Prologo

La cocca della freccia era stretta fra le screpolate dita del cacciatore.
La cuspide d’acciaio era ferma a mezz’aria, pronta a tagliare il vento una volta mollata la presa. Puntava verso il nulla poiché, essendo pieno inverno, la neve in costante discesa non lasciava vedere a più di dieci passi dal proprio arco.
Se ne stava lì l’uomo, accovacciato ed immobile, riparato da un pastrano di pelliccia di lupo grigio a sua volta coperto da uno strato di candida neve. Gli occhi stretti come feritoie lasciavano appena trasparire due iridi celesti, sotto le quali vi era una folta barba nera come il carbone dalla quale spuntavano le labbra, anch’esse piuttosto strette e screpolate dal gelo.
Alcuni fiocchi di neve si posavano di tanto in tanto sulla sottile corda dell’arco, sempre in tensione. Nel bosco regnava il silenzio, interrotto solo da qualche ammasso di neve che cadeva dai rami degli alberi ormai spogli. La foschia si aggiungeva alla fitta neve, nascondendo alla vista l’ambiente circostante. Improvvisamente, le fredde dita del cacciatore tolsero pressione alla cocca, innescando subito la reazione della corda che scoccò il dardo, il quale svanì nella foschia bianca ad una velocità fulminea. Subito dopo il lancio, si sentì un verso agonizzante provenire proprio dalla direzione in cui andò a disperdersi la freccia. L’uomo si eresse in piedi, facendosi scivolare di dosso la neve accumulata sulla pelliccia, e procedette a passo svelto in quella direzione facendosi strada nella neve. Avvicinandosi sempre di più, cominciò ad intravedere una figura nera in mezzo alla neve, più o meno grande come un uomo. Arrivato sul posto, le sue supposizioni furono confermate: ai suoi piedi vi era un giovane cervo, forse di quattro o cinque anni a giudicare dalle ramificazioni delle corna. Si portò la mano alla fodera che aveva in vita ed estrasse un pugnale tutto consumato, col manico di legno e un laccio di cuoio avvolto attorno ad esso.
Alzò lo sguardo al cielo bianco e poi lo riportò di nuovo sulla sua preda.

<<Il vento si sta gonfiando un po’ troppo, devo affrettarmi a finire.>>

Pulito il coltello nella neve diventata rossa, lo ripose nella sua custodia e si incamminò trainando il cervo con una fune legata alle estremità delle zampe, appena sopra gli zoccoli.
La neve stava cominciando a scendere con più foga ed intralciava la vista ancora più di quanto non lo facesse già prima. L’uomo si faceva strada tra la spessa neve e gli imponenti alberi che parevano colonne altissime, per tornare il più presto possibile a casa prima che la notte invadesse Vaacar.
Durante il tragitto però, notò qualcosa di insolito a ridosso di una grande betulla del tutto spoglia e dai rami pieni di neve soffice e bianca. Raggiunto l’albero, lasciò la fune con la quale trainava l’animale e si avvicinò curioso all’albero. Ma non appena fu abbastanza vicino, fece una scoperta orribile: a ridosso della grande pianta vi era il corpo di una bambina, dalla pelle bianca come la neve e delle labbra blu. Gli occhi sbarrati mostravano un espressione terrorizzata, come se avesse visto il suo peggior incubo prima di morire congelata. Il cacciatore rimase pietrificato innanzi a quella oscena visione e poco dopo fece per indietreggiare, ma sentì un rumore in mezzo alla foschia del bosco. Si voltò subito verso quella direzione, ma non sentì più nulla. Non ebbe il tempo di tirare un sospiro di sollievo che sentì un secondo rumore provenire dalla direzione opposta alla prima, ancora più vicino e più identificabile: pareva quello di un’armatura che avanzava lentamente, quasi come se al suo interno ci fosse un soldato ferito. Subito dopo ne sentì un altro provenire da dietro di sé e uno ancora alla sua destra fino a quando non senti questo rumore metallico di armature provenire da tutte le direzioni, seppur continuando a non vedere nulla apparte la neve che cadeva sempre più forte.

<<Chi è là!>> urlò il malcapitato, in preda al panico. I rumori non accennavano a cessare, facendosi sempre più vicini e sempre più definiti.
<<Chi è la! Fatti vedere! Non ho nulla per te, sono solo un povero cacciatore che vuole rincasare per sfamare la sua famiglia!>> gridò ancora, impugnando il suo coltello senza però sfoderarlo. Ancora una volta, i rumori non si fermarono nella loro angosciante avanzata e l’uomo cominciò a chiedersi se sarebbe mai riuscito a tornare alla sua modesta capanna.
<<Se è oro che cerchi io non ne ho, nelle mie tasche ho solo due pezzi di pane e delle fave!>>.
A queste parole il rumore cessò improvvisamente, lasciando solo il fruscio del vento che mordeva le tremanti labbra del cacciatore.
Da una sola direzione, una voce di un bambino del tutto priva di tono chiese:
<<Che cos’è che ha più importanza per te?>>
Il vento soffiava lievemente più piano.
L’uomo rimase pietrificato a quella domanda. Col cuore in gola e gli occhi che si stavano riempiendo di lacrime, si lasciò cadere in ginocchio nella fredda neve. Il suo pugnale gli scivolò via dalla fodera aperta ed andò a sprofondare nel manto bianco.
Con un filo di voce e uno sguardo assente rispose:
<<La...mia famiglia.>>
E ancora, a tono più marcato:
<<La mia famiglia. Mia moglie e i miei due bambini, Leon e la piccola Isabella.>>
Dalla foschia non ci fu nessun segnale di risposta.
Il poveruomo, sempre in ginocchio, si lasciò prendere dalla disperazione e cominciò a versare lacrime che andarono ad aprire dei piccoli fori nella neve sotto di lui.
<<Non ho nessuno di più importante della mia famiglia, ti scongiuro...chiunque tu sia...sono un uomo onesto, lasciami tornare da loro…>> singhiozzava.
Alcuni istanti di silenzio precedettero dei piccoli passi che si facevano strada verso di lui, ben diversi dai rumori metallici di prima.
Il vento soffiava lievemente più piano.
Dalla nebbia cominciò a materializzarsi la figura di un bambino. Aveva la pelle di una carnagione molto chiara, degli occhi grigi e dei capelli neri come la ghisa.
Gli si avvicinò fino ad essere abbastanza appresso da potergli accarezzare la barba con la sua piccola mano. Aveva indosso solo una vestaglia di stoffa, e nei suoi occhi c’era un qualcosa di gelido, oscuro.
Rimase fermo davanti al poveretto per alcuni istanti, fissandolo con la sua espressione priva di emozioni e non proferendo alcuna parola.
Non appena l’uomo incrociò il suo sguardo, il vento sempre più lieve improvvisamente si fermò. Un terrificante silenzio cadde in tutto il bosco, portando al silenzio perfino la neve in continua discesa. Le iridi nere e vuote del fanciullo non diedero pace nemmeno un attimo a quelle stanche del pover’uomo, come se le stessero soffocando in una presa fredda e priva di espressione. In tutto il bosco continuava a non esserci un solo rumore, ne del vento, ne della neve. Tutto era stato inghiottito dal silenzio, tutto tranne il respiro affannato e a tratti gonfio di disperazione del cacciatore.
D’un tratto, il bambino si voltò e svanì nella foschia dalla quale era venuto, lasciandosi alle spalle l’uomo.
Quest’ultimo rimase pietrificato con gli occhi persi nel bianco della neve, sperando fosse tutto finito.
Intanto il cielo si stava facendo sempre meno chiaro per via della notte che stava sopraggiungendo.
Il silenzio diede nuovamente il posto al fruscio del vento che accarezzava le chiome spoglie degli alberi, e la neve tornò a toccare il terreno producendo il solito suono quasi impercettibile, ma presente.
Trovò finalmente la forza di rialzarsi, l’uomo, anche se con le gambe che tremavano dalla paura. Raccolse il suo pugnale dalla neve con la mano tremolante e piena di piccoli tagli provocati dal freddo, lo rimise nella custodia e fece per girarsi verso la sua preda, ma proprio quando si fu voltato, il filo di una sottile lama gli accarezzò la gola dolcemente. L’uomo cadde a terra con le mani che si stringevano attorno alla gola.
Gli occhi spalancati dal terrore e sulle labbra il nome di sua figlia.
Su Vaacar stava calando ben più della notte, su Vaacar stava per scatenarsi una delle più violente guerre di sempre.
Da qualche parte nella regione, qualcosa di molto antico si è risvegliato. Un tarlo, una malattia, una bestia feroce che ha aspettato intere ere silenziosa, strisciando fra l’oscurità delle sue grotte.
Un’antica profezia divulgata dagli elfi recitava tali parole:

“Al calar della notte verrà colui che ruba il sole
stelle ed astri si uniranno per contrastarlo
ma fra tutte ve ne sarà una smisurata di lume e di mole
la quale luce riuscirà a cacciarlo.”

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