Promise

Titolo: Promise

Jimin aveva solo diciassette anni quando incontrò l'amore della sua vita, ma non se ne accorse subito.

Lui era il tipico ragazzo da "una botta e via", ma non era affatto il solito stronzo, anzi... tutto il contrario. Sì, il sesso gli piaceva, lo faceva sentire bene, quasi lo rilassava; ogni volta che era preoccupato o stressato andava a caccia in giro per la scuola di ragazze disponibili, ma fin da subito era chiaro con loro, ammettendo che non era in cerca di relazioni serie, che non voleva affatto impegnarsi e che voleva solo divertirsi. Ad alcune ragazze andava più che bene e accettavano, altre cercavano la stessa cosa quindi non ci stavano neanche troppo a pensare, altre ancora, invece, rifiutavano scioccate dalla proposta, ma lui non si offendeva... per ogni ragazza che rifiutava ne aveva altre dieci prostrate ai suoi piedi.

Perché diciamolo, Jimin era bello, davvero bello, attraente e simpatico, non gli si poteva resistere facilmente. Ed era anche, come è stato già detto, un bravo ragazzo, ma non era serio. Si divertiva sempre, forse fin troppo, e non conosceva l'amore... più che altro non ci credeva: i genitori avevano divorziato dopo venti lunghi anni di matrimonio, dopo continui litigi durante gli ultimi due, e a quel punto tutte le sue aspettative su quel sentimento crollarono come crolla una casa costruita sulla sabbia.

Dato che era nel pieno dell'adolescenza, gli ormoni avevano iniziato a gironzolare e a farsi sentire, spingendolo così ad avere le sue prime esperienze e a scoprire i piaceri del sesso. E capì anche che era difficile rinunciarci, quindi aveva iniziato questa specie di "caccia alla preda", dove ogni giorno ci provava con una ragazza diversa, tra tutte quelle della scuola, dal terzo anno in su.

Un giorno però, passeggiando spensierato tra i corridoi del suo piano, il quarto, vide una ragazza chiudere il suo armadietto prepotentemente e camminare furibonda nella sua direzione. Sembrava un angelo, con quei capelli neri e lunghi, la pelle pallida e gli occhi chiari e glaciali. Stava per passargli accanto, quando lui la fermò: «Hey, bellezza, cosa c'è? Brutta giornata?»

«Adesso che mi hai fermata tu, ancora peggio!» rispose lei in modo più che scontroso.

«Perché dici così, piccola?» chiese lui, leggermente preoccupato... nonostante tutto, era un ragazzo abbastanza empatico.

«Scusa, ma chi sei? Non mi conosci neanche, toglimi le mani di dosso! Lasciami!» strattonò Jimin e riuscì a "liberarsi" dalla sua presa, ricominciando a camminare.

«Hey, no no, okay, senti; io non ti conosco, ma probabilmente tu conosci me, di fama più che altro. Sono Park Jimin, e tu sei bellissima e perciò ti propongo una cosa: tu oggi sei incazzata, mentre io sto più che bene, quindi potrei far star bene anche te. Che ne dici di presentarti oggi, alle cinque, a casa mia?» chiese Jimin alla ragazza facendo la faccia da cucciolo, ma sorridendo in modo irresistibile allo stesso tempo.

Lei rimase a guardarlo fisso negli occhi, per la prima volta lui ebbe paura di un rifiuto. Quella sensazione non gli piacque per niente, era nuova e non sapeva come gestirla. Sistemò la propria posizione spostando il suo peso corporeo da un piede all'altro, in attesa di una risposta. E il cuore gli sembrò più leggero quando sentì quell'«okay» uscire dalle tanto bramate labbra della ragazza. Le sorrise, avvicinandosi al suo orecchio e sussurrando: «Allora ti aspetto». Le lasciò un bacio umido sulla guancia e le diede un bigliettino con scritto il suo indirizzo.

Aveva cercato in tutti i modi possibili di mantenere il controllo, ma sapeva di aver ceduto per un attimo e non capiva il perché.

La campanella suonò e Jimin tornò in classe, ma non riuscì a seguire neanche una lezione: per tutto il tempo pensò a quella ragazza, a quanto fosse bella.

Una volta a casa, si preparò per l'incontro per poi gettarsi sul letto con le cuffiette a tutto volume infilate nelle orecchie. Aspettò le cinque con ansia, non riusciva a stare fermo, infatti dopo due sole canzoni si alzò nervoso e iniziò a camminare per tutta la casa. Si sentiva come la prima volta che aveva fatto sesso: agitato.

Arrivarono le cinque, ma nessuno suonò il campanello. All'inizio pensò si potesse trattare di un breve ritardo, poi di un lungo ritardo, ma scoccate le sei e mezza capì che non sarebbe più arrivata. Allora si tolse i bei vestiti che si era messo per quell'incontro e li buttò nel cesto dei panni sporchi, andando poi a fare una doccia bollente. Si sentiva un idiota, e ancora non sapeva come mai, e sperava di potersi levare di dosso quella brutta sensazione lavando se stesso e quei maledetti vestiti, ma non ci riuscì.

Il giorno dopo era deciso a parlarle, ma per oggi voleva solo andare a dormire. In fin dei conti aveva fatto su e giù dalle scale circa una sessantina di volte, aspettando irrequieto qualcuno che alla fine non si era presentato. Inoltre percorse l'intero perimetro della casa più volte, con l'unico scopo di darsi una calmata, ma tutto quel movimento non aveva fatto altro che aumentargli il battito cardiaco e, di conseguenza, la pressione.

Era un fascio di nervi ed emozioni e si addormentò con molta difficoltà. Ma non era tutto: dormì anche male e la mattina si svegliò con due enormi occhiaie sotto agli occhi. Andò in bagno e si mise il correttore, stando attento a stenderlo uniformemente per confonderlo col colore porcellanato della pelle. Davanti allo specchio provò anche il discorso che avrebbe voluto fare a quella ragazza, ma una volta a scuola se lo scordò completamente, improvvisando ogni parola.

«Si può sapere perché ieri non sei più venuta?» le domandò appena l'ebbe vista in corridoio, subito dopo averla afferrata per un polso interrompendo bruscamente la sua camminata tranquilla.

Quando la ragazza si accorse di chi fosse stato a fermarla in quel modo esclamò: «Oh, mio Dio! Ancora tu?». Alzò gli occhi al cielo e fece per andarsene, ma Jimin la fermò un'altra volta: «Sì, ancora io. Ti ho fatto una domanda, perché non rispondi?»

«Ieri non avevo alcuna intenzione di andare a casa di uno sconosciuto solo per una scopata, ma per chi mi hai presa? Ho accettato perché se no non mi avresti lasciata in pace. Se vuoi solo fare del sesso vai da un'altra parte, mentre se mi vuoi davvero chiedimi semplicemente di uscire.»

Jimin rimase per qualche secondo fermo a pensare a quelle parole. Se solo quella davanti a lei fosse stata un'altra persona, non avrebbe esitato un secondo a rinunciarci e a cercarsene un'altra, ma quella ragazza lo aveva stregato. Con la sua bellezza, i suoi modi di fare e la sua aggressività, si chiedeva come avrebbe potuto essere a letto. Quindi decise di stare al suo gioco: «Vuoi uscire con me?»

«No.» rispose lei secca.

«Hey... così non vale però. Non è giusto, mi hai detto che se fossi voluto uscire con te avrei dovuto chiedertelo e ora rifiuti la mia proposta?»

«Io ho detto che se tu fossi voluto uscire con me, avresti dovuto chiedermelo, ma io non ho mai detto che avrei accettato.»

Jimin era arrabbiato, ma cercò di mantenere il controllo. La voleva a tutti i costi e avrebbe fatto di tutto per portarla fuori e magari anche a casa. Poi gli venne in mente che forse avrebbe potuto fingere di interessarsi a lei chiedendole il suo nome.

«Come ti chiami?» domandò il ragazzo. Quella fu la prima volta in tutta la sua vita in cui aveva chiesto a qualcuna quale fosse il suo nome. Di solito non gli importava un granché e se sapeva alcuni nomi era perché gli venivano detti spontaneamente dalle ragazze con cui "usciva".

Lei venne colta alla sprovvista da quella domanda, pensando che lui forse si volesse avvicinare davvero a lei. Rispose dopo qualche secondo: «Kim Jiwoo.»

«Allora dimmi, Kim Jiwoo, se esiste un modo per convincerti ad uscire con me.»

Jiwoo sorrise e pensò che forse non sarebbe stato male passare un po' di tempo con Jimin, ma nella vita aveva imparato a non fidarsi mai di nessuno, soprattutto di qualcuno appena conosciuto, quindi decise di aspettare e rispose: «Sì, esiste, ma devi trovarlo tu.»

***

E Jimin cercò in tutti i modi di trovarlo, un modo. Era passato un mese e lui tutti i giorni aveva portato delle rose rosse a Jiwoo, tutte le mattine l'aveva salutata dandole un bacio sulla guancia e pronunciando un "buongiorno" ogni volta sempre più dolce. Se soltanto trenta giorni prima il suo obiettivo era quello di portarsi a letto la Kim, adesso l'obiettivo era diventato farla innamorare di lui, perché sì: Jimin aveva iniziato a provare dei sentimenti veri per la corvina.

Al biondo quelle sensazioni erano del tutto nuove, non le aveva mai conosciute né provate e aveva davvero tanta paura. Paura di sbagliare, paura di perdere. Se Jimin fosse stato rifiutato da qualsiasi altra ragazza, non si sarebbe fatto alcun problema a cercarne un'altra, ma a Jimin l'unica di cui importava un parere era l'angelo che aveva di fronte.

Era davvero tentato di chiederle di uscire, ma non voleva affrettare troppo le cose. Se l'avesse fatto, lei probabilmente si sarebbe stressata. Quindi ci andò piano.

***

Passarono così altri due mesi, i due divennero inseparabili e Jimin provava sentimenti sempre più forti nei confronti di lei; finalmente si sentiva pronto: era intenzionato a chiederle di uscire, sperando, ovviamente, che anche lei fosse stata pronta e gli avesse detto di sì. Si incontrarono, come ogni mattina, davanti all'armadietto di lei.

«Buongiorno, bellezza.» le disse dandole il solito bacio umido sulla guancia, ma quel giorno fece rimanere le labbra a contatto con la superficie morbida della sua pelle più a lungo.

«Ciao, Jimin.» rispose lei sorridendo. Lui rimase incantato a guardarla, ogni volta che sorrideva il cuore gli si riempiva di gioia e ogni volta che la vedeva sorridere per lui si riempiva a tal punto da esplodergli nel petto.

«Come stai?» un'altra domanda che le faceva ogni giorno, dopo il "buongiorno". Era diventata quasi un'abitudine, ma al biondo importava davvero di come stesse colei che avrebbe voluto diventasse la sua ragazza.

«Adesso bene.» replicò sorridendo ancora di più.

«Bene, perché penso di aver trovato un modo, il modo, per chiederti di uscire con me. Seguimi.» Jimin le afferrò il polso, per una volta con una delicatezza estrema, e si diresse verso le scale per salire di altri due piani e arrivare così sul tetto della scuola. Il biondo le mise una mano sugli occhi per impedirle di vedere e la tolse solo dopo aver aperto la porta che apriva al tetto.

Jiwoo rimase a bocca aperta, portandosi una mano davanti ad essa e Jimin notò i suoi occhi illuminarsi. Il ragazzo aveva comprato dei palloncini d'elio a forma di lettere e aveva composto una frase della cantante preferita di Kim Jiwoo: Halsey. La frase apparteneva alla sua ultima canzone, Clementine, e recitava: "Would you make out with me underneath the shelter of the balcony?", ovvero "Mi daresti appuntamento sotto al riparo del balcone?"

La Kim all'inizio non seppe come rispondere. In realtà sapeva di voler dire di sì, ma non voleva usare delle semplici parole. Allora le venne un'idea: si avvicinò ai palloncini, prendendone alcuni e spostandoli in modo da comporre un'altra frase con meno lettere. La frase era: "Yes, I would.", che significa "Accetto."

Completata la sua modifica alla frase, la Kim si girò verso Jimin e corse verso di lui abbracciandolo. Era davvero felice, anche lei voleva uscire con lui, stava solo aspettando che fosse il biondo a farsi avanti.

«Sì, Jimin, che voglio uscire con te.» gridò, con la voce piena di gioia, nascondendo il viso nell'incavo del collo di lui.

Jimin ricambiò l'abbraccio stringendo forte a sé quell'esile corpo, lo stesso che fino a due mesi e mezzo fa avrebbe voluto vedere sdraiato sotto il suo, mentre si muoveva in simbiosi con i lui. Aveva invece imparato a rispettarlo quasi come fosse stato un tempio sacro ed evitava il contatto fisico esagerato per paura che lei avesse potuto in qualche modo interpretare il gesto nel modo sbagliato.

***

I ragazzi, ognuno a casa propria, si prepararono per la prima uscita insieme. Jimin indossò lo smoking – che su di lui stava veramente bene, tra parentesi –, mentre Jiwoo si vestì con un abito a tubino nero, corpo, ma non abbastanza da essere considerato volgare; l'abito era dotato di spalline molto sottili, che lasciavano interamente scoperte le spalle. Infatti Jiwoo necessitò di uno spolverino, nero anch'esso, se no sarebbe potuta andare in ibernazione.

Arrivata l'ora prestabilita, la Kim si fece trovare sotto il riparo del balcone di casa sua e appena vide Jimin il suo cuore perse un battito: era bellissimo, in giacca e cravatta, come se fosse dovuto andare ad un colloquio di lavoro.

Invece si era vestito così bene per lei, solo e soltanto per lei. Non che Jiwoo avesse fatto da meno, infatti il biondo restò a bocca aperta non appena vide il suo corpo avvolto in quel sottile strato di stoffa nera che avrebbe tanto voluto sfilargli.

La mente di Jimin si riempì di pensieri poco puri nei confronti della ragazza che lo stava guardando sorridendo, ma cercò di scacciarli e di comportarsi come un essere umano sopprimendo gli istinti primitivi che si stavano facendo vivi in lui. Voleva ancora quella ragazza, con tutto se stesso, ma in un modo diverso.

«Ciao.» disse lui.

«Ciao.» rispose lei. Lui la prese per mano e iniziarono a camminare, fino a fermarsi davanti ad un bar. Jimin optò per un'uscita semplice, niente di troppo impegnativo. Anche se sarebbe davvero voluto arrivare al sodo in meno tempo possibile, sapeva di star facendo la cosa giusta per entrambi.

«Ho scelto questo bar per l'uscita. È un posto tranquillo, non troppo affollato, so che non ti piacciono.»

Rimase zitta, il bar si presentava davvero bene dall'esterno e lei lo guardava incantata. In fondo era un semplice edificio in cui passare un'oretta tranquilla con qualcuno, ma a lei sembrava tutto speciale. E forse dipendeva proprio da Jimin. Gli interni di quel locale erano ancora meglio dell'esterno. Era un bar in stile un po' rustico, il preferito di Jiwoo.

I ragazzi scelsero un tavolino quadrato e si sedettero per ordinare. Passarono un pomeriggio diverso dal solito, insieme, e si divertirono molto. I due si alzarono dai loro posti solo quando si fece sera e Jimin si offrì di accompagnare la Kim a casa. E fu proprio sotto l'ormai famoso riparo del balcone che i due stavano per salutarsi. Tuttavia per un gesto quasi involontario, ma sicuramente voluto da entrambi, le distanze tra di loro si azzerarono e i loro corpi entrarono a contatto tramite le labbra. Fu un bacio casto, ma che trasmise ad entrambi un vortice infinito di emozioni.

Ripresero le distanze e si guardarono negli occhi, i quali brillavano, rispecchiando le sensazioni che entrambi stavano provando. Continuarono a guardarsi per altri infiniti secondi, poi Jimin si avventò di nuovo sulle labbra di lei, e lei ricambiò. Senza smettere neanche per un secondo di baciarsi, entrarono in casa e un po' a tentoni arrivarono nella stanza della Kim. E in quella stanza si accese il fuoco, lo stesso fuoco che i ragazzi per mesi avevano cercato di tenere spento. Ma quel bacio fu la miccia che cadde su un'intera tanica di benzina versata a terra.

Fecero l'amore, come se fosse stata la prima volta per entrambi. Ovviamente non lo era, per nessuno dei due, ma le emozioni che provarono la fecero sembrare. Jimin non faceva sesso da tre mesi, era riuscito a resistere, e anche quello non fu semplice sesso. Fu qualcosa che lo coinvolse emotivamente, mise cuore e anima in ogni suo movimento e fece di tutto per far provare le stesse sensazioni anche a Jiwoo.

***

Dopo la loro prima volta insieme, i due avevano stretto un legame ancora più forte e si erano decisi a mettersi insieme. Passarono quattro mesi e Jimin finalmente era pronto per compiere un secondo passo.

Erano insieme a casa del biondo, sdraiati sul letto a studiare e a farsi le coccole. Jimin la stava guardando, la stava osservando mentre leggeva sdraiata a pancia in giù parole che per lui erano incomprensibili. Lei se ne accorse e si girò verso di lui.

«Cosa c'è?» chiese sorridendo.

«Sei bellissima.»

«Dimmi qualcosa che non so.» scherzò lei. Aveva un sorriso stupendo e Jimin non poté lasciarsi scappare l'opportunità di baciarglielo.

«Bacerei ogni tuo sorriso, dal primo all'ultimo, per sempre. Ti amo.» riuscì a dire. Era tanto tempo che stava tenendo dentro di sé quelle due paroline e finalmente era riuscito a pronunciarle.

Il cuore gli stava esplodendo di gioia, stava sorridendo, ma il suo sorriso si spense quando si spense anche quello della Kim. Notò lo sguardo di lei abbassarsi e il bagliore di gioia dipinto nei suoi occhi andarsene in un secondo.

«Hey, non sei obbligata a dirmi lo stesso, lo farai quando ti sentirai sicura, nessun problema.» disse il biondo sorridendo e cercando il contatto fisico con lei mettendole due dita sotto al mento. Contatto che lei interruppe immediatamente ritraendosi, con le lacrime agli occhi.

«Devo andare.» disse soltanto. Poi corse via lasciando Jimin da solo e senza spiegazioni.

***

Passò un mese da quel giorno e Kim Jiwoo non si fece più vedere a scuola. Jimin andava ogni giorno a casa sua e stava sotto al riparo del balcone a suonare il campanello nella speranza che qualcuno aprisse, ma nessuno rispondeva mai.

Non capiva, era arrabbiato con la Kim, ma il suo sentimento non si era spento. Solo non capiva. Perché l'aveva lasciato così? Poteva capire lo spavento di una frase così importante, ma non addirittura lo sparire per un mese...

Un giorno, come al solito, si stava dirigendo verso casa sua ad aspettarla, nonostante sapeva che lei non si sarebbe fatta vedere, ma quella volta proprio nel momento esatto in cui lui stava per suonare il campanello lei aprì il portone d'accesso al condominio. E Jimin, dopo un mese, la vide ancora. Fu un incontro inizialmente rapido, dato che Jiwoo appena si fu accorta di lui chiuse la porta, ma il biondo riuscì a bloccarla con il piede ed entrò nel condominio. La prese per i polsi per farla stare ferma e la spinse contro il muro.

«Jimin, toglimi le mani di dosso!»

«Jiwoo, è un mese che non ci vediamo e l'unica cosa che sai dirmi è la stessa frase che mi hai detto otto mesi fa? Perché sei sparita?»

«Jimin, lasciami.» stava per piangere, e a quel punto Jimin le lasciò i polsi.

Cosa le prendeva? Cosa le aveva fatto? Aveva sbagliato qualcosa? Si era comportato male? Aveva fatto un torto all'Universo e ora quest'ultimo gliela stava facendo pagare? Tutte queste domande sommersero la mente di Jimin, che per qualche secondo non fu in grado di pensare ad altro.

«Vattene, per favore.»

«No, ora mi spieghi perché te ne sei andata un mese fa, dopo averti detto che ti amo... sei sparita.»

«Cosa vuoi?» chiese ignorando le sue richieste e affermazioni.

«Voglio delle risposte, voglio te.» disse lui con un tono di voce forse un po' troppo alto. Ma in quel momento non gli importava, in quel momento gli importava solo di ricevere le meritate spiegazioni su un comportamento così infantile.

«Jimin, te lo dirò un'ultima volta: vattene via.»

«No, cazzo, sono io che te lo dirò un'ultima volta: che cosa diamine ti è successo quel giorno?» stavolta urlò proprio e la Kim rispose a tono.

«È stata quella maledetta frase, Jimin. Io e te non possiamo stare insieme. Io sono una fottuta bomba a orologeria, pronta ad esplodere da un momento all'altro e non posso esplodere su di te e ucciderti.»

«Cosa intendi?» domandò lui serio e con un filo di voce.

«Sono malata, Jimin, ho i giorni contati. Certo, la mia data di scadenza dice che arriverò almeno ai quarant'anni, ma oltre non sarò più niente. Morirò. Capisci che non ti posso trascinare con me? Capisci che non ti potrò mai dare dei figli perché non voglio che crescano senza una madre? Capisci che non posso darti quello che ti serve? LO CAPISCI?» urlò scoppiando a piangere.

Anche il biondo iniziò a piangere senza neanche rendersene conto, ma trovò comunque la forza di rispondere: «Quello che serve a me sei tu». La abbracciò, stringendola a sé come non faceva da tempo ormai e pianse. «Mi dispiace, Jiwoo, non lo sapevo. Ma tu non puoi decidere cosa puoi o non puoi fare. Non puoi decidere per me e non puoi importi ai tuoi sentimenti. Io ti amo, non ho mai smesso di amarti e ti prometto che ti farò sempre sorridere. Non mi importa se un giorno non ci sarai più, io voglio vivere con te e voglio amarti come meriti

«Jimin, io... mi dispiace, ma non posso.»

***

«E fu così che si concluse la storia tra i due.» raccontò il ragazzo ai suoi figli, chiudendo quel libro, che somigliava più un diario personale, sia dalla rilegatura in cuoio sia dalla grafia con cui era stato scritto.

«E alla fine lei cambiò idea? Alla fine si sposarono? Ebbero dei figli?» chiesero i gemellini in coro.

Il ragazzo si asciugò una lacrima traditrice prima di rispondere, poi trovò il coraggio di parlare e con voce spezzata dal pianto disse: «No, quello fu un addio. Lui le promise che l'avrebbe sempre fatta sorridere, ma lei non gliene diede mai l'opportunità.»

THE END

conclusa alle h 6:36 PM
revisione conclusa alle h 7:16 PM
iniziata il giorno: 03/10/2019
conclusa il giorno: 12/10/2019
parole: 3569 (solo storia)
parole: 4170 (totali)

Spazio Autrice

ciao ARMY! spero che questa os sulla nostra fatina vi sia piaciuta. ci ho lavorato davvero tanto e scriverla per me è stato bellissimo!
spero che vi regali le stesse emozioni che ha regalato a me :)

detto questo, buon compleanno park jimin, e baci a tutte.

qui sotto vi lascio lo speciale!

*SPECIALE*

Caro Park Jimin,

non so davvero come iniziare, sviluppare né finire questa lettera, perché vorrei dirti talmente tante cose che non mi basterebbero due vite per elencarle. Quindi partiamo dalle cose semplici.

Per me la storia che ho scritto dedicata a te ha un significato davvero molto speciale, per molti motivi.

Il primo è che questa storia porta il titolo di Promise, una delle tue canzoni (약속). Promise è stata la prima canzone coreana in assoluto che io abbia mai ascoltato. Grazie a Promise mi sono avvicinata sempre di più ai BTS, prima ascoltando delle canzoni cantate in singolo e poi canzoni cantate da tutto il gruppo. Per me questa canzone è davvero molto speciale e le ho voluto dedicare il titolo della storia per questa ragione.

Il secondo motivo per cui questa storia è davvero molto speciale per me è che la storia riguarda te. Tu sei il mio bias, il mio ultimate, il BTS a cui sono più affezionata. Certamente amo tutti allo stesso modo, ma tu sei la ragione per cui vi ho conosciuti, quindi con te ho un legame diverso che con gli altri.

Ogni volta che ti sento cantare il mio cuore va in tilt, non sa più se accelerare il battito fino a farmi esplodere o fermarsi direttamente e farmi morire d'infarto. A causa tua la mia vita è stata presa in mano da qualcuno che l'ha stravolta, senza che io potessi farci niente l'ha rivoltata come un calzino. A causa tua sono cambiata, ma in meglio.

Ti sono grata di tutte le modifiche che inconsciamente hai apportato alla mia vita, ora sono una persona più sensibile e valuto molte cose sotto un aspetto diverso. Adesso sono in grado di apprezzare cose che magari prima non consideravo neanche importanti. Non sono più quella ragazza superficiale che ama i cantanti solo per l'aspetto fisico (anche se siete fighissimi, nulla da dire).

Grazie a te sono una persona completamente diversa e la cosa mi piace un sacco. Amo il cambiamento che ho fatto e anche se devo ancora migliorare in qualcosa sono sicura che con il tuo aiuto e quello di tutti i tuoi compagni ci riuscirò.

Molto probabilmente non leggerai mai questa lettera, ma io ho comunque bisogno di scriverti tutto ciò che provo per te e le emozioni che mi trasmetti quando canti. Perché quando ascolto la tua musica entro in un altro mondo, un mondo perfetto, dove tutto è bello e ogni cosa è speciale. Starei ad ascoltare ogni tua singola parola ventiquattr'ore su ventiquattro e sette giorni su sette, non scherzo.

Per me sei davvero molto importante e non so come farei adesso a vivere se Jimin e i BTS non esistessero. Probabilmente la mia vita andrebbe avanti comunque, ma sarebbe vuota, come lo era prima di conoscervi. Mi mancava qualcosa ed eravate voi.

Grazie Jimin, grazie per essere chi sei e per avermi fatto conoscere i tuoi amici. Grazie a te e grazie a tutti.

Ti amo, Park Jimin, spero tu possa sentire queste parole, magari ora o magari un giorno.

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