Capitolo 38

Alexa

-Sei sorda? Ti ho chiesto che ci fai qui-
Mi aspettavo un tono più irritato, quasi feroce. Come lui del resto.
La sua presenza, il suo modo di camminare, di guardarsi intorno, stonano con la stanza che ricordavo.
Chissà come deve essere sentirsi un estraneo nella propria camera, entrare e sentire che stai prendendo il posto di un altro.
Lui si avvicina a me, afferrandomi il polso in uno scatto fulmineo. Mi strattona verso di sé, irritato dal mio silenzio più che dalla mia presenza.
-Allora?-
Avevo previsto questa possibilità: l'essere beccata nella sua camera non é un problema troppo grande, non se riesco a giocarmela bene. Quello che mi preoccupa è il tempo che mi rimane per tornare senza che Jason si accorga che sono uscita.
-Avevo bisogno di un libro e sono venuta a prendermelo- alzo le spalle, so che il mio atteggiamento lo innervosirà presto.
-Guarda caso scegli il momento in cui non ci sono per introdurti nella mia camera- osserva con un sopracciglio alzato, non accenna a voler sciogliere la stretta attorno al mio polso. Stringe così forte che gli basterebbe poco per romperlo.
-Che posso farci? Dovevo pur trovare un modo per passare il tempo mentre voi siete tutti stati invitati a quella stupida riunione-
Gli unici tratti di personalità che sembra possedere sono la dedizione per la causa, il rigore e la totale abnegazione per gli ordini dei suoi superiori, ed é lì che ho intenzione di colpire.
-Sei invidiosa perché papino ti ha lasciata fuori?- é la prima volta che vedo nascere un lieve sorriso sul suo volto duro, perennemente contratto, tanto da far sparire quei lineamenti che lo rendevano bello.
Finalmente mi lascia andare, soddisfatto della nuova immagine che si è fatto di me: non mi ha mai visto come una minaccia, ma è da quando sono tornata che sento il suo sguardo gravarmi sulle spalle. Non sono io quella invidiosa, sta solo riflettendo i suoi sentimenti su di me; Ian dovrebbe aver scritto un appunto su questo da qualche parte nel suo quaderno.
-Sempre meglio di essere il suo cagnolino e seguirlo ovunque-
-Divertente detto da una che ha un collare molto più stretto del mio. É per questo che sei uscita adesso? Approfitti dell'assenza del tuo padrone?- serro le labbra per non cedere alle sue provocazioni. Va decisamente a mio vantaggio il fatto che creda che sia Jason a manipolarmi, mi rende ancora più irrilevante ai suoi occhi. Eppure detesto le sue parole, bruciano sulla mia pelle come se fossero state impresse con il fuoco. Io non devo dimostrargli nulla, la sua opinione su di me non ha alcun valore né conseguenze rilevanti per il mio piano. Ma é la seconda volta nell'arco di due ore in cui sono costretta a vestire panni che non mi appartengono, e che per di più odio in modo viscerale. La vecchia me freme per poter tornare in superficie, per agire in modo avventato ma sincero, e perché no, per morire a testa alta. So che è stupido, ma non mi sono mai sentita così vicina all'esplodere.

-A cosa stai pensando?- chiede sedendosi sul letto. Il fatto che si sia allontanato mi costringe a prendere un bel respiro profondo, consapevole che adesso sono veramente salva. Avevo individuato i suoi punti deboli, ma non potevo avere la certezza che avrebbe funzionato; solo Ian può vedere nei sentimenti una scienza esatta. Fino a quando l'ego di Adam sarà grande abbastanza da farlo sentire superiore a me, non dovrebbe esserci nulla da temere.
-A com'ero prima. Tu ci pensi mai?- non so perché gliel'ho detto, così come non ho idea di quale forza mi stia costringendo a rimanere qui insieme a lui. Potrei finire in guai seri se Jason scoprisse che gli ho mentito.
Ma per quanto cerchi fare forza con le gambe per tirarmi su, i miei muscoli si rifiutano di rispondere, e alzarmi sembra una possibilità assai lontana.
-No- la sua risposta è secca e repentina, come se non avesse nemmeno avuto bisogno di rifletterci su. É una risposta preparata.
-Bugiardo-
-Non sono debole come te-
-E allora perché hai tenuto tutti quei libri?-
La mia domanda echeggia un po' nella stanza, in sospeso.
Il suo silenzio non é abbastanza forte da riuscire a contrastare il colpo che gli ho appena inferto. E l'assenza di parole risuona debole, pronta per essere rotta. Devo aver trovato un altro punto sensibile.
I libri che tiene impilati nella libreria non sono suoi, nulla di quello che c'é nelle nostre camere é nostro. Per questo non ci sono chiavi e lucchetti che possano tenere gli altri lontani dalle nostre cose, perché non sono mai state nostre.
I ragazzi della Base non possiedono nulla.
Avrebbe potuto riportarli in biblioteca, consegnare i suoi appunti e progetti e far sparire tutto quello che considerava inutile.
-Alcune volte mi piace sfogliarli- ammette dopo un po'.
-Non li leggi?-
-Non capisco cosa c'é scritto- non osa incontrare il mio sguardo, sa già cosa vedrà dipinto sul mio viso. Compassione.
E non riesco a cacciare via questo sentimento, nemmeno ricordando di quella volta nel corridoio, dove mi ha costretto a giustiziare quelle persone. Anzi, più cerco di combatterla, più ritorna, forte e dirompente, pronta a farmi crollare.
Non sono pronta per questo discorso, adesso le domande che aleggiano nell'aria sono troppo pesanti perfino per me.
La paura è una motivazione sufficiente per rimettermi in piedi, pronta a scappare il prima possibile da questo luogo asfissiante. Sono finita nella testa di una persona che conoscevo, e vedere che le cose non sono più come le ricordavo é abbastanza per questa sera. Non voglio andare oltre.

Mi avvio verso l'uscita a passo svelto, non ho intenzione di salutare.
-Alexa- la stretta della sua voce é peggiore di quella con cui mi teneva per il polso.
-Ti lascerò uscire con il libro, non dirò nulla a nessuno. Non so cosa hai in mente, ma non ti sarò di intralcio. Tu però dovrai farmi un favore- mi irrigidisco, la mano già pronta sul pomello della porta.
Non sarà un patto equo, lo so già. Anche se lui riferisse che mi sono introdotta nella sua camera non rischierei nessuna punizione, solo un centinaio di occhi in più puntati su ogni mia mossa. Non mi sarebbero di aiuto, ma ho sopportato problemi ben peggiori. Ho comunque l'impressione che lui voglia barattare il suo silenzio con quello presente in questa camera.
Annuisco, ancora girata di spalle.
-Dimmi chi ero, voglio sapere che cosa significa tutto questo. Dimmi cosa c'é sotto i miei appunti, dietro i disegni che ho fatto. Voglio sapere chi viveva qui prima di me-
-Hai scelto la persona sbagliata- mormoro cercando di controllare la mia voce. Mi sbagliavo: lui vuole scambiare il suo silenzio con le mie parole, non vuole che io me ne vada lasciandolo solo, perso in tutto quello che non ci siamo detti.
Io non posso farlo. Non spetta a me.
Non sono abbastanza forte per farlo.
-Purtroppo sei l'unica con cui posso parlarne-
-Non eravamo nemmeno così intimi-
Sento le molle del letto cigolare, i suoi passi decisi attraversare la stanza. Non oso muovermi.
Con la coda dell'occhio lo osservo aprire un cassetto della scrivania, estrarre un blocco di fogli e dirigersi verso di me.
-Puoi tenerli, questi e il quaderno di appunti che leggevi prima- il suo tono é distaccato, ed e assurdo pensare che a modo suo mi sta supplicando di restare.
-Che cosa sono?-
-È la relazione che Ian ha scritto su di te-
Mi sta prendendo in giro.
È un trucco per ottenere da me ciò che vuole, forse addirittura per incastrarmi. D'altronde non mi stupirebbe se subito dopo questa conversazione si dirigesse da mio padre per rifergli tutto.
Non ho intenzione di cedere così facilmente.

-Avanti, guardali- quello che dovrebbe essere un invito, dalle sue labbra esce come un ordine.
Mi volto con cautela, il libro ancora stretto al petto, come se potesse strapparmelo via da un momento all'altro.
Non li voglio vedere quei fogli. Che siano veri o meno.
Non porteranno a nulla di buono.
-Come li hai avuti?-
È una trappola. Mi ha aspettato per tutto questo tempo, cercava l'occasione giusta per darmeli e farmi impazzire.
Non posso leggerli, non adesso.
-Non te lo ha detto? Non li ha mai consegnati.-
-Stai mentendo-
-Perché dovrei, Alexa?-
-Perché questo è il mio punto debole e lo hai sempre saputo-
-Ian è il punto debole di entrambi- ammette con rabbia; deve detestare questo pensiero. Il suo sguardo è così carico di odio che non riesco a reggerlo, non senza che lo stomaco mi si contorca e intrecci su se stesso.

Siamo in una situazione di stallo.
Se lui andasse a riferire ai suoi superiori che conservo gli appunti di Ian e che ne sono ancora legata mi metterebbe in una pessima situazione. Eppure, io potrei fare lo stesso con lui. Cerco di leggere i fogli da lontano, come se toccarli con mano mi danneggiare in qualunque modo.
Riesco a cogliere solo qualche frase: "il soggetto dimostra una...", "quando la situazione diventa ingestibile, lei tende a..." sembrano parole proprio uscite dalla sua penna. Forse Adam non mi sta mentendo.

-Ammesso che tu dica la verità, non potrei tenerli comunque, quindi la tua offerta non mi interessa-
-Perché?-
-Se Cox li trova, mi ammazza- e non sto esagerando, la sua gelosia violenta è una delle cose del nostro rapporto che non riesco ancora a controllare, e dubito che ci riuscirò mai. E non ho proprio voglia di scommettere la mia salvezza in questo modo.
-Ascolta, non mi interessa se li vuoi prendere o lasciare qui, se li vuoi buttare o altro, voglio solo che questa sera la smettiamo ufficialmente di parlare di questa storia-
Detesta questo discorso tanto quanto me, eppure non riesce a smettere di immergersi in questa situazione.
Quando alzo gli occhi sul suo volto mi chiedo se sia sul punto di perdere la pazienza. E per la prima volta da quando sono entrata nella stanza so con certezza cosa farà. Non sono solo ipotesi, lo vedo sotto i miei occhi.
Le visioni sono tornate.
Continuano a sussurarmi gli eventi senza sosta, in una matassa di voci incomprensibili.

Adam prova ad afferrarmi per il collo, ma prima che possa allungare il braccio per farlo ho già visto questo scenario una decina di volte. Schivo la sua presa in modo fluido, quasi inconsapevole.
Ho la testa che scoppia, è l'unica cosa a cui riesco a pensare.
Continuo ad evitare gli attacchi del ragazzo, che cerca di continuo di immobilizzarmi. Avanza in preda alla rabbia nel tentativo di farmi indietreggiare contro la scrivania, ma io conosco ogni suo passo, i sussurri mi indicano quando far cadere la pila di libri tra le sue gambe, così da rallentarlo. Qualsiasi cosa tocco cade nell'istante giusto, l'attimo perfetto perché l'azione riesca.
Ma io non riesco ad essere contenta di tutto questo.
-Questo non è un modo carino di trattare una persona di cui hai bisogno- esclamo distendendomi sul suo letto, e quando il mio capo tocca il cuscino duro sento finalmente la stanza smettere di girare.
Ucciderei per un po' di sertralina.
No, troppo leggera. Ormai è inefficace.
Forse solo il metadone potrebbe stendermi per un po'.
O quanto meno far smettere il brusio che ho in testa. Il controllo sul mio talento è molto più saldo se sono imbottita di farmaci, e in qualche modo gli scienziati della Base lo hanno scoperto.
Alla quinta pillola non sento nulla nella mia testa: non una voce, nemmeno il più piccolo mormorio, non sento nemmeno le emozioni, è tutto vuoto, in pace. E mi manca quella sensazione.

Adam sale a cavalcioni su di me, riuscendo finalmente a bloccarmi sul materasso. Visto che non è riuscito a corrompermi con delle trattative, ha deciso di negoziare con la violenza, l'unica cosa che gli rimane.
Non oppongo resistenza, stare distesa è molto meglio che girare per una stanza che nel futuro ho già visto in ogni angolo.
-Sei più disperato di quanto pensassi-
-Sta' zitta- ringhia a denti stretti.
Appena prova ad afferrare i miei capelli lo vedo rabbrividire, la sua mano si ferma a mezz'aria. Deve aver sentito la punta delle forbici che ho preso dalla scrivania.
-Ti avverto, osa toccarli e non sarò gentile-
Il solo pensiero che potesse tirarli in una morsa come faceva il padre di Jason è bastato per mettermi sulla difensiva.
In ogni visione che ho avuto, ogni volta che lui si avvicinava per stringere i miei capelli ho sempre reagito così.
Non avrei voluto tirare fuori la mia arma improvvisata così presto, ma solo il pensiero delle sue dita tra le mie ciocche scure mi disgusta.
Non li ho tagliati cosicché chiunque potesse tirarli a suo piacimento.
Se li avessi tenuti lunghi mi sarebbe sempre sembrato di avere un punto debole in bella vista, un guinzaglio che chiunque avrebbe potuto afferrare facilmente.
Avrei potuto tenerli costantemente legati, ma non sarebbe stato lo stesso, non per me. Adesso con la mente lucida, lontana dalla notte in cui sono esplosa in un attacco di follia, mi capisco.
E

d è assurdo il fatto che ho dovuto lanciare uno sguardo al futuro per capire il mio passato.

-Ti dirò quello che mi ricordo, ma sia chiaro: non lo faccio per te, ma solo perché ammiravo la persona che eri e lui si merita un mio favore- perché le mie parole siano abbastanza convincenti lascio che la punta delle lame affondi ancora un po' nel tessuto della sua maglia. Solo appena, non voglio fargli troppo male.
Anche se lo meriterebbe.
-So che stai pensando di disarmarmi, quindi lascia che ti faccia risparmiare tempo: ci sono solo due scenari su trentasette in cui riesci a farlo, e ben dodici in cui queste forbici ti si conficcano nel palmo della mano. Vuoi davvero rischiare?- sebbene cerchi di sembrare rilassata sotto lo sguardo del mio assalitore, la mia testa è un caos di voci rumorose. Le sento bisticciare e intrecciarsi tra loro in una trama che non riesco a sbrogliare, di cui posso solo vedere alcuni fili.
Avviene tutto in un attimo, appena il tempo di soffermarsi su un pensiero, che la mia mente si dipinge di scenari che non sono avvenuti, ma che potrebbero realizzarsi se solo io decidessi di percorrerli.
Credendo che io abbia abbassato la guardia, Adam cerca di raggiungere il pugno che tiene saldamente le forbici strette tra le dita. Sospirando lo spingo giù dal letto con le mie gambe, approfittando del fatto che si sia sbilanciato per disarmarmi. Del resto, non opponeva resistenza in un solo scenario, dovevo aspettarmelo.

Il ragazzo cade a terra con un tonfo sordo, rotolando sul pavimento freddo.
-Devi smetterla di sottovalutarmi- mormoro scuotendo il capo, ma appena lo faccio una fitta mi attraversa le ossa del cranio, così dolorosa da mozzarmi il fiato.
Non riesco a gestire tutto questo.
Non riesco nemmeno a pensare con la mia testa.
Sono solo un burattino tra le mani di voci capricciose, nessuna di loro vuole veramente aiutarmi.
Non è un talento, ma una tortura.

Mi trascino verso il bagno, in cerca di qualcosa che possa mandare giù per tornare in me.
Una smorfia si fa strada sul mio viso quando apro la mensola sopra il lavandino.
-Hai solo robaccia- commento ad alta voce mentre frugo tra farmaci che so che non mi aiuteranno. La maggior parte sono cose naturali, integratori o pillole per il mal di testa.
Mi stupisco quando trovo una boccetta di xanax in fondo al ripiano.
-A che cosa ti serve?-
-Me lo hanno dato poco dopo aver assunto il siero per calmarmi- dice tirandosi su con qualche difficoltà, devo averlo colpito più forte del previsto, anche se la maggior parte del lavoro lo ha fatto la gravità.
-Devi essere stato parecchio agitato- e in un'unica volta mando giù due pillole.
-A te il nervosismo non sembra mai essere passato invece- mi lancia una frecciatina, ma in qualche modo lo trovo più cauto rispetto a prima. Credo che il mio repentino cambio di atteggiamento lo abbia colpito, forse perfino fatto dubitare dell'immagine che aveva di me prima.
-Mi terrai sulle spine per tutta la sera? Che cosa stai aspettando?-
Che le pillole facciano effetto, idiota.
Ho bisogno di calmarmi, non sono nelle condizioni per affrontare un discorso del genere.
E l'unica cosa che chiedo ai farmaci è di riportarmi in quello stato di apatia costante, in quella dimensione dove niente può scalfirmi. È l'unico modo che ho se voglio uscire tutta intera da questa conversazione.

-Non sarai tu a dover subire la rabbia di Cox una volta in camera, quindi se permetti decido io quando iniziare-
Il pensiero di Jason furioso attraversa la mia mente solo per un attimo, il tempo necessario perché le voci lo colgano e inizino a sussurrarmi tutte le cose sgradevoli che potrebbe farmi.
Sento già il dolore della punizione.
Adam sbuffa, del tutto disinteressato alle conseguenze della sua richiesta.

Controvoglia mi avvicino ai libri riposti sullo scaffale, facendo scorrere le dita in cerca di qualcosa che possa aiutarmi.
Da qualche parte dovrò pure iniziare.
Dovrei dirgli subito la verità, gettargli in faccia che prima era una persona migliore e adesso uno stronzo senza pietà. Ma per quanto ci provi, le parole non sembrano voler uscire dalle mie labbra.
Forse sarei senza pietà anche io se lo facessi.
-Che cosa non capisci di questi libri?-
La mia domanda lo infastidisce, ma dopo aver perso uno scontro fisico e un tentativo di scambio di informazioni è costretto a stare al mio gioco.
-Ogni cosa. Li sfoglio e non capisco perché sentivo la necessità di tenerli camera, di leggerli e rileggerli. Guardo i miei appunti e sembrano scritti da qualcun altro-
-Come fai a sapere che sono i tuoi allora?-
In risposta mi porge uno dei libri che ho fatto cadere a terra nella nostra piccola controversia. In una pagina campeggia un'illustrazione di grandi dimensioni dove viene mostrato il sistema solare, all'angolo in alto a destra c'è una nota a matita: "Da mostrare a Ian!!! Così capirà che non è il centro dell'universo"
-In tutti i libri c'è uno schema che si ripropone: delle note a matita, poi altre a penna e infine l'evidenziatore e all'occorrenza dei foglietti con idee e altre riflessioni. Credo che l'ordine sia stato proprio questo: matita la prima volta che li ho letti, penna per la seconda e il resto non riesco a quantificare quanto tempo sia passato, sono appunti talmente precisi che mi lasciano pensare che sapessi a memoria quello che c'era scritto nel libro. Dovevano servirmi solo per richiamare alla mente dei collegamenti.-
Rimango sorpresa dalla sua lucidità, dal modo razionale in cui sta cercando di rimettere insieme i pezzi. Se non lo odiassi, forse proverei tenerezza.
Perché so che questo metodo non lo condurrà alla risposta che cerca.
-Tu amavi queste cose, Adam- commento nel tentativo di far risalire in superficie la sua parte emotiva, ammesso che esista ancora.
-Perché?-
La sua risposta mi lascia interdetta.
-Perché cosa?-
-Perché mi piacevano? Cosa ci trovavo di interessante in tutte queste nozioni di cose che non ho mai visto?- più mi incalza più sembra innervosirsi. Deve convivere con questa rabbia ogni giorno, eppure non sembra ancora aver imparato come controllarsi.
Rimango in silenzio, aspettando che si calmi, anche se so che ho davanti una bomba che potrebbe esplodere in ogni momento. Anche se non sono io il motivo della sua ira, non posso non pensare che potrebbe trascinarmi nel baratro con sé nel caso in cui perdesse le staffe. E io non voglio sapere che cosa c'è in quell'abisso ad aspettarmi.
-Erano la tua passione. Ti piaceva studiare il sole, il moto dei pianeti, le strutture delle case e l'architettura. Guarda- e gli indico dei fogli di appunti rimasti incastrati tra le pagine.
-Ci sono progetti di abitazioni, ponti, addirittura di organi e arti meccanici per uso medico. Sono tutte cose che hai progettato per aiutare gli altri-
-Sono sciocchezze-
Non riesce nemmeno a guardarle, non sul serio.
Le pagine rimangono sul letto, sparse in modo scomposto, in attesa di un riconoscimento da parte del loro padrone.
E lui non riesce nemmeno a sopportare la vista delle sue stesse parole, scritte a penna su ogni progetto, cariche di una speranza che adesso sembra solo un sogno.
Non c'è nulla di quella persona che sia rimasto in questa stanza oltre le sue idee. E vorrei che bastassero a permettergli di ritornare indietro, lo vorrei così tanto.
Vorrei che rileggendo i suoi appunti Adam potesse ricordarsi di chi era e di chi aveva intenzione di diventare, e scordarsi per sempre di chi è adesso.
-La verità è che non ti piace più nulla, non solo "queste sciocchezze" come le hai chiamate tu-
-Che intendi?- il suo tono sembra sorpreso, anche se non ha abbandonato l'irritazione iniziale.
Mi costringo ad alzare lo sguardo sforzandomi in modo quasi doloroso
-Dimmi qualcosa che ti piace, qualsiasi cosa.- non è una sfida, né una provocazione, anzi, è quasi una supplica. Voglio che mi provi che mi sbaglio, che c'è ancora una piccola parte di lui che posso raggiungere.
-Che problemi hai, Alexa? Che razza di richiesta è?-
-Una di quelle importanti e che potrebbe aiutarti a capire-
-Non vedo come possa fare a...-
-A me piace dormire fino a tardi. Mi piace la pioggia e vedere le gocce che si infrangono sugli oggetti. Mi piace il cioccolato, quello fondente. Mi piace quando cerco di non ridere e poi non ci riesco. Mi piace l'odore dei vestiti appena lavati e mi piacevano i miei capelli lunghi.-
Per la prima volta ci guardiamo sul serio, senza che nessuno dei due voglia scappare da questa conversazione. Osservo i suoi occhi scuri, la fronte aggrottata e le labbra leggermente dischiuse. Sento ancora l'eco della mia voce tormentarlo, proprio come faceva il futuro con me.
E so quanto possa essere opprimente.
-Posso continuare all'infinito. Io ti chiedo una sola cosa, me ne basta una-
Ma lui non risponde.
Lo vedo cercare di articolare qualcosa, eppure non è mai sufficiente da formulare una frase all'altezza della mia richiesta.
Rimaniamo in silenzio, in attesa di qualcosa che non avverrà.
Guardo i suoi occhi spenti e ho l'impressione che continuando ad osservarli anche i miei potrebbero diventare così vacui, come se la sua maledizione fosse contagiosa.
-Direi che non è necessario continuare- provo ad alzarmi dal letto, ma lui mi trattiene per il braccio.
-Dove credi di andare? Non mi hai rivelato proprio nulla- la sua voce è meno adirata di prima, la sua rabbia sembra essersi trasformata in delusione. Forse ha capito che non può avere da me le risposte che cerca, che non può averle da nessun altro.
All'improvviso la sua stretta sulla mia pelle si rafforza e i suoi occhi tornano a tingersi di quella sfumatura furiosa che non gli appartiene.
Mi irrigidisco sotto il suo sguardo austero, che mi spinge inevitabilmente a tornare sulla difensiva.
-Proprio non ci arrivi, eh?-
-Se è un altra delle tue cazzate, no, non ci arrivo, Alexa-
La sua risposta mi fa alterare più di quanto mi aspettassi, e posso sentire con chiarezza il mio autocontrollo venire meno.
-Tu non sei più un essere umano, sei solo un burattino che obbedisce agli ordini. Tutto quello che ti rendeva speciale te lo hanno tolto cercando di controllarti. Quindi smettila di cercare di ricostruire il tuo passato o la tua identità, perché se non ti dico in faccia che adesso fai schifo è solo per farti un favore- provo a liberarmi ma le mie parole sembrano aver peggiorato la morsa in cui sono imprigionata.
Più oppone resistenza più la mia bocca si lascia scappare frasi che avrei dovuto tenere nella mia testa.
È solo colpa sua se mi trovo in questa situazione.
Se lui non fosse stato il fattore imprevedibile del nostro piano a quest'ora non mi ritroverei qui.
È solo colpa sua se quelle persone sono morte, anche se è stata la mia mano a farlo.
-Sono sicura che il vecchio Adam detesterebbe sapere della fine che ha fatto-
Dovrei smetterla.
Sto perdendo il controllo.
Ma le parole continuano a scorrere dalle mie labbra senza che io possa fermarle, assecondano l'ondata di disprezzo che mi ha travolto.
-Non vali nemmeno la metà di lui. Era un ragazzo così dolce e...-
Continuo a dimenarmi alla cieca, la vista offuscata dagli occhi lucidi.
È colpa sua se sono qui.
È stato lui a farmi questo.
-Cosa, Alexa?-
-Ringrazia che Ian tiene a te, altrimenti ti avrei ucciso quella sera-
Lo avrei fatto, non ho dubbi.
Se lui e Ian non fossero stati così uniti, niente mi avrebbe impedito di farlo fuori prima che potesse anche pensare di diventare una minaccia per noi.
Invece che picchiarmi per quello che gli ho detto, rimane ad osservarmi per qualche secondo come se stesse valutando le mie intenzioni, poi mi lascia andare.

-Che cos'ero per Ian?-
-Eravate fratelli. Forse per lui lo sei ancora- ammetto con una smorfia.
Non vedo Ian da quella sera, ma so che nonostante tutto non ha smesso di tenere a lui. Qualsiasi cosa Adam sia diventato.
-Io non ricordo quasi nulla di questo. Sento solo una gran rabbia nel petto ogni volta che ci penso. Ogni volta che ricordo che mi ha lasciato solo qui dentro, io che volevo solo andarmene. So che lo volevo perché ho trovato degli appunti, un diario dove ne parlo. Il sole, gli edifici moderni, l'arte, tutto quello che sognavo di vedere ora non significa nulla per me.-
Si allontana da me per sedersi sul letto, non mi guarda nemmeno mentre parla.
-La solitudine è uno dei pochi ricordi che mi sono rimasti. Ci penso spesso.- sussurra guardando il vuoto.
-Siamo tornati a prendervi, noi n-
-È stato troppo tardi!- sbraita perdendo il controllo. Subito dopo si copre il volto con le mani, come se potesse diventare invisibile al mio sguardo.
È anche colpa mia.
Ho spinto io Ian ad andarsene.
Forse se fossimo rimasti, se avessimo iniziato a cambiare le cose dall'interno, forse Adam o chissà quanti come lui non sarebbero finiti in questo stato.
Non è veramente colpa sua.
Adam sta pagando il prezzo dell'avidità di qualcun altro.
Hanno visto la sua mente geniale e si sono chiesti se potevano averne di più, se potevano spingerlo al limite e al tempo stesso controllare ogni parte di quell'intelligenza.
Il ragazzo seduto sul letto poco distante è solo un errore.
Anche se gli avessi raccontato la sua vita dal primo giorno fino ad oggi, lui non avrebbe trovato quello che sta cercando. Non può rimettere insieme i pezzi perché non ha più un'identità unica a cui fare riferimento.
I suoi pezzi non combaciano.

Quasi in punta di piedi raccolgo il libro che nello scontro è finito a terra, pronta per sgattaiolare via in fretta.
Ma qualcosa mi impedisce di attraversare la soglia, per la seconda volta durante serata questa stanza mi trattiene a sé.
-Mi dispiace per quello che ho detto- borbotto dopo un respiro profondo.
Entrambi ci siamo esposti troppo in questa conversazione. Entrambi pensiamo cose che non dovremmo pensare.
-Non mi importa-
-A me sì-
-Vuoi solo avere la coscienza pulita-
-Che c'è di male in questo?-
I miei occhi tornano lucidi e sento le guance pizzicare.
-Il vecchio me ti avrebbe perdonato?-
-Non... Non lo so- è stupido anche solo pensarci in questo momento.
-Vattene-
Afferro la maniglia della porta con forza, quasi aggrappandomi per non andare via.
-Sei mai stato in superficie?-
-No- la sua risposta è secca come le precedenti.
-Dovresti. Ti sarebbe piaciuto-
-Non ho interesse nell'uscire dalla Base. Adesso vattene, Alexa-
-Lascia che te lo racconti- sussurro ancora con il viso rivolto verso la porta, le labbra che per poco non toccano la superficie in legno.
-Ti prego...- aggiungo in un soffio che non so se voglio che senta. Il ragazzo fa un respiro profondo e per un po' rimane l'unico suono in tutta la stanza.
-Fa' in fretta-
Le sue parole mi scongelano dalla paralisi, lasciando che le mie spalle si rilassino dopo che sono state a lungo tese.
-L'aria è diversa. È quasi speziata, come se qualcuno avesse scagliato nell'atmosfera migliaia di odori. Alcune volte puoi sentire il vento accarezzarti la pelle, e anche se hai le gambe fasciate dai pantaloni puoi sentire comunque il suo tocco freddo. Ci sono edifici maestosi che alcune volte sembrano accerchiarti, e ti fanno sentire piccolo come una formica. E il sole...forse ti sarebbe piaciuto nonostante tutto-
-Che significa?- anche se cerca di mantenere un tono neutro, si lascia scappare una punta di curiosità nella voce.
-Non si può guardare direttamente. Ha come un bagliore intenso che ti costringe a chiudere gli occhi. Sembra una biglia dalla terra. E tutto ciò che avvolge sembra risplendere e cambiare colore sotto la sua luce. È rassicurante.-
Il ragazzo che un tempo avrebbe fatto una centinaia di domande rimane in silenzio e io non ho il coraggio di voltarmi per guardarlo.
So che non salirà mai in superficie a meno che non glielo ordinino.
Ma volevo che una parte di lui sapesse com'è il mondo che ha sempre sognato.

Esco dalla stanza sbattendo la porta per la fretta e con le guance ancora bagnate corro verso la camera di Jason. Per un attimo sono tentata dal cambiare strada, dal nascondermi e dormire da un'altra parte così da non dover fare i conti con il mio istruttore, ma sono certa che scappare peggiorerebbe solo la situazione.
Come sempre d'altronde.
Eppure il mio primo istinto è sempre quello: scappare dalla conversazione con Adam e dalla furia di Jason, correre e mettere in salvo la pelle fino a quando non sarà sicuro per me uscire.

Una volta entrata vengo accolta dal buio della camera, un'oscurità appena lacerata dalla luce soffusa di una lampada da comodino.
Jason è seduto sul letto, la sua camicia riposa appallottolata poco distante.
Mi chiedo quanto ci metterà per slacciarsi la cintura e prendermi a frustate. Lo so che lo farà, l'ho già visto.
E sebbene i farmaci abbiano zittito temporaneamente le voci del futuro, ricordo bene i loro sussurri maligni.
-Ti posso spiegare...- inizio, ma il mio tono è incerto, straziato dai continui sbalzi di umore e dal pianto di poco prima.
-Chi ti ha detto che io voglio sentire le tue scuse?- ha ripreso il ruolo di istruttore, perfino il suo viso sembra essere cambiato sotto il tocco dell'ombra.
So che vuole che io mi inginocchi, che strisci fino ai suoi piedi e che lo supplichi di perdonarmi. Ma non ha intenzione di farlo né che io stia a terra né che mi regga in piedi, quindi non ho intenzione di umiliarmi per l'ennesima volta.
-Jason, ascolta-
-Non osare chiamarmi per nome-
Non temo la durezza delle sue parole, è quello che si cela sotto esse che mi fa tremare. Al contrario di Adam, ogni sfumatura della voce di Jason, anche la più piccola, mi lascia intuire che sotto l'atteggiamento freddo si cela una rabbia che arde e freme per essere liberata. Sta solo aspettando il momento giusto.
-Avevo bisogno di recuperare una cosa- mi avvicino con cautela, come per farlo abituare alla mia presenza. È più di mezz'ora che mi aspetta, deve aver fantasticato a lungo su cosa io possa aver fatto in sua assenza.
-Mi hai mentito- è lapidario, non c'è modo di distoglierlo dalla sua convinzione.
-No, non l'ho fatto- non mi preoccupo di fingere perché questa volta sono sincera. Mi serviva veramente che lui andasse a quella riunione per sapere i piani di mio padre, e non gli ho mai veramente promesso che sarei rimasta in camera.
Quando si alza dal materasso, il mio corpo indietreggia all'istante, colto da un istinto che non potevo prevedere.
Non voglio fargli vedere che ho paura.
Non voglio avere paura di lui.
L'unica cosa che può farmi è picchiarmi e questa non sarebbe una novità. L'ha già fatto numerose volte e sono sempre sopravvissuta.
Ma adesso una parte di me teme di tornare al punto di partenza, di aver perso tutti i sacrifici compiuti per arrivare fino a qui, per far in modo che si fidasse di me.
-Hai organizzato tutto in modo magistrale, mi congratulo con te. Hai fatto in modo che uscissi per poter sgattaiolare chissà dove-
A ogni passo che fa verso di me sento il fiato morirmi in gola, non riesco nemmeno a ribattere alle sue accuse.
-Dimmi, Alexa, dove sei stata? Cos'è che adesso puoi spiegare ma che prima, appena tre ore fa, non potevi? È curioso, non trovi?-
Dei brividi talmente forti mi attraversano la schiena che non la smetto di tremare nemmeno quando ci troviamo faccia a faccia.
Riconosco questo lato di lui, è il lato peggiore. Questo tono sadico, le battutine maligne e lo sguardo fisso, così diretto che ti inchioda sul pavimento; non è mai stato tanto simile a suo padre prima.
-Avevo bisogno di questo libro, sapevo che Adam sarebbe andato alla riunione. Credo che sia importante per- provo a porgergli il libro ma lui lo lancia a terra senza nemmeno concedergli uno sguardo, i suoi occhi furiosi sono solo per me.
-Ho solo colto un'occasione. Tutto qui- alzo il mento in un ultimo monito di spavalderia.
-Ma che brava. Sei così intelligente per essere poco più che una bambina. Talmente tanto che riesci a ingannare chi vuoi con facilità, vero?-
-Non volevo ingannarti, né tradirti o qualsiasi altra cosa tu stia pensando adesso. Ti prego, credimi- pignucolo come un cucciolo, non mi rimane altro da fare.
Al suono delle mie parole il suo viso si distende leggermente, per un attimo i suoi occhi abbandonano il rancore che sembrava abitarli.
Il suo palmo ruvido si posa sulla mia guancia, insinuandosi sotto i capelli.
-Io mi fidavo di te- sussurra senza smettere di accarezzarmi la pelle con il pollice.
-Non hai motivo per non farlo, Jason- mi avvicino più che posso alle sue labbra, cercando di essere convincente. Lo vedo provare a resistere ogni volta che lo sfioro, qualsiasi traccia della sua rabbia sembra essere sparita, sembra quasi un ricordo lontano. Si trattiene quando cerco di baciarlo, e i suoi muscoli rimangono rigidi anche se le mie dita gli lambiscono il petto.
-Avanti, vuoi dirmi sul serio che preferisci rimanere arrabbiato con me tutta la notte?-
E appena la sua lingua si fionda nella mia bocca non riesco a trattenere un sorriso.
Ci sono riuscita.
Sono così contenta che strattono Jason a me in una morsa salda, quasi affamata. Non è il suo corpo che mi piace assaggiare, ma il sapore del potere, di ciò che ho conquistato con le lacrime. Non sono mai stata così contenta di essere tra le sue braccia.
Ogni singolo bacio sa di vittoria e ogni  volta che schiaccia il mio corpo con il suo gioisco per la punizione che non ho ricevuto.
Ho vinto. Finalmente.

Il mio istruttore mi blocca contro il muro, senza mai smettere di toccarmi, come ogni volta le sue mani sono frettolose e avide.
Non accenna a volermi togliere i vestiti, solitamente la mia maglia è la prima cosa che fa sparire.
D'un tratto sento la sua mano chiudersi intorno alla mia gola, una presenza a cui ormai sono abituata. Non accenna a voler smettere di baciarmi, anzi, il ritmo diventa ancora più intenso e inizia a catturare le mie labbra tra i denti, tirandole ogni volta che ne ha l'occasione.
Ma le sue dita, così come i suoi denti, affondano sempre di più nella mia carne, scavando con i polpastrelli la pelle tesa del mio collo.
Cerco di allontanare la sua mano con delicatezza, senza interrompere le effusioni.
Ma per quanto ci provi, lui non accenna a voler assecondare la mia richiesta, e continua a baciarmi anche quando riesco appena a respirare.
-Credevi che sarebbe stato così facile?- mormora lasciandomi un bacio sulla guancia, ormai le mie labbra riescono solo a boccheggiare in cerca di aria.
-Tu pensavi sul serio di cavartela così? Che del sesso avrebbe potuto farmi dimenticare cosa mi hai fatto? Ascolta Alexa, se io ne avessi avuto veramente voglia, me lo sarei preso all'istante-
I suoi occhi incontrano i miei e mi sento così stupida per aver creduto che quello sguardo si fosse volatilizzato in così poco tempo. È il tipo di sguardo che lascia una macchia sul viso, che lo trasforma completamente. Jason l'ha solo camuffato per osservare la mia reazione, godendosi ogni secondo del mio sollievo.
Quando lo guardo non vedo traccia dell'uomo che mi ha salutato prima della riunione, mai avrei associato quell'uomo a suo padre. Questo invece, sembra la copia esatta.
-Ti prego, Jason- chiudo gli occhi con forza nel tentativo di concentrarmi sulla respirazione, ma presto non avrò nessun respiro da regolare.
-Per quanto mi piaccia il mio nome sulle tue labbra, questa volta non ti salverà-
È furioso.
Ha iniziato appena a vedere la mia strategia e ribolle di rabbia; non voglio essere presente il giorno in cui scoprirà tutto quello che ho fatto.
Ammesso che io ci arrivi.
-Jason, lo...lo sai che non potrei mai tradirti. Ho b...bisogno di te- riesco appena a parlare. Non so per quanto voglia continuare a giocare con le mie vie aeree, ma sono quasi al limite.
Sento il corpo pesante, non riesco più a muovere le braccia, figuriamoci ad opporre resistenza.
-E perché mai? Credevo che fossi tanto brava a cavartela da sola-
-Ti prego- mi è rimasto solo un filo di voce, non capisco nemmeno se lui possa sentire o no le mie parole.
-Perché ti amo-
È l'ultima carta che avevo a disposizione. E ho scelto di consumarla proprio adesso. Me ne pentirò presto.
Le dita di Jason allentano la stretta intorno al mio collo, senza però lasciarlo andare, eppure mi basta quel briciolo d'aria in più per iniziare a sentirmi meglio. E non ho tempo da perdere se voglio uscire da questa situazione.
Mi basta premere leggermente con le dita sul fianco del mio istruttore, nel punto dove so che c'è l'ematoma. Una piccola pressione basta per costringerlo ad allontanarsi sofferente, appena per un istante, quei secondi necessari che mi permettono di sfuggirgli e correre in bagno. Anche se ho ancora la testa che gira e i muscoli addormentati, riesco a scappare e a chiudere la porta a chiave.
Con mia sorpresa lui non cerca di entrare, non bussa alla porta e non fa pressioni sulla maniglia.
Tutto quello che è successo poco prima sembra solo l'ennesimo scherzo della mia testa.
Mi lascio andare contro la superficie in legno, fino a quando non mi siedo sul pavimento esausta.
I miei polmoni bruciano per lo sforzo, tornare a respirare è sempre faticoso.
E sebbene le mani di Jason non siano più sulla mia gola, faccio ancora fatica a respirare. Non posso fare altro che rannicchiarmi aspettando che passi.
-Alexa, lasciami entrare-  se è ancora in preda allo scatto furioso di prima lo nasconde perfettamente.
Non rispondo.
Mi limito a nascondere la testa tra le mie braccia mentre la stanza inizia a ruotare in modo confuso. Non sembra esserci abbastanza aria per me, e il nodo che ho in gola non fa che stringersi sempre di più.
-Ascoltami almeno- mi intima da dietro la porta, non prova nemmeno ad aprirla.
Adesso che sono debole le voci tornano a prendere il sopravvento, straziando la mia testa con i loro sussurri. Quando sono così tante e incontrollabili non riesco nemmeno a capire cosa stanno dicendo: ognuna è ambasciatrice di un futuro diverso, le probabilità di trovare quella che dice la verità sono minime.
-Alexa, devi concentrarti sulla mia voce-  deve sentire gli effetti del mio attacco di panico, altrimenti non mi spiego il suo cambio di atteggiamento.
Provo a tapparmi le orecchie, ma non faccio altro che chiudermi in me stessa e nel mio delirio.
Le sento continuamente: parlano di morte, di cose atroci a cui non voglio assistere, neppure con la mente.
Il peso sul petto non fa altro che crescere a dismisura, ostacolando ogni mio respiro. A ogni boccata d'aria devo sollevare questa mole invisibile da sola, e non so per quanto ancora ne varrà la pena.
-Devi calmarti, va tutto bene. Fidati- la sua voce profonda mi urta più delle altre. Sono costretta ad ascoltarla per uscire da questo incubo.
-Se mi ascolti finirà presto-
Perché dovrei credergli?
È la persona che mi stava strozzando fino a pochi minuti fa.
Minuti? Quanto tempo è passato? E quanto ancora ne resta?
-È importante che tu continui a respirare-
Non ci riesco.
È sempre più difficile.
I polmoni mi fanno male per lo sforzo ogni volta.
Da dietro la porta sento i respiri profondi di Jason: sono lenti, rilassati, tutto il contrario dei miei piccoli ansimi.
Cerco di regolarmi al suo ritmo, anche se la gola mi pizzica ogni volta che inspiro così tanto e la mia cassa toracica sembra puntinata da spilli.
Perché fa così male?
È assurdo che sono costretta a imparare di nuovo qualcosa che ho sempre dato per scontato, qualcosa di così naturale. Forse se fossi svenuta sarebbe stato meglio.
Adesso le voci si sono ridimensionate, le sento ancora borbottare nella mia testa dolorante, ma il caos iniziale è decisamente sparito.
-Continua. Non cercare di accellerare- mi avverte con il suo tono serio.
Ascolto ancora il suo respiro, concentrandomi solo su come imitarlo.
Quando lui si allontana dalla porta del bagno io continuo a fare respiri profondi, quasi cullandomi con questo ritmo a cui mi sono abituata.
Appena ogni singola voce si è spenta e il peso nel petto rimpicciolito, mi alzo barcollando, quasi inciampando sui miei stessi piedi, e mi dirigo al lavandino.
Ho la faccia consumata dal pianto e dallo sforzo e ho appena le forze per reggermi da sola. Mi lavo come posso, sperando che l'acqua fredda mi dia le forze per affrontare la conversazione imminente.
Ruoto la chiave e rimango in attesa della mossa del mio istruttore. Non ho idea se sia rimasto attaccato alla porta ad aspettarmi o se abbia rinunciato a braccarmi.
Nessuna reazione.
Mi faccio coraggio e esco a passo incerto dalla piccola stanza. Scorgo la sua schiena nuda illuminata dalla lampada del comodino, l'unica fonte di luce della camera. È seduto sul letto e mi dà le spalle, ma appena sente la mia presenza alza la testa.
-Stai meglio adesso?- il suo tono non lascia trasparire particolare apprensione, ma nemmeno l'ira che lo governava prima.
-Sì, grazie- sussurro imbarazzata.

Jason si avvicina a me e sono costretta a combattere con l'istinto di arretrare e nascondermi di nuovo in bagno. Rimango ferma, tormentata dai brividi che crescono ogni istante in cui lui è più vicino. Mi porge una pillola che nascondeva nel pugno.
-Che cos'è?- per la prima volta nella serata i miei occhi si illuminano. Anche se avrei preferito di gran lunga che me l'avesse passata da sotto la porta del bagno durante la crisi.
Sarebbe stata più utile.
-Metadone-
I brividi diventano più forti, e forse lui lo ha notato.
-No, non posso- distolgo lo sguardo in fretta.
In risposta sbuffa divertito, sembra essere completamente a suo agio in questa situazione.
-Lo so perché non puoi. O pensi che io sia così stupido da non aver notato nemmeno questo?-
Rimango in silenzio tenendo gli occhi fissi a terra.
-Ti ricordo che io sono chi ti deve tenere sottocontrollo. So quante pillole prendi al giorno e di che tipo. So anche che succede se non le prendi-
Non credevo se ne fosse mai accorto.
Significa che sa che uso spesso i suoi farmaci?
Come ho fatto a sottovalutarlo così tanto?
-Il metadone è troppo pesante, e poi è un oppioide, crea dipen-
-Lo so, saputella. Lo so meglio di te. Ma ne hai bisogno, stai tremando come una foglia e non chiuderai occhio questa notte-
Non ha torto.
Ma lui non dovrebbe spingermi ad assumere farmaci, dovrebbe dissuadermi, impedirmi di farlo in ogni modo, pure lasciarmi in astinenza se è necessario; questo è quello che farebbe Ian.
-Perché non hai mai detto nulla?-
-Perché ti ostini a rinfacciarmi che hai vent'anni e che sei un'adulta ormai, quindi te la sbrighi da sola.-
-Allora perché adesso mi stai tentando in questo modo?-
-Oh ma non è una proposta, è un ordine. Una conseguenza diretta delle tue azioni-
Avvicina di nuovo il palmo al mio viso, costringendomi a fissare la pasticca bianca.
Ho già preso troppi farmaci oggi.
Ma più la osservo più il mio corpo desidera quella sensazione di pace che solo il metadone può offrirmi. Non è qualcosa di reale, è costruita chimicamente.

Serro le labbra mentre la mia testa scuote via questi ultimi pensieri.
Non avevo intenzione di assumere farmaci quando sono uscita dal bagno, non è quello di cui ho bisogno adesso.
-Magari dopo-
Jason mi rivolge uno sguardo perplesso, appena illuminato dalla lampada.
-Dopo cosa?-
-La tua punizione-
Detesto averlo detto, ma è necessario. Scappare da questo mi ha solo portato problemi.
Ancora una volta lo vedo sbuffare divertito, in maniera più esplicita, e con la mano libera mi avvolge il fianco, tirandomi verso di sé.
-Non questa sera, Alexa-
-Invece devi- appena realizza che sono seria anche i suoi occhi fanno altrettanto.
-No-
-Sto bene-
-Ti ho detto di no-
Con la sua ultima frase si lascia scappare un po' della stessa ira di poco prima, e so di star camminando su un filo molto sottile. Rischiare un altro attacco di rabbia come il precedente è l'ultima cosa che voglio, soprattutto se nel mentre mi sto sacrificando sotto le sue mani.
-Se non lo fai adesso le cose tra noi non ritorneranno mai come prima. Penserai che l'ho scampata e che potrei rifarlo ogni volta che voglio. E non ti fideresti più di me. Anche io ti conosco molto bene, Jason.-
Non osa ribattere o darmi torto.
Ho ragione e non può andare contro la sua stessa logica. E io non voglio perdere gli sforzi di settimane in questo modo.
-Non sei nelle condizioni- è l'unica cosa che lo trattiene, ma è da quando sono entrata nella sua stanza che so che lo farà comunque. Ho provato a prendere un'altra strada, a non incappare nel futuro che avevo visto, ma non è stato possibile.
-Starò meglio dopo che avremo finito- mi allontano da lui e dandogli le spalle mi tolgo la maglia.
Questa volta non ho paura.
L'avremmo fatto una discreta quantità di volte, e quando non era lui, qualcun altro era sempre pronto a farlo.
Tra le frustate e un'altra conversazione con Adam preferisco senza dubbio la prima opzione.
Mi siedo in ginocchio accanto al materasso e alla lampada: non è piacevole se lui non può vedere la mia schiena tingersi di rosso.
-Quante?- chiedo mentre lo sento sfilarsi la cintura che ha indosso. L'ho notata prima, non è la peggiore che io abbia assaggiato.
Jason si avvicina, mi sposta i capelli dietro le orecchie e sussurra:
-Non sarebbe una punizione se ti dicessi a che numero dobbiamo arrivare. Di sicuro ne riceverai una in più perché mi hai detto che mi ami- e con la mano destra scende lungo il mio corpo, analizzando i punti in cui potrebbe colpirmi, gli spazi vuoti privi di cicatrici. Dovrà faticare per trovarli.
Mentre mi accarezza non posso fare a meno di pensare a come il mio asso nella manica mi si è rivolto contro.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Era troppo presto per dirlo.
Che stupida.
Adesso ho bruciato un'ottima occasione e devo pure subirne le conseguenze.

La prima frustata arriva all'improvviso. Non avevo nemmeno sentito che si fosse allontanato.
È stata più la sorpresa che il dolore.
La riscoperta di una sensazione che non provavo da un po'.
Per la seconda sono già preparata con il palmo premuto sulla bocca per non urlare. Non è cambiato in questi anni: il secondo colpo lo dà sempre nello stesso punto del primo, dove la pelle è ancora arrossata.
-Ti ostini ancora a coprirti con la mano per non fare rumore? Andiamo, Alexa, lo sai che dopo i sette colpi non riesci a non urlare-
Sistemo meglio i gomiti sul bordo del letto, spiegazzando le lenzuola ancora di più.
-È fino a nove comunque- lo correggo con una punta di orgoglio. Lui ride leggermente e questo mi consola, sono sulla buona strada per farmi perdonare.
-Immagino che lo scopriremo-

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