una macchina nera lucida dai finestrini oscurati e gli aprirono la portiera.
Alexander li salutò con un cenno del capo e si accomodò sul sedile posteriore. Tornare a tutte quelle formalità lo mise a disagio, ma l'etichetta del suo titolo glielo imponeva e poi era uno dei pochi modi che aveva per tenere a freno la lingua biforcuta degli Anziani.
La strada tortuosa che lo portava al Castello gli ricordò la sua infanzia amara. Strinse le mani a pugno sulle ginocchia. L'iniziale nostalgia data dall'atterraggio stava per essere scalzata con prepotenza dalla rabbia di quei ricordi.
L'auto proseguì dolcemente attraverso le campagne, la visuale si aprì sugli alberi dai tronchi neri e le chiome verde intenso, l'erba giallognola per la poca acqua caduta in quella stagione e poi il profilo della Torre stagliato contro le montagne. Quel luogo doveva essere casa sua e invece gli sembrava una prigione.
Quando scese dalla macchina era ormai il tramonto e il borgo iniziava a prendere vita come fosse stato in stand-by tutto il giorno.
Le persone si chinavano al suo passaggio, i più giovani sorridevano, le donne arrossivano ammiccando e gli anziani si toglievano il cappello. Pareva d'essere in un'altra epoca.
Le porte del Castello si aprirono e una scia di candele illuminò tenue il cammino. I servitori, in livrea scura, tutti davanti all'entrata a testa china e con le mani dietro la schiena accolsero il suo arrivo con una gioia soffocata a stento dal loro portamento serio.
«Ben tornato, Signore», dicevano appena in un sussurro, senza mai alzare la testa, ma con un lieve sorriso che ammorbidiva gli angoli della bocca.
Alexander manteneva il profilo impostogli dai suoi precettori, ma non poteva fare a meno di stringere fugacemente le mani, o di dare piccoli buffetti ai servitori più giovani o addirittura di inchinarsi a sua volta da quelli che erano lì da così tanto tempo da aver conosciuto suo nonno e suo padre in fasce.
Un vampiro magro, dalle dita affusolate, e il capo canuto, si avvicinò claudicante ad Alexander, protendendo le braccia verso di lui con fare affettuoso. «Signore, perdoni l'impudenza, ma è da così tanto tempo che non fate visita al Castello». Quasi singhiozzò nell'afferrarlo per le spalle.
Alexander massaggiò le nocche sottili del vampiro e sorrise con tenerezza. «Vlacu, tu non dovresti mai chiedermi perdono per nulla. Sono io che dovrei scusarmi per la mia assenza, ma devo ammettere che stare lontano da Bran mi fa bene...»
Il vampiro lo interruppe. «Lo so per certo, mio Signore. Lo vedo dal vostro colorito e dal vostro aspetto, ma purtroppo il dovere chiama e... a proposito» Con un cenno del capo indicò l'enorme porta di legno intarsiato che si trovava alla loro destra. «Vi attendono e sembrano essere più irritabili del solito».
Alexander sospirò stringendosi nelle spalle. Sapeva che non sarebbe stato facile affrontare l'intero Consiglio e farsi ascoltare da quel branco di ottusi Matusalemme che si credevano infallibili su tutto.
Sorrise mestamente verso Vlacu e si avviò lungo il corridoio. «Prima vado a cambiarmi».
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Alexander indossò gli abiti ufficiali che quell'occasione richiedeva. Si lisciò la giaccia nera di taglio militare dal colletto alto, scosse le spalle per aggiustarsi la cappa dall'interno vermiglio e infilò la scarpe fresche di lucido scuro.
Posò la mano sulla maniglia raccogliendo più aria possibile nei polmoni e con una poderosa spinta aprì.
Una ventina di teste severe si voltò verso di lui. Gli Anziani si alzarono uno ad uno, chinando appena il capo, giusto perchè le convenzioni da loro stessi imposte lo richiedevano.
Alexander li ignorò e si guardò attorno, nella speranza che quella triste sala avesse subito qualche cambiamento positivo in sua assenza, ma si rese conto che le pareti in legno scuro erano le stesse pareti intarsiate di rose ed edere rampicanti, che sembravano soffocare il povero fiore su cui si avviluppavano. Le finestre non lasciavano passare un solo spiraglio di luce a causa dei lunghi drappi rosso scarlatto con rifiniture in oro che cadevano a terra con pesantezza, creando una sensazione di oppressione. Dulcis in fundo sul fondo della grande sala si ergeva un grosso trono in mogano massiccio e scuro, anche quello intagliato con rose e spine. Sopra di esso, incastonato nella parete in alto, sovrastava un rosone in vetro scuro dai mosaici tetri.
La tavola attorno alla quale si stava svolgendo la riunione era rettangolare e si estendeva per metà della grande sala. Era anch'essa in legno di mogano scuro, aveva la superficie liscia e ben lucidata, i piedi erano stati scolpiti con i profili di zampe di leone, così come quelli delle sedie, tutte con lo schienale imbottito di velluto scarlatto. Alle pareti erano appesi, a grandezza naturale, tutti i ritratti dei Signori del Castello che si erano susseguiti nel corso dei secoli, tra cui anche il nonno di Alexander.
Quel posto era sempre stato così cupo e angosciante. Ogni volta che vi metteva piede, Alexander aveva il desiderio di fuggire, ma era pur sempre casa sua, dove aveva vissuto con i suoi genitori e suo fratello. Tutto ciò gli faceva nutrire una sorta di affetto distorto per quel luogo.
Alexander prese posto al vertice della tavola e fece segno agli Anziani di sedersi. Lo scrutarono tutti, impazienti di cogliere qualche indizio sul motivo del suo ritorno a Bran. Antoniu era l'unico sereno, sul cui volto spuntava addirittura una parvenza di sorriso, anche se sui lineamenti induriti dal tempo pareva quasi un ghigno malefico.
«Bentornato, Alexandrei, ti stavamo aspettando», iniziò il Conte, fissandolo con disprezzo.
Il Conte discendeva dalla più antica famiglia di vampiri e per tale motivo credeva, e pretendeva, di essere al di sopra di tutto e tutti.
«Immagino». Alexander ricambiò il suo sguardo senza avere la minima esitazione. L'Anziano poteva incutere timore agli altri vampiri, ma non a lui.
«Allora? Che cosa ti riporta qui? Una cosa tanto urgente da interrompere gli studi?» Il Conte rise, canzonandolo, nella speranza che gli altri lo imitassero. Ma in pochi lo assecondarono, percependo forse una certa serietà nel portamento del ragazzo.
Alexander si versò con molta calma un bicchiere d'acqua, fingendo di non aver udito e solo quando terminò di bere cominciò a parlare. «La Sacerdotessa Milene ha richiesto il mio aiuto». Mormorii sorpresi si levarono nella sala. Alcuni vampiri scossero la testa increduli, altri cercavano lo sguardo del Conte, ma lui fissò dritto davanti a sè, senza mai accennare a un qualsiasi legame di complicità con altri.
«A Mediana si è aperto uno squarcio nel Velo e io sono stato chiamato per sconfiggere un nemico molto potente. Lo chiamano Minaccia Primordiale».
Gli Anziani si ritrassero sulle sedie, quasi spaventati. Il mormorio divenne vero e proprio rumore e questa volta trasparì angoscia e terrore. Sui visi dei vampiri apparvero nuove rughe e se possibile i loro coloriti divennero ancora più pallidi.
Alexander captò qualche breve commento, che gli fece capire di aver fatto la scelta giusta nel tornare. «É tornato», «Com'è possibile? Lo hanno invocato?», «Siamo spacciati: Alexandrei è solo un ragazzo e poi Lui era un suo alleato...»
Quell'ultimo commento lasciò Alexander senza fiato. La Minaccia Primordiale aveva già varcato una volta la linea dei Mondi e Lui era dalla sua parte? Perchè la Sacerdotessa Milene non gliene aveva parlato? Questo poteva essere un grosso problema. Enorme.
Si lasciò andare per un attimo contro lo schienale, passandosi una mano sulla fronte. Doveva contattare la Sacerdotessa e poi parlarne con Roxen. Roxen. Maledizione, avrebbe perso per sempre la possibilità che lei lo aiutasse. Odiava quella situazione, la odiava con tutto se stesso.
Antoniu, al suo fianco gli diede una gomitata. Gli Anziani si stavano agitando, molti si erano alzati e passeggiavano nervosi nella sala. Il Conte pareva ancora impassibile e quella impassibilità insospettì Alexander.
Si alzò in piedi lentamente, ostentando sicurezza. Posò con decisione i palmi sul tavolo e attirò l'attenzione di tutti.
«Chiedo la collaborazione di tutta la comunità Vampiresca, accoglierò tutte le vostre informazioni, anzi sarebbero davvero preziose, dato che ho udito cose molto interessanti nel vostro sgomento. Potrete avere colloqui privati con me e mantenere l'anonimato con gli altri membri del Consiglio. Di sicuro non sarò io a tradirvi, ma sappiate che ogni indizio o informazione sarà compensata adeguatamente e mi auguro che nessuno di voi abbia a che a fare con questa Minaccia Primordiale...»
«Compensata adeguatamente? E come, mio... Signore?» Il Conte fece sibilare la lingua con disprezzo sulla parola "Signore".
Alexander sapeva che quel vecchio decrepito avrebbe fatto di tutto per schierarsi contro di lui, però non poteva fare passi falsi, molti di quegli Anziani erano in combutta con il Conte per scalzarlo dal ruolo che gli era stato assegnato, malgrado lui stesso ne avrebbe fatto a meno. Purtroppo, però, se lo avesse sfidato apertamente, avrebbe aizzato una rivolta civile ed era l'ultima cosa che voleva.
«Potrei abbonare certi debiti, dimezzare alcune pene di qualche familiare, elargire denaro e potrei evitare l'incarcerazione a chi si pente di certi atti di alto tradimento». Il ragazzo fissò deliberatamente il Conte, che fece sparire il sorriso compiaciuto che aveva sul viso fino a qualche secondo prima.
Alexander continuò, ora voltandosi all'intera platea. «La Minaccia Primordiale è qualcosa di spaventoso, oscuro e potente, va aldilà delle fazioni esistenti sulla Terra. Ha squarciato il Velo di Mediana e presto farà altro! Avrò bisogno di tutto l'aiuto possibile».
Il Conte strisciò rumorosamente la sedia sul pavimento e tra la confusione generale, data dalle prospettive che Alexander offriva, si avviò verso la porta. Prima di uscire, si voltò verso il ragazzo e se uno sguardo avesse potuto uccidere, quello del Conte lo avrebbe fatto.
Spazio autrice
Salve cari lettori!
Volevo dirvi/ricordarvi che potete avere notizie di Prophecy, dei suoi personaggi e della sua autrice sulla pagina Istangram: AnneG.right
Nel caso passaste anche da lì, vi ringrazio tanto!
P.s se vi sta piacendo fatemelo sapere 😊
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