Capitolo 36
Alexa
I suoi occhi azzurri mi studiano in silenzio.
Sostengo il suo sguardo senza mostrare alcun timore, come se non sapessi perché mi ha convocato.
D'altronde non ho mandato giù quattro pillole di sertralina per nulla.
Ho bisogno di tutta la calma che i farmaci possono fornirmi, anche se rischia di sfociare nell'apatia.
Non posso cedere ai suoi trucchetti, non oggi.
So che mio padre non si fida di me e questa ultima mossa non deve averlo reso felice.
A cosa sta pensando?
Si chiederà che cosa ha sbagliato, perché non mi può manovrare come una marionetta nonostante il siero.
Quando dischiude le labbra per avviare una conversazione, si limita a un banale: - Come stai, Alexa?-
Grazie per l'interesse.
Sto alla grande nonostante io venga continuamente umiliata e molestata da un tuo sottoposto. Che è lo stesso che si diverte a giocare con le scariche elettriche durante i test. Però non preoccuparti, davvero, grazie a una folle relazione con l'uomo che mi ha picchiato per anni e l'aiuto di diverse dosi di farmaci sto veramente bene.
Tu invece mi sembri un tantino indifferente a tutto questo, vero Arthur? O sei molto distratto o non te ne sbatte un cazzo.
Tutto quello che vorrei dirgli rimane nella mia testa, e io mi limito a seguire il copione e a rispondere con uno stupido: - Sto bene, tu?-
-Bene, grazie. Anche se devo confessarti che sono un po' preoccupato...-
Ecco che inizia.
Ora mi farà credere che il suo interesse principale sono io e non il suo esperimento.
E non riesco nemmeno a essere arrabbiata per questo. Non mi aspetto niente di diverso da lui. Devo solo allontanare queste emozioni negative prima che mi governino.
-Quello che è successo è davvero molto grave, spero che tu te ne renda conto- è serio, ma non lascia trasparire rabbia dalla sua voce, riesce sempre a controllarsi molto bene.
È quasi impossibile capire ciò che pensa veramente. Immagino che questa sia l'abilità che lo ha portato così in alto.
E spero di aver ereditato un briciolo di questo autocontrollo perché sento già lo stomaco contratto sotto il peso delle sue parole.
-Assolutamente- ammetto, ma non abbasso la testa in modo colpevole, anche se so che è l'atteggiamento che si aspetta da me.
Un piccolo angolo della mia testa vuole accontentarlo, vuole compiacerlo in modo disperato.
E sono costretta a tener a bada questa parte più spesso di quanto non desideri. Mi fa sentire debole.
So di avere dei punti facilmente attaccabili, che mi ridurrebbero in ginocchio se solo qualcuno li sfruttasse contro di me.
E per quanto cerchi di non mostrarli, so che prima o poi mi colpiranno proprio lì. Posso fare finta di non averne, ma li troveranno presto, è questione di tempo.
Alcune volte faccio una lista e cerco di mettere a riparo le mie debolezze, di proteggerle come posso.
Ian è la più ovvia. Se mai gli succedesse qualcosa per me sarebbe la fine: crollerei in un istante.
Il mio legame con Jason è un altro elemento che mi indebolisce, ma l'unico che può controllarlo è il mio istruttore stesso. Mi fido abbastanza di lui da sapere che non possono spingerlo a rivoltarsi contro di me.
Ho coltivato il nostro rapporto in modo attento, so che morirebbe per me. Eppure non riesco a smettere di pensare a quando mi sono intromessa tra lui e suo padre. L'ho fatto solo d'istinto o perché era lui?
Ho ucciso persone innocenti, ho assistito alla loro esecuzione; se un giorno dovessi scegliere tra la vita di Jason e la mia, che cosa succederebbe?
Quando non riesco a dormire mi lascio torturare da queste domande, e stupidamente cerco le risposte nel buio della mia camera, immersa in un silenzio asfissiante.
E spero di non dover mai scoprire la risposta alla luce del giorno.
-Il signor Cox è un tuo superiore, dovresti rispettare la sua autorità-
Stringo i pugni attorno ai braccioli della sedia per soffocare ogni reazione.
-Stava picchiando suo figlio-
-Questo non rende falsa la mia affermazione, Alexa- mi ribecca lasciandosi sfuggire un sorriso, come se fossi una bambina che ha sbagliato a pronunciare una parola.
-No, ma non rende nemmeno la mia reazione incomprensibile-
-Non ho mai pensato che fosse incomprensibile, solo eccessiva. Quell'uomo è ancora costretto al letto, non potrà tornare in servizio ancora per un'altra settimana- sta cercando di punzecchiarmi con le sue parole, vedere come reagisco. Mi sta mettendo alla prova. Forse una parte di lui spera di potersi fidare di me. Di dimenticare questa storia della pistola e di Cox in fretta, per tornare a fingere di essere il padre perfetto.
-Cosa avrei dovuto fare?- è inutile stare ai suoi giochetti, voglio che mi dica esattamente cosa si aspettava da me. Cosa la sua figlia ideale avrebbe fatto. Perché è chiaro che io non sia quello che lui si era immaginato, quello che sperava che io fossi.
-Nulla, Alexa. Non era un tuo compito punirlo-
-Perché, qualcuno lo avrebbe fatto? Qualcuno si sarebbe messo contro di lui?- il mio sguardo incastra il suo, nel caso in cui le mie parole affilate non siano state sufficienti.
-Non sei tu a valutare il comportamento del signor Cox. La tua visione di giusto o sbagliato è irrilevante, Alexa. E anche fortemente alterata dalle condizioni in cui hai vissuto. Non puoi estenderla al mondo dichiarandola oggettiva-
No.
Non posso.
Perché la visione del bene o del male che regna qui dentro è già la tua.
Le sue risposte sono secche e calcolate, spoglie da ogni sentimento. Se all'inizio della conversazione si era sforzato di mostrarsi deluso, forse in un tentativo di far leva sul mio senso di colpa, adesso ha rinunciato a questa tattica.
Vorrei dirgli che Cox mi ha molestata. Vorrei avere il coraggio di rinfacciargli la verità che aleggia in questa stanza. Il pensiero che lui finga di non saperlo mi manda fuori di testa.
-Quindi, la prossima volta in cui ti ritrovi in una situazione del genere, ti prego di non intervenire-
-Proprio come fai tu, vero papà?-
Una singola frase. Talmente affilata che non mi stupirei se lui iniziasse a sanguinare.
Sono caduta nella sua trappola.
E adesso non posso far altro che mordermi il labbro per impedire ad altre parole di sfuggire al mio controllo.
Quattro pillole non sono state sufficienti a calmarmi. Questo dosaggio è già inefficace. Covo rabbia e delusione da quando ho messo piede qui dentro. No, da molto prima. Da quando ha iniziato con i test su di me, da quando ha visto con i suoi occhi quello che Cox mi faceva e non ha osato muovere un muscolo. Perfino Jason ha mostrato più sensibilità.
E dovrei fingere che non mi importi, ma sento ogni parte del mio corpo tremare dalla collera, come se fossero diventate il megafono della mia sofferenza.
Con quella frase ho perso, ma ho intenzione di portare anche lui giù con me.
Il suo sguardo si intenerisce, ma non come ha sempre fatto: quel sentimento composto di vaga approvazione che mi mostrava con un piccolo sorriso; adesso vedo qualcosa di diverso. È come se avesse abbandonato la maschera imperturbabile a favore di una più caritatevole. Nemmeno questa mi sembra la verità.
-Perché non sei mai intervenuto?- visto che non posso più controllare la mia voce tremante, alzo il mento in un impeto di orgoglio. Non sono riuscita a trattenermi, tanto vale andare in fondo a questa faccenda.
Non voglio che capisca quanto mi ferisce, ma non so come celarlo.
-Oh, quindi è questo- mormora togliendo le mani da sotto il mento, non ha fatto altro che guardarmi come un esperimento impazzito.
-Sono molto sollevato di saperlo- continua mentre si alza dalla sedia, facendo il giro della scrivania.
Non voglio che si avvicini.
Non c'è nulla che lui possa fare per rassicurarmi. Non questa volta.
Non dovrei mostrargli il mio disprezzo con lo sguardo, non è così che doveva andare il nostro rapporto. Nessuno dei due aveva programmato questo.
Arthur si siede sulla scrivania, poco distante da me, ancora pietrificata al mio posto.
-Credevo che qualcosa nel siero non avesse funzionato, temevo che avremmo dovuto trovare altri modi per gestire il tuo caratterino, ma alla fine di tutto la colpa è solo mia. Tutta la tua aggressività nei confronti dei superiori nasce da questa piccola incomprensione tra noi.-
Non è una piccola incomprensione. Non può minimizzarla in questo modo. Vuole solo farmi sentire nel torto.
Io non-
Inizia a farmi male la testa.
-Io non posso intervenire, Alexa. Non posso farlo, non sarebbe giusto. Minerebbe gli equilibri della Base e dell'esperimento-
Sono costretta a dargli ragione, mi è necessario per sopravvivere.
Proprio come muto il mio carattere per diventare più attraente possibile per Jason, con lui è necessario che sia la figlia perfetta. O la cavia perfetta. Dipende da cosa preferisce.
-Alcune volte dimentico che hai appena vent'anni- scrolla il capo, sorridendo. Mi accarezza il viso con delicatezza, mentre asciuga con il pollice delle lacrime che non sapevo ci fossero.
Non ero pronta per affrontare tutto questo.
Ritorno a guardare i suoi occhi azzurri, così simili ai miei, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa possa smentirmi.
Ti prego non essere come credo.
Nascondi tutto ciò che ho visto prima.
Fammi illudere che tu sia migliore.
E quando mi stringe tra le braccia lotto per togliermi questi pensieri dalla testa. Basta così poco per farmi dimenticare quello che ha fatto?
È sufficiente sentire il suo cuore battere più forte ogni volta che mi stringe al petto?
Vorrei darti un'altra possibilità.
Vorrei provare a capirti, papà.
Lascio che mi stringa a sé per tutto il tempo che vuole. È da tanto che non venivo abbracciata in questo modo.
-Io voglio che tutto vada per il meglio. E questo non significa che non mi importi di te o del tuo benessere. Stai prendendo le medicine?- mi tiene il viso fermo ma con delicatezza, in modo che io lo guardi negli occhi.
Ne sto prendendo fin troppe.
E forse adesso ci ritroviamo qui proprio per questo.
-Vuoi un dosaggio più alto? Qualcosa di più forte? Ti basta dirmelo. Non tutti reagiscono allo stesso modo al siero, e mi rendo conto che il tuo talento è affascinante ma complesso. Non devi aver paura di dirmi se qualcosa non va; tu non sei come loro, affronti test che gli altri ragazzi non potrebbero nemmeno sostenere-
Ti prego, non mi tentare.
Sto già rimanendo a galla per miracolo. La dose che credevo mi avrebbe consentito di sopportare questo colloquio senza crollare non mi ha nemmeno scalfito. Significa che quattro pillole diventeranno la norma e per ottenere un effetto più forte dovrò salire a sei, o forse sette. Senza contare i farmaci che rubo dal comodino di Jason.
Forse dei farmaci più forti mi aiuterebbero a controllare questo gran numero di pillole. Dovrei prenderne solo una e sarei a posto.
Due massimo.
-È questo che vuoi?-
Scuoto il capo appena, cercando di sfuggire dalle sue mani calde sulla mascella, ma lui trova sempre il modo per non farmi scappare.
-Allora, dimmi, cosa posso fare per aiutarti?- la sua voce è così gentile quando vuole. Sembra che ci tenga sul serio. E mi chiedo se non riesca a modellarla a suo piacimento proprio come fa Ian.
Sospiro, preparandomi a dire l'ennesima bugia.
-Vorrei solo conoscerti meglio- sussurro come se avessi paura della sua risposta; in realtà so bene di aver detto quello che desiderava, una richiesta che non gli comporterà alcun sacrificio.
-Hai ragione, sono stato pessimo da quando ti ho rivelato il tuo vero cognome. Credimi se ti dico che vorrei essere migliore-
Non mi aspettavo di sentire nulla di diverso, è come se avessi già letto il copione che sta recitando.
Perfino il suo volto riesce ad assecondare le sue parole, mettendosi al servizio dei suoi inganni.
Noto le sue labbra curvate verso il basso e la fronte corrucciata, questa volta è lui che scappa dal mio sguardo.
-È che non so che cosa fare-
Mi sforzo per non spalancare gli occhi, incredula.
Lui non ammette mai di non saper fare qualcosa.
Non è coerente con l'immagine che ho di lui. Lui non lo hai mai fatto. E nulla nel suo carattere mi ha mai indicato questa possibilità.
È un altro inganno?
-Io non so che cosa significa essere padre. Lo so che è una scusa stupida e che non giustifica nessun mio comportamento. Ma vorrei tanto che ci fosse un libro o un manuale che mi dica come fare, perché temo di poter imparare solo in quel modo. Io sono un ricercatore, un sociologo e uno studioso. Tutto quello che sono l'ho imparato sui libri, ma adesso non so come diventare un padre-
Ogni sua parola non fa altro che accrescere il peso che mi comprime il petto. Come faccio a sapere se è sincero?
Questo è un punto debole che non avevo mai considerato. E adesso non ho nessuna soluzione, nessun piano di difesa.
Non posso proteggermi dall'uomo che ho davanti.
-Arthur, io...-
-Ti chiedo solo di avere pazienza con me- e lo dice guardandomi negli occhi, i miei uguali ai suoi.
Può una persona mentire così facilmente? Nel suo sguardo non c'è nulla che mi faccia pensare che non sia sincero. E forse proprio perché non trovo nessun indizio continuo ad accusarlo. Non riesco ad accettarlo.
Annuisco in fretta, serrando le labbra per non aggiungere altro. Deve aver visto che sto tremando, perché posa le mani sulle mie spalle e inizia ad accarezzarle con calma, in modo rassicurante.
Devo tenere sotto controllo il nostro legame perché potrebbe farmi uccidere.
Sebbene mi facesse soffrire, era tutto molto più facile quando credevo fosse un mostro.
Arthur mi accompagna per il corridoio in silenzio, e io non ho intenzione di intaccare l'atmosfera. Per la prima volta mi sento quasi tranquilla in sua presenza. I brividi non hanno smesso di percorrere la mia schiena, ma mi basta respirare profondamente per farli cessare, richiede appena due secondi.
Mi serve un'altra pillola.
-Hai avuto altre visioni?- chiede d'un tratto.
-No. Da quando abbiamo iniziato con i test non ho più avuto visioni improvvise. Sono io a decidere quando vedere nel futuro. O almeno, ci provo-
Mi blocco prima di raccontargli altro. Certe cose è meglio che rimangano tra me e il mio talento. Non controllo ancora bene le voci e non sono stati gli esperimenti ad aver messo in ordine la mia testa, ma io. Era l'unico modo per impedirmi di impazzire.
Sono stanca di tutto questo.
-Mi dispiace farti ancora queste domande, ma vorrei sapere se hai altri dettagli da fornirci sul giorno della fuga. Ti ricordi qualcos'altro? Dove eravate diretti? Chi vi ha aiutato?-
Ho sempre dato pochissime informazioni a qualsiasi interrogatorio. Il siero spesso porta alla perdita di memoria da parte di chi lo assume e ho sempre cercato di sfruttare questo elemento a mio vantaggio.
-Ho scelto di rimanere qui durante la fuga e anche se scavassi nella mia memoria sono certa che non troverei nessuna informazione utile, perché avevo già visto come sarebbe andata-
Con la coda dell'occhio vedo mio padre increspare leggermente le labbra.
-Vorrei fare di più per aiutarvi- aggiungo subito.
-Tranquilla, questa sera ci sarà una riunione per decidere la nostra prossima mossa. Siamo stati troppo tempo in attesa di un loro passo falso-
Mi irrigidisco di scatto, ma cerco di non farglielo notare.
-Ho il permesso di partecipare?-
-Non credo sia una buona idea, Alexa. Devi riposare, sembri a pezzi. La riunione durerà diverse ore e parleremo di dettagli che tu conosci già. Appena ti rimetterai in forze sarà un piacere per me ammetterti nel consiglio- apro la bocca per protestare ma lui mi interrompe: - come mia figlia-.
Mi ha battuto e adesso non posso oppormi alla sua decisione, non dopo quello che ci siamo detti.
Trattengo uno sbuffo contrariato e mi limito a seguirlo per il corridoio, fingendo di aver perso interesse per l'argomento.
Devo trovare un modo per sapere che cosa si diranno questa sera.
Potrebbero essere informazioni utili, se solo riuscissi a risolvere gli indizi che mi ha dato Ian, forse riuscirei a comunicare con lui direttamente e avvisarlo in caso di pericolo.
Questa volta non si limita ad accompagnarmi all'ascensore, ma entra nel cubicolo angusto insieme a me.
-Ho dei controlli da fare nel settore 3- si giustifica quasi subito, ma io sono solo grata che non ci sia Cox ad aspettarmi. Ogni volta che vedo le porte meccaniche aprirsi trattengo il fiato fino a quando non mi assicuro che non ci sia nessuno. Grazie ai farmaci, i ricordi di quella volta in ascensore sono molto meno vividi, ma sono pur sempre presenti.
-Dovresti stare più attenta- mi dice dopo essersi messo al mio fianco.
Gli rivolgo un'occhiata perplessa che ripete anche la mia immagine nello specchio.
-Ai lividi. Il figlio di Cox deve metterti tanta pressione addosso durante gli allenamenti- le mie mani scattano rapide sul mio collo, cercando di nascondere le macchie violacee. Dovrei dire a Jason di smetterla di lasciarle in posti così visibili, ma so che riuscirei solo a provocarlo a fare di peggio. E poi, non è stato lui a lasciarmi questi segni intorno al collo. I peggiori li ha lasciati suo padre.
-Non è niente che non possa sopportare- rispondo abbozzando un sorriso. La campanella che precede l'apertura delle porte arriva in tempo, poco prima che io diventi rossa per l'imbarazzo. Non ho dubbi che mio padre sappia che non sto dormendo nella camera che mi aveva assegnato.
Chissà cosa pensa di Jason e se questa relazione gli sta bene quanto le molestie che subisco da Cox.
-Su questo non ho dubbi- mormora piazzandosi davanti a me. Poco prima di uscire mi lascia un leggero bacio in fronte, sussurrando in fretta qualcosa come "a presto".
Rimango paralizzata al mio posto, incapace di muovere un singolo muscolo. Mi chiedo più volte se ho solo sognato questa scena, se in realtà è accaduta unicamente nella mia testa.
Il turbinio di pensieri increduli viene interrotto dalle urla spaventose di un ragazzo. Lo trascinano per il corridoio tenendolo fermo dalle braccia, e nonostante lui sia di statura robusta non riesce a liberarsi. Devono avergli dato qualche sedativo.
-Lasciatemi andare, io non so cosa ci faccio qui! -
Ho appena il tempo di vedere il suo volto, grazie a un suo scatto fulmineo nella mia direzione, ma le porte si chiudono prima che io possa osservarlo meglio.
Io lo conosco.
Mi si inizia a formare un nodo allo stomaco mentre sento l'ascensore scendere rapido verso la Base sotterranea.
Dove l'ho visto? Chi era quel ragazzo?
La mia mente mi perseguita con queste domande per tutto il tragitto, sostituendo all'istante i dubbi su mio padre: un argomento che avevo un disperato bisogno di accantonare. Perfino Jules, l'atleta con cui mi sono scontrata in biblioteca, fa capolino tra i miei pensieri. Ha ancora diverse spiegazioni da darmi, sebbene io gli abbia intimato di non attirare l'attenzione e che quando avrei trovato un luogo sicuro dove parlare lo avremmo fatto.
Che sta succedendo in questo posto?
Mi chiedo se i problemi stiano riaffiorando tutti in una volta, o se invece sia io ad aver appena aperto gli occhi.
Busso alla porta solo per abitudine, ma non perdo tempo ad aspettare che sia lui a farmi entrare. Trovo Jason alla scrivania, intento ad analizzare alcuni documenti. Ho già rovistato in quella roba, non c'è nulla di interessante per me, solo i dati dei test fisici e dei record. Alcune volte rimane fino a tardi a leggere quelle carte o forse qualche vecchio libro che tiene dentro il cassetto. Io mi sveglio appena accende la lampada da tavolo, dopo tutto quello che ho passato posso dire che avere il sonno leggero è quello che mi ha tenuta in vita.
So che lui detesta stare chiuso in questa camera, ad aspettare di aver il permesso per continuare con gli allenamenti. Alcune volte si muove da un punto all'altro in modo frenetico, preso da chissà quali pensieri; altre volte mi alzo dal letto la mattina e lo trovo a fare le flessioni sul pavimento.
Oggi deve aver deciso di riesaminare quei dati che ormai saprà a memoria.
-Lieto di vedere che sei tutta intera- commenta senza distogliere lo sguardo dai suoi raccoglitori.
-Avevi ragione, mi ha fatto solo una ramanzina fingendosi deluso- mormoro sospirando. Vorrei che si fosse solo limitato a questo.
Sarebbe stato più facile.
Dove sono le mie pillole?
-Sei proprio una figlia di papà-
Vago con lo sguardo alla ricerca del mio borsone, ma vengo subito attirata dall'anta dell'armadio leggermente piegata, come se qualcuno avesse forzato la superficie.
-Hai di nuovo provato a fare i piegamenti sull'armadio?-
Ma lui finge di non ascoltarmi e continua ad annotare qualcosa sul fascicolo di una ragazza.
Non gli concedo nemmeno il piacere di vedermi sbuffare, e senza battere ciglio mi siedo sopra la sua scrivania, impedendogli di ignorarmi.
-Ti hanno detto espressamente di non fare sforzi. Per un pelo non ti ritrovavi con le costole rotte e adesso non riesci nemmeno a stare a riposo per qualche settimana-
Evito di aggiungere che se il suo malessere peggiora, anche il suo carattere fa altrettanto, e io dovrò subirne le conseguenze. Inoltre, se ritornasse a lavoro io sarei più libera.
Jason si alza, poggiando le mani sul bordo del tavolo, ai lati dei miei fianchi. La sua stazza torreggia su di me, ma non ho intenzione di ritirarmi.
-Sentila la ragazzina che crede di darmi ordini-
-Non sono miei ordini, ma del medico, e sarebbe ora che li ascoltassi-
-Sto bene. E questo penso di avertelo dimostrato ogni notte, o forse in questo momento ti sfugge?- serro le labbra per non ribattere, perché quello che ho da dirgli non sarebbe per nulla gentile. E sicuramente non coerente con l'immagine della sua amata e servizievole crocerossina.
-Oh no, Alexa, non trattenerti, era così bello ieri sera quando non lo facevi- e con le dita inizia a risalire dalle mie cosce, accarezzandomi fianchi.
Distolgo lo sguardo in fretta, infastidita dalle sue parole.
Ieri sera è stato un errore, e non per il sesso.
Avevo bisogno di calmarmi. Continuava a tornarmi in testa il volto di tutte le persone che avevo ucciso. Ruotavano intorno a me in modo ossessivo, rivedevo i loro corpi cadere a terra nel momento in cui avevo premuto il grilletto. Ho sempre cercato di andare avanti e non lasciarmi incatenare dal passato, ma sentivo che queste persone erano venute a cercarmi per farmi ricordare. E più rimanevo ferma a fissare il muro più sentivo crescere in me la paura. La stupida paura di fare la stessa fine. Mi sentivo braccata, credevo che mi avrebbero scoperto e sarei morta qui sotto, nel posto che ho sempre odiato, ma anche l'unico che conosco davvero. Non avevo motivo per pensare tutto questo, eppure l'ho fatto comunque.
Il mio sguardo si era posato sul comodino del mio istruttore, ancora pieno di farmaci, e sono stata subito attirata dalla confezione quasi intatta di metadone. Lo assumeva solo quando i dolori diventavano insopportabili. Così come l'ossicodone, il metadone è un farmaco oppioide, e in mancanza di pillole specifiche per le mie visioni, era l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi.
Jason non aveva detto nulla, si era limitato a porgermi il palmo per ricevere una dose anche lui. Ricordo di essere rimasta incantata a vederlo portarsi alla bocca la compressa e deglutirla. Mi sentivo meno pazza.
Mi ero seduta sul letto, la testa rivolta verso l'alto, aspettando che il metadone facesse effetto, quando ho sentito delle mani calde intrufolarsi nei miei pantaloni.
D'istinto ho chiuso le cosce, e se mi concentro posso sentirla ancora: la sua mano incastrata tra le mie gambe.
-Jason, non-
-Shh, sto cercando di aiutarti, lasciami fare- e ha continuato a toccarmi con delicatezza. Non mi ha aperto le gambe con forza come è solito fare, ma ha aspettato che in un modo o nell'altro io non avessi più la forza per bloccargli l'accesso.
Sapevo che voleva qualcosa in cambio, lui non mi ha mai concesso nulla che non beneficiasse anche se stesso. Ma ogni volta che cercavo di raggiungere il cavallo dei suoi pantaloni, lui mi impediva di farlo. Non ha chiesto niente ieri sera.
Ma non è mai stato necessario per me per sapere come accontentarlo.
-Ci stai pensando adesso, vero?- sussurra al mio orecchio nel presente, mentre io sono ancora seduta sulla sua scrivania.
-Perché io non riesco proprio a smettere di pensare alle tue labbra avvolte intorno al-
Veniamo interrotti dal suono di una piccola campanella, proveniente dall'altro lato della stanza.
-Cos'è?-
-Il mio orologio. Mi ricorda della riunione di questa sera- sbuffa ma non accenna a voler smettere di sfiorare la mia schiena. Mentre i suoi polpastrelli la ripercorrono più volte, non posso fare a meno di pensare all'occasione che mi ha appena fornito. Devo solo capire come sfruttarla al meglio.
-Allora non ti tratterò, forse dovresti iniziare a pr-
-Non ci vado-
Cosa?
Sollevo appena un sopracciglio in segno di sorpresa, mentre lascio che la restante parte di questa emozione si dimeni dentro il mio petto.
-Ci vado raramente, non ho motivi per farlo. È difficile che io possa essere d'aiuto in questo campo, soprattutto adesso che li stanno cercando in superficie. Io non metto piede fuori dalla Base da più di cinque anni.-
-Io un motivo posso fornirtelo anche subito- alzo le spalle come se non fosse importante, come se fossero parole buttate lì a casaccio.
Ho bisogno che lui ci vada.
La sua espressione cambia all'istante, così come smette di lambirmi la schiena.
-Dimmi, Alexa, in quale altro guaio finiremo questa sera?- rotea gli occhi.
Rimango interdetta dal sentirlo usare il "noi". Non c'è nessun "noi". Sono "io" che uso "lui" per sopravvivere qui dentro, e "lui" fa esattamente lo stesso. Non è "noi". Non abbiamo gli stessi obiettivi, non siamo una squadra. Non c'è nessun rischio di diventarlo. Non con lui.
-Vorrei solo sapere cos'hanno da dirsi. Questa è una questione che riguarda anche me, ma per qualche motivo Arthur ha voluto tagliarmi fuori-
-Forse perché ci sono informazioni riservate a cui non puoi accedere?- mi canzona sorridendo. Per lui tutto questo è divertente, o addirittura stupido, per me è un modo per salvare la vita ai miei amici.
-Ma a quanto pare tu sì-
-Scordatelo- e si allontana da me, è così che di solito sancisce la fine di un discorso.
-Andiamo, Jason! Ho il diritto di sapere come stanno andando le ricerche. Non faccio altro che sottopormi a test tremendi e dolorosi, mentre invece potrei essere la loro risorsa più importante. E se anche non ci fossero informazioni così segrete, sarebbe un modo per capire perché mio padre non si fida di me-
So già che non mi sta ascoltando, men che meno se uso un tono drammatico, ma dovevo provarle tutte.
Rimaniamo in silenzio, lui continua a darmi le spalle. Con le mani in tasca, alza la testa lievemente per osservare l'anta dell'armadio inclinata.
-Se ci tieni così tanto, perché non ti metti in ginocchio e mi preghi?-
La sua proposta aleggia nella stanza per un po', mentre lui continua a guardarmi con atteggiamento di sfida, ma non ho intenzione di reggerlo, non al momento. I miei occhi sono fissi sul pavimento, osservano l'esatto punto in cui dovrei abbassarmi a questa umiliazione. D'un tratto mi viene da ridere e lascio che dall'esterno lui possa sentire una lieve risata.
-Ti diverte la mia richiesta?- incrocia le braccia al petto e si appoggia alla parete di fronte, sembra interessato alla mia reazione.
E senza smettere di sorridere, quel tipo di sorriso che vale più di uno sguardo sprezzante, faccio due passi avanti.
-Mi diverte il fatto che tu stia ancora giocando secondo le regole del nostro vecchio rapporto. È una richiesta, o meglio, una tortura perfetta per la vecchia me. Sai che non lo avrei mai fatto. Ma adesso...-
Arrivo al centro della stanza, in modo che possa vedermi bene, e cado in ginocchio.
È tutta una recita. Mi rode ancora terribilmente, ma lui non deve saperlo. Oggi ho deciso di vincere.
-Vieni più vicino, ti voglio davanti a me-
Non rimuovo nemmeno per un secondo la maschera che ho creato, e lentamente inizio a gattonare nella sua direzione.
Alexa Evans si sarebbe fatta amputare le gambe piuttosto di farlo. Mettevo il mio orgoglio sopra ogni cosa, come se da solo potesse tenermi a galla.
Alexa Evans avrebbe perso questa partita, così come ha perso tutte le altre della sua vita.
Invece, mentre tasto con il palmo della mano il pavimento freddo, mi viene in mente Ian. Mi sono chiesta perché lui riuscisse a uscire sempre da vincitore. E poco prima di iniziare questo teatrino, ho avuto la risposta.
Ottenere quello che si vuole è l'unica cosa che conta. È più importante perfino di me stessa.
Non esiste l'orgoglio, non ci sono valori morali che possano portarmi lì. Vince chi è disposto a sacrificare ogni cosa.
Alzo lo sguardo verso il mio istruttore, che non nasconde la sorpresa di ritrovarmi ai suoi piedi.
Deve avermi vista in questo modo solo nei suoi sogni.
-Ti ascolto-
Faccio un respiro profondo prima di far uscire dalle mie labbra parole che non credevo avrei mai detto.
-Ti prego di andare alla riunione e di riferirmi gli argomenti trattati. Mi faresti un favore e te ne sarei davvero grata-
Per poco non gli vomito sulle scarpe.
Jason curva le labbra in un sorriso soddisfatto e mi accarezza i capelli, spostando le ciocche dal mio viso.
Cerco di non guardarlo con odio, ma non posso sapere cosa lui legga nei miei occhi. Chissà se quando vedrà mio padre alla riunione li troverà uguali ai suoi.
-Complimenti, Alexa.- sussurra prima di avvicinarsi all'armadio e iniziare a prepararsi.
Rimango immobile a godermi ogni istante di questo momento.
È come se stessi gustando per la prima volta un tipo di potere che avevo solo assaggiato grazie a Ian. Lui ha sempre usato questi trucchetti e io standogli accanto potevo sentirne il sapore, ma non tanto da capire quanto fosse delizioso.
Questa è la prima vera vittoria da quando sono tornata alla Base.
Ed è una vittoria in ginocchio, ancora più soddisfacente.
-Non ti ho detto che potevi alzarti- mi rimprovera appena incontra l'immagine del mio corpo riflessa nello specchio. Rimango a guardarlo distesa a letto, concentrandomi ancora una volta sulle macchie che infestano il suo fianco.
-Ah scusa, dovevo rimanere così fino a quando non tornavi? In modo da essere già pronta per esprimerti altra gratitudine?- tiro un po' la corda, ma solo per dargli l'opportunità di sentirsi ancora al comando. E in minima parte anche per sfogarmi.
Ma con mia sorpresa non reagisce alle provocazioni.
-Che farai mentre sono via?-
Sto solo aspettando che ti chiudi la porta alle spalle per assumere altre due compresse di sertralina.
Le ultime due rimaste.
-Conterò i minuti fino al tuo ritorno-
-Molto divertente- si limita ad aggiungere continuando ad abbottonarsi la camicia.
-Chi ci sarà questa sera?-
-Il direttore della sicurezza, alcuni esperti informatici, gli istruttori e i docenti, e penso i dirigenti di alcuni settori. Ah, e forse quel ragazzo, quello che per ora sembra essere il prediletto dei superiori...-
-Adam?-
Lui alza le spalle, probabilmente non gli importa più di tanto. Non quanto importa a me.
Questa è l'occasione perfetta.
Per fortuna Jason era troppo occupato a cercare la giacca per vedere quanto questa notizia mi abbia illuminato.
-Mi chiedo se anche mio padre parteciperà...- mormora così piano che per un attimo penso che non volesse farsi sentire.
-Non credo, mi hanno detto che deve ancora riprendersi. Non tornerà prima di due settimane-
Il mio istruttore scuote il capo sorridendo, come se avessi appena detto una cosa divertente.
Mi alzo di scatto dal letto, andandogli incontro.
-Non ti lascerei mai andare lì sapendo che anche lui è presente. Non di certo dopo tutta la fatica che faccio per farti guarire- sollevo un angolo delle labbra quando lui avvolge i miei fianchi con le sue braccia.
Ho bisogno che si fidi di me.
Eppure non riesco a non pensare a cosa sarebbe successo se avessi avuto la certezza che anche Cox sarebbe stato lì. Avrei fatto la stessa scelta? L'avrei convinto a partecipare alla riunione per poi vederlo tornare sanguinante in camera, e come se non fosse successo nulla avrei medicato le sue ferite? Ian lo avrebbe fatto. Io non lo so.
Sistemo la sua giacca, lisciandola con le dita. È così diversa da quelle che indossano Ian e Drew, questa è di un tessuto più grezzo e sembra vecchia.
Vestito così Jason non sembra avere nessuna cicatrice, né ematomi su tutto il corpo. Sembra una persona normale. Nessuno potrebbe immaginare le condizioni della sua schiena, completamente ricoperta di segni. È una cosa che mi affascina sempre.
Perché quello che abbiamo sul corpo non ci rende come tutti gli altri: siamo stati marchiati a vita per qualcosa che abbiamo fatto. Era quello il senso delle punizioni, che tutti lo vedessero. Le cicatrici dovevano parlare al nostro posto, ma in una lingua che non tutti comprendono. E ogni volta che mi vedo allo specchio, con le braccia coperte da un maglione pesante e le gambe fasciate nel jeans lunghi, sento che per la prima volta parlo per me. Così come quando vedo Jason in un completo o Ian con i guanti.
-Stai molto bene- sussurro abbassando la testa per evitare il suo sguardo. Non siamo soliti a farci i complimenti.
Jason sorride più per il mio imbarazzo che per le mie parole.
-Sai perché non voglio che tu guardi le mie ferite sul fianco?- questa volta mi prende il viso tra le mani per costringermi a incontrare il suo sguardo.
-Perché ti fa sentire debole-
Ho sempre cercato di osservarle di nascosto, ma deve avermi beccato più spesso di quanto avevo immaginato.
-Anche. Ma so bene che tu le guardi perché ti senti in colpa-
Perché dobbiamo affrontare questo discorso?
Più cerco di sfuggire dalla sua presa, più mi costringe a guardarlo. Non ho mai ammesso a me stessa che il motivo per cui ne sono ossessionata è proprio questo. Non ci sarebbero state se io non avessi provocato suo padre con ciò che lui mi aveva rivelato. È stato un mio errore, non suo. Quelle ferite parlano per me, non per Jason.
-Smettila di torturarti, quello è compito mio- e prima che io possa ribattere, sento le sue labbra cercare le mie. Si poggiano con calma, come se fosse la prima volta.
Non mi aspettavo tanta delicatezza da lui. Non mostra mai questo lato di sé, lascia solo che io lo intraveda in alcune situazioni.
-E questo a cosa lo devo?-
-Ti stavo solo salutando, è meglio che vada. Passami l'orologio- indica con lo sguardo il suo comodino.
Per salutarmi?
Questa volta sono io che gli impedisco di scappare dal discorso. Così quando mi avvicino di nuovo, per allacciargli l'orologio al polso sinistro, non mi trattengo dal sussurrare: -Che strano, non è mai successo. Non è che sei tu che ti stai addolcendo?-
Non mi ha mai salutata prima di uscire. Spesso sentivo la porta chiudersi quando ero ancora nel letto, mezza addormentata. E sapevo quando sarebbe tornato solo perché avevo trovato l'orario degli allenamenti tra le sue scartoffie.
Ma nessuno dei due doveva niente all'altro. Men che meno lui.
Alza gli occhi al cielo, infastidito dalle mie prese in giro.
-Non so di che stai parlando-
Fa per andarsene ma lo trattengo per la manica della giacca.
Questa volta sono io a baciarlo in quel modo, concedendo alla sua lingua di sfiorare la mia. Nessuno dei due ha fretta di staccarsi, e per un attimo, quando mi stringe a sé, ho l'impressione che lui voglia prolungare questo momento il più possibile.
-Grazie- mormoro poco prima che si allontani per raggiungere la porta.
È importante che Jason pensi che io starò qui sola e tremendamente riconoscente ad aspettare che torni, avrà meno fretta nel ritirarsi per tenermi d'occhio. Alcune volte ho l'impressione che se potesse mi legherebbe alla porta come un cane, in modo che io non possa uscire senza il suo permesso.
È un peccato che questa sera io abbia intenzione di fare una sorpresa ad Adam.
Esco dalla camera dopo una doccia veloce e due pillole. Non so se mi stiano osservando dalle telecamere, e anche se il direttore della sicurezza è alla riunione, è meglio non abbassare la guardia. Ho fatto tutto in modo da raggiungere il corridoio per le nove, l'orario in cui dopo cena tutti tornano nelle loro camere. Non dovrei attirare troppa attenzione.
Del resto, sto solo entrando nella camera di un ragazzo, è improbabile che mi puniscano per questo.
Quando rivedo la porta della stanza 151 vengo colta da un brivido. Sembra che tutto sia successo in un'altra vita.
Per un attimo mi illudo che la testa di Ian possa fare capolino da lì dietro, invitandomi a entrare. Prima avrebbe scherzato un po' con me sulla soglia, o addirittura si sarebbe appoggiato allo stipite con le braccia conserte, guardandomi con quella stupida espressione che metteva su poco prima di prendermi in giro.
È tremendo vivere in questi ricordi.
Non so come lui faccia a sopravvivere confrontandosi con queste immagini ogni giorno.
Entro in fretta, prima che qualcuno di passaggio possa vedermi e farmi domande. I pettegolezzi su chi entra o esce dalle camere di altri sono sempre stati i loro preferiti.
La camera non appare diversa dall'ultima volta che l'ho vista, non subito. I libri di Ian sono ancora nella libreria, e sia il comodino che il letto sono rimasti al loro posto. Ci metto qualche secondo per capire che il problema è proprio questo.
Sembra che si sia conservata nel tempo, rimanendo intatta e in ordine. Questa non è una camera abitata.
È troppo anonima per essere di qualcuno. Non ci sono calzini sotto il letto, o semplicemente vestiti appoggiati alla sedia, segno del ritorno da una giornata di allenamenti.
Un tempo c'erano le cose di Adam sulla scrivania: ogni sua parte era infestata da fogli e squadrette. Spesso i suoi libri erano impilati sul pavimento, vicino al comodino, già stracolmo.
Tutti questi dettagli, che forse prima mi erano parsi insignificanti, tornano a infestare la mia mente, impedendomi di trovare questo posto familiare.
Tra i volumi ingombranti di Adam, trovo i documenti di Ian: pagine di appunti e osservazioni. Dovrei cercare solo quello che mi serve, so bene che cadere nella nostalgia è l'errore più grande che io possa fare.
Trattengo la mia curiosità e continuo la ricerca di quel libro, se non è tra le sue cose, non ho idea di dove altro cercarlo. A meno che Adam non se ne sia sbarazzato.
Perché dovrebbe?
Il proprietario della stanza ha di sicuro fatto pulizia, ma sembra aver conservato tutte le tracce della sua vecchia vita. Ha circoscritto il legame con il passato in questa libreria, tenendo i libri chiusi e impilati l'uno sopra l'altro, come se limitare il loro spazio potesse renderli innocui. Non penso che li apra più ormai.
In basso, nell'ultimo ripiano trovo il volume che mi serve, ciò che spero sia un indizio importante.
"La teoria del prospetto"
Non so perché, ma credevo che il libro che mi avrebbe salvato da questa situazione fosse più grande.
Dovrei uscire, andarmene subito da qui, ma le carte incastrate tra il ripiano e i volumi continuano a chiamarmi. Non dovrei cedere.
Ho passato settimane cercando di allontanare il pensiero di Ian dalla mia testa: rimanere con la mente nel passato mi avrebbe impedito di sopravvivere nel futuro.
Il terrore di fare un passo falso con Jason o con mio padre mi hanno completamente distolta dai miei ricordi. Eppure ora ho l'opportunità di rivivere per un attimo cosa significava averlo nella mia vita. Anche se so che non se n'è mai veramente andato.
Dovrei smetterla di parlare come se fosse morto.
Mi basta un'ultima occhiata ai fogli nella libreria.
Oh fanculo.
Li estraggo in fretta, e solo adesso inizio a sentire sulla pelle la paura di essere scoperta. La mia curiosità si nutre di queste pagine, passando da un appunto all'altro. La sua calligrafia è uguale a quella di tutti gli altri ragazzi della Base, uguale alla mia. Quando ci hanno insegnato a scrivere abbiamo dovuto imparare ad adeguarci a un modello, non c'era molto spazio per l'espressione personale. Ricordo che Renee non riusciva proprio ad accettarlo e in ogni foglio lasciava delle tracce di come avrebbe voluto scrivere le lettere, facendo in modo che fossero scambiate per distrazioni legate a una scrittura veloce. Per un periodo si ostinava a fare il pallino della "i" più allungato. Erano accorgimenti quasi impercettibili, ma anche se poteva saperlo solo lei, questo le bastava per essere contenta.
Gli appunti di Ian sono molto ordinati, schematici quasi, nonostante sembrino riflessioni su fenomeni che si stavano svolgendo proprio davanti ai suoi occhi.
"le persone non vedono veramente. Lo fanno senza accorgersene. Quando guardano qualcosa in realtà stanno pensando all'idea della cosa stessa che hanno nella mente."
Poche pagine più tardi, e deduco che sia un altro giorno, continua dicendo:
"Oggi mentre Adam disegnava i suoi progetti gli ho chiesto di fare uno schizzo della lucertola che ieri ci siamo ritrovati in camera. Siamo stati a guardarla per ore ieri pomeriggio, pensavamo di darle un nome. Quando mi ha mostrato il disegno ho subito notato la differenza. Sebbene si sia lamentato di non avere tempo per un disegno realistico, ha comunque ritratto l'animale con una linea pulita e senza escluderne i dettagli. L'unico problema è stato constatare che la sua lucertola non era quella di ieri, non era nessuna lucertola in generale. Gli arti terminavano con 4 dita artigliate. Gli ho detto che la lucertola ne aveva cinque. Lui ha fatto una faccia perplessa, la solita che fa quando inizia a dubitare ma non vuole darmi subito ragione.
Mi risponde che le lucertole hanno 4 dita e che lui le ha sempre immaginate così. Siamo dovuti correre in biblioteca e trovare in libro sui rettili per accertare che avevo ragione.
Nonostante le ore passate a osservarla, lui ha continuato a vedere la lucertola secondo i suoi schemi fissi.
Forse le persone vedono con le idee e non con gli occhi."
Mi ritrovo a sorridere come una stupida davanti le sue teorie. Quanti anni avrà avuto?
Di certo non ha mai perso questa voglia di usare le persone come cavie al servizio dei suoi esperimenti.
Chissà cosa sta facendo adesso.
Mi aggrappo a queste carte come se fossero l'ultima ancora che mi tiene stretta a questi ricordi.
Voglio tornare a casa.
Faccio un respiro profondo per cercare di controllare questa sensazione: se lascio che mi possieda, non rivedrò mai il mio compagno.
Non ho nemmeno il tempo di calmarmi che la porta si apre all'improvviso, annunciando l'ingresso dello stesso ragazzino che come me si prestava agli assurdi enigmi del suo migliore amico.
Dovrei sentirmi in trappola, seduta a terra con le spalle a muro, ma la dose massiccia di farmaci sembra aver accentuato unicamente la mia malinconia.
Quando Adam avanza perplesso verso di me, in cerca di spiegazioni, riesco solo a pensare: "chissà se disegna ancora le lucertole con quattro dita..."
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