Capitolo 23
❝ Have to touch myself to pretend you're there...
Your hands were on my hips,
your name was on my lips
Over, over again like my only prayer ❞
Poggiato di schiena alla testiera del letto, mi permise di sedermi in mezzo alle sue gambe divaricate e mi abbandonai sul suo petto.
Mentre leggevo, mi accarezzava i capelli. Tenevo aperto tra le mie mani "The lover" di Marguerite Duras, mentre lui teneva le sue attorno a me. Con il mento poggiato sulla mia spalla, sbirciava a quale pagina fossi arrivata.
«Potresti leggerlo per me?»
Sorrisi ingenua e incominciai a recitare. «La pelle è sontuosamente morbida. Il corpo, un corpo magro, senza forza, senza muscoli, come dopo una malattia, convalescente, imberbe, senza virilità se non quella del sesso, è debole, disarmato, sofferente.»*
Mi chiuse il seno opposto al verso della sua mano e pizzicò il capezzolo, che si risvegliò subito come se avesse già riconosciuto il suo tocco.
Deglutii prima di proseguire, insistendo a leggere come se non stesse accadendo nulla.
«Lei non lo guarda in viso. Non lo guarda affatto, lo tocca, tocca la pelle liscia del sesso, il corpo dorato, la sconosciuta novità. Lui geme, piange. È innamorato in modo abominevole.»*
Allora scese giù, chiudendo le dita sull'interno coscia e fermandosi poco prima, nell'incavo interno dell'anca.
Eravamo ormai abituati a rimanere nudi e così vicini insieme, anche durante i ripassi di filosofia che facevamo, ma tutte le volte che mi stuzzicava in quel modo, il mio corpo fremeva sempre come fosse la prima.
Cercavo di rimanere impassibile, nonostante sentissi crescere il desiderio per lui allo stesso ritmo dei battiti del cuore che acceleravano come il motore di una Ferrari, con le braccia che improvvisamente diventavano molli.
«Lei, piangendo, lo fa. Prima c'è il dolore. Poi quel dolore viene sopraffatto, trasformato, strappato via lentamente, portato verso il piacere, avviluppato ad esso. Il mare, sconfinato, semplicemente... incomparabile.»* sospirai.
Dovetti fermarmi quando da quei piccoli movimenti circolari, passò ad infilarsi con indice e anulare.
«Galen.»
Strinsi d'istinto le cosce e quando uscì le dita, l'attrito non fece altro che aumentare l'onda di pelle d'oca su tutto il corpo.
Si chiuse le dita in bocca, leccandole con le labbra come se fossero un ghiacciolo.
«Hai un sapore dolce, di zucchero. Almeno quanto la tua voce...»
Mi poggiò le labbra sul collo e socchiusi gli occhi; non riuscii più nemmeno a terminare di leggere quella pagina.
«E mi dispiace interromperti... ma non posso fare a meno di assaggiarti.»
Un uomo che deve far spesso l'amore, un uomo che ha paura, che fa spesso l'amore per vincere la paura.*
Sentii poi tirarmi via il libro dalle mani, che chiuse poggiandolo sul comodino.
Avrei perso il segno ma, in quella situazione, non me ne importava poi più di tanto.
«Spostati» mi sussurrò.
Obbedii gattonando in avanti, mentre lui si mise sdraiato, spostando di lato il cuscino.
«Vieni qui» mi ridisse, battendosi la mano sul petto.
Avanzai titubante, non comprendendo quale fosse il posto in cui avrei dovuto poggiarmi.
Galen mi afferrò deciso e sistemò la foce di Venere perpendicolare alla sua bocca.
«Non sarebbe uno spreco lasciare su carta parole tanto lussuriose senza poterle scrivere sui corpi a nostra volta?»
I miei occhi luccicarono già al solo pensiero di come la sua bocca avrebbe comunicato col mio corpo.
Fece in modo che mi ci abituassi piano, occupandosi con calma di ogni strato.
Lambì l'orlo delle piccole labbra, succhiando piano per poi ricominciare da capo, e ogni volta, prima di ritrarsi, chiudeva con uno, due, più baci sfiorando ogni punto al quale poteva arrivare.
Non lasciava che alcuna insenatura andasse sprecata.
Per reggermi incastrai le dita tra i suoi capelli, spingendo il bacino verso di lui e agevolarlo nei movimenti.
Ad ogni pungolo premeva più in profondità e mentre io mi abissavo sempre più a fondo, lui mi portava sempre più in alto.
Dal basso verso l'alto mi accarezzava, in circolo verso l'interno, e più attendeva e più mi consumava, togliendomi ossigeno come fa una fiamma.
Ansimai, mordendomi il labbro inferiore, cercando di sopportare quella tensione che da lì originava, aumentava e si irradiava nel resto del corpo, pur di non gemere.
La sua lingua, così decisa e spudorata, arrivò a toccare il glande della mia clitoride, ancora troppo indifeso e sensibile.
Io e Galen eravamo Eros che vinceva su Thanatos.
E quello fu solo un assaggio, che mi fece sentire ancora più smarrita, prima di scendere giù e raccogliere altro del mio sapore, solleticando con la punta della lingua quello spiraglio che si apriva a far passare la sua luce.
Mi sistemai dietro l'orecchio i capelli che erano scivolati ai lati delle mie guance, cercando di tenere a bada quella tensione che accresceva, momento per momento, dal fulcro sacro del mio corpo.
Slanciata su di lui, in bilico sulla sua bocca, con letteralmente solo una collana di perle addosso, mi voltai verso lo specchio e mi vidi così tragicamente bellissima.
Avrei voluto cristallizzare quell'attimo e in un momento così perfetto, odiai sentire nello stomaco il morso della gelosia, quando nella mia mente passò il pensiero che queste abilità le avesse apprese con la moglie e che ella stessa si fosse sentita così con lui, ben prima di me, chissà quante volte.
Mi distrasse da questi pensieri dando piccoli colpi alla rotondità soda della natica, risvegliando brividi che salirono lungo la schiena ricoprendomi le spalle come una coperta.
Quando non potei più resistere dall'urlare il suo nome, lo vidi sorridere sotto di me per la soddisfazione di aver appena conquistato un tesoro, dopo aver navigato a lungo.
Mi lanciai in avanti agganciandomi con le dita al bordo della testiera del letto e respirando affannosamente, cercai di sollevarmi alla ricerca di una pausa d'aria ma senza darmi tregua, mi ancorò a sé e la sua lingua salì di nuovo facendo montare un'altra onda.
Mi agganciò per i lombi e mi serrò tra le dita, labbra su labbra. Sapeva che, se non ci fosse stata la sua stretta prepotente a tenermi dritta, avrei cercato di nuovo di sfuggirgli, mi sarei accasciata senza trovare il coraggio di affrontare quell'irrequietezza dei sensi che mi faceva sentire così stramaledettamente vivida.
In sospeso su una zattera in mezzo all'oceano, Galen era il dio Poseidone che mi possedeva e io, per salvarmi, sperduta nella sua veemenza, pregai Atena di non punirmi come aveva fatto con Medusa per aver sconsacrato il suo tempio inviolabile.
Reclinai la testa e quando aprii gli occhi verso il soffitto mi accorsi che aveva fatto installare uno specchio anche lì, che rifletteva sulle pareti attorno i cristalli di luce del lampadario e su di me, proveniva da lì quella pioggia dorata come quella che fecondò Danae.
Il mio corpo mi appariva bellissimo visto dall'alto, il palmo della sua mano che saliva e si chiudeva sulla sporgenza arrotondata del seno per poi scivolare ad accarezzarmi timido il ventre.
Gli afferrai la mano e la portai all'altezza del cuore.
«Afferrami il cuore, Galen» gli sussurrai ansimando. «È tuo. Sto aspettando solo che te lo venga a prendere...»
Rimasi a guardarmi a bocca schiusa, prima di stringere gli occhi quando mi catturò nelle sue spire un orgasmo così intenso da farmi girare la testa che sfocò l'intera stanza.
Esisteva solo lui, Galen Cipriani, sotto di me così forte da reggere il peso di un intero universo.
Capii allora che distinzione esistesse fra il sesso e il fare l'amore, che se il primo riguardava la ripetizione meccanica di uno sfregamento di corpi quasi squallido e miserabile, il secondo si nutriva della bellezza intrinseca presente nel significato che veniva dato ogni volta all'atto in sé.
In come accadeva che il desiderio scegliesse di far unire proprio quei due corpi lì.
Amore violento, amore passionale, amore giulivo, amore disperato.
Che l'estasi soffocante e letale di un orgasmo fosse direttamente connessa allo stesso culto del sentimento che quelle labbra cantavano contribuendo con i loro versi.
Fa male pensare che se solo Galen fosse stato consapevole di come il suo scarnificarmi prima fosse stato necessario a farmi risorgere nel suo nome dopo, probabilmente non avrebbe scelto di andarsene. E io non avrei ora il rimpianto di non aver fatto abbastanza, di non essere stata almeno la prima a non permettergli di amare me, prima di amare se stesso.
Ricaddi con i palmi ai lati della sua testa e strinsi il lenzuolo nei pugni così forte che quando allentai la presa, rimase ancora stropicciato.
Mentre il mio corpo preso dalla frenesia cercava di spegnere quel fuoco per non morire, presi quasi come un dispetto da parte di Galen quello scorrere lento con le nocche verso l'alto, lungo le mie coste, per poi riscendere di nuovo giù fino ai fianchi.
«Galen» inghiottii tutti i gemiti che avevo soppresso, per la paura che avrebbe smesso lasciandomi insoddisfatta. «Ti prego» gli sussurrai senza fiato, incontrando i suoi occhi.
E sarebbero stati per sempre proprio i suoi occhi la parte di lui più difficile con la quale rapportarsi.
Erano quei laghi che, ricolmandosi di tristezza, ogni volta mi comunicavano il suo bisogno di estraniarsi da se stesso alla fine di un amplesso, se questo aveva smesso di essere sesso e incominciava a divenire amore. Come se in passato le pupille fossero state costrette a vedere così tanto che la parola non sarebbe stata minimamente sufficiente a raccontare tutto l'orrore che ritornava a galla, facendo fatica a riabituarsi alla luce dopo essere state troppo tempo al buio.
Rimaneva in essi una lastra di ghiaccio che non si era mai sciolta, nemmeno una volta che se n'era andato l'inverno, che inverno sarebbe rimasto per sempre.
La freddezza che vi lessi contribuì a farmi tremare, vacillare su di lui, ma ormai lo conoscevo almeno quanto conoscevo il mio cuore, e per questo non cedetti.
Scivolai su di lui e tenendogli i polsi ai lati sul materasso, lo costrinsi ad un bacio al quale, preso alla sprovvista, gemette ma non volle opporvisi.
«Fino alla fine, Galen» gli sussurrai all'orecchio strofinando la punta del naso contro la sua guancia.
Lo liberai e sfinita, non senza la paura che si alzasse e mi abbandonasse da sola nel letto, crollai su un fianco accompagnata dalle sue braccia che, sorprendendomi, mi avevano circondato le spalle per non lasciarmi, invece, andare.
Allora lo strinsi, gli rimasi abbracciata il più attaccata possibile per fargli sentire il mio calore e dopo avermi lasciato un bacio sulla fronte, poggiò il mento sulla mia testa.
Gli schioccai debolmente una serie di baci sulla pelle tesa alla base del collo, affondai poi il viso sul suo petto e quasi piansi, facendomi avvolgere da quel profumo balsamico di pini che non mi avrebbe abbandonato mai più. «Questa sensazione... è bellissima, Galen.»
«Non ti ci abituare...» mi ammonì. Ma scelsi di ignorare le sue parole, ancora troppo inebriata da una brezza tutta mia per badarci. Alzai la testa e attraversai con l'indice la linea dritta della mascella, quando mi venne un'idea.
Mi erano rimaste le forze solo per accarezzarlo e sapevo quanto lui odiasse essere toccato, ma almeno su questo ero tenace sul fargli cambiare idea e decisi di ricominciare dalla cosa più semplice.
«Stenditi, Galen.»
Scostò all'indietro la testa e cercò il mio viso a chiedermi più spiegazioni.
«Voglio prendermi cura di te» gli sussurrai dolce ad un orecchio, spostandomi per lasciargli spazio.
Mi pentii troppo tardi di non aver aggiunto: "Come tu ti sei sempre preso cura di me."
Non senza indugiare, ma obbedì e mi lasciò fare.
Una volta che si fu sistemato, mi avvinghiai di nuovo a lui, il mio seno rimase schiacciato dalla curva gentile del suo costato; il suo respiro lento che calmava il mio, speravo non sarebbe durato ancora a lungo così pacato.
Feci scorrere piano il palmo aperto della mano destra sul suo fianco, non arrivai mai in tempo a dirgli quanto ammirassi le linee del suo corpo ogni volta che lo avevo davanti, fino a farla scivolare sulla peluria dell'inguine.
Fece scattare subito la sua mano sinistra, bloccando il mio movimento. «Lana, cosa vuoi fare?»
Era così tanto avviluppato dentro il terrore che qualcuno riuscisse finalmente ad amarlo, mettendolo in una posizione più debole, che concedersi il rischio di abbandonarsi, con la paura che nessuno sarebbe andato poi a recuperarlo, gli era insopportabile.
«Non me ne andrò, Galen» lo rassicurai.
Sapevo ormai bene quanto adorasse quando lo chiamavo per nome, quelle cinque lettere gli ricordavano che non fosse solo un corpo per me, ma una persona nella sua interezza.
Bloccai fra le mie gambe piegate la sua coscia, che arrivò a toccarmi la fossetta del pube.
«Insegnami come si fa ad amarti» replicai ancora più decisa ma con un tono addolcito.
Fece un sospiro e accompagnò la mia mano sul suo pene, liscio e virile, chiudendola attorno ad esso.
Mi guidò per i primi movimenti, esercitai una pressione leggera per non fargli male; dopo qualche guizzo rotatorio per scaldarsi, dalla base mi fece risalire e poi mi riportò allo stesso punto la mano.
«Vai tu ora, mi voglio fidare di te» mi sussurrò sconvolgendomi per l'ennesima volta.
Fu quando mi lasciò a farlo da sola, che m'investì una sensazione di potere sentirlo tremare proprio accanto a me.
Come sempre mi capitava sulle prime tentennai, ma dall'adrenalina che mi percosse, compresi che non avevo la minima intenzione di deluderlo.
Lo vidi allargare di più le cosce, confermandomi che lo stessi facendo nella maniera corretta e aderii la mia pelle ancora più a lui.
Non volevo perdermi niente, volevo sentire tutto. Scavare dentro e donargli quanta più vita e bellezza possedessi.
Volevo che, se in quel momento fossimo morti, all'apice della felicità, una volta che ci avrebbero ritrovati, non sarebbero più riusciti a distinguere quali fossero le mie ossa e quali le sue.
Aggiunsi la lingua sui suoi capezzoli, sorridendogli quando abbassò la testa a guardarmi, dando piccoli colpi con la punta, per poi chiuderci sopra le labbra.
Mi tirò piano i capelli quando, mantenendo il ritmo e senza fermarmi per non rovinare tutto, aumentai di poco la pressione durante l'erezione che aumentava e che gli faceva contrarre i muscoli dell'addome.
Potevo solo immaginare quanto lo facesse sentire a disagio rendersi così vulnerabile e indifeso davanti a me, per questo fui contenta di non poter guardarlo dritto in viso ma, da spettatrice, attraverso lo specchio del soffitto.
E Dio mio, ad occhi chiusi con la testa all'indietro, il mento che puntava verso l'alto del cielo: il suo corpo che godeva sarebbe stato per sempre lo spettacolo più bello che avrei mai visto.
Risi, fui invasa dall'amore per lui.
Amore pazzo, amore sconsiderato, amore devoto, amore eterno.
Quello che rimase scivolando sui miei polpastrelli lo portai alla bocca, con l'indice e il medio che mi solleticarono lingua.
Se il sapore fosse dipeso da quanto godimento aveva potuto trarne, mi rincuorò che fosse stato magnifico.
Mentre era ancora intontito dagli ultimi singulti di piacere, ne approfittai per risalire piano col palmo sul suo ampio torace.
Il passaggio della mia mano non riuscì a sbiadire quella scritta e per questo, per la prima volta, lasciai che macchiasse anche le mie dita a condividere il destino che si era scelto per lui.
Mi fermai prima di arrivare al collo, volevo solo tentare di strappargli una reazione d'allarme scomposta così da metterlo semplicemente alla prova, e mettermi alla prova, ma anche questa volta lui non oppose alcuna difesa.
Mi piace pensare che ancora risieda, in quell'intricato rito, la scintilla del momento esatto in cui si innamorò di me.
Burning desire (tratta dall'edizione deluxe dell'EP "Paradise")
https://youtu.be/zx_dTSPzXlk
*Le parti contrassegnate dall'asterisco sono ovviamente tratte da "L'amante" di Marguerite Duras.
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