ღ Christmas fever
«Sei pazzo, Jaeger.»
«Lo so, me lo dicono spesso.»
Con queste parole, la porta automatica si chiude alle loro spalle ed io resto solo. Respiro a fondo e guardo fuori dalla finestra: nevica lievemente, l'aria è gelida in modo irrespirabile e le luci intermettenti creano un magico gioco di colori sul ghiaccio del marciapiede. Esco in strada per un istante, assicurandomi che l'insegna sia bella accesa e brillante: una luminosa croce verde.
Mi sistemo il camice e ritorno dentro la farmacia nella quale passerò la notte della vigilia di Natale.
Non mi sto lamentando, mi sono offerto io di farlo. Perché estrarre a sorte e rischiare di rovinare le feste a qualcuno, quando io non avrei avuto ugualmente niente da fare? Non ho famiglia, mia sorella è all'estero per lavoro ed il mio migliore amico impegnato nella sua prima vacanza con la sua nuova ragazza. Insomma, almeno restando qui posso essere utile a qualcuno, magari.
Accendo il portatile e lo metto sul bancone, sedendomici davanti: devo lavorare, ma finchè tutto tace, cosa mi vieta di guardarmi almeno qualche film? In fondo, sarà una lunga notte.
* * * * *
Sono le tre di notte quando cedo all'evidenza: sto male. Ed ignorare la cosa non mi aiuterà a stare meglio. Ma non sono ancora così disperato da andare in ospedale o peggio, avvisare la quattrocchi. Ho solo bisogno di dormire, ma senza sonniferi è impossibile.
Infilo il cappotto ed esco di casa. Impiego dieci fottuti minuti per chiudere la porta, perché le mani mi tremano e la chiave non entra nella serratura come dovrebbe.
Brividi di merda.
Mi incammino lungo la strada deserta, imprecando ogni volta che la suola delle scarpe scivola su una lastra di ghiaccio. Come in un miraggio, svoltato l'angolo vedo in lontananza l'insegna della farmacia. Non ci sono mai stato. È Hanji a portarmi tutta la merda chimica di cui ho bisogno come ogni essere umano, ma il flacone dei sonniferi doveva scegliere proprio questa sera per scivolarmi dalle dita, rovesciando tutto il proprio contenuto nel lavandino. Le mie mani tremanti certo non hanno aiutato.
Mi avvicino più in fretta possibile e stringo gli occhi: quelle scritte sulla vetrina sono sempre state così sfocate? I miei passi diventano più pesanti e strascicati. Mi ritrovo a maledire le mie stesse gambe per non riuscire a trasportarmi.
L'aria calda della farmacia mi investe appena la porta automatica si apre davanti a me. Le luci sono abbaglianti, così come tutto il bianco che si trova alle pareti o sul pavimento.
Merda, quasi non riesco a tenere gli occhi aperti.
Sento qualcuno chiedermi di cosa ho bisogno.
«Sonniferi» risponde una voce debole e fioca che a malapena riconosco come mia.
«Ha la ric-... Signore, si sente male?»
Ho appena il tempo di appoggiare la mano sul bancone. Guardo il farmacista, ma l'unica cosa che vedo sono due brillanti luci verdi.
Poi nero.
* * * * *
«Ma che... Signore!»
Mi precipito dall'altro lato del bancone.
L'uomo è pallido e respira a fatica. Gli tocco la fronte: scotta come l'inferno. Per mia fortuna oltre che molto malato è anche molto piccolo e riesco facilmente a sollevarlo e trascinarlo fin sul divano degli impiegati, che si trova nel retrobottega. Dovrei chiamare un'ambulanza, ma prima mi occupo di aprirgli la giacca e la camicia, per aiutarlo a sentire più fresco e gli metto un po' di ghiaccio secco sulla fronte. Riapre gli occhi in quel momento: sono piccoli, grigi e profondi. Mi guardano con confusione e fastidio, come se fosse seccato dalla mia sola esistenza.
«Come si sente?» domando, senza però ricevere altra risposta che un grugnito. «Non si preoccupi, chiamerò un'ambulanza e...»
«No, non ne ho bisogno» mi interrompe ed io aggrotto la fronte: certo che lo ha. «Dammi solo qualcosa per dormire, andrà bene così.»
«Non riesce neanche a stare in piedi.»
«Perché devo riposare.»
«È perché ha una febbre da cavallo!» insisto, iniziando ad irritarmi.
Odio le persone stupidamente testarde.
«Senti moccioso, dammi la roba e fammi andare via. Io non ho tempo da perdere con te.»
Ma questo è un gioco che si può fare in due.
«Invece credo proprio che lo abbia, perché non la farò uscire da qui senza averla prima curata come si deve.»
I suoi occhi fiammeggiano d'odio, ma io li reggo alla perfezione: sono abituato alle teste calde. Alla fine lo vedo arrendersi e mi sembra di sentirgli borbottare un «Fanculo», mentre si rigira sul divano dandomi le spalle. Soddisfatto e sordo ad ogni sua protesta, lo aiuto a sistemarsi meglio, poi gli porto qualcosa da mangiare, un bicchiere d'acqua ed una pastiglia.
«Ti farà scendere la febbre» gli dico, posandogliela tra le mani.
«Da quando mi dai del tu, moccioso?»
«Beh, stiamo passando la vigilia di Natale insieme. Penso di potermi prendere una piccola concessione per una volta, no?»
Lui fa girare l'acqua nel bicchiere.
«Come ti chiami?» mormora, prima di buttare giù la pastiglia.
«Eren.»
«Io sono Levi.»
«Mi dispiace, Levi» mormoro, mettendomi seduto sul divano al suo fianco. Lui alza un sopracciglio, guardandomi con la fronte aggrottata. «Che tu stia passando la Vigilia con un perfetto sconosciuto in una farmacia...» preciso, abbracciandomi le ginocchia.
«Non è così male» mi risponde, facendomi sorridere. «Non che avessi chissà che piani, in ogni caso...»
«Non festeggiavi il Natale?»
«Non mi è mai interessato. Ho sempre pensato che si debba festeggiare qualcosa perché per te ha una qualche importanza, non solo perché gli altri lo fanno da sempre.»
Non posso dargli torto.
«Penso che tu abbia ragione...» mormoro, fissando la parete di fronte a me.
Sento il suo sguardo, ma faccio finta di niente. Rimaniamo così, in quiete ad ascoltare il rumore della neve che cade. Il silenzio.
Dopo un po', girandomi, lo trovo addormentato. Ha un'espressine serena e rilassata, che non ha durante la veglia. D'istinto, gli scosto i capelli dal viso.
«Farò in modo che tu stia meglio. Sei al sicuro, qui, te lo prometto...» sussurro.
Ritraggo la mano subito dopo
Mi prendo cura di lui per tutta la notte.
* * * * *
Apro gli occhi perché qualcosa mi sta toccando. Una voce mi sta chiamando.
Apro gli occhi perché riconosco quella voce, so a chi appartiene e per la prima volta non ho voglia di uccidere qualcuno per aver interrotto il mio sonno.
Eren mi sta guardando con un sorriso smagliante che stona con i suoi occhi stanchi e rossi. L'orologio alle sue spalle indica le otto e mezza di mattina. Non indossa più il camice, deve aver finito il suo turno.
«Buongiorno bell'addormentato» mi sta dicendo.
«Giorno» biascico in risposta, strofinandomi un occhio con la parte bassa del palmo della mano.
Eren mi allunga un bicchiere d'acqua che io bevo all'istante: non mi ero reso conto di quanta sete avessi, finché le mie labbra non hanno toccato quel liquido fresco e rigenerante.
«Mi domandavo se potevo accompagnarti a casa» lo sento mormorare, impacciato, mangiandosi le parole.
Alzo lo sguardo verso di lui.
«Non ho bisogno che tu lo faccia.»
«Ne ho bisogno io, voglio assicurarmi che tu stia bene...»
Ha abbassato lo sguardo dicendo queste parole e devo stringere le mani sulla giacca per impedirmi di portarle sotto il suo mento ed alzarlo, per poterlo guardare di nuovo.
Alla fine vince lui.
Mi accompagna fino al mio appartamento.
Penso sia la prima persona a parte Hanji a metterci piede da non so quanto tempo. Se lei lo sapesse, mi tormenterebbe a vita. Eren attende pazientemente che io apra la porta, poi entra e mi costringe a sedermi sul divano, mentre mi controlla di nuovo la temperatura.
«È scesa, ma hai ancora la febbre. Resta a riposo qualche giorno, d'accordo?» mi dice, inginocchiato sul tappeto davanti a me, mentre mi prova la pressione.
Sto per protestare, ma Eren sbadiglia e le mie mani si muovono da sole, infilandosi nei suoi spettinati capelli color cioccolato.
Non ho nessuna idea del perché io l'abbia fatto. Mi è semplicemente sembrata la cosa giusta da fare.
«Non hai chiuso occhio.»
«Eh già, è l'effetto collaterale dei turni di notte.»
«Dovresti dormire un po'...»
«Lo farò, non preoccuparti...»
«Potresti fermarti a dormire qui» preciso, evitando il suo sguardo. «Ti sei preso cura di me stanotte. Evitare che tu vada in giro per la città come uno zombie mi sembra il minimo... Almeno non rischierai di farti ammazzare.»
Pensavo che ci avrei impiegato un po' a convincerlo ad accettare, che avrei dovuto usare qualche parola di persuasione, forse un'accorata preghiera. Invece lo ritrovo all'istante sul divano accanto a me.
Gli passo una coperta e lo guardo, mentre si raggomitola su un cuscino e dà un senso all'espressione "crollare addormentato". Decido di restare con lui e passo il tempo leggendo, accarezzandogli di tanto in tanto i capelli, come si fa con un cucciolo.
Non so esattamente come o quando io mi sia addormentato insieme a lui.
Su di lui.
L'unica cosa che ricordo è la quattrocchi che urla, entrando in casa mia senza permesso e trovandoci a dormire insieme sul divano.
Ricordo il viso rosso e confuso di Eren.
Ricordo di aver pensato che decisamente non era male come prima cosa da vedere al risveglio.
Ricordo di averlo visto molte altre volte. Molte altre Vigilie.
Ricordo che finalmente ho avuto anche io qualcosa da festeggiare davvero.
Il primo incontro con mio marito.
* * * * *
𝔹𝕦𝕠𝕟𝕖 𝔽𝕖𝕤𝕥𝕖 𝕒 𝕥𝕦𝕥𝕥𝕚!❤
𝔽𝕒𝕣𝕖𝕒
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