Capitolo 50

Alexa

Alcune volte mi tremano le mani.
È per questo che ho scelto di passare il pomeriggio con Renee, so che lei non se ne accorgerà.
Raramente presta attenzione a queste cose.
Non è che lo fa perché non le importa, è solo che ha tanti pensieri per la testa. Lei fa sempre credere agli altri di essere una stupida, ma in realtà nella sua mente si affollano i pensieri più disparati; lo capisco dal modo in cui muove gli occhi, come se saltasse da un'idea all'altra, ininterrottamente.
Per questo le piace cucire o tagliare i capelli, è il suo modo per lasciare che i pensieri fluiscano liberi attraverso le sue dita, senza che lei debba starci troppo dietro.

Ian mi avrebbe già scoperto.
Dopo ieri, mi osserva come se fosse il mio guardiano; pur non essendo invasivo, percepisco il suo sguardo accompagnarmi in ogni movimento. È come una carezza leggera, costante, e se non avessi nulla da nascondere gliene sarei davvero grata.
Solo adesso posso concedermi un momento di quiete, lontano dalla sua indole indagatrice.
È questione di tempo prima che lo noti.
E so che dovrei anticiparlo e parlargliene, ma ogni volta che sento le parole pronte in gola il mio unico istinto è quello di rimettere.
Non ci riesco.
Non importa quante cose io abbia affrontato in questi mesi, ammettere la verità mi sembra una tortura ben peggiore delle frustate.
Ammettere di essere caduta così in basso.

-Non ti assicuro di poter fare un lavoro eccezionale come al solito, ma di sicuro migliorerò la situazione- commenta rompendo il nostro silenzio, che per qualche motivo stava diventando fin troppo rumoroso.
-Ma avevi detto che ti piacevano!-
-Amore, era la prima volta che ci vedevamo dopo secoli, che dovevo dirti?-

Faccio un respiro profondo e mi abbandono sotto lo spiraglio di luce che si intrufola da una finestra rotta.
Non possiamo uscire dall'edificio, questo è il massimo della superficie che posso godere.
Solo al pensiero di tornare sottoterra mi si annoda lo stomaco, e le mie mani ricominciano a fremere.
Sanno che c'è solo una soluzione per questo.
E la pillola di metadone che ho preso ieri è completamente passata inosservata dentro al mio corpo.
Ne avevo nascoste due nel reggiseno prima di uscire dalla Base, e appena Ian ha iniziato a baciarmi sapevo che non potevo tenerle lì a lungo.
E quando ho sentito le prime fitte alla schiena sapevo che avrei dovuto prenderle subito, anche se detestavo il pensiero di sprecarle in questo modo.
In bagno, nella fretta di recuperarle, una è caduta dietro il lavandino.
E per un attimo mi sono sentita morire.
Una sola pillola non sarebbe mai stata abbastanza.
E il pensiero di aver buttato via l'altra per un movimento brusco mi tormenta ancora.
Sono una stupida.

-Che c'è? È tornato il mal di testa? Certo che tu ed Ian ne avete di malesseri, siete una coppia di vecchi- commenta e inizia a pettinarmi i capelli, in un modo così familiare da farmi dimenticare tutto il resto.
Scordo l'imbarazzo che ho provato quando le ho chiesto di accompagnarmi in infermeria per una finta emicrania, nella speranza di trovare qualche medicina più forte.
Dimentico quanto mi senta uno schifo per tutta questa storia.
E lascio andare pure la conversazione di qualche ora fa con la prigioniera.
Non voglio più vederla.
La mia compagna di stanza continua a passare la spazzola tra le mie ciocche castane; non è mai stata delicata, anzi, ha una mano piuttosto decisa, ma non importa, mi ricorda i pomeriggi passati in camera da ragazzine.
-Ian sta peggio di quanto sembra, vero?- chiedo, dando voce all'unico pensiero che non è riuscito ad abbandonare la mia mente.
Sarò sempre preoccupata per Ian.
Molto più di quanto io lo sia per me stessa.
-Non lo so, Alexa, lui non è proprio una persona che ammette le sue difficoltà. Ho visto Drew preoccupato, però-
-Questa sera proverò a parlare con quel testardo allora, e- sobbalzo all'improvviso, mi basta sentire il suono delle forbici vicino alle orecchie.
La mia reazione spaventa pure Renee, che fa un passo indietro temendo di avermi fatto male.
Cazzo, che mi prende?
Mi concedo un respiro profondo, un piccolo attimo per rimettere i pensieri in ordine. La mia presa è troppo debole ultimamente, li sento scivolare via dal mio controllo in ogni situazione, pronti ad appigliarsi ad un qualsiasi dettaglio.
-Scusami, è stato un riflesso involontario- mormoro quasi imbarazzata. È solo che non voglio tornare indietro a quella sera.
Lo stridere delle lame delle forbici, le ciocche che mi cadevano addosso, la vista annebbiata e il sapore delle mie lacrime.
Per un attimo mi sembra di essere ancora lì. A guardarmi mentre uccido quella che ero.
-Sei sicura di volerlo fare?-
Ho forse altra scelta? L'ho mai avuta?
Cosa sarebbe successo se non l'avessi fatto?
Il mio sguardo vuoto fa scattare in alto le sopracciglia della ragazza, ancora più turbata di prima.
-I capelli intendo. Forse non sono poi così male- le sue tecniche di dissuasione non funzionerebbero nemmeno con un bambino di cinque anni.
-No, tagliali pure. Voglio un nuovo ricordo-
È questa la differenza tra me ed Ian.
Lui si lascia ossessionare dal passato, prova inutilmente a cambiarlo. Io lo seppellisco sotto strati e strati, così tanti livelli da non poter più vedere la base.
Entrambi siamo destinati ad impazzire.

-Stavo pensando a un caschetto, certo, faccio quello che posso con queste lunghezze irregolari. Ma credo ti starebbe bene, incornicerebbe quel visino pallido che ti ritrovi- e mi stringe le guance afferrandomi per il mento, in un gesto di affetto. Cerco di sfuggirle, ma è tutto inutile: ha una presa d'acciaio. E per quanto possa essere fastidiosa, un po' mi fa sorridere.
-Fa' quello che vuoi, basta che mi tiri fuori da questa situazione- e il silenzio di concentrazione che segue le mie parole mi fa pensare che il mio tono leggero non abbia fatto altro che rendere le mie parole dei macigni.
E quando le ciocche di capelli castani iniziano a cadere sotto la sua lama, mi sembra di far la muta di nuovo.
Sono contenta che non ci sia uno specchio davanti a me, così posso concentrarmi su questa sensazione. Mi basta chiudere gli occhi e ascoltare il suono tagliente, immaginare che Renee stia facendo a pezzi tutte le mie paranoie, tutti i miei problemi, tutto lo schifo che ho passato.
Vorrei che fosse così facile.
Ma la verità è che a prescindere da quanti capelli cadranno, non saranno mai abbastanza per coprire tutto quello che è successo. Non importa quanto io cerchi di nasconderlo.
La mia compagna di stanza inizia a canticchiare una melodia mentre lavora, e io mi lascio andare sulla sedia in legno e vimini, esausta. Deve essere una canzone che non conosce bene, perché ad un certo punto la sua memoria sembra perdersi, ed è costretta a ricominciare dall'inizio.
Quando mi vede sollevare un angolo delle labbra, commenta: - Non so come continua, l'ho sentita da un'auto che passava, e adesso non so come togliermela dalla testa- sbuffa in modo esagerato, ma non si distrae dalla sua impresa. Mi afferra il collo con una mano, costringendomi a stare ferma, sa già che è l'unico modo per essere precisa. Non sono mai stata brava a stare immobile, adesso meno che mai.
-Ti piace la superficie?- chiedo, ma so già la risposta.
-Non ho visto molto in realtà, ma sembra un posto eccitante e terribile al tempo stesso-
-Proprio quello che stavi cercando-
-Bé, sai, ho sempre voluto le cose sbagliate- e sembra che le parole le siano scappate dalla bocca insieme ad un sospiro amaro. È raro che Renee si lasci andare in certe riflessioni, ammettere di aver sbagliato poi, mi suona del tutto nuovo.
-Perché lo pensi?-
-Oh, andiamo. Io non ho capito proprio un cazzo. Mi davo da fare per degli stupidi record, per un briciolo di popolarità. Ho provato ad entrare nelle grazie di persone che non lo meritavano per nulla, ed ero pronta a tutto, convinta che se fossi arrivata nel gradino più alto sarei stata felice. O fiera di me. Pensavo che se gli altri lo avessero riconosciuto, ne sarei stata convinta pure io. E mentre mi affannavo a rincorrere quello che tutti desideravano, c'eri tu che volevi quello che conta davvero. Giuro che quando mi dicevi che volevi scappare mi sembrava così stupido. E quando Adam ha iniziato a dire le tue stesse cose non potevo credere alle mie orecchie, non da lui che si vantava tanto di usare la logica. Era assurdo per me vedervi desiderare qualcosa che non cercava nessuno. E mi sono detta che se fosse stato importante, forse allora tutti avremmo dovuto sentirne la necessità. Tutti avremmo dovuto desiderare di esser liberi, ma voi eravate gli unici ad aver anche solo la forza per pensarlo...-
-La libertà non esiste, Renee- ho appena il tempo di finire la frase che la ragazza afferra lo schienale della mia sedia e mi fa voltare bruscamente. Posa le forbici a terra, nel cumulo di capelli e polvere, e porta i palmi delle sue mani sul mio viso.
-Ahi- esclamo per l'impatto irruento delle sue dita sulla mia pelle, quasi come uno schiaffo.
-Non dire cazzate, Alexa. Ascolta, so che ne hai passate tante in questi mesi, so che sei stata da sola per quasi tutta la vita, so che hai lottato con tutte le tue forze lì dentro. Ma ti devi svegliare. Non voglio sentire queste parole, non da te. Guardati, sei finalmente fuori e ti comporti come se fossi un cadavere che cammina. Mi hai sentito?-
Come può dirmi queste cose?
No, non ha idea di quello che ho passato. Anche se dice di saperlo, è una bugia.
- Non è così facile come credi, tu non...-
-Non mi interessa. Perché nel momento in cui inizi a credere che la libertà non esista gli lasci prendere il controllo su di te. Se inizi a smettere di lottare per questo, loro ti diranno per cosa dovresti farlo. Per dei record, per il loro riconoscimento. Ti fanno credere che questo è ciò che conta, che è l'unica cosa a cui puoi aspirare-
-Renee, io ho smesso di lottare-
Non credevo che lo avrei mai detto ad alta voce.
La mia compagna di stanza mi fissa dritto negli occhi, le sue pupille appuntite come spilli. Rimaniamo in silenzio, lei con le labbra contratte e io che ho appena esalato un sospiro di sollievo.
In realtà mi sento vuota. Mi sembra di brancolare nel buio, di non essere nel mio corpo.
Voglio solo le mie medicine. Voglio smetterla di sentirmi così.
Non so se Renee possa leggerlo dal mio sguardo, ma non ha intenzione di lasciarmi andare. Mi costringe ad affrontarla senza difese, ed è buffo perché sento che non ho più niente da proteggere ormai.
-Io ti prendo a calci-
È l'unica cosa ha da dirmi. Ed è così seria che quando si aggrappa alla mia sedia di nuovo, penso che voglia farlo sul serio. Invece mi fa voltare, il sole mi colpisce in faccia, come una lama in pieno viso.
-Ma prima devo finire i tuoi capelli, non mi piace lasciare le cose incomplete- lancia la frase tra di noi e torna ad armeggiare con le forbici, le sento vicine all'orecchio, le lame sfregano veloci e con forza. Ho l'impressione che potrebbe tagliarmi presa dalla rabbia. E cerco di tenere a bada le mie reazioni, ancorando le mie mani al sedile sfilacciato e logoro. I suoi gesti improvvisi e rapidi mi agitano, sono gli stessi che mi hanno condotto alla follia quella notte.

-Stanno diventando tutti come te, Alexa. Ed è assurdo perché sei stata tu a farmi aprire gli occhi qualche mese fa. Sono tutti che si lamentano di questa situazione, del poco cibo, dell'impossibilità di uscire in superficie. Sai cos'è per me la libertà? Quando riesci ad immaginare un'altra vita, a vederla anche solo nella tua testa. Non mi era mai successo alla Base. Non mi passava nemmeno per la testa di poter volere qualcosa di diverso, di poter aspirare a qualcos'altro. Erano i cazzo di proprietari della nostra vita, nulla di quello che abbiamo fatto per vent'anni ci appartiene veramente. E mi tocca sentire lamentele sul fatto che dovremmo scorrazzare in giro per la città perché è questo l'unico modo che abbiamo per essere veramente liberi- si ferma, posa le forbici con uno sbuffo nervoso, come se si fosse resa conto da sola che la sua agitazione stava superando un certo limite.
-È ovvio che anche io desidero che questa storia si concluda, ma non dò per scontato di volerlo, ecco. Fino a poco tempo fa nessuno di noi voleva veramente qualcosa.-

Rimaniamo in silenzio, e sono sollevata di darle le spalle perché non so se potrei reggere il suo sguardo di nuovo. Stiamo giocando a ruoli invertiti. Mi sta rinfacciando tutto quello che le ho sempre detto. Anzi, è riuscita ad andare oltre le fragili idee che cercavo di far stare in piedi. Ha capito molto di più di me.
- Qual è la vita che immagini?- sono sul serio curiosa di saperlo, mi chiedo che cosa desideri veramente. Perfino lei si accorge della scintilla di interesse nel mio sguardo quando mi volto per guardarla.
Forse io ho smesso di lottare, ma non significa che non mi importi.
- Di sicuro non voglio fare l'atleta, ho chiuso con quel mondo. Non mi ha mai veramente reso felice, mi ha solo prosciugato. Tutta quella competizione, i dispetti per impedirti di partecipare alla gara, il confronto negli spogliatoi... Non penso sia diverso qui in superficie-
-Ma qui saresti la migliore- le faccio notare. Non c'è dubbio che con un talento del genere nessuno potrebbe batterla nel suo campo. Il record di Renee nel salto in alto è 2,56 metri.
-È che non voglio esserlo. Sembra assurdo dopo tutti questi anni, ma io non mi sento una persona competitiva, anche se me lo hanno fatto credere. Anche se lo sono stata per un po'. Ma adesso non mi importa proprio-
Inizia a intrecciarmi le ciocche con attenzione, era solita farlo sempre dopo un taglio, in modo che avessi i capelli mossi qualche ora più tardi.
-Io non so, vorrei imparare di più su questo mondo. Vorrei avere la possibilità di vedere quello che sono in grado di fare da sola. Capire chi sono-
-Quindi il piano è?-
-Scappare dalla mia famiglia piangendo, ovviamente.-
Nessuna delle due riesce a trattenere una risata, che esplode all'improvviso, cancellando tutto il risentimento precedente.
E per un attimo mi sembra sul serio di aver ritrovato la speranza. Una piccola scintilla che i miei problemi non riescono a soffocare.
Ma è troppo debole perché io riesca ad afferrarla.
-Drew mi ha detto che conosce i miei genitori da anni, dice che mi somigliano- sotto il tono scherzoso che ha usato prima, si nasconde questa piccola voce insicura, preoccupata quasi. È una voce che lei non fa mai sentire a nessuno.
-Li ho conosciuti anche io, ed è vero. Sembrano delle belle persone-
È pericoloso entrare in questo argomento.
Soprattutto adesso che non sappiamo se mai riusciranno a ricongiungersi, il futuro è troppo incerto per fantasticare. E non voglio che lei stia male.
- Vorrei incontrarli e... non so, mi sembra il primo passo da fare per capire chi sono-
-Non hai bisogno di loro per capirlo, nemmeno ti conoscono- ribatto nel tentativo di stroncare questo discorso sul nascere. Guardando mio padre ho solo capito chi non voglio essere.
Renee diventa silenziosa tutta d'un tratto, finisce la seconda treccia in fretta. Sento le sue dita armeggiare abili, eppure questa volta mi tira i capelli senza preoccuparsi di farmi male.
-Lo vedi qual è il tuo problema? Non ci provi nemmeno. Ogni volta che hai la possibilità di sfuggire a questa situazione, testardamente ne rimani ancorata, pronta a soffrire per l'ennesima volta. E ti assicuro che fa molto più male stare nella tua posizione che nella mia. Ci sarà una fine a questa storia prima o poi- sbuffa, segno che anche lei sta perdendo la pazienza per insistere. Siamo sempre state entrambe troppo testarde.
-Io ho finito, vado a prendere una scopa per pulire questo casino- e appena sento io suoi passi allontanarsi ho l'impressione che il vuoto mi travolga. Il mio battito accelera all'improvviso, il mio cuore sembra quasi annaspare.
Mi rannicchio con le ginocchia al petto, in bilico su una sedia che mi regge appena. Che mi succede? È l'astinenza?
È come se le mie emozioni mi stessero divorando pian piano.
Bruciano sulla mia pelle quasi mi fossi scottata, e non so cosa fare per smettere di tremare.
Il tocco delicato della mano di Renee non fa altro che accentuare i miei brividi.
-Hey, che succede?- si inginocchia a terra e continua ad accarezzarmi il braccio per calmarmi. Non dovrei perdere il controllo in questo modo, non davanti a lei.
Non adesso che sono in superficie.
-Alexa mi devi dire che hai, altrimenti non so come aiutarti...- non riesco a vederla con la faccia nascosta tra le braccia, ma il suo tono di voce è chiaramente preoccupato.
-Hai mai pensato che potrebbe non esserci un finale? Che tutto potrebbe andare a puttane?-
-Alexa, cosa stai...-
- Sono così stanca, Renee. Non ce la faccio più- e forse sono mesi che non sono così onesta, che ammetto quello che penso sul serio. A me stessa, non solo agli altri.
Non ce la faccio più.
Non voglio più svegliarmi e stare male. Aprire gli occhi e desiderare di prendere qualche medicina che allevi tutto questo, o nel migliore dei casi che non mi faccia provare proprio nulla.
Non voglio ricordare cosa è successo alla Base.
Non voglio sognare i volti delle persone che ho ucciso.
Voglio smetterla di sobbalzare per il rumore più stupido.
E smetterla di aspettare il giorno che Cox tornerà per finire quello che ha iniziato.
Tanto vale che lo anticipi io.
-Ascolta, ascolta. Sistemeremo tutto piano piano e...- cerca di far uscire il mio viso dal nascondiglio, raggiungendomi con le dita, che subito asciugano le mie lacrime.
-Lo dice pure Ian. Ma non sa quanto io ci abbia provato... tutto quello che ho fatto per rimettermi in piedi, per sopravvivere-
Detesto piangere, faccio fatica perfino a parlare.
-Hai bisogno di tempo, accettalo- questa volta non cerca di consolarmi con le solite parole, è dura come quando difendeva le sue posizioni. Come quando diceva di volermi prendere a calci.
Alzo il capo in cerca di aria, non sembra mai abbastanza, e questa stanza impolverata non aiuta di certo.
-È da quando sono tornata in superficie che tutto sembra cadermi addosso...Continui a parlare di credere in qualcosa, di desiderare un futuro decente, e cazzo io credevo sul serio che stare qui mi avrebbe guarita. Credevo che solo stare vicino ad Ian lo avrebbe fatto. Ma non è la Base il problema, sono io. Non c'è nessun posto nel mondo in cui io non possa portarmi dietro i miei problemi, non importa quanto io lo desideri- tengo lo sguardo rivolto verso il soffitto, gli occhi che mi bruciano per lo sforzo. Non riesco nemmeno a guardarla.
La mia compagna di stanza mi prende la mano e la stringe tra le sue, intrecciando le nostre dita.
-Alexa, guardami- e lo ripete fino a quando non lo faccio sul serio. Essere petulante sembra venirle naturale.
Incontro i suoi occhi marrone scuro controvoglia.
-Non puoi farcela da sola, non mi interessa se è quello che hai sempre fatto, non funziona. E non è qualcosa che puoi risolvere in tempi brevi.-
Quanto fanno male le sue parole.
Ho corso così tanto tempo che non ho idea di che cosa significhi fermarsi. Pensavo che non avrei sentito la fatica in questo modo.
-Non posso, Renee. Se io abbasso la guardia per un secondo, sono...-
-Mi devi fare un favore. Devi credere in me, in quello che ti dico. Credici per un po', ti prego. Desideravi uscire, bene, eccoci qui. Adesso devi desiderare di essere saggia come me. Sarà il tuo nuovo obbiettivo per la libertà- lo dice con una serietà tale che non posso trattenermi dal ridere. È tutto così assurdo.
La mia compagna di stanza mi sorride, sincera. Non credevo che mi avrebbe mai consolato. Se me lo avessero detto in passato, avrei immaginato uno dei suoi soliti consigli frettolosi e disinteressati, quelle parole che non servono a nessuno, sono più un peso che l'altro si toglie dalle spalle.
Perché in questi anni non ci siamo mai date la possibilità di aiutarci?

-Adesso vieni con me. Ho rubato una sigaretta a Nick e non vedo l'ora di accenderla- ammette e mi strascina per il braccio.
-Saggia come te, eh?- ho ancora il respiro pesante per lo sforzo, ma inizia a diventare sempre meno importante ogni secondo che passa.

Mi conduce verso il bagno distrutto dell'edificio, una stanzetta con le mattonelle rotte e divelte.
Si avvicina alla finestra rotta e controlla che non ci sia nessuno; è raro però che qualcuno si addentri in questi vicoli, specialmente di giorno.
Io mi avvicino allo specchio macchiato, in cerca della mia immagine riflessa. Ho bisogno di inclinare il capo in tutte le direzioni per poter ammirare l'acconciatura che mi ha fatto Renee: solo in alcuni punti lo specchio funziona come di dovere.
Ma i danni alla superficie non sono abbastanza da non farmi notare gli occhi rossi per il pianto, il viso distrutto dall'ennesimo crollo nervoso.
Non posso continuare così.
Cerco la nuova me nel mio riflesso distorto e poco chiaro, ma non trovo nulla.
Né di Evans, né di Kline.
È come essere in un limbo.

Una serie di colpi di tosse mi distrae dai miei pensieri, attirando il mio sguardo sulla ragazza alla mia destra.
-Seriamente? Cos'è, la tua prima volta?- chiedo mentre sta ancora smaltendo l'attacco di tosse.
-Non prendermi in giro!- esclama indispettita, segno che ho toccato un nervo scoperto.
-Dà qua-

Mi arrampico sul piccolo muretto che sotto la finestra e faccio un tiro a pieni polmoni.
Non è minimamente paragonabile ai farmaci, ma è qualcosa.
-Senza offesa, mi spieghi com'è possibile che tu sia così esperta se eri quanto di più lontano dai gruppi popolari?-
Il suo sguardo incredulo mi fa sorridere.
-Perché invece di elemosinare la loro attenzione, me le andavo a recuperare da sola. Senza offesa- le passo la sigaretta e per prenderla lei si allunga verso di me. Siede sul lavandino incrostato come se fosse un trono, la stanza sembra ancora più piccola con lei dentro.
Mi fa una linguaccia e riprova per la seconda volta, e quando aspira il fumo si lascia andare solo a un leggero tossicchiare.
-Ti odio- ribatte in risposta alla mia espressione divertita. Vedere Renee che non sa fare qualcosa non può lasciarmi indifferente.
-Perché io so fumare e tu no?-
-No. Perché saremmo state delle grandi amiche se me l'avessi concesso-
La sua affermazione mi spiazza.
Ci penso su prima di afferrare di nuovo la sigaretta.
Non è forse tutto quello che abbiamo passato fino ad ora che adesso ci permette di andare d'accordo?

-Si dà il caso che nella mia numerosa cerchia di amicizie ci sia un posto vuoto, se vuoi unirti- le propongo, e per un attimo mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. Un piccolo momento alla Base, un ritaglio di quotidianità.
-Non lo so, ci penso. Non esco con gente di rango sociale diverso dal mio- fa spallucce.
-Sono troppo popolare per te?- e sebbene cerchi di trattenersi, scoppia a ridere.
Mi passa la sigaretta con la mano tremante, ancora scossa dalla situazione irreale.
Faccio un altro tiro e questa volta sento di essere pronta per lasciarmi andare. Non so se sto abbassando troppo la guardia, ma Renee mi ha chiesto di credere in lei.
E se voglio sul serio provare a guarire questo mi sembra il primo passo.
Si è offerta di aiutarmi, è giusto che sappia da cosa sto scappando.

-Ti devo dire una cosa-
-Siamo già al momento in cui ci confidiamo i segreti?- scherza ridacchiando, ma quando vede la mia espressione seria la vedo irrigidirsi.
-Devi solo promettermi che non lo dirai ad Ian. Non ancora, almeno-
Ho bisogno che non faccia la spia.
È già una situazione che non riesco a controllare, non posso avere anche questo problema da gestire.
Forse dovrei tornare sui miei passi.
Lasciare perdere e continuare così, resistere più che posso.
-Sei incinta?-
-Smettila con questa storia! Me lo chiedi sempre!- sbotto incredula. Non ci posso credere, è sempre il suo primo pensiero.
-Alexa, hai vent'anni, scusa se mi sembra l'opzione più probabile- mi punta un dito contro nel difendere la sua ipotesi, poi continua: -Vabbè che effettivamente sei qui da due giorni, mi sembra presto per saperlo. A meno che Ian non riesca a ingravidare con la forza del pensiero, non mi stupirebbe sai? Anche se da qui alla Base la strada è lunga, facevi prima a trovarti un altro e...- questa volta sono io a tossire fumo, colpevole.
Osservo lo sguardo della ragazza mutare, tutto il percorso che le sue sopracciglia fanno fino alla realizzazione.
-Alexa Evans!- mi rimprovera come se fosse mia madre.
-Quello non è il mio cognome-
-Non osare cambiare argomento. Si può sapere che hai combinato? È questo che non devo dire ad Ian?- si fa prendere dall'agitazione man mano che si inoltra nella conversazione.
Così tanto che temo possa cadere dal lavandino su cui siede.
-No. Ian lo sa. Non ho avuto una scappatella, è stata una necessità-
-Ah, adesso è così che si dice?-
-Puoi evitare di giudicarmi per trenta secondi?-
Renee si zittisce subito, consapevole che siamo ricadute nello stesso schema del passato.
Mi guarda in silenzio, fa un altro tiro alla sigaretta, questa volta senza nessun effetto collaterale, e me la passa.
-Okay, hai ragione. In mia difesa posso dire che non lo avrei detto a Ian comunque? E poi, chi sarebbe questa persona che ti sei fatta?-
Non era questo l'argomento a cui volevo arrivare.
Anzi, volevo stare lontana il più possibile da Jason.
Ma quando Renee si fissa su qualcosa è come un mastino: non lascia la presa per niente al mondo.
Sospiro e finisco la sigaretta, riesco appena a tenerla tra le dita.
Anche se adesso sento il battito cardiaco più regolare, non mi piace fumare, non mi è mai veramente piaciuto.
Non mi piace la sensazione che lascia sulla bocca mentre nello stomaco ci sono tutti i miei pensieri intrecciati tra loro.
Da questo punto di vista i farmaci sono molto meglio.
Effetto meno immediato, certo, ma appena si mettono in circolo fanno un ottimo lavoro.
-Cox. O potremmo dire che lui si è fatto me, questione di punti di vista- mormoro mentre spengo il mozzicone sull'anta rotta della finestra.
-Sul serio? Tra tutte le persone che c'erano hai scelto quel mostro? Ti ha sempre odiato-
Mi trattengo per non difenderlo, perché so che Renee ha ragione.
Ma per mia esperienza, i mostri sono decisamente altri.
E so anche che dovrei smetterla di preoccuparmi per lui, o di chiedermi se sta bene adesso che io non posso tenerlo d'occhio.
-Era l'unica scelta che poteva garantirmi un minimo di protezione. Inoltre gli avevano chiesto di allenarmi e di riferire qualsiasi cosa facessi, se non avessi agito così non so dove sarei adesso. Non è stata una scappatella, Renee. Se riuscivo a mantenere il nostro rapporto stabile, lui di mostrava disponibile a gestire la maggior parte dei miei problemi. Compreso quello che stavo per dirti prima-
Avevo la possibilità di farle dimenticare di quell'argomento in fretta, di scappare da questa situazione, invece mi sono costretta a rimanere fedele alla mia decisione.
E spero di non pentirmene in futuro.
-Che tipo di problemi?-
-La quantità di farmaci che assumevo. Ho iniziato con la sertralina, me la davano in infermeria per controllare meglio le visioni, e immagino per controllare me in un certo senso. In fretta ho abusato del dosaggio che Kira mi aveva indicato e ho dovuto cercare altre pillole una volta che quelle erano rapidamente finite.
Quando Cox è rimasto ferito aveva così tanti farmaci sul comodino che non sono riuscita a trattenermi, la maggior parte analgesici. Ne prendevo un po' da ogni scatolino, sperando che non se ne sarebbe accorto. Infine quando ho scoperto che lui sapeva ma aveva deciso di non riferirlo ai piani alti, abbiamo iniziato con il metadone: lui per le ferite, io perché non riuscivo a trovare nient'altro che mi calmasse. Anche solo un'ora senza la copertura di un farmaco mi faceva impazzire. Ossicodone, xanax, e non so quante altre cose ho mandato giù in pochissimo tempo.
Prima di uscire avevo iniziato una dolorosa cura di buprenorfina, ma adesso che l'ho interrotta bruscamente sento l'astinenza in agguato- chiudo gli occhi per non incontrare il suo sguardo, non potrei reggerlo.
Appoggio il capo alla parete e faccio un respiro profondo.
La sento ancora adesso, la sento in ogni momento.
Allunga le sue mani su di me pronta ad afferrarmi.
È per questo che mi tremano le mani, perché non riesco ad essere concentrata, perché scatto per ogni minima cosa.
-Per questo mi avevi chiesto di andare in infermeria-
Annuisco con le labbra serrate, mi vergogno così tanto che vorrei scomparire.
Non avevo mai ripercorso tutto il processo che mi ha portato qui, in questa situazione di merda. E non posso fare a meno di chiedermi se un'altra persona ci sarebbe cascata nello stesso modo, se non potevo fare altrimenti, se sono in qualche modo giustificata per gli sbagli che ho commesso.
-Hai sempre avuto una propensione per la dipendenza da farmaci. Ti riempivi di pillole anche prima di tutta questa storia- commenta seria, e un'analisi così razionale era l'ultima cosa che mi aspettavo.
Credevo che mi avrebbe giudicato di nuovo.
E forse mi sarei offesa di meno se mi avesse dato della tossica.
Molto di meno di quando mi ha dato della puttana.
-Perché scappo sempre dalle situazioni dolorose-
-No. Perché cerchi di guadagnare tempo. Ti dici che non puoi permetterti di stare male, di ascoltare la tua sofferenza, perché ci sono sempre cose più grandi, più importanti da fare. Pensi che mandando giù qualche pillola il tuo tempo si dilaterà, ma lo stai facendo a pezzi, Alexa. Se non la smetti potresti non averne più-
Questa volta apro gli occhi, non perché abbia trovato la forza di affrontare il discorso, ma perché so che lei sta provando ad aiutarmi, mi sta tendendo la mano che le ho sempre chiesto, e adesso non posso ritirarmi.
Non in modo così stupido.
-Li so i rischi, sto cercando di fare attenzione a cosa prendo e quando e...-
-No, Alexa. Parli di farmaci oppiacei come se fossero caramelle. Conoscerai le dosi per tenerti in vita, ma non pensi minimamente come una persona lucida. Cox avrà anche evitato di fare la spia, ma è rimasto a guardarti mentre perdevi il controllo. Devi dirlo ad Ian, lui non...-
-Lo so cosa farà Ian, Renee. Mi guarderà come fai tu, forse cento, mille volte peggio. E farà quello che sta facendo adesso. Mi sorveglia come un guardiano, mi guarda come un qualcosa da proteggere, non come la sua compagna. E so che lui sta cercando di prendersi cura di me, ma io non sono un altro problema di cui lui si deve occupare. O almeno, vorrei non esserlo- incrocio le braccia all'altezza delle ginocchia. Non riesco nemmeno a immaginare la scena.
Ogni volta che ci provo è talmente doloroso che devo fermarmi prima.
-Se non glielo dici si sentirà tradito, è la seconda volta che gli nascondi le tue condizioni di salute. E non hai idea di come diventa quando...-
-Quando capisce di non avere il controllo sugli altri? Lo conosco meglio di chiunque altro. E glielo dirò prima o poi, è solo che non voglio mi veda in queste condizioni, che veda che ho fallito. Non potrebbe sopportarlo.-
-Lui non potrebbe sopportarlo, o tu?- la mia compagna di stanza mi incalza con lo sguardo, e per un attimo temo possa leggermi nel pensiero. Mi sono sempre sentita fragile con Renee, ma mai in questo modo. Mi mettevo sulla difensiva perché sapevo che non avrebbe capito, che non riusciva a vedermi per quella che ero; oggi invece ho paura che veda fin troppo bene attraverso le mie crepe.
-Comunque te l'ho promesso, non lo dirò a Ian. Puoi contare su di me.-
-Grazie-
Non so se mi sento meglio adesso.
Dovrei avere l'impressione di essermi tolta un peso, ma non è così.
È ancora tutto sulle mie spalle.
-A una condizione- aggiunge mentre scendo dal ripiano in cui mi ero rintanata.
-mh?-
-Devi promettermi che inizierai a immaginare un futuro-
-Che c'è, Renee? Adesso mi assegni pure i compiti a casa?- la guardo scettica. Non può essere seria. Purtroppo il futuro è il mio talento, è per questo che non posso avere il lusso di immaginare nulla. Se volessi sul serio saperlo, potrei.
-Provaci-
-Certo, lo farò sicuramente-

°°°°°°°°°°°

-Ti disturbo?- chiedo sbucando dalla porta del piccolo studio.
Minuscolo, se comparato a quello che usava in casa di Drew.
-Mai- ribatte alzando lo sguardo dalle piantine che tiene aperte sul tavolo.
Mi osserva con la mano sotto il mento, gli occhi leggermente stanchi. Ma c'è qualcosa in questo suo modo di fare che mi fa sentire un'adolescente con le farfalle nello stomaco.
Mi fa venire voglia di essere alla sua altezza, come se dopo tutto questo tempo non fossi certa di meritarmelo.
E dopo la conversazione di oggi con Renee lo sento ancora meno.
-Com'è andato il pomeriggio fra ragazze?- domanda catturando i miei pensieri.
Odio quando fa così.
Inizio a diventare paranoica e a credere che possa sul serio percepire cosa mi passa per la testa.
Faccio una piccola giravolta per mostrargli l'acconciatura con le due trecce. Sono talmente strette che adesso, a fine giornata, inizio a sentirle tirare.

Ian sorride e mi fa cenno di avvicinarmi, mentre lui si allontana con la sedia dalla scrivania in modo che io mi possa sedere sulle sue gambe.
Non appena salgo a cavalcioni su di lui, avverto le sue braccia avvolgermi i fianchi.
-Ciao, Evans- il suo tono di voce è così caldo da sembrare una carezza.
-Che stavi facendo?- e mi volto verso i fogli alle mie spalle, curiosando.
-Stavo cercando di ricostruire una piantina della Base, ho chiesto a diversi di noi di controllarla e vedere se manca qualcosa, quelle che Clara conservava non sono complete-
Inizia a giocare con le mie trecce, rigirandosele tra le dita.
-Cosa ne pensi di lei?- solo il suo nome mi innervosisce, e il ricordo della nostra conversazione è ancora vivo nella mia testa.
-Penso che potrebbe esserci utile, se gestita nel modo giusto. Ma dubito che sarà mai dalla nostra parte- afferra la punta di una treccia e piano piano fa scivolare il piccolo elastico tra i miei capelli.
-Hey- ribatto mentre lo osservo sfaldare il lavoro di Renee.
-Oh andiamo, lasciami divertire-
-Questo è il tuo concetto di divertimento? Devi proprio aver fatto follie in mia assenza-
Non posso distruggere quello che abbiamo.
Se gli dicessi della mia dipendenza, riuscirebbe ancora a guardarmi come adesso?
Mi desidererebbe ancora?
Quasi per scacciare via questi pensieri, comincio a lambirgli il petto lentamente. Lui non dice nulla, continua a disfare l'acconciatura, giocando con le ciocche castane.
-Deve essere stato strano per te scoprire della tua sorellastra-
-In un certo senso. Ma non mi ha sorpreso che mio padre abbia rovinato la vita di un'altra persona per i suoi scopi egoistici. Non mi aspettavo niente di diverso da lui. La cosa che più mi turba è vederla completamente soggiogata al suo volere, non posso non pensare che ci sarei potuta essere io al suo posto-
-Immagino che abbia provato a manipolarti durante la tua permanenza alla Base- riflette ad alta voce mentre mi scombina i capelli sciolti dall'abbraccio della treccia, incastrandoci le dita.
-Ha finto diverse volte di voler essere un buon padre, mi ha detto tutto quello che volevo sentirmi dire. Forse se tu non mi avessi insegnato certe tecniche, ci sarei pure cascata. In effetti avete molto in comune...-
-Fammi capire, mi hai appena paragonato al tuo malvagio padre che è solito fare esperimenti sulle persone per anni a loro insaputa?-
Non posso crederci.
Era solo un pensiero libero buttato lì, non avevo mai notato quanto effettivamente fossero simili.
Un'accentuata mania del controllo.
Una predilezione per guardare invece che partecipare.
Vedere gli altri come pedine del loro gioco e non come esseri umani.
E le somiglianze continuano a sommarsi nella mia mente, in particolar modo se penso a Ian per come l'ho conosciuto: quel ragazzo egocentrico e ambiguo che si era offerto di aiutarmi a trovare il mio talento.
-Adesso non riesco a togliermelo dalla testa!- mi lamento e scuoto il capo per far uscire questi pensieri fastidiosi.
Ian ride, come se la somiglianza non lo offendesse.

-A proposito, come ti senti?- e le mie dita scattano subito intorno al suo viso, i polpastrelli all'altezza delle tempie. So che i mal di testa lo distruggono.
-Perché pensi che io stia male?-
Eccolo qui il suo modo di fare sospettoso. È la sua classica reazione quando non si aspetta una determinata domanda: vuole subito sapere che cosa ha sbagliato, che cos'è che si è lasciato sfuggire per permettere agli altri di sbirciare oltre il muro che ha costruito.
Come se non si fosse ancora abituato che per me questo muro non esiste.
Io vedo sempre chi è veramente.
-Parli come se non fossi stata io a soccorrerti durante il tuo screzio con Drew e Brian- sollevo un sopracciglio.
Non può scappare da questa conversazione.
-È stato solo un momento, non devi preoccuparti per me- è tutto concentrato sull'altra treccia, anche questa l'ha quasi sciolta.
-Ti capita spesso?-
-Solo quando esagero, ultimamente tra il piano per tirarti fuori, il Blue Glass e...l'incontro in libreria, ho un po' calcato la mano. Cercherò di stare più attento in futuro-
Non mi guarda, e so che c'è qualcos'altro che non mi dice.
Ma io sono l'ultima a poterlo giudicare per questo.
E mi fido di lui così tanto che non mi importa nemmeno.
Non comprometterebbe mai il piano o il nostro rapporto, è di sicuro una cosa personale.

-C'è qualcosa che posso fare per farti stare meglio?- mormoro già sulle sue labbra, mi basta solo un cenno per tuffarmici. Ian si lascia andare in un piccolo sorriso, mentre le sue mani stringono la morsa sui miei fianchi.
È da ieri che lo voglio.
No, da molto prima.
Tutte le volte che ho chiuso gli occhi e ho desiderato che ci fosse lui sopra di me, e non Jason.
-Me ne vengono in mente una centinaia, ma-
-Ma?-
-Forse dovresti rallentare- sussurra serio e cattura le mie dita tra le sue, allontanandole dal suo viso.
-Parli come se fossi l'unica a volerlo- mi irrigidisco e lui lo nota subito.
-Alexa, parlo come la persona che ti ha ascoltato raccontare di tutto il dolore che hai vissuto nell'ultimo mese. È stato solo ieri, Alexa. Meno di 24 ore fa-
-Non c'entra, non è...-
-Ti devi dare del tempo per guarire-
Roteo gli occhi al cielo, stanca di questa storia.
-Parli come Renee-
-Alcune volte capita anche a lei di dire cose giuste-
Scivolo via dalla sua stretta e provo ad alzarmi, ma lui mi tiene ferma sulle sue gambe. Detesto questa situazione, mi fa sentire rifiutata.
-Hey, ti ho solo chiesto di aspettare. Almeno fino a quando le ferite dietro la schiena non ti faranno più male. Devi smetterla di fingere che non sia successo- a differenza di Ian che rimane calmo, io mi sento sul punto di esplodere.
-So che cos'è successo e non sto fingendo, voglio solo andare avanti- sbuffo, ma sembra che io stia piagnucolando.
Il tempo dentro la Base è molto più rapido che in superficie, lì sotto non c'è nemmeno un minuto di pausa, ogni respiro viene catturato dalla routine serrata.
Non c'è il sole, non so nemmeno se dormiamo durante il giorno o la notte, so solo che le giornate sembrano molto più brevi.
Ian ha ragione, è stato solo ieri.
Eppure un semplice "ieri" alla Base era il tempo necessario per me per sottopormi a tre tipi di test diversi.
Riposo, doccia e sesso inclusi nell'insieme.
E così a ripetizione, senza aspettare l'alba.

Il ragazzo bruno osserva la mia espressione pensierosa, e lentamente poggia le labbra sulle mie.
È il massimo che mi concederà questa sera.
E mi irrita perché so che sta pensando al mio bene, e non al suo.
Nella mia relazione con Jason gli interessi di entrambi dovevano per forza coincidere.
Non importava se non mi andava, se ero distrutta dall'allenamento; se lui lo desiderava, lo dovevo desiderare anche io.
E mentre lo bacio cerco di cacciare via questi pensieri, di costringerli a rintanarsi da qualche parte nella mia testa. Perché so che tanto non andranno mai via del tutto.
So che lo fa per me, riesco a comprenderlo.
Ma non posso ignorare quella voce insicura, a tratti tremante, che vorrebbe che non lo facesse.
Che vorrebbe convincerlo a prendersi da me tutto ciò che vuole, senza chiedermelo.
Come se fosse l'unico modo per dimostrarmi che mi ama ancora.

Ian mi impedisce l'accesso alle sue labbra appena la mia lingua trova la sua, un attimo prima che il bacio potesse trasformarsi in qualcosa di più.
Chiude gli occhi e fa un lungo respiro, il suo petto si gonfia sotto il palmo della mia mano.
-Per fortuna che io ho un ottimo autocontrollo-
-Proprio una fortuna...-
-Alexa, so che pensi che ti sto torturando invece che aiutarti, ma devi fidarti di me- mi accarezza i capelli mossi che, ormai sciolti dalle trecce, mi incorniciano il viso in un caschetto.
-Per caso tu e Renee avete letto lo stesso copione?- non vorrei essere così schiva, ma non posso farne a meno. Ogni loro mossa mi mette in una posizione in cui detesto stare. Questo è l'unico modo che ho per difendermi.
-Che ti ha detto lei?-
-Più o meno le stesse cose: non essere precipitosa; tranquilla starai bene; fidati di me...Ah, e abbiamo avuto un interessante scambio sul concetto di libertà. Mi ha chiesto di immaginare la mia vita alla fine di tutto questo. Ho impressione che mi interrogherà a riguardo la prossima volta che ci vedremo-
Ian si lascia andare in un'espressione sorpresa, le sopracciglia scure ben tese e in alto.
Sembra piacevolmente sorpreso.
-Bé, allora mi sembra il caso di arrivarci preparati- mi pizzica il fianco per dispetto.
Non mi aspettavo una risposta del genere da lui.
-Tu odi parlare del futuro in questi termini- ribatto, perplessa.
Qualsiasi cosa non sia una strategia logica e basata su componenti reali, non lo ha mai veramente interessato.
Il futuro lo mette a disagio, così come il mio talento.
-Posso fare uno sforzo questa sera- mi sorride, animato da una nuova luce.
E anche se questo esercizio mi sembra stupido, è un prezzo che sono disposta a pagare per vederlo così contento.

-Okay va bene, allora da dove iniziamo?-
-È finito tutto...-
-Significa che abbiamo vinto? Che non esiste più una Base o che siamo tutti morti?-
Sì, sto provando ad essere seria, ma sembra talmente assurdo che non riesco a concentrarmi.
Ho l'impressione che non finirà mai.
-Significa che la Base non è più un nostro problema, non importa come ci siamo arrivati. Dopo che facciamo?- 
-Immagino che dovremmo trovarci una casa, a meno che non vogliamo continuare a vivere sottoterra con le lucertole. Oh cazzo, forse prima ancora ci serve un lavoro per permetterci una casa-
-Prima la casa- mi indirizza lui come se fossi una bambina.
Resto in silenzio un secondo a pensarci.
Non ho visto poi così tante case, non ho idea di cosa mi piaccia o meno. Non ho mai fatto veramente caso all'arredamento o alla struttura, non credo di avere un gusto in tal senso.
-Non deve essere troppo grande- dico di getto, è la prima cosa che mi viene in mente.
Ian mi guarda interessato, e sono sicura che questo esercizio è diventato il suo nuovo esperimento, un nuovo modo che ha per osservare le mie reazioni.
-Perché no?-
-Non so, non penso che mi sentirei al sicuro. Non mi piace che ci siano punti o addirittura interi piani che non posso vedere. E poi mi piacerebbe che ci fossero tante finestre, deve passare sempre l'aria e voglio vedere il sole ogni giorno, in ogni stanza- le parole sfuggono dalle mie labbra senza che io possa rifletterci su un secondo di più.
Credevo fosse un esercizio ragionato, che dovessi effettivamente costruire qualcosa nella mia mente, non così istintivo.
-Forse non ha senso, non so-
-Mi sembra una bella descrizione invece. Quindi ci prendiamo un appartamento in città?- chiede come se lo dovessimo comprare adesso, e mi fa strano vederlo tanto serio su un discorso del genere.
È solo una fantasia, non è reale.
Forse non lo sarà mai.
Eppure la mia testa continua a sguazzare nel riflesso di queste possibilità, crogiolandosi in ogni nuova idea.
-Magari in un punto in alto, in cui possiamo affacciarci e vedere le vite degli altri proseguire indisturbate- e il ragazzo sorride al pensiero, sapevo che gli sarebbe piaciuta come proposta.
-Un appartamento così sembra caro però. Dici che la tua eredità basta a coprirne le spese?-
-Non penso che i soldi saranno un problema, ma onestamente non ti immagino a non fare nulla tutto il giorno. Riesci appena a stare ferma adesso sulle mie gambe, figuriamoci per una vita intera-
È vero, non ci riuscirei.
-Bé possiamo viaggiare e vedere ogni giorno un posto diverso. Tu studieresti in ogni biblioteca del mondo e io ti trascinerei in qualche folle avventura come al solito.
E a fine giornata ci stenderemo da qualche parte, magari in un luogo dove c'è il mare, e tu mi racconterai tutto quello che hai imparato-
Questa volta è Ian ad essere sorpreso dall'accuratezza del mio scenario.
E in un moto improvviso mi stringe a sé, facendomi accoccolare sul suo petto, come se fossimo già lì, su quella spiaggia.
E se chiudo gli occhi posso immaginarlo: sento le onde che si infrangono sulla voce di Ian, intento a spiegarmi chissà quale nuova lingua che ha imparato la mattina stessa. E poi l'aria fresca della sera mi solleticherebbe la pelle, e ad ogni respiro profondo sentirei l'odore del mare, del cibo speziato che avevamo iniziato a mangiare prima di perderci nei nostri discorsi.
E sembra così bello.
-Vivremmo tutta la vita così?- e quando alzo lo sguardo noto che anche lui ha chiuso gli occhi, perso nella scena.
-No, non tutta. Vorrei anche creare qualcosa di nostro. Non voglio solo scappare in lungo e in largo, vorrei tornare a casa, in un posto che entrambi riconosciamo come tale. Non ho mai avuto niente, ma se potessi farlo, vorrei dividerla con te- sussurro mentre percorro con le dita le linee che solcano il suo palmo.
Affiderei a queste mani tutta la mia vita. Quello che sono adesso e quello che sarò in futuro.

Il cuore di Ian inizia a battere più veloce, sotto il ritmo delle mie parole. Ed è uno dei pochi momenti in cui si mostra vulnerabile.
Chissà se lui ha altri piani.
Ha partecipato attivamente alle mie proposte, ma per ora non ne ha mai creata una tutta sua.
Mi scosto dal suo petto di scatto, accesa da un nuovo pensiero.
Come ho fatto a dimenticarlo?
Renee non fa altro che tirare in ballo questo argomento ogni volta che parliamo. Eppure sembra assurdo che io e lui non ne abbiamo mai discusso apertamente. Io ho solo una vaga idea di quello che gli passa per la testa.

Gli occhi scuri del ragazzo incontrano i miei, attirati dal mio moto improvviso.
-Allora, Mitchell, ho bisogno che tu sia sincero con me, perché è una cosa importante-
Il suo sguardo si fa sempre più perplesso, e cerco di concentrarmi per mantenere il controllo della mia voce.
-Esattamente quanti figli hai intenzione di farmi fare? Perché io non so se ho la forza per ripopolare un'altra Base-
Scoppia a ridere non appena finisco la frase. E il mio corpo sul suo trema di riflesso, secondo la melodia del suo petto. Ride talmente tanto che gli spuntano le lacrime agli occhi, e mi sembra passata una vita da quando non lo vedevo così felice. E se me lo chiedessero in questo momento, farei di tutto perché quel sorriso rimanga lì dov'è.
Prova a parlare ma riesce appena, deve portarsi una mano allo stomaco per quanto gli duole.
- Sia chiaro, Evans, io non ho intenzione di "farti fare" proprio niente. Diciamo che non sarò io a mettere un limite alla tua volontà- e non riesce a smettere di ridacchiare quando mi vede sbuffare in un "certo, come no".
-Già lo vedo il nostro appartamento in città pieno di tuoi figli-
-I "miei" figli? Sono anche tuoi!-
-Oh ma ti prego, saranno tutti uguali a te. E anche se la genetica fosse dalla mia parte tu li porteresti dalla tua in un modo o nell'altro- e questa volta mi unisco al sentimento di euforia che sembra averci posseduto.
-Ora che ci penso non possiamo avere un pretenzioso attico se vogliamo una squadra di bambini scatenati. Ci caccerebbero dopo due giorni-
-O magari saranno calmi e tranquilli-
Sollevo un sopracciglio, scettica.
-Ian, magari non saranno rumorosi, ma non c'è verso che delle creature con i nostri geni possano essere "tranquille". Nel giro di qualche anno conquisteranno il quartiere e deruberanno il camioncino dei gelati-
Ian ride di nuovo, colto da uno stato d'animo imperturbabile.
-Va bene, allora ascolta questa proposta: potremmo prendere una casa fuori città, magari con un giardino. E la sera, anche se non siamo in una parte sperduta del mondo, ci metteremo comunque seduti su un dondolo a guardarli giocare. E tu continuerai a fare battute sul fatto che sono solo figli miei, ma li osserverai molto più attentamente di quando guardavi il mare. E io ti racconterò tutto quello che ho imparato da loro durante la giornata. E forse saremo stanchi e pieni di preoccupazioni, ma non ci sarà nessun altro posto in cui vorrai tornare o che chiamerai casa-
Perché avrò smesso di cercarla.

Avverto le guance bagnate e mi chiedo da quanto tempo io stia piangendo.
Maledico Renee per questa stupida idea, e anche il ragazzo che sta davanti a me e che ha creato questo mondo solo con le sue parole.
Mi ero dimenticata cosa si prova ad essere liberi.
Perché anche se tutto questo non esiste, sento che morirei piuttosto che farmelo portare via.

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