Capitolo 8


What you don't tell no one,
you can tell me.
Little ghost, tall,
tan like milk and honey 


Con una mano rimase ancorato alla mia coscia. Usò l'altra per prendermi la sinistra, la stessa nel cui anulare si infila la fede nunziale, dove era infatti presente in bella vista la sua.

«Ricominciamo dalle basi» esordì. I nostri sguardi ci misero un istante ad allacciarsi l'uno con l'altro.

Ma se nella mia espressione era immobilizzata dallo smarrimento, la sua volitiva si era infuocata di persuasione.

Scivolarono lente le sue dita per intrecciarsi fra le mie e Galen rimase in ginocchio ai miei piedi, in paziente attesa del momento in cui mi sarei decisa a soccombergli.

Era simile all'immagine di un fidanzato devoto che chiedeva alla sua compagna di poterla prendere in sposa, ma non potevo illudermi che lui ci avrebbe visto la stessa cosa.

Seppure... avrei potuto giurare che fosse concentrato solo sul mio viso, e non più su cosa ci fosse sotto la mia gonna.

In quei momenti mi lasciava sorpresa. Mi confondeva i pensieri, che battibeccavano fra l'insistere che fosse solo un sadico manipolatore e il convincersi che fosse il più dolce amante solo un po' più passionale.

«Per te» fu in quel momento che cominciò a darmi del "tu", «quando siamo solo noi due, io sono solo Galen» chiarì.

Non capivo perché mi ostinassi a non sfilarmi dalla sua stretta, che mi teneva legata non solo per le dita.

«Ma professore...»

«Per favore...» mi pregò, ancora, struggente era il suo sguardo.

Non so fino a che punto fosse a conoscenza di star imparando tutti i miei punti deboli. Quali avrebbe potuto usare a suo vantaggio, come ad esempio quello spasmodico bisogno che qualcuno si prendesse cura di me.

Non so quanta consapevolezza avesse della smania che mi faceva sentire in colpa quando volevo spingermi oltre il mondo al di là del mio naso, con la paura che mi attanagliava e mi suggeriva che sarei riuscita ad attraversarlo solo se qualcuno mi avesse guidato prendendomi per mano, come si sarebbe fatto con una bambina.

Eppure, con lui mi sentivo già cresciuta. Quel senso di femminilità che faceva divampare dentro di me e a causa del quale mi ero sempre sentita a disagio vicino ad un ragazzo, per la prima volta in vita mia, non cercai di scacciarlo.

Quando si trattava di lui, lo avrei accolto con ogni fibra del mio essere, ancora e ancora. Continuavo spasmodicamente a cercarne ancora.

Con entrambe le mani sollevò svogliatamente i bordi della camicetta, lasciando nuda la striscia di pelle che ricopriva, e poggiò la bocca schiusa poco sopra l'ombelico.

Tutto il mio corpo si mise subito in guardia. Percepii contrarsi i muscoli dell'addome, curvarmi per sfuggire al suo morbido tocco.

Sfrontato, mi tirò di nuovo verso di lui, stringendomi in modo tale che non potessi allontanarmi di nuovo. Sentii confricare la parte umida delle sue labbra sulla cute fragile del ventre e strinsi gli occhi per quell'estasi inaspettata.

«Accoglimi per nome» mi sussurrava, con la voce incrinata fra un bacio e l'altro «perché sei nei miei sogni più splendidi ma mi sfuggi ogni volta.»

Alzai la testa verso il soffitto immaginando che, dentro quello squallido bagno, ci fosse il cielo azzurro. Finalmente un cielo azzurro senza nessuna nuvola, lo stesso che potevo guardare sempre dentro i suoi occhi.

La riabbassai, poi, per osservarli nella realtà e non più com'erano nella mia immaginazione.

La verità è che il suo sguardo non aveva proprio nulla del cielo primaverile, sereno e con qualche nuvola bianca come batuffoli di cotone che vedevo incombere su di me.

Erano ghiacciati, rappresentavano l'abisso di quel lago situato alle nostre spalle, invernale, profondo e pericoloso.

E sapevo che mi avrebbe voluto portare giù con sé.

Avvinghiati come Paolo e Francesca della Divina commedia, sospinti da una corrente infernale, fino a che saremmo rimasti sommersi come un relitto.

Non credo dipendesse solo da Trudi. Dentro di lui sembrava esserci il dolore di un abbandono che aveva persino terrore di ammettere e che, allo stesso tempo, se lo avesse fatto avrebbe dovuto fare i conti col fatto di essere davvero solo al mondo.

Chiuse gli occhi e strofinò lo zigomo contro la mia pelle, solleticandomi con le ciglia sottili.

L'intimità che avevamo durante il sesso non aveva nulla a che fare con questa, con quella era decisamente meno doloroso crollare.

Salì ancora più su con i palmi delle mani, serrarsi sul mio seno e far inturgidire e dolermi i capezzoli, in costrizione nel reggiseno.

Capii che qualsiasi tentativo di oppormi sarebbe stato comunque vano.

I suoi baci si muovevano sinuosi facendomi urlare lo stomaco, risvegliandomi con spilli di calore da quel punto ormai familiare in mezzo alle cosce.

Dalla mente in giù si stava appropriando di me completamente; mi ricordava un serpente avvinghiato attorno al corpo della preda che ha scelto, per stritolarla flemmatico.

Ogni volta che si staccava, il mio bacino si muoveva ormai arreso verso di lui come a reclamarselo, mentre le mie dita si attorcigliavano fra i suoi capelli.

Mi venne allora spontaneo divaricare le gambe.

Una volta che ebbe compreso fossi sul punto di cedere, mi abbassò gli slip lasciandoli in equilibrio sulle ginocchia.

Concedermi a lui lo fece sorridere, soddisfatto di essere riuscito a convincermi con la sua magnifica opera di seduzione.

Pregai affinché, questa volta, fossi io sufficientemente in grado di guarirlo dal veleno che scorreva nelle sue vene, se mi fossi presa cura di lui.

Voleva che fossi io a proseguire, farmi vivere l'illusione che fossi libera di prendere le redini del suo desiderio, maestoso come un cavallo bianco e fiducioso nel fatto che questa volta avrei preso la decisione giusta.

O forse, sapeva gli avrebbe dato più soddisfazione l'essere scelto piuttosto che dovermi costringere a fare quello che voleva lui.

E volevo io.

Mi abbassai e afferrai in fretta i bordi degli slip, facendoli cadere sulle caviglie. Mi aiutò a sfilarli via dai piedi, lasciandomeli come bracciali fra le dita.

Ero decisa a non lasciarmi sfuggire quel coraggio che si era impossessato dei miei arti, mentre continuava a sorridermi malizioso e compiaciuto della mia ritrovata insolenza.

Prima di rialzarsi, lanciò un ultimo sguardo all'estremità finale del mio pube, con la stessa nostalgia di quando si è desiderato a lungo qualcosa al quale si è costretti a rinunciare, facendomi fremere di adrenalina.

Ma nonostante fosse riuscito ad ottenermi, nei suoi occhi scoprì fosse rimasto quel velo di malinconia che non riuscivo a spiegarmi. Come se, una volta posatosi sul mio viso, avesse pensato che dovesse accontentarsi di me.

Sapevo di non poter essere al centro del suo mondo, era più grande di me e aveva già una moglie, ma non potevo più sopportare di esistere in funzione di quello che non era riuscito ad avere. E per quanto lo avesse già specificato e mi chiamasse col mio nome, non riuscivo ancora a distinguere se, nonostante fossi stata io ad essermi offerta così a lui, nella sua mente non rimanesse comunque Trudi, magari avente il mio corpo.

«Professore...» sussurrai. Avrei voluto chiedergli per cosa avrei dovuto prepararmi, ma la mia mente non era ancora arrivata a quel punto della coscienza e mi bloccai, come accadeva durante le sue lezioni, intimorita.

«Galen» sottolineò, ma non volle placare la mia agitazione.

Mi avvitò con le mani per i fianchi e di scatto, mi fece girare come una ballerina.

Sentii il rumore dei suoi pantaloni che si slacciavano e, voltandomi indietro, lo vidi proseguire abbassandosi i boxer.

Incrociare i suoi occhi mi fece trasalire come se, improvvisamente, il torpore che mi aveva inebriato e confuso le idee, si fosse dissolto come il fumo dell'incenso.

Per quanto avesse tentato di mettermi alla sua pari, ero ritornata la sua studentessa e lui era rimasto il mio professore.

Ma non volli comunque tirarmi indietro e così, per svuotarmi dai pensieri negativi, li appiccicai come post-it sulla parete che avevo di nuovo di fronte, lasciandogli prendere il controllo.

Risi piano quando mi circondò con un braccio e col pene s'insinuò lentamente, incastrandolo e facendolo strofinare contro la pelle tenera in mezzo alle mie cosce.

Mi abbandonai con la schiena sul suo petto e ansimai già prigioniera ad assecondare le sue voglie.

Mi sembrava di essere in balia delle correnti del lago, con lui che mi teneva per non farmi annegare.

Quanto avrei resistito in questa battaglia?

Era la prima volta che sentivo quel corpo cavernoso sulla mia pelle nuda e mi godetti a pieno quella sensazione così romantica e innocente.

Pensai volesse vivere per la prima volta anche lui quel brivido del sesso adolescenziale che non aveva potuto provare con Trudi, e vedere di nascosto l'effetto che faceva. Supplire quello che non aveva vissuto per riempire quel buco che era rimasto aperto dentro il suo cuore.

Mi avrebbe fatto sentire importante poter prendere il suo cuore. Medicare con carezze e baci tutti i tagli ancora sanguinanti che gli avevano inflitto e scucire le cicatrici imbottendole d'amore, per riconsegnarglielo immerso in petali bianchi dentro uno scrigno dorato, così da fargli comprendere quanto valore avesse per me.

Mi convinsi che i corpi nudi fossero stati creati per essere strusciati insieme, altrimenti non avrebbero avuto alcun senso di esistere. Una scintilla, d'altronde, si crea dall'energica confricazione di due pietre o di due parti metalliche.

E noi saremmo diventati fuoco molto presto.

Afferrò fra le dita ciocche dei miei capelli, che con cura avevo sistemato dietro le orecchie, e mi tirò all'indietro la testa. «La tua signorina lì sotto ha inumidito così tanto le cosce che non faccio nemmeno troppo attrito, lo senti?» sussurrò al mio orecchio.

Sudavo, parve essere entrato il Sole in quel bagno stretto e angusto, il cui calore mi stava sciogliendo facendomi impazzire.

Il reggiseno, che sfregava fastidioso contro la pelle, cominciò a innervosirmi. Per questo non amavo per niente indossarlo.

Mugolai per quella dolce tortura che stava esercitando in un luogo così sensibile del mio corpo.

All'improvviso sentimmo dei passi arrivare e per la paura che avrei potuto chiedere aiuto, mi tappò in fretta la bocca con la mano che aveva usato per tirarmi per i capelli.

Con l'altra serrò la stretta sulla pancia facendomi aderire al suo addome, come a farmi capire che non ci fosse bisogno di urlare perché ero di sua proprietà e avrebbe lui badato a me.

Bussarono. «Occupato?» strillò una voce femminile.

Cercai di capire se fosse qualche collega di corso che conoscevo ma nonostante fosse già passato un anno e mezzo, non avevo ancora familiarizzato con nessuno al punto da poterla riconoscere dalla voce.

Aspettò una risposta e poi cercò di aprire armeggiando con la maniglia, che per fortuna era chiusa a chiave.

«Che palle, questi bagni non funzionano mai» la sentimmo borbottare.

Lui continuò imperterrito a strusciarsi contro di me, ansimare vicino al mio orecchio man mano che si muoveva più rapido, su e giù con l'intero busto.

Mi sforzavo di tacere per non allarmare la ragazza che espletava nella cabina accanto, anche se diventava sempre più difficile ingoiare tutti i gemiti che cercavano di districarsi fuori dalla mia gola.

Cercai di svincolarmi per riprendere quantomeno fiato, ma pur di non lasciarmi nemmeno per un secondo, con l'indice e il medio mi schiuse la bocca e si aggrappò agli incisivi inferiori, per tenermi la bocca aperta.

Dispettoso salì con il bacino fino a sfiorare al centro le grandi labbra, già estroflesse ad aprirgli la prima delle porte che lo avrebbero voluto spingere più su.

Voleva sfidarmi a non gemere, rendendomelo però impossibile.

Spingermi fino al limite e dimostrarmi come gli venisse facile annichilirmi con così poco.

Quanto controllo avesse sul mio corpo rispetto a quello che presidiava la mia ragione, che continuava a darmi l'ordine che bisognava necessariamente allontanarsi da lui.

Ma com'era più profondo il mio bisogno di sentirmi inglobata nell'amore...

Pur di non perdere, mi piegai in avanti facendo scivolare via la sua mano dalla bocca, mentre le cosce cominciarono a tremarmi come se avessi freddo, o paura, seppure in realtà fossero più impazienti e roventi che mai.

Non avrei potuto fare niente per sfuggirgli davvero, ma potevo illudermi di essere in grado di ignorare quel brivido che mi aveva scaricato addosso come un fulmine.

Aveva ormai compreso che fosse più forte la paura di essere scoperta, rispetto a quella di essere lì con lui.

Non poteva sapere quanto sentirmi così legata al suo corpo, sarebbe stato decisamente meglio di qualsiasi altra cosa a prescindere.

Scattai all'indietro e gli feci sbattere la schiena contro la parete alle sue spalle.

Non lasciò la stretta preoccupandosi del dolore, rimase concentrato nel portarmi appresso a sé. Ma per fortuna, l'impatto bloccò di colpo i suoi movimenti.

Per ripicca mi strinse la mano attorno al collo, fermandosi prima del punto di non ritorno.

Voleva rimanessi sospesa in quell'attimo eterno, con la mente bloccata nell'oblìo di quella strana sensazione di abbandono del piacere mista a una placida inquietudine.

Mi s'annebbiò la vista e immaginai di lasciarmi affogare dentro lo specchio dolce del lago, limpido e tormentato, dove non avevo ancora imparato a nuotare.

Vidi la fenditura dell'acqua richiudersi sopra i miei occhi.

C'era così tanta pace lì sotto che sembrava essere svanita ogni paura.

E poi non ero sola. C'era Galen che mi aveva afferrato la caviglia ed era la corrente che mi tirava più in basso.

Per lui, il piacere corrispondeva al dolore, e solo attraverso di esso poteva sentire di meritare la vita. Solo così si dava il permesso di godere di quel briciolo di felicità della stessa durata di un orgasmo; era l'unico momento nel quale, qualsiasi cosa ci fosse dentro la sua testa, si eclissava.

Se l'orgasmo era l'atto più egoistico che potesse esercitare, la sua felicità non doveva più dipendere da nessuno perché da nessuno lui aveva imparato a dipendere.

E dipendere avrebbe significato avere dei debiti insopportabili da pagare.

Solo io potevo sapere, invece, quanto dipendere, ogni tanto, facesse sentire amati.

Per quel minuto intero tutto si pietrificò nel silenzio, bruscamente interrotto dal grido di quella studentessa.

«C'è nessuno?»

Sarebbe stato il momento perfetto per sgolare la voce, avere una testimone, denunciarlo, cacciarlo da quell'università e non vederlo mai più.

Smettere di correre il rischio di farmi rovinare così la vita da lui.


Cherry Blossom (tratta dall'album "Blue Banisters")

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top