Capitolo 16
❝ Grabbed me by the ribbons in my hair,
life rocked me ultra softly
like the heavy metal that you wear.
I'm flyin' to the moon again ❞
«È finalmente venuto a farmi il riepilogo delle lezioni che mi sono persa, professor Cipriani?» lo canzonai, appena gli aprii, fermo sull'uscio.
Cercò di nascondere un ghigno malizioso. Sapevo perfettamente che, dicendogli così, avrebbe colto l'allusione al famoso "riepilogo" che mi ero offerta di fare il primo giorno che i nostri occhi si sono incrociati.
«Se non sono gradito, posso anche andare.»
Voleva proprio sentirsi venerato e adorato in ogni momento della sua vita.
Fuori pioveva e le goccioline di pioggia si erano raccolte sui suoi capelli e sulle spalline della sua giacca.
Alzai gli occhi al cielo e gli feci spazio per entrare. «Entri pure, professor Cipriani».
In realtà avevo tirato un sospiro di sollievo, quando sentii bussare alla porta.
Purtroppo, le sue parole, alle quali avevo pensato e ripensato, mi avevano fatto rendere conto che aveva perfettamente ragione: se in questo college lui aveva confidenza solo con me, io ero riuscita ad entrare in intimità davvero solo con lui.
E solo quando lui era accanto a me, io non mi sentivo più sola.
«Te lo ripeto. Puoi farmi il favore di chiamarmi Galen quando siamo solo noi due?» mi chiese, riducendo gli occhi a due fessure.
«No» risposi decisa e sorridendo, anche se non poteva più vedermi. Alle sue spalle, avevo deciso di aiutarlo a sfilarsi la giacca, afferrandone delicatamente i baveri fra le dita.
Già fantasticavo sul fatto che la dimenticasse qui e io avrei potuto dormirci in mezzo inebriata dal suo profumo.
Lo avrei chiamato Galen se il motivo fosse stato di stabilire un rapporto più intimo con me, ma ero convinta continuasse ad insistere solo per liberarci dai rispettivi ruoli e di conseguenza, dal senso di colpa che lo attanagliava di non essere il professore "perfetto".
La poggiai sulla sedia e quando mi girai, mi ritrovai il suo sguardo predatorio negli occhi.
«Sai che questo significa anche che ti negherò tutto il sesso che vorrai da me?»
Colpita e affondata.
Sarei stata sicura che non sarebbe riuscito a stare lui senza, ma non sapevo quanto valesse la pena rischiare.
E poi, io non avevo nessun'altro sul quale contare, se non su di lui al quale era bastata una semplice telefonata per accorrere da me.
«Dunque,» tornai seria e mi sedetti sul bordo del letto guardandolo negli occhi «perché ha voluto lo chiamassi il primo giorno di flusso mestruale, Galen?»
«Per darle questa» mi mostrò nel palmo della mano una piccola pillola poco più grande di una lenticchia. «Affinché non succedano danni.»
Da quel giorno in poi, prima di rincasare, venne ogni sera nel mio dormitorio, per accettarsi che non ne saltassi nemmeno una dose.
Era decisamente più attraente quando si mostrava così metodico.
Solo molto tempo dopo scoprii che quella pilloletta serviva a preparare il terreno affinché non rimanessi incinta a causa dei suoi coiti senza preservativo.
Oltre che uno dei suoi personalissimi modi con i quali voleva avere il totale controllo del mio corpo.
Me la porse insieme alla bottiglietta d'acqua presente sulla scrivania.
Nonostante tutto, mi fidavo ciecamente di lui, mi dissi.
S'inginocchiò davanti a me e mi osservò obbedirgli con uno sguardo così fiero di sé che mi fece sentire indifesa e vulnerabile.
Ma soprattutto al sicuro.
"Baciami ora, ti prego" pensai.
Indugiò sulle mie labbra, con gli occhi, con le dita, ma non mi baciò.
«Vado a prepararti un bagno caldo» sussurrò invece.
Mi stupì come fosse improvvisamente diventato così premuroso quella sera.
Si rimise in piedi e si avviò verso la vasca mentre ricacciai in gola le lacrime che già minacciavano di uscire. D'altronde era ancora qui, non c'era alcun motivo di piangere.
Finché fosse rimasto, avrei potuto continuare a chiedere le sue attenzioni.
Lo osservai attentamente mentre era intento a riempire la vasca, come se solo così potessi capire le sue intenzioni.
Si era alzato le maniche per non bagnarsi la camicia e la vista dei suoi avambracci possenti, complice anche il momento della giornata, mi fece girare la testa.
Mi alzai e traballante lo raggiunsi. «La ringrazio, professor Cipriani» sibilai intimorita.
«Le ripeto. Quando siamo soli, ed esclusivamente quando siamo soli, mi può pure solo chiamare Galen.»
Dovevo ancora abituarmi.
Annuii sorridendo. «Galen» sussurrai, guardandolo come una cerbiatta.
Potermi sentire importante per qualcuno più grande e più in alto di me stava incominciando a piacermi e a gratificarmi sul serio.
Mi spogliai; ogni sua attenzione fu davvero totalmente concentrata su di me e quel familiare senso di femminilità mi attraversò dai piedi alla testa.
Mi circondò con le braccia attorno al bacino, come se fossi una ballerina e volesse tenermi in equilibrio, o aiutarmi a svestirmi, per poi abbracciarmi. Ma rimasero in sospeso a diversi centimetri attorno al mio corpo, come se all'improvviso avesse persino paura di toccarmi.
Fossi irraggiungibile.
Ma in realtà non aveva più senso nascondergli il mio corpo, era tutto già alla luce del suo sole.
Quando feci cadere gli slip alle caviglie, e le scostai con i piedi, si concentrò di nuovo sui miei occhi.
Dio mio, fu come essere soli al mondo, due ragazzini che volevano imparare ad amarsi.
E in quei fugaci momenti di semplicità, dimenticavo chi fosse davvero.
Mi si rizzò la pelle, colpa del freddo ma soprattutto dell'intensità del suo calore.
Facendomi sorreggere da lui per la mano, poggiai prima un piede e poi l'altro dentro la vasca. La temperatura dell'acqua era perfetta e mi sedetti, poggiando la schiena nella parte più corta mentre lui andò a sistemarsi al di fuori dietro di me.
Poggiò il mento sulla mia spalla e mi circondo le braccia fino a toccare i polsi con gli indici. «Quello che abbiamo ripetutamente fatto potrebbe aver messo un po' sotto stress il tuo corpo.»
Mi affascinava ascoltare come sembrasse conoscere bene il corpo di una donna, sicuramente più di me che lo possedevo.
«Potremmo doverlo fare rilassare un po'.»
Schiusi la bocca mentre il tessuto di cotone mi faceva il solletico ad ogni piccolo movimento, aumentando l'eccitazione.
«Immagino che non hai ancora imparato come toccarti, dunque chiudi gli occhi e ti guiderò io.»
Il solo immaginare quello che sarebbe avvenuto di lì a poco mise in tensione dappertutto.
Le spalle, i seni, l'addome, le cosce.
«Cerca di non opporti, a nessun costo, qualsiasi sia la forza che ti porta a farlo, cacciala e lasciati andare. Fidati di me.» Chiusi allora gli occhi, facendomi cullare solo dalla sua voce.
Mi fece scivolare la mano sul monte di Venere.
«Galen...» sussurrai. Allargai istintivamente le gambe, per quanto mi era possibile in uno spazio così ristretto, e mi aiutò a far scivolare le dita più dentro.
Sussultai a questa nuova sensazione di sicurezza e mi scappò una flebile risata.
Con la mano libera, allargò l'apertura delle grandi labbra.
Ancora una volta, il principale piacere proveniva dal fatto che fossi totalmente sotto il controllo delle sue mani.
Della sua mente.
In attesa del giorno che il suo cuore sarebbe stato sotto il controllo del mio.
«Ascolta cosa il tuo corpo tu chiede di aver bisogno e seguilo» mi sussurrò roco e suadente all'orecchio.
Annuii, come se avesse potuto vedere la mia espressione di pura beatitudine in viso.
Perché aveva aspettato tanto ad essere così... dolce?
I capezzoli sui seni piccoli che spingevano per ingrossarsi e diventare turgidi me lo confermarono.
Di lui aveva bisogno il mio corpo, solo di lui.
«Fai dei movimenti circolari, lenti, gira attorno alla clitoride» mi spiegò. Lo ascoltai ma il timore di star facendo tutto io, nonostante fossi guidata dalle sue mani, mi costrinse a stringere ancora le cosce.
Interruppe il movimento con la mano e me le fece allargare di nuovo, accarezzandomi piano con le dita nell'interno coscia. «Non contrarre, rilassa» mi disse dolce, stranamente senza alcun rimprovero nella voce.
Provai ad andare più a fondo, esplorandomi, col desiderio di conoscermi e avere la soddisfazione di riuscire a darmi piacere davanti a lui.
Questo fu il consiglio più importante che potesse darmi.
E perché era lui, combattei contro il mio corpo e lo ascoltai.
Incominciai ad ansimare, gettando la testa indietro.
«Galen...» sussurrai di nuovo, incapace di dire altro.
«Incomincio ad adorare quando mi chiami per nome...» disse, per poi accarezzarmi con la punta del naso dall'attaccatura dell'orecchio alla punta esterna dell'occhio.
Un brivido mi percorse fulmineo. Strofinavo le dita dei piedi contro la ceramica bianca della vasca per liberarmi della corrente elettrica che aveva accelerato il battito cardiaco del mio cuore e mi stava incendiando le vene.
Mugolai e tornai a vergognarmi di me stessa, incapace ormai di trattenermi. Ma almeno qui non ci avrebbe sentito nessuno, i dormitori accanto al mio erano sempre vuoti.
La consapevolezza poi di avere, ad un soffio dalla mia parte più intima, le sue dita che però si proibiva di usare, non fece altro che farmi fremere ancora di più.
Man mano che sentivo la tensione salire, perdevo il controllo dei miei movimenti. Andavano da sole ormai le mie dita, lente e pazienti, mentre lui ordinava alla mia mente cosa fare e come fare. Mi sentivo una prigioniera che stava finalmente tentando di liberarsi dalle catene.
Seguendo il suo consiglio, mi imposi di non fermarmi alla prima ondata. Volli cavalcare la seconda, la terza... la testa mi girava forte ma mi sentivo leggera, come se il mio corpo pian piano non mi appartenesse più.
Sognai che un giorno avrei cavalcato su lui. Mi venne in mente l'immagine di noi due sopra una nuvola bianca ma di un mare in tempesta. Sorgevo dal suo corpo e allo stesso tempo gli ridavo la vita, ormai ero una donna.
Poi eccolo lì, che arrivò di nuovo, un piccolo orgasmo. Gemetti più forte e così lui se ne accorse, spostando la mano sul seno e massaggiandomelo per prolungare la sensazione, mentre con l'altra mi tenne la mano premuta sul pube.
«O Dio, se lei è nata per godere, mia Lanita...» sussurrò con voce roca.
Quella che sembrava una preghiera per togliermi tutti i peccati del mondo non fece altro che farmi sentirmi solo più impura. «Non vedo l'ora di essere quel Dio, quando la porta di questa chiesa sarà pronta per essere penetrata» concluse.
Rimanemmo fermi così, in questa posizione come una statua di marmo rinascimentale, in silenzio.
Lasciando la tensione del piacere andare scemandosi.
Mi sentivo bene, in pace e mi veniva da ridere mentre lui ne approfittava per lasciarmi un succhiotto viola sul seno, una parte nemmeno poi tanto possibile da nascondere.
Lo percepii alzarsi e andare a prendere qualcosa dagli scaffali in alto.
Le mie bottiglie di liquori, notai con gli occhi socchiusi ancora rilassata.
Il mio Jimmy.
«Di queste non abbiamo bisogno più, intesi Grant?» disse, mostrandomi la bottiglia di Jim Beam che aveva in mano.
Mi fece ridere che per rimproverarmi mi chiamò per cognome.
E mi fece quasi paura come riusciva a passare così velocemente dalla dolcezza all'aggressività.
Annuii per placarlo.
Svitò il tappo e mi versò il contenuto trasparente sul petto. Il liquido faticò a scivolare in mezzo ai seni e finì col perdersi galleggiando sull'acqua.
«Quando sentirai di aver bisogno del whisky, farai quello che ti ho appena insegnato, è chiaro?»
Chiunque altro avesse versato quel contenuto per me preziosissimo si sarebbe beccato la mia ira più feroce.
Ma non...
«Galen... sì» sussurrai, chiudendo gli occhi e incurvando la schiena all'indietro.
Bruciava leggermente appena veniva a contatto con la parte più delicata dei miei seni, i capezzoli.
Perché era così bravo a giocare col mio corpo e io non lo ero col suo?
Al punto che non mi importò più dell'alcool andato sprecato, perché era Galen in cima a qualunque cosa, e ciò che più agognavo disperatamente.
Il problema era che fosse meno facile da reperire rispetto ad una stupida bottiglia di whisky.
E una volta ottenuto, se me lo avessero tolto, o avesse deciso lui di andarsene, ormai, sarei davvero andata in escandescenze.
Sentii il rumore che fa l'acqua quando viene schiaffeggiata e poi la sua massa che si faceva spazio nel mio interno coscia, spingendomi e facendomi risalire di schiena.
Quando riaprii gli occhi, a riaccogliermi al mondo c'era il suo sorriso spietato e celestiale.
E l'altra bottiglia nella sua mano.
«E poi ci sono io adesso, Lanita. Lo sai?»
Sentii il mio corpo urlare sin da dentro le viscere, a queste sue parole.
Immaginavo così, la bellezza degli angeli, quando ti vengono a prendere per portarti in Paradiso.
Non mi avrebbe permesso di avere altre dipendenze, esclusa quella nei suoi confronti e di quella del sesso che mi faceva fare.
Si sistemò poi con una gamba in mezzo alle cosce e l'altra all'esterno.
Col ginocchio premeva contro l'apertura della mia vulva e provai a piegarmi così da non riuscire a farlo andare più a fondo.
Ma lui era Galen, e sarebbe arrivato ovunque avesse voluto.
Non sarei riuscita a bloccarlo in nessun modo e il fatto che riuscisse a impedirmi di difendermi, non fece altro che scaricarmi addosso l'ennesima ondata di brividi, che si ficcarono sulla pelle come i pezzi taglienti del vetro che sarebbero andati in frantumi su di me, se avesse voluto scagliarmi addosso quella bottiglia.
Mettendomi in ascolto del mio corpo come lui mi aveva detto di fare, capii infine che non lo avevo fatto per sfuggirgli, quanto piuttosto per sentire quello spigolo così teneramente arrotondato ancora più dentro di me.
Svitò semplicemente il tappo e poggiò l'anello della bottiglia sulla curva fra il mio labbro inferiore e il mento, e mentre cercai di spostare la bocca prendendone qualche sorso, il contenuto andò a finire all'altezza del cuore.
Affondando ancora con la punta del ginocchio, bloccandomi fra sé e la parete della vasca senza lasciarmi margine di movimento, si abbassò su di me e senza mai perdere il contatto visivo, succhiò il liquido dalla pelle del mento e poi scese ad accarezzarmi con la punta della lingua prima un capezzolo, poi l'altro.
Strinsi gli occhi e ansimai forte, come se avessi potuto risucchiare tutto l'ossigeno che mi circondava.
«Questo non è decisamente meglio, Lanita mia?»
Mi aggrappai con le dita alle sue spalle ma appena si rialzò, la mia mano scivolò di nuovo sulla ceramica fredda.
La camicia bagnata sulla parte davanti era diventata trasparente. Si era appiccicata alla pelle lasciando libere di respirare le piccole pieghe raggrinzite come ormai erano diventati i miei polpastrelli.
Avevo incominciato ad invidiare persino una cosa inanimata come una linea di stoffa, che poteva stare così beatamente aderente su di lui.
Emerse una scritta nera all'altezza del plesso solare che non avevo mai visto.
Capii in quel momento che non si era mai del tutto spogliato davanti a me, nonostante avesse già visto me completamente nuda.
La scrutai meglio cercando di capire cosa ci fosse scritto.
Ci passai sopra le dita, ma non osai sbottonargli la camicia.
«No» mi sussurrò deciso, avvicinando di nuovo le labbra al mio orecchio. Mi chiuse la mano nella sua come se fosse stato il collo della bottiglia, ma senza stringere.
Non mi sembrò arrabbiato della mia invadenza, ma mi si riformò il magone in gola.
Lui sapeva quasi tutto di me e io non sapevo quasi niente di lui.
E lui non voleva avere intrusioni nella sua vita.
«Ti amo, Galen» gli dissi finalmente.
Avevo bisogno, in qualche modo, di stabilire un contatto, qualcosa di ancora più profondamente intimo con lui, che potesse tenerlo legato a me. Non farlo allontanare.
Lui mi sorrise ma c'era qualcosa che non mi convinceva più, nel suo sguardo...
Mi afferrò per il collo ma non mi fece male, strinse quel giusto per non farmi morire asfissiata e mi tenne in sospeso.
Ma prima che le nostre labbra avvicinatesi potessero toccarsi, lasciò la presa e io che mi reggevo solo grazie alla sua mano, sbattei la nuca sulla ceramica del bordo sulla vasca.
Stupida vasca la maledissi, così dura e per niente dolce come lo era stato lui con me fino a quel momento.
Il dolore lancinante mi fece capire che questa volta non era un sogno, un incubo o un'allucinazione. Lui era davvero lì in carne ed ossa.
Caddi in deliquio. Lo sentii solo prendermi fra le braccia come da una culla, per poggiarmi poi delicatamente sul letto.
Mi appisolai nel giro di qualche minuto col sorriso sulle labbra.
Dopo avermi rimboccato le coperte, l'ultima cosa che udii prima di sognare fu lui che, richiudendosi la porta alle spalle, fece scattare la serratura sfilando e portando con sé la chiave.
Nemmeno oggi riesco a dormire serena e tranquilla se prima non mi assicuro di aver chiuso a chiave la mia stanza qui.
Heroin (tratta dall'album "Lust for Life")
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