Capitolo 45
Ian
Questa sì che è qualcosa che non avevo previsto.
-Sei impazzito? Che ci fai qui?-
Sulla soglia del vecchio edificio, con il cappotto bagnato per la fitta pioggia, si trova l'ultima persona che mi sarei aspettato di vedere. Una volta aperta la porta sembra che l'intera tempesta voglia entrare insieme a lui. E per qualche secondo i miei pensieri si mischiano al suono roboante del cielo alle sue spalle, risuonando nella mia testa.
-E se ti avessero seguito?- lo incalzo in una debole speranza di fargli cambiare idea e tornare a casa. Ma se è venuto a trovarmi al Blue Glass immagino che i motivi non siano tanto superficiali da lasciar perdere così in fretta. E in generale non mi sembra che i miei avvertimenti o pareri suscitino in lui qualsiasi tipo di ripensamento su una sua decisione.
-Signorino Ian, dubito che qualcuno si sia messo a seguire un vecchio cameriere. E comunque sono stato cauto-
-Immagino- borbotto ironicamente. Indietreggio e lo lascio entrare, anche se non capisco il motivo della sua visita, reputo più saggio farlo spostare dall'uscio che affaccia sulla stradina buia.
Sto per intimargli di non ignorare le mie domande, quando vedo il rapido mutamento della sua espressione. I suoi occhi scuri sono incollati al panno rosso che stringo in una mano e che mi ha macchiato il dorso dell'altra. Perfino con la fioca luce del locale riesco a vederlo sbiancare, tanto in fretta che per un attimo mi appare come uno spettro, con le occhiaie e il viso scavato dalle ombre.
-Non è mio- lo rassicuro prima che possa dare di matto: se di solito è bravo a mantenere un atteggiamento imperturbabile, questa sera sembra propenso a scattare per ogni piccola cosa. Non che la quantità di sangue sullo strofinaccio sia cosa da poco.
Fa un respiro di sollievo e lo vedo cercare con il braccio la parete come punto di appoggio.
Che gli prende?
Capisco di avergli fatto prendere un colpo, ma da quando è comparso mi dà l'impressione che qualcosa lo turbi particolarmente, senza contare la sua visita improvvisa.
-Di chi è quel sangue allora?-
-Ne parliamo dopo; vieni, è meglio scendere al locale, non mi va che si veda la luce accesa da fuori- e gli porgo il braccio per guidarlo giù per le strette scale che conducono al Blue Glass. Sebbene abbia fatto una smorfia con la bocca perché lo sto trattando come un vecchio, accetta senza aggiungere altro, nemmeno una battutina stizzita. Non deve essere molto a suo agio in un posto come questo: polveroso, sul punto di cadere a pezzi e immerso in un'oscurità che pare nasconderlo anche durante il giorno.
Lo osservo tornare a respirare con una certa regolarità solo una volta davanti al bancone, illuminato dalle lampadine a led che si riflettono sui bicchieri. Lo conduco in una stanza che ho adibito a mio studio, sfrattando il proprietario precedente. Ero ancora immerso nella perquisizione degli scaffali quando Brian ha bussato.
È una stanza piccola, probabilmente in precedenza era uno sgabuzzino delle scope. Ma lo spazio è sufficiente per permettermi di ritagliarmi un piccolo angolo in cui posso pensare senza essere disturbato.
Ne ho bisogno, se non voglio impazzire.
Sposto una pila di documenti da una sedia, così da permettergli di sedersi davanti alla scrivania.
-Allora, perché sei qui?-
-Non mi chiede come ho fatto a trovarla?- dopo aver preso posto si sistema la giacca con cura, liscia la stoffa con appena la punta delle dita.
Sospiro, so già come ha fatto.
Solo chi conosceva la strada poteva portarlo da me.
-Taglierò la lingua a Maverick la prossima volta che lo vedo-
È incredibile come sia sempre colpa sua.
-Non sia così severo con quel ragazzo, ha provato a mantenere il segreto-
Combatto la tentazione di poggiare i piedi sulla scrivania solo per infastidire l'uomo davanti a me.
-Provare non basta. L'ho messo alla prova e ha fallito. Ci farà ammazzare tutti un giorno- e mentre dalla mia bocca escono parole tanto dure, le mie mani ritrovano il tocco delicato dei guanti di pelle. Li avevo posati in un cassetto sotto la scrivania, solo per qualche minuto, giusto il tempo di risolvere una faccenda.
Brian era proprio l'ultima cosa che mi mancava per completare la serata.
Detesto quando le cose sfuggono al mio controllo.
Il maggiordomo accenna a un piccolo sorriso mentre rimane fermo a guardarmi.
-Anche il Signorino Drew è così: se è molto teso scarica i suoi standard irrealizzabili anche sugli altri. Non riesce a controllare se stesso, e si chiede come gli altri facciano a non mirare al suo stesso obiettivo, a non metterci lo stesso rigore. Pensavo di essere stato io ad avergli messo troppa pressione addosso fin da piccolo, ma vedendo lei, credo proprio sia un gene di famiglia-
Lo guardo, perplesso.
-Per quanto le affinità con mio fratello siano senza dubbio piacevoli, se Drew sbaglia -o lo fa qualcuno dell'orchestra- otterrà solo il borbottio indignato di qualche spettatore; se succede a me le conseguenze saranno ben più fatali. Quindi non farmi la predica, Brian. Maverick ha sbagliato a dirti dove mi trovavo e tu non dovresti essere qui-
L'espressione di Brian mi lascia intuire che ha notato l'austerità del mio tono, del tutto diverso da quello di qualche secondo fa, poco prima che tornassi nel mio ruolo.
Sto iniziando a sentirmi a disagio nel tempo che passo senza guanti, soprattutto quando li devo togliere per necessità e non per mio volere.
Ho ancora le dita sporche di sangue, ma lasciare che si rifugino sotto l'abbraccio del tessuto è l'unico sollievo che posso ottenere.
Per un attimo, quando ho visto Brian alla porta, dopo che avevo appena finito di risolvere quella faccenda, ho sentito una parte di me gioire nel rivederlo. Il lato debole di me che vorrebbe attaccarsi a lui e sfogarsi senza interruzioni, raccontandogli tutto senza remore.
Quando ho iniziato a fidarmi di Alexa avevo smesso di nasconderlo, e lei era l'unica che poteva alleviare il peso sulle mie spalle.
L'unica che sapeva sempre come gestire la situazione. Non mi ha mai fatto sentire debole.
Ma adesso lei non è qui, e sento questa parte di me strisciare nella mia mente in cerca di salvezza.
Spera che Brian la tiri fuori.
-Perché sei qui?-
-Ero preoccupato per lei, Signorino-
-Questa è una bugia- incastro lo sguardo nel suo, sfidandolo a mentirmi ancora.
-Lei crede che io non possa preoccuparmi?- i suoi occhi scuri non si tirano indietro, e assumono una sfumatura decisa, quasi offesa.
Ho esagerato.
Che io indossi i guanti o meno, l'espressione dell'uomo segna che ho passato un limite che non avrei dovuto.
-No, penso che sia comprensibile, ma sai che sto bene. Io me la cavo sempre-
Sembra una di quelle stupide frasi che mi direbbe Alexa.
Cazzo, perché non faccio altro che pensare a lei?
In un tentativo disperato intreccio le mani, lasciando che la superficie dei guanti si schiacci contro la mia pelle, ricordandomi il mio compito.
-Perché non vuole essere aiutato?-
-Perché è la mia battaglia, non la tua-
Non mi sembra sia un concetto difficile da comprendere.
-Ha permesso a suo fratello di farne parte, però- si zittisce all'istante, consapevole di aver appena mostrato una delle sue carte.
Per quanto continui a pensare che sia un rischio averlo qui, la mia curiosità non mollerà la presa fino a quando non avrò vinto questo gioco.
-Drew è il mio gemello, e se in situazioni normali questo comporta un grande onore, al momento, visto che sono un ricercato, è bene che non si faccia vivo per un po'. È più sicuro per entrambi. E poi, sappiamo per chi lo fa veramente. Possiamo raccontarci questa storiella dell'affetto tra fratelli per scaldarci il cuore, ma non è per me che lo fa-
Voglio bene a Drew, più di quanto io sia disposto ad ammettere, ma non è questo il momento per le confidenze.
Non so nemmeno se riuscirei a farne in questa veste.
Il volto di Brian si incupisce, le sue labbra sono serrate per impedirgli di aggiungere altro.
È evidente che non sa se prendere il discorso o lasciar perdere. E non è un problema per me decidere al posto suo.
-È successo qualcosa a Drew?- il mio tono è spoglio da ogni preoccupazione, ma i miei occhi scattano pronti a cogliere ogni piccola espressione del maggiordomo, ogni piccolo indizio.
Lui sospira, turbato. È in questo stato di agitazione contenuta da quando è arrivato, non avevo mai visto nessuno gestire emozioni così forti con tanta compostezza.
Eccetto me, ovviamente.
-Il Signorino Drew ha parlato con vostra madre-
Finalmente.
Questa situazione stava iniziando a logorarlo dall'interno, e di conseguenza spingeva me a distrarmi dal mio piano per trovare un modo di attutire il suo dolore.
Non ho ancora capito se lui mi sia grato per aver cancellato la memoria a Margaret, da quando gliel'ho confessato non abbiamo avuto modo di parlarne. Impedendole di riferirlo, l'intera responsabilità della vicenda è tornata nelle sue mani.
E mi chiedo che cosa sia successo.
-Come l'ha presa nostra madre?-
Brian non risponde subito, ma si sfila la giacca con eleganza, per poi sistemarla sullo schienale della sedia di legno e vimini.
Immagino significhi che ha intenzione di trattenersi più del dovuto.
-Vostra madre è preoccupata che il Signorino Nicholas si approfitti di lui-
Mi trattengo dallo scoppiare a ridere solo perché la sua espressione è fin troppo seria.
-Nick? Ma se non sa nemmeno cosa siano i soldi! Nessuno di quei ragazzi lo sa, perfino io ho difficoltà a capirne il senso. Avanti Brian, non mi dirai che concordi con questa stupida teoria dell' arrampicatore sociale- scuoto il capo e metto via una serie di scartoffie lanciandole nel cestino.
Ho così poco tempo, non dovrei essere qui.
-Al momento ritengo che non sia importante come la penso io, la discussione...- si interrompe quando scorge il mio sopracciglio alzato. Le sue parole sembrano essere state risucchiate dalla piccola stanza.
È piuttosto raro che Brian non faccia sentire la sua opinione, soprattutto se riguarda il mio gemello o una situazione così delicata.
A meno che non voglia impedirmi di aprire un altro discorso.
-Non ci credo- questa volta mi lascio scappare una sfumatura divertita nella voce.
-Ha litigato anche con te. È per questo che sei qui-
Non mi serve guardarlo in faccia per sapere di avere ragione, ma godersi il suo tentativo di nascondere la mia vittoria è altrettanto gratificante.
-Non sarebbe così divertito se avesse sentito le sue parole l'altra sera-
-Sto tremando dalla paura. Per caso ha imprecato? Perché mi dispiacerebbe essermelo perso-
So bene di star mettendo alla prova la sua pazienza, eppure non riesco ad immaginare Brian esplodere guidato dalle emozioni. Non è da lui.
Non è da me.
E testare i suoi limiti mi viene naturale, sono interessato a vedere se sono ben protetti quanto i miei.
-Ha detto a sua madre "cresci un po'"- queste semplici parole suonano così sbagliate con la voce del maggiordomo, ma anche terribilmente divertenti. Oh, Drew, era ora che ti svegliassi.
So che se ridessi in questo istante, l'uomo davanti a me se ne andrebbe subito senza aggiungere altro, il che potrebbe essere utile per il mio lavoro, ma ormai voglio sapere come va avanti la storia.
-Le ha rinfacciato non so quante cose che si teneva dentro da anni, da tutta la vita forse. E io ho sempre finto di non vederle-
Senso di colpa.
Non mi piace l'atmosfera che crea nell'aria, è come se cercasse il mio, sempre presente ma nascosto negli angoli della stanza. Nascosto perfino alla mia vista.
-Brian, non potevi fare altro...-
-Sono stato al suo fianco finché ho potuto. Non mi sono intromesso mentre insultava sua madre, sfogando contro di lei una rabbia cieca. Avrei preferito se la prendesse con me. Perfino quando ci siamo confrontati in corridoio ha cercato fino alla fine di evitare uno scontro.-
La rabbia di Drew è una delle emozioni più interessanti che io abbia avuto modo di osservare. È una furia caotica, che trascina con sé tutto quello che trova. E la maggior parte delle volte è percepibile, quasi sulla punta della lingua, che la vera persona con cui è arrabbiato è se stesso.
-Posso dire che ve la siete cercata? Avete detto a un ragazzo di vent'anni che la persona che frequenta è un approfittatore- alzo le spalle, mi sembra di star constatando l'ovvio.
Alcune volte dimentico che io e Drew abbiamo la stessa età: la nostra vita si è sempre svolta su binari paralleli per nulla comunicanti.
Tutti i suoi comportamenti e esperienze rientrano negli studi che ho conseguito alla Base, ma che io non ho mai sentito di appartenermi.
Non sono cresciuto con conflitti con i genitori o la necessità della loro approvazione. Mi chiedo spesso come sarei diventato se avessi vissuto insieme a lui in quella casa, a quanto grandi mi sarebbero sembrati questi problemi. Ora invece mi sembrano piccoli drammi per passare il tempo.
-Vostra madre ha dei pregiudizi discutibili ma comprensibili. Lei non conosce la sua storia, e non ha il diritto di giudicarla-
La sua lealtà a mia madre è un sentimento che rispetto, soprattutto per così tanto tempo.
-Francamente non mi interessa. Sono contento che Drew le abbia finalmente parlato, e anche se non è andata come sperava non importa, è comunque un passo avanti per la sua crescita. Per il resto...- mi alzo con calma, visto il principio di mal di testa che sta riaffiorando.
-Ho davvero tante cose da fare e poco tempo per i drammi familiari-
Mi sorprendo quando il maggiordomo fa altrettanto, alzandosi di scatto e posando le mani sulla scrivania.
-Questa è la sua famiglia, questi "drammi" come li chiama, riguardano anche lei-
Che cosa vuole da me?
Un pianto disperato? Un supporto? La promessa di intromettermi nella discussione?
Perché posso fingere tutte queste cose per poi poter finalmente avere il tempo di tornare ai preparativi del piano.
Mancano solo due giorni.
Ci guardiamo negli occhi a lungo, nessuno dei due intende abbassare lo sguardo. C'è qualcosa in lui che mi fa sentire vulnerabile anche se indosso i guanti, e forse è per questo che lo voglio fuori da qui il prima possibile.
-Vorrei un suo parere-
-Non ti piacerà quello che sto per dirti-
-Posso sopportarlo. Sono venuto qui per questo, so che lei mi dirà la verità-
Celo la mia sorpresa in fretta, prima che possa tradirmi. Non credevo che avesse così tanta considerazione di me. Non credevo che gli importasse.
Studio la sua espressione austera ancora per un po', non era mia intenzione dirgli veramente ciò che penso. So bene che certi discorsi suonerebbero freddi e meccanici se gliene parlassi, penso mi repurerebbe anche inumano se gli dicessi sul serio cosa mi passa per la testa. Il mio modo di ragionare.
-Avete sbagliato. Indipendentemente dal fatto che non concordo con mia madre, questo non è il modo corretto per manipolare qualcuno-
Brian, che mentre era tornato sulla sedia scricchiolante, mi guarda sorpreso, non si aspettava usassi quella parola.
-Pensaci. Da una parte ci siete voi che in un modo o nell'altro lo avete costretto a una vita di etichetta e formalità, dove lui si trovava in continua ansia di soddisfare le vostre aspettative.
Dall'altra c'è una persona che rappresenta tutto il contrario: che non ha radici, si ritrova in un mondo di cui ignora le regole e ha sempre vissuto libero di esprimere qualsiasi emozione volesse. Senza contare che Nick accetta Drew senza imporgli standard irraggiungibili. Inoltre sono anche nelle prime fasi di innamoramento, quindi il loro legame è molto più forte del normale.
Non avevate speranza di farlo tornare sotto il vostro controllo-
Sta per interrompermi, presumibilmente indignato, ma non gli dò il tempo di ribattere.
-Sarebbe stato più intelligente assecondarlo, magari fingendo di essere dubbiosi all'inizio, ma mostrarvi così caritatevoli e comprensivi da mandare giù qualsiasi cosa. In seguito, potevate sabotare il loro rapporto con piccole mosse, anche solo con qualche domanda mirata. Tutto a tempo debito, ovviamente. A quel punto sarebbe stato più difficile per lui andare contro di voi, avrebbe creduto nel vostro sforzo per "accettarlo". Per come è fatto Drew è dura per lui andare contro qualcuno che gli sta tendendo la mano.
Questo ragionamento ti turba, Brian?-
Mi guarda a stento, gli occhi fissi sulle sue mani intrecciate tra loro.
Da fuori riesce a mantenere in condizioni perfette la sua aura composta, perfino il suo portamento è impeccabile, in contrasto con il mio piccolo studio.
-Ottimo, perché tu non pensi in questo modo. Non so se posso dire lo stesso di mia madre, sebbene nemmeno lei sembri incline a questo tipo di strategia-
Era questa la domanda che continuava ad aleggiare ogni volta che incontrava il mio sguardo:
"Abbiamo litigato perché non volevo che sfuggisse al mio controllo?"
Di norma gli chiederei di mostrarmi i suoi ricordi in modo da avere una visione più chiara della situazione, ma non sempre quello che percepiamo corrisponde alla realtà oggettiva. Anzi, quasi mai.
Ma il vero motivo per cui non sono entrato nella sua testa è minimamente condizionato da questi sproloqui filosofici, la verità è che non ne ho le forze.
Voglio che lui se ne vada perché non so quanto riuscirò a nascondere il mio malessere.
-In conclusione: l'unico stronzo che ragiona in questo modo sono io, voi avete solo paura di perdere mio fratello, e lui vuole combattere per il suo amore o roba del genere. Fine della storia-
Mi alzo di nuovo, nella speranza che finalmente accolga il mio invito ad andarsene.
Da dietro la scrivania le mia gambe tremano, stanche per lo sforzo.
Dovrei stendermi e dormire, non c'è altro modo per riprendermi.
Brian mi ignora, guardando il vuoto assorto nei suoi pensieri. Questo non è il momento per un delirio mistico.
-Lei crede che io abbia sbagliato a crescerlo?- mormora qualche secondo dopo, e io cerco di trattenere uno sbuffo infastidito. Questo discorso non finirà mai.
-Tu credi di aver sbagliato?-
Torna a guardarmi con un piccolo sorriso, un lieve accenno a qualcosa di molto più grande che esiste solo nella sua testa.
-Quando si cresce qualcuno non si pensa mai di star facendo la cosa giusta. Si sceglie quello che si ritiene migliore, ma illudersi che sia giusto è di per sé un errore-
Sollevo un sopracciglio, non ho idea di dove il suo discorso voglia andare a parare.
-Non ho molte esperienze con i genitori, Brian. Alla fine Drew mi sembra in salute, con tutti gli arti al loro posto, con un limitato numero di traumi, ed è intelligente. Penso che sia un successo, se consideriamo il livello medio della popolazione-
Ma lui non mi sta ascoltando, se lo facesse mi avrebbe già lanciato un'occhiataccia. Deve trovare tutte le mie battute fuoriluogo.
-Mi piacerebbe vedere lei come padre, Signorino Ian- annuncia dando voce ai suoi pensieri.
-Per mettermi alla prova?-
-Per nulla, ho completa fiducia nelle sue capacità- non c'è traccia di ironia nella sua voce.
Questa idea rimane nella mia testa più di quanto dovrebbe.
Non ho mai parlato con Alexa di questo, oltre la mia avversione al futuro troppo lontano, non abbiamo mai avuto il tempo di pensare oltre il giorno successivo.
Una famiglia, un posto stabile dove abitare, non sono mai rientrati nei nostri piani.
Rimanere in vita è sempre sembrato un obbiettivo sufficiente.
-Bè, non sono padre, ma ho un gruppo di ragazzi spaesati da gestire. Quindi se non ti dispiace...-
Forse la terza volta è quella buona.
Ma appena provo a fare un passo verso la porta vengo colto da un senso di sbandamento non indifferente.
Riesco a reggermi a uno scaffale appena in tempo, prevenendo una brutta caduta.
-Signorino Ian!- e le sue parole vengono accompagnate dalle sue braccia, pronte a reggermi.
Sento il sangue macchiarmi le labbra, scendere copioso dalle mie narici.
Cerco di liberarmi dalla sua stretta per afferrare il panno che avevo posato sulla scrivania, già macchiato dal mio primo attacco.
Ogni cosa si sdoppia sotto il mio sguardo, e il mio senso di vertigine non fa che aumentare.
È tutto il pomeriggio che combatto con questo malessere.
-Sta perdendo un sacco di sangue- mi fa notare mentre mi tampona il viso in fretta.
-Sto bene-
-Mi sta prendendo in giro!?- riesco a intravedere il suo volto preoccupato sotto le mie ciglia. Non so come faccio ad essere ancora sveglio.
Vorrei solo riposare.
Ho bisogno di tempo per riprendermi.
E non potrò farlo se lui rimane qui.
Mi divincolo come posso, con tutta la forza che mi rimane, sperando che il maggiordomo colga l'antifona.
-Va tutto bene, Brian. Ti prego, lasciami da solo- gli dico in un breve momento di lucidità, in cui i contorni degli oggetti appaiono meno sfuocati.
-Non ci pensi nemmeno- il suo tono è troppo preoccupato per essere autoritario. Ma non se ne andrà tanto facilmente.
-Brian, devi andartene-
-Se lo scorda-
-Non ho bisogno di te-
Lo guardo negli occhi, il resto del viso coperto dal panno sporco. Devono sembrargli acuminati come degli spilli. Ed è solo la premessa di quello che sto per dire.
-Se permette, ho i miei dubbi al riguardo, signorino-
-Non ne ho bisogno, come non ho mai avuto bisogno del tuo aiuto. Fammi questo unico favore e accettalo, Brian- scivolo via dalle sue mani e mi siedo sulla scrivania, esausto.
Se ne andrà.
È già ferito dal comportamento di mio fratello, il mio è l'ennesimo colpo basso.
-No- il suo tono è gelido quanto il mio, così tanto che la temperatura sembra essersi abbassata.
O forse sono solo i brividi della febbre.
Si avvia deciso e, prima che possa protestare, poggia il palmo sulla mia fronte. Siamo a qualche centimetro l'uno dall'altro e mi costringo a serrare le labbra per non mettere tra noi altre parole ostili.
Ho avuto la mia occasione per farlo ritrarre, e ho fallito.
-Lei scotta-
-Ma dai-
Mi molla un colpo sul braccio, bello forte.
-Ahi! E questo per che cos'era?- il dolore è l'unica cosa che il mio cervello sembra metabolizzare, le altre funzioni invece sembrano essere fuori uso.
-Per il suo tono irrispettoso, per essersi ridotto in questo modo senza nessun riguardo per la sua salute e...- si ferma, guardandomi severo.
-...per aver messo in dubbio il mio affetto nei suoi confronti molto più di una volta in appena mezz'ora. Preferirei si limitasse a una volta al giorno-
Riesce a farmi ridere anche se significa sentire l'intera testa scoppiare.
È come se una pressa la stesse schiacciando da entrambi i lati. Riesco a stento a rimanere lucido.
Brian mi accompagna, reggendomi dalle spalle, in una stanza da letto, la più vicina.
Accende i riscaldamenti nonostante io stia bruciando come fuoco vivo. Quando la mia schiena si scontra con il materasso mi lascio andare in un sospiro di sollievo, sento di averlo trattenuto troppo a lungo.
Non posso stare male.
Moriremo tutti se mi tiro indietro.
È buffo, ho costretto tutti a rispettare i loro ruoli, in modo pressante e ossessivo, e adesso io sono il primo che non riesco a farlo.
-Le è già capitato di stare così male?- mi chiede sedendosi vicino a me.
-No, non così tanto. Ho esagerato in questi giorni, dovevo aspettarmelo-
Sono stato stupido.
Avventato.
Nemmeno da ragazzino ero così incosciente.
Troppe manipolazioni complesse, alcune, come quella degli uomini della scorta, durano tutt'ora.
Il mio corpo non riesce a reggere il ritmo della mia mente.
-Ora le vado a preparare qualcosa da mangiare, a guardarla sembra essere a digiuno da almeno un giorno-
-Dovevo sistemare il locale per l'arrivo dei ragazzi- borbotto con un filo di voce.
Non riesco a tenere gli occhi aperti.
Da quanto non dormo?
Da abbastanza tempo da non ricordare le ultime visioni che mi hanno tormentato.
-Lo farò io al posto suo-
-Non dire sciocchezze, Brian. Questo posto è troppo grande. E poi, tu non rimarrai così tanto-
-Decido io fino a quando rimanere, signorino. Non accetto discussioni. E poi, credo di aver gestito ville molto più impegnative di questa catapecchia- il suo tono si fa più stizzito ogni qual volta che metto in dubbio le sue abilità. Il suo orgoglio è un elemento insolito, per qualcuno abituato agli atteggiamenti spocchiosi dell'alta società. Deve avergli creato non pochi problemi. È quel lato di lui che stona con tutto il resto, quell'elemento imprevedibile che gli impedirebbe di essere assunto da qualsiasi parte.
-C'è altro che vuole che faccia?-
-In fondo al corridoio, c'è una botola con delle scale che portano al sotterraneo. Se prepari qualcosa, porta un piatto lì-
Le parole mi escono a fatica, sia perché non voglio il suo aiuto, sia perché non ho più forze.
Mi basta abbassare la guardia per essere sommerso dal mio talento. E prima che possa impedirlo mi ritrovo ad annaspare tra i miei ricordi.
Ricordo il calore delle mani di Celine quando ha preso il raffreddore. La sento tremare vicino al mio corpo, confondendo i suoi brividi con i miei.
La accarezzo con cautela, i suoi biondi capelli sottili sfregano tra le mie dita.
Ci passerà la febbre, insieme.
Mi rannicchio più che posso per sfuggire al freddo e per tenerla stretta a me tutto il tempo necessario.
-Ian! Non dirmi che hai esagerato di nuovo!-
Risentire questa voce è più doloroso delle fitte che si susseguono nella mia testa.
-Scusami-
Chissà perché, scusarmi con lei è sempre stato facile.
-Certo che senza di me non riesci proprio a farne una giusta- la sento ridacchiare spensierata, come lo è stata poche volte. Nei nostri momenti migliori.
-Non sai quanto hai ragione-
Mi bacia sulla fronte, proprio nel punto in cui scotta di più.
-Signorino Ian? Mi sente?-
Apro gli occhi a fatica sotto il richiamo della voce di Brian, l'unica reale. Il profumo della zuppa che ha cucinato si diffonde in tutta la stanza.
Borbotto qualcosa di incomprensibile, ma abbastanza efficace da fargli capire che sono lucido, al momento.
-Deve mangiare- mi esorta avvicinando di più il piatto al mio viso.
-Non ho fame per ora-
-Non le ho chiesto se ha fame- mi dà un colpetto sulla spalla, non forte come il precedente ma abbastanza deciso.
Mi costringe a tirarmi su e mi porge un cucchiaio.
-Non deve ringraziarmi- aggiunge con una punta di ironia. Non demorde nemmeno in questa situazione.
Borbotto qualcosa sottovoce e lui solleva un sopracciglio.
-Mh?-
Sto per esternare i miei veri pensieri quando il fumo del piatto caldo mi solletica il mento.
Credevo di non aver bisogno di lui.
Credevo mi bastassero le voci dei miei ricordi, la loro compagnia, il loro supporto.
Ma nessuno dei miei ricordi è in grado di rimboccarmi le coperte e cucinare quando sto male.
-Grazie, Brian-
-Dovere, signorino Ian-
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