6. Il continuo di 50 sfumature.

Ho camminato per un'ora.
UN'ORA, santissima madre natura.
E l'unica cosa che hanno fatto le mie gambe, è portarmi in una sala enorme.
Enorme non sarebbe nemmeno l'aggettivo giusto, qui dentro ogni mio aggettivo, non sarebbe giusto comunque.
La sala è composta da un pavimento in marmo lucido, -più lucido di quello di casa mia- e anche qui, le pareti sono ricoperte da quadri con raffigurati volti mai visti in vita mia.

Entro titubante come se mi sentissi spiata, per avere una visione migliore.
Difronte a me, c'è un palcoscenico con un microfono lasciato a terra.
Alla mia destra, ci sono dei piccoli tavoli rotondi con due sedie che lo completano e idem, alla mia sinistra.
Mi avvicino al palcoscenico come se esso, fosse una calamita e mi stesse attirando verso di lui.
Solo quando sono abbastanza vicina, noto un pianoforte che a testa o croce, costerà più dei miei organi messi insieme.

Non pensavo che in un castello come questo, ci fosse una stanza -se così si può chiamare- come questa, è più.. "moderna" rispetto al resto.

Mi guardo attorno per notare se ci sia qualcuno che mi osservi e, dopo aver avuto la conferma che non c'è nessuno oltre me, salgo sul palco.
Mi avvicino cauta al piano e mi siedo sullo sgabello riposto difronte ai tasti.
Con le dita sfioro alcuni tasti bianchi e subito, una scarica di elettricità mi percorre il corpo.

«Cazzo, da quanto tempo.» la mia voce roca per il troppo silenzio, rimbomba in queste mura.

Spinta da un momento di tristezza mai capitato in vita mia, inizio a far riconoscere alle mie dita i tasti e pian piano, alle mie orecchie, arriva la base perfetta per questa situazione.

«What have a done?» inizio piano, sorridendo per la mia voce che non mi ha abbandonata per come credevo.

«I wish i could run, away from the ship going under..»

Nella mia mente, si susseguono immagini di quando ero a scuola e mi prendevano in giro.
Immagini in cui vedevo mia madre in lacrime e non potevo fare nulla, inerme come una statua.

«But how many times will it take.
Oh, how many time for me?
To get It right...»

Finisco la canzone perché non la me la ricordo più, cavolo!
Ricordo solo l'acuto, così faccio quello: «I caaaaaaaaaaaan.»
Devo ricontrollare l'episodio di Glee per memorizzarla meglio.
Nel frattempo, apro gli occhi e sorrido dinuovo.
Quanto amo la musica non si può nemmeno spiegare.

Un applauso mi fa sussultare di colpo e mi giro di scatto verso l'entrata.
Lì, c'è Christian Grey Junior
«L'hai scritta tu?» chiede, avvicinandosi con una postura dritta e rigida.

«È una cover.» rispondo, alzandomi.

«Cosí di fretta?»

«Direi di si.» mormoro.

Scendo le scale velocemente e per poco non mi rompo l'osso del collo.
Mi rimetto dritta e mi schiarisco la gola.
«Che ci fai qui?» chiedo solo ora.

«Ho sentito questa melodia dalla stanza dello Zar e la curiosità mi ha colpito.
Tanto goffa e scomposta in questo mondo, quanto brava in musica.
Sono colpito.» sorride, alzando un sopracciglio biondo.

«Ti colpisco io, in fronte però.» sputo acida.

«Ouch! Fa male, proprio qui.» si tocca il petto, dove si trova il cuore.

Alzo gli occhi al cielo, ignorandolo.
A poche falcate, esco dall'enorme sala e cerco ancora con lo sguardo da dove minchia sono venuta.
«Ma a unni è a me camera?» sussurro, guardando in ogni direzione.

«È nell'ala ovest.» Christian Junior, risponde alla mia domanda con naturalezza.

«Mi.. si, cioè.. mi accompagni?» chiedo a disagio.

«Si mogliettina.» inizia ad incamminarsi verso un corridoio mai visti prima.

Lo seguo come un labrador e aggrotto le sopracciglia: «Moglie? Abbassa la cresta compare, sono solo di Joseph Morgan.» annuncio, gonfiando il petto.

Si ferma di colpo e si gira a guardarmi con occhi sbarrati: «Chi sarebbe?»

«Il mio futuro marito, perché?» chiedo con nonchalance.

«COSA?» urla. La sua voce profonda e roca, rimbomba nel corridoio deserto.

«È un attore..» mormoro confusa.

«Per Dio, grazie al cielo.» sussurra con un sospiro di sollievo.
Poi, continua a camminare verso la nostra meta.

«Perchè?»
«Oddio, cammina piano cazzo!» borbotto con l'affanno come se stessi facendo una corsa.

«Perchè lei è mia e deve sposare me, non questo.. Joseph.» parla con tranquillità come se stesse mangiando un panino al PK.

«Ecco il continuo di 50 sfumature.
Tu sei il figlio di Ana e il grande Signor. Grey.» annuncio.

Non sento la sua risposta perché il mio naso sbatte violentemente contro la sua possente schiena.
«Ma che caz-»

«Ma chi è Christian? È da questa mattina che mi paragona a questo mondano.» si gira verso di me, interdetto e per giunta disinteressato al mio naso che massaggio con la mia mano destra.

«È un attore. Sei bello come lui.» ribatto.
Poi sgrano gli occhi e tossisco per la saliva che mi è andata di traverso.
«Maledizione! Devo chiudere questa fogna che mi ritrovo come bocca.» borbotto più a me stessa che a lui.

La sua risata mi fa smettere di parlare da sola.
È bella e cristallina, se potessi la metterei anche come suoneria del telefono.
Piega la testa all'indietro in un movimento aggraziato e perfetto.
Chiude gli occhi per le troppe risate, portandosi anche una mano -che era tenuta dietro la schiena- allo stomaco.

«Grazie mille Vostra Altezza per il complimento.
Molte donne, me ne fanno a palate senza rimangiarselo, però.
Comunque, anche lei è molto carina.» riprende fiato e sorride, con un dito si asciuga la lacrima -che scende da sul occhio sinistro e scende lentamente sullo zigomo- per le troppe risa.

Io lo guardo ammaliata e basta.
MA FAMMI TUA SUL SERIO.
PRENDIMI.
FAI DI ME CIÒ CHE VUOI.
MI SPOGLIO.
TOLGO ANCHE LE MUTANDINE DI SPONGEBOB SE VU-

«Altezza, questa è la vostra camera comunque. -indica una grande porta al suo lato destro- Il pranzo sarà servito nell'ala sud alle 12:30 nella sala grande.
Per qualsiasi problema, c'è un telefono sul tavolino riposto difronte al letto.
Potete chiamare Dorotea, la gorvenante.» fa un piccolo inchino con il capo e ritorna su suoi passi.

«OU!» Lo chiamo.
«Guardati 50 sfumature di grigio, nero e rosso ah! Dopo, potrai chiamarmi.
ANCHE CON IL TU!» urlo per farmi sentire, tutto ciò che ricevo in riposta è una risata.

Sospiro e finalmente entro dentro la mia nuova stanza.
Che mi lascia ad occhi spalancati.
Con la mascella a terra che mi saluta da sotto il letto.
Ma siamo sicuri che è camera mia, questa?

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