Capitolo 1


 My clothes still smell like you
and all the photographs say
you're still young.
I pretend I'm not hurt ❞


Allungò la sua mano per arrivare fino a sotto la gonna blu di Persia, corta e plissettata della divisa. Sollevandola, sfiorò gli slip.

Colta di sorpresa e impreparata sgranai gli occhi, quando con indice e medio incominciò a strofinare lungo la linea delle grandi labbra. Il tessuto bianco terso e immacolato si impregnò così presto che gli servì una risata sardonica e soddisfatta.

Mi vergognai profondamente di me stessa. La paura di perdere il controllo mi diede un giramento di testa ma la perversa gratificazione di essere stata la prescelta fra tutte, rese ancora più piacevole quel leggero sfarfallio che incominciò a pizzicare dal centro della vulva.

Afferrò i bordi degli slip con entrambe le mani e li abbassò con impeto, rubandomi anche il respiro. Noncurante, si abbandonarono lungo le mie caviglie, lasciandomi scoperta e vulnerabile. «Cosa fa?» soffocai un urlo.

«Ho evitato i suoi sguardi per tutto il tempo. Ogni volta che la guardavo, riuscivo solo ad immaginare in quante posizioni avrei desiderato scoparla» sibilò fissandomi intenso negli occhi per carpire la mia reazione, anche quella di appagamento che volevo nascondere.

Con il palmo della mano destra rivolto verso l'alto, sentii le stesse dita infilarsi oltre le piccole labbra.

Schiusi la bocca espirando e sobbalzai, muovendo il bacino verso di lui per accoglierle, d'istinto. Mi stupii che il mio corpo sapesse già cosa fare, ben prima che ogni forma pensiero arrivasse alla coscienza.

Mi sentivo una bambola di pezza, senza ossa, mentre mi sorreggeva tenendomi in piedi con il solo avambraccio che mi circondava i lombi. Il turbamento era così accecante e assordante, mi annebbiava la mente, che credevo sarei svenuta molto presto.

Le regole del college cattolico che frequentavo prevedevano che potessimo incontrare i nostri coetanei del college maschile accanto, il Silver Mountains, solo nei weekend. La "motivazione" era che, altrimenti, ci avrebbero fatto distrarre troppo. Di conseguenza, il peso della castità si faceva sentire quotidianamente e, come un interruttore tenuto spento troppo a lungo, qualunque stimolo sessuale avrebbe portato qualsiasi ragazza a liberare l'energia impetuosa di tutta l'eccitazione costretta e accumulata, cercavo di giustificarmi con me stessa.

Un liquido sottile e viscoso, prima di allora a me sconosciuto nonostante fuoriuscisse proprio dalla mia intimità, scorreva lento lungo l'interno coscia, andando a inumidire i gambaletti di nylon bianchi.

Ero rossa per questa reazione inaspettata e non voluta. Cercai di arrestarla, mi sforzai di trattenerla contraendo i muscoli pelvici.

«È proprio un angioletto, signorina Grant» rise di me. «Quello che non sa è che facendo così, non farà che allungare i tempi in modo tale da avere un orgasmo più potente. Non esattamente qualcosa da timorata di Dio» mi spiegò.

Le sue parole m'infiammarono le guance, accalorai fino alle tempie e questo portò a volermi ribellare, almeno per darmi un tono. «Professore, questo è contro il protocollo del rapporto fra professori e studenti» tentai di ricordargli, ma invano.

Non mi dava pace come uno sconosciuto arrivato solo oggi, da studentessa modello quale ero mi avesse ridotto a essere una di quelle che avevo sempre definito "troie", con cui giocare a proprio piacimento.

«Non sono qui per seguire alcun protocollo» mi rispose freddo e conciso. «Questo non è ancora niente. Non immagina quanta forza di volontà, mi creda, ci è voluta per fermare l'erezione che per colpa sua si stava alzando nei jeans» continuò. «Non vorremmo mica lasciarlo insoddisfatto, giusto signorina Grant?» mi sussurrò, solleticandomi la pelle dell'orecchio e premendo contro di me il suo bacino, per farmi capire che quando diceva "lasciarlo insoddisfatto" intendeva quell'organo fra le sue cosce. 

Mi faceva paura persino pronunciarne il nome. Per come ero stata educata, era qualcosa che non avrei dovuto nemmeno immaginare o pensare, figurarsi sentirne la protuberanza in una parte così sensibile del mio corpo.

Inutile sarebbe stata qualsiasi cosa avrei potuto dirgli. Non voleva fermarsi, muoveva dentro e fuori di me le sue dita affusolate da pianista prima lento e poi vorace, aumentando gradualmente la velocità.

Mi faceva ansimare veloce, era tutto al di fuori del mio controllo e mi ritrovai incapace di oppormi. Gemevo imbarazzata della mia lussuria, in totale balia della sua brama. Una barchetta perduta nella tempesta più folle.

Purtroppo lo volevo, desideravo ardentemente tutto quello che mi stava facendo e anche altro, cose che magari non sapevo nemmeno potesse farmi per sentirmi così... viva, forse per la prima volta in vita mia. Ma mi terrorizzava volerlo in questa maniera. Mi avevano insegnato che non stava bene per una ragazza concedersi così.

«E poi... ho percepito addosso, per tutto il tempo, il fuoco con il quale mi guardava e con il quale sta bruciando adesso» concluse.

«Io...» provai a ribattere ma bloccò il mio tentativo agganciando le dita all'altezza della clitoride, sfiorandola con i polpastrelli e pizzicandola con movimenti regolari.

Lanciai al cielo con un gemito troppo scomposto e maleducato per una ragazza così religiosa quale ero, infervorata dalla passione e da quel momento, non riuscii più a trattenermi.

Mi liberai di ogni inibizione.

Mi lasciai andare agli impulsi che mi stavano scombussolando internamente sin dalle viscere, che le sue dita scatenate mi stavano provocando con una tale dolce cattiveria.

Un vortice mi stava risucchiando dentro di sé e non capii più niente di quello che stava avvenendo.

Mi appigliai con una mano alla sua spalla, affondando le unghie fino a fargli male, stropicciando il tessuto della camicia e poggiai la fronte per tenermi o sarei caduta a terra.

Stava diventando deliziosamente insopportabile. 

Strinsi le cosce con urgenza ma questo non fece altro che farmi sentire ancora di più le sue dita contro le mie pareti pelviche, intensificandone la pressione e di conseguenza, quel piacere tremendamente immorale.

Nessuno mi aveva mai insegnato nulla di tutto questo e mi sentii come un'orfana di strada che non sapeva come difendersi.

La corrente elettrica, che con scosse continue stava attraversando il mio corpo dalla testa ai piedi, consumava le mie energie. Credetti di star impazzendo. Ero già stremata.

Gli afferrai per il polso il braccio colpevole, cercando di rimuoverlo ma la sua forza era decisamente superiore della mia e fallii, non riuscendo a spostarlo nemmeno di un millimetro.

Fece schioccare la lingua contro il palato e scacciò la mia presa con violenza. Mi girò il braccio dietro la schiena e bloccò entrambi i polsi con la mano libera. «Devo prima dilatarla un po', altrimenti le mie dimensioni potrebbero farle sentire dolore. Dalla sua faccia candida e pulita, posso intuire che lei sia ancora vergine.» Lo disse come se il suo intento fosse umiliarmi. 

Mi considerava una stupida.

Le mie gambe tese come corde di violino vibrarono sempre più prepotentemente. Non capivo come riuscissi a stare ancora in piedi. Avrei voluto lasciarmi cadere a terra, spossata.

Tremavo, avvertivo di star per morire mentre con le dita, con movimenti ora circolari, suonava proprio me. Una musica gotica e tetra, ma allo stesso tempo ammaliante come un incantesimo che proveniva direttamente dall'inferno.

Sentivo gocce di sudore sgusciare seguendo le curve interne dei miei seni e anche la pelle sulla sua fronte risultava imperlata come dopo una corsa.

In un culmine, per me estraneo e inatteso, che non avrei potuto descrivere se non come un fuoco che divampa colpito dalla benzina, non ne potei davvero più e fulminea inarcai la schiena guaendo come un animale appena catturato.

Gettai di scatto la testa all'indietro, sussultai e salii in punta di piedi come una ballerina per scappare dalla sua presa. Le sue dita allora scivolarono fuori insieme ad un liquido colloso che le faceva diventare traslucide.

Sentivo ancora i muscoli pelvici pulsare senza sosta e contrarsi su se stessi. Forse avevo sbagliato qualcosa, sentivo come se quello che mi aveva fatto fosse rimasto incompleto.

O forse, più semplicemente, ne volevo ancora. Volevo ancora che le sue dita prendessero vita dentro di me e stavo solo cercando una scusa per non sentirmi colpevole di fronte a Dio.

Mi aveva costretto alla perdizione.

Allo stesso tempo, mi spaventava il pensiero che potesse andare oltre, che anche lui volesse farlo. Trasportarmi verso un mondo a me sconosciuto, in una personale apocalisse che sapevo fosse ormai alle porte.

Mi mancava l'aria come se stessi per soffocare. Sentivo un peso sul petto, così poggiai il palmo come per proteggermi. Si alzava e si abbassava mentre, a bocca aperta, cercavo di riprendere fiato.

Il professor Cipriani non me lo permise e infilò le due dita bagnate nella mia bocca, facendole sfregare fra la lingua e il palato. «Assaggiati, senti quanto sei buona e intoccata. Fino ad oggi, almeno...» deridendomi. Feci un colpo di tosse ma in un attimo mi adattai. Mi fece succhiare le sue dita, così desiderava, mentre ad occhi socchiusi inciampavo nei suoi, scrutandolo melliflua e impaurita.

«Brava Lana, così» mi stupii che aveva già imparato il mio nome. «Sì. Il suo nome è l'unico che ho già imparato. La mia La-ni-ta» cantilenò.

Uscì le dita e poggiò avido la sua bocca sulla mia, affondando la lingua, sbattendo contro la mia e mugolando. Così intenso, così prepotente, così desideroso di me da farmi paura e barcollai.

Tutti i baci che avevo ricevuto fino a quel momento erano sì baci sulle labbra, ma baci a stampo. Quello fu il mio primo vero bacio e aveva il sapore del sesso, di qualcuno che mi aveva scelta per darmi piacere.

Mi lasciò le labbra umettate e scivolose, piene di saliva e probabilmente anche altro.

Guardavo le sue ancora sognante da quando si era staccato.

Mi prese poi il mento per alzarmi il viso, esplorarlo con gli occhi percorrendo ogni singolo centimetro di cui era formato. Era visibilmente compiaciuto.

Non sapevo che dire. Rimasi in silenzio.

Mi aveva svuotata della cosa più preziosa che, come ragazza, mi avevano insegnato mi appartenesse e questo mi fece venire voglia di piangere ma per orgoglio non lo feci. Solo una piccola lacrima mi sfuggii, che lui osservò in seria contemplazione senza raccogliere. L'allungò, trascinandola sulle guance col polpastrello dell'indice.

Mi sentivo ancora palpitare e rigonfia sotto il ventre, come se le sue dita fossero ancora dentro di me e ci avessero portato pure il mio cuore.

Mi venne automatico abbassare la gonna e poggiarci sopra entrambe le mani a scudo, con l'intenzione di proteggerlo e salvare ciò che era rimasto intatto.

Se ne fosse ancora rimasto.

Galen Cipriani continuava a guardarmi come se mi desiderasse ancora, così seducente e scaltro, pronto a corrompermi per ricominciare daccapo.

Volsi lo sguardo verso la porta, forse per esprimere il desiderio inconscio di scappare eppure rimasi immobile sui miei piedi ad ascoltare, nel silenzio afoso dell'aula, il vociare chiassoso delle studentesse che camminavano in corridoio. Una sensazione di fortunata sfortuna mi piombò addosso facendomi gelare la pelle, scossa già dai brividi.

Riuscivo a percepire il battito cardiaco che martellava ancora nelle tempie come un tamburo, l'afflusso di sangue che si scagliava, come fa un fiume contro le rocce, e risuonava nei timpani.

«Perché proprio me?» gli chiesi voltandomi di nuovo verso di lui. «Lei è il professore più giovane del college ora, dunque non ero l'unica che lo guardava così. Sarò la più studiosa e preparata ma sicuramente non sono la più bella e attraente della classe» ammisi. «Perché, dunque?»


Body Electric (tratta dalla "The Paradise edition" dell'album "Born to Die")

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