Capitolo 34

Alexa

<< Vedi, sono le donne come te che detesto profondamente>>
Mi rigiro tra le coperte, inquieta.
<< Quelle che credono di valere qualcosa>>
Schiaccio la testa contro il cuscino nel disperato tentativo di soffocare la sua voce, ma riesco solo a ingrovigliarmi di più tra le lenzuola.
Mi sento in trappola.
Nonostante io stia serrando le palpebre, l'immagine di Cox che abusa di me si insinua nella mia testa, vivida come se stesse accadendo adesso.
L'abbraccio delle coperte diventa la stretta delle sue mani invadenti, da cui non posso fare altro che divincolarmi.
Sono immersa nell'oscurità eppure vedo con chiarezza i suoi occhi osservare lascivi il mio corpo. All'improvviso tutta la paura e la vergogna mi sommergono, lasciandomi qui, a soffocare da sola nel mio letto.
Lo sento tirarmi i capelli con forza, quasi volesse strapparli, mentre le sue disgustose parole risuonano nella mia testa.
Non voglio. Non voglio.
Continuo a girarmi per sfuggire da questi ricordi, ma non sembra esserci un angolo che mi possa assicurare la pace.
Le sue dita affusolate salgono lungo le mie cosce, senza che io possa arrestare la loro corsa. Provo a scalciare, a scrollarmelo di dosso in qualsiasi modo.

Mi alzo di scatto in preda all'affanno, immersa nel mio sudore.
La testa mi scotta come se avessi la febbre. Ho bisogno di calmarmi.
D'istinto allungo le dita verso il comodino, alla ricerca delle pillole, ma la mia mano si chiude in un pugno prima che io possa afferrarle.
No.
Resisti.
Sono pulita da 37 ore.
Più per necessità che per volontà. E detesto ammetterlo.
Ma ho già divorato più della metà del contenuto del barattolino, e se vado da Kira a chiederne ancora scoprirà che non ho rispettato le dosi.
Sto cercando di tornare in pari. Di ricominciare.
Posso prenderne solo una per rilassarmi. È meglio controllare la situazione adesso che non è grave, piuttosto che ingurgitarne una manciata quando starò peggio.
So già che starò peggio.
È come se questo fosse stato un assaggio. L'avvertimento del mio corpo che mi ricorda chi sono senza quelle fottute medicine. È come se stessi cumulando la paura, lasciandola in un cassetto della testa, e quando è troppo pieno si apre straripando.
Non voglio più fare incubi del genere.
Mi sento completamente prosciugata da ogni energia, stanca come se avessi combattuto per tutta la notte.
E le lenzuola stropicciate in cui sono avvolta sono come la testimonianza della mia battaglia.
In fretta controllo se i miei movimenti bruschi hanno svegliato Jason, che dorme al mio fianco. Mi basta appoggiare il palmo sul suo braccio per essere rassicurata dal suo respiro profondo. Lo hanno imbottito di antidolorifici e sonniferi solo per far in modo che si concedesse qualche ora di sonno. Abbiamo parlato appena da quando è successo. Forse è meglio così.
Lo hanno costretto a rimanere a letto e sospeso temporaneamente dal ruolo di istruttore. Se nessuno glielo avesse imposto, si sarebbe trascinato a stento fino alla palestra, deciso a fare lezione. Detesta sentirsi debole, soprattutto davanti a me. Forse per questo è meglio rimandare le chiacchiere a quando si sarà ripreso.

Mi alzo senza più preoccuparmi di svegliarlo: se le pillole lo hanno intontito tanto da non destarlo durante il mio attacco di panico, non credo che si accorgerà della mia assenza.
Riesco appena a raggiungere il bagno sulle mie gambe tremanti, alcune volte sono costretta ad appoggiarmi alla parete.
Nonostante io non stia più dormendo, è come se non mi fossi mai svegliata da quell'incubo. I ricordi mi danno la caccia e mi inseguono fino al lavandino.
Il suo tono di voce. Il modo in cui curva le labbra poco prima di torturarmi, quasi lo stesse già pregustando. Le sue dita viscide che si insinuano tra le mie cosce. Il suo alito. La sua lingua che sfiora la mia. Tutta la cattiveria di cui i suoi occhi si vantano.
Non riesco a smettere di pensarci.
È come se ne fossi sommersa.
Sto affogando nei suoi giochetti come un'idiota. Lui non vuole nient'altro.
<<Chissà quanto ci vuole a farti a pezzi>>
Serro le labbra per non piangere, sarebbe l'ennesima volta davanti a questo specchio.
Per quanto io ci provi, non riesco a togliermi di dosso l'umiliazione.
La vergogna.
Perché sono io a provarla e non lui?
Perfino respirare inizia a diventare difficile tra i singhiozzi.

Lo sento mentre mi strattona per i capelli, mentre li accarezza quando erano sporchi di sangue, quando ha fatto passare le sue dita con cura tra loro, come se fossi una bambina.
I brividi accompagnano ogni suo gesto.
Non voglio che succeda più.
Di scatto afferro un paio di forbici dal mobiletto e in modo irruento inizio a tagliare qualsiasi ciocca mi capiti sotto tiro. Da quanto sto tremando non riesco nemmeno a impugnarle correttamente.
Lasciami in pace.
Ti prego.
Lasciami in pace.
I miei capelli castani iniziano a cadere nel lavandino, e più vado avanti più mi abituo al suono secco delle forbici.
Zac Zac Zac.
Continuo a spuntarli di getto, presa dalla foga. Tutto purché la smetta di toccarli.
Sento ancora le sue mani viscide stringerli saldamente, e non posso far altro che continuare a tagliare come una pazza. Vai via. Vai via. Vai via.
Come se potessi tagliargli le dita che ha lasciato aggrovigliate lì.
Vorrei gridare, ma riesco a trattenermi, sfogando tutta la mia frustrazione solo attraverso le due lame del mio strumento.
La mia crisi finisce quando riesco a separarmene, mentre guardo ciò che ho fatto con la testa rivolta verso il lavandino. Ho l'impressione di star iniziando a respirare solo adesso.
Con le mani tremanti lancio le forbici in mezzo alle lunghe ciocche castane.
Il braccio mi duole per i movimenti bruschi, eccessivamente carichi di energia.
Incontro la mia immagine riflessa per sbaglio, in uno stupido gesto automatico, e solo adesso ritrovo la lucidità necessaria per capire la situazione.
I miei occhi azzurri vagano da una punta all'altra, osservando per la prima volta gli esiti del mio attacco di follia.
Dei miei capelli lunghi e morbidi è rimasta una matassa simile a pelo arruffato. Le ciocche più estese mi arrivano poco sotto le spalle, in modo non simmetrico tra destra e sinistra.
La parte superiore della mia testa è stata travolta dai miei attacchi alla cieca, rivelando nello specchio alcune ciocche tagliate a metà, altre fin troppo vittime delle lame febbricitanti.
Sospiro, incapace di prendermela con me stessa per questo disastro.
Come farò a spiegarlo a Jason?
O peggio, a mio padre? A Kira?

Torno a guardare il mio riflesso, costringendomi a trovare una soluzione. Scosto alcune ciocche per valutare il danno, nell'eventualità di sistemare il taglio.
Non sono un'esperta come Renee, ma sono disposta ad accettare qualsiasi cosa non strilli "sono completamente fuori di testa" come questi capelli.
Sembra che io sia rimasta incastrata in un ventilatore o qualcosa del genere.

Solo quando sollevo le forbici mi accorgo di stare tremando. Non riesco a tenere la mano ferma, né a controllare i brividi che mi pervadono.
Non posso fare nulla in queste condizioni.
Imprecando, mollo un pugno al lavandino. Il dolore riesce a riportarmi alla realtà; almeno per un istante, il tempo necessario per avere un'idea di cui mi pentirò.
Stringendomi il polso e con le nocche che si iniziano a tingere di rosso, mi avvicino con calma al comodino di Jason, proprio come una ladra.
È proprio il dolore ciò di cui avevo bisogno.
Al buio mi sforzo per leggere l'etichetta dei suoi farmaci, rovistando tra i barattolini che si è portato via dall'infermeria.
I miei occhi si posano su un tubetto di pillole riempito per metà.
Ossicodone.
Mi accontento dell'analgesico e ne mando giù due pasticche senza pensarci troppo.
Ne ho bisogno, non c'è nient'altro da fare.
Sono quasi costretta a prenderli. Altrimenti non potrei tornare in bagno, sistemare il taglio spacciandolo per un capriccio improvviso e tornare a dormire come se nulla fosse.
Ma quando incontro lo sguardo della mia immagine riflessa, capisco che devo imparare a mentire a me stessa meglio.

°°°°°°°°°

Poche ore dopo mi ritrovo davanti allo stesso specchio, questa volta in compagnia di Jason.
Sono seduta su uno sgabello di metallo poco distante, occupata a sistemargli la barba incolta.
Aveva provato a tagliarsela da solo, ma riusciva appena a sollevare il braccio destro. E solo guardarlo mentre si avvicinava la lama al viso in modo così incerto mi ha convinto ad aiutarlo.
Convincere lui invece, è stata più dura.
Forte della calma imperturbabile fornita dalle pillole, mi sono avvicinata da dietro, evitando di guardare i suoi lividi, in modo da non infastidirlo subito. Comprendere Jason è qualcosa che ho imparato a fare con il tempo, osservando le sue espressioni, le sue abitudini. Adesso gestirlo mi viene più facile di quanto mi aspettassi, forse perché una parte di me lo capisce fin troppo bene.
Del resto, è quasi una persona normale nella quotidianità. I suoi momenti di ira invece sono imprevedibili e disastrosi.
Ho abbracciato il suo busto, lasciandogli solo qualche bacio sulla spalla. Poi, quando l'ho sentito sospirare, in segno di resa, finalmente rilassato, sono riuscita a sfilargli il rasoio dalle mani.

Non mi ha chiesto dei capelli, si è solo limitato a sedersi in silenzio, lasciandomi fare.
E sebbene io sia concentrata a non fare un disastro, i miei occhi vengono spesso attirati dalle macchie violacee che contaminano il suo corpo.
Non avevo mai visto degli ematomi tanto grandi.
Mentre suo padre lo pestava, ha provato a coprirsi il viso con le braccia, e adesso i segni della furia cieca di Cox si palesano nella sua spalla destra tumefatta. Anche le sue costole hanno rischiato di rompersi, invece si sono solo incrinate, senza però compromettere gli organi interni.
So che lui vede dallo specchio quando abbasso lo sguardo verso le sue ferite, ma non riesco proprio a trattenermi.
Non credevo mi sarei mai sentita in colpa per averlo messo nei guai.
-Avvisami se sbaglio qualcosa, perché non ho idea di quello che sto facendo- sussurro mentre lavo le lame nell'acqua.
-Basta che non li fai come i tuoi-
Mi blocco per un attimo, colta di sorpresa.
Era una battuta.
Una cazzo di battuta.
Le nostre immagini riflesse si guardano per poi scoppiare in una fragorosa risata. Anche se dopo appena qualche secondo lui è costretto a smettere, reggendosi il fianco dolorante. Non mi sentivo così da tempo.
Spensierata quasi.
L'euforia è uno degli effetti dell'ossicodone, al contrario degli stabilizzatori dell'umore che mi lasciano in uno stato di vaga apatia.
Mi ero quasi dimenticata il suono della mia risata.

Torno al mio lavoro più serena, come se all'improvviso tutto avesse una sfumatura diversa. Non mi sembra vero di essere la stessa persona che ieri notte era perseguitata dagli incubi. È come se non fosse più importante. Come se quello che fino a ieri mi ha lasciato in ginocchio a singhiozzare adesso fosse solo una storiella.
Guardo i miei capelli allo specchio e mi sembra solo un taglio strano, forse impreciso, ma non il frutto di un attacco di panico.
Dopo aver aspettato che le pillole facessero effetto, ho cercato di sistemare i punti più grezzi. Sono stata costretta ad accorciare i capelli davanti, creando due ciuffi che quasi mi contornano il viso, come una frangetta lunga divisa a metà.
Il resto ho cercato di adattarlo velocemente a un taglio scalato, lasciando le ciocche basse e più sottili cadermi poco sotto le spalle.
-Avresti potuto svegliarmi- mormora dopo un po'.
-Volevi darmi dei consigli di stile?- cerco di sviare il discorso, non ho voglia di parlarne. Non adesso che sto bene.
Le sue labbra si curvano in un sorriso, che muta presto in una smorfia di dolore. Mi chiedo come faccia a stare seduto se ogni movimento dell'addome lo fa sussultare per la sofferenza.
-Dovremmo mettere qualcosa su quei lividi- dico mentre i miei occhi seguono la lama scendere fluida tra la schiuma.
-Non preoccuparti- questa volta è lui a troncare il discorso.
-Come vuoi- scrollo le spalle sbuffando.
-Se tu facessi veramente ciò che voglio, l'altro giorno te ne saresti stata al tuo posto come ti avevo chiesto-
Mi aspettavo di trovare rabbia nella sua voce, invece dalle sue labbra queste parole escono solo come una considerazione, non un rimprovero.
-Andiamo, sapevi che lo avrei fatto-
-Sapevo che avevi tendenze suicide, sì-
-Se questo è il tuo modo per ringraziarmi, beh, prego- con delicatezza faccio scivolare il rasoio sulla sua pelle, stando attenta a non tagliarlo.
Lui mi ignora ma non smentisce; la considero già una piccola vittoria.
-Avrebbe potuto farti qualsiasi cosa-
-Invece sono io che gli ho piantato una pallottola nella spalla. A proposito, come sta?-
Spero stia soffrendo come mai prima.
-Si riprenderà. Alla fine sei stata buona con lui-
-Solo perché avevo poco tempo per pensarci. Non tutti hanno uccidere come primo istinto-
-Ti avevo chiesto di non avvicinarti. Lui tiene sempre un coltello nella manica della camicia: ti avrebbe potuto fare a pezzi-
È proprio quello che ho intravisto nel futuro. Ricordo appena la sensazione della sua lama che mi squarciava il polso per disarmarmi.
-Ricordalo sempre. Non pensare mai di aver vinto, non con lui- mormora guardando dritto verso lo specchio, come se potesse vedere qualcos'altro oltre la sua immagine riflessa.
Un giorno vincerò eccome.
Quando quella sua schifosa bocca tacerà per sempre, allora avrò vinto.

-Mi dispiace di aver parlato, comunque. Non avevo idea che non-
-Non importa. Lui cerca solo una scusa, la scintilla per far divampare il fuoco. Saremmo finiti in questa situazione comunque, prima o poi-
Eppure sento che quello che ci è successo ci ha uniti molto più di qualsiasi altro stratagemma che avevo programmato.
-Credevo fossi arrabbiato con me- mormoro dandogli le spalle mentre lavo il rasoio nel lavandino.
-Lo ero. Perché sei testarda, non fai mai quello che ti si dice e hai la presunzione di poter sempre risolvere le cose a modo tuo. In più, il fatto che gli hai sparato comporterà conseguenze che non riesco nemmeno a prevedere. Ma ho passato diverse ore steso senza potermi muovere a pensare che non ho mai avuto qualcuno al mio fianco che osasse intromettersi tra me e mio padre- si blocca, come se volesse rimangiarsi le parole, come se all'improvviso qualcos'altro gli fosse venuto in mente.

Torno a sedermi accanto a lui, in modo da controllare se nel suo viso ci sono punti che ho tralasciato. Jason non accenna a voler continuare il discorso.
-Che ore sono?-
-Le nove meno dieci, perché? - risponde controllando l'orologio sul polso sinistro, l'unico braccio che riesce a muovere quasi senza problemi.
-Devo uscire-
Ho fin troppe cose da fare oggi.
Le pillole mi conferiscono un'energia che non posso ignorare, sarebbe da stupidi.
Sebbene il pensiero di lasciare Jason da solo con se stesso non mi faccia impazzire.
-Vai a trovare qualche atleta idiota?-
-Chissà- alzo le spalle godendomi la sua espressione contrariata, quasi buffa dal mio punto di vista.
-Alexa...- mi avverte come un cane che ringhia. Oh andiamo, mi sto solo divertendo un po'.
-Credi che potresti impedirmelo?- lo sfido sollevando un angolo della bocca. Non ho bisogno di vedere il futuro per sapere cosa farà adesso. Ma io sono molto più veloce.
Jason prova ad afferrarmi per il collo con il braccio sinistro, e mi basta indietreggiare leggermente per sfuggire alla sua presa, più lenta e debole del solito. Quando si sbilancia in avanti per raggiungermi, trova ad aspettarlo le lame del rasoio puntate alla gola. Se vuole avvicinarsi per prendermi, dovrà farsi un bel taglio.
-Sapevi che se recidi la carotide il sangue può schizzare fino al tetto? Sarà difficile toglierlo da lassù- alzo gli occhi al cielo, come se lo vedessi già.
Ho intenzione di sfruttare ogni istante di coraggio ragalatomi dai farmaci, chissà quando tornerò mai ad avere il controllo della situazione in questo modo.
È così maledettamente piacevole stare dall'altro lato, non essere più la vittima.
Cerco di stare attenta a non premere troppo contro la sua pelle, ma al tempo stesso voglio che senta chiaramente di aver perso la sua autorità. Anche se per poco, voglio che si adatti a trovarsi nei miei panni.
Sorreggo il suo sguardo per tutto il tempo necessario a fargli capire che non sto scherzando. Da un primo momento di sorpresa, il suo volto muta in una espressione seria, quasi neutra: in qualche modo vuole nascondere il suo fastidio per non darmi soddisfazione.
Afferra il mio braccio con decisione, ma non cerca nemmeno di spostarlo, lascia solo che le sue dita affondino nella mia pelle, quasi per imprimere meglio il messaggio che segue:
-Appena guarirò, e ti assicuro che mi riprendo in fretta, te la farò pagare in modi di cui non mi credi capace-
Ci sono poche cose di cui non ti credo capace, Jason.
Uccidermi è una di queste.
So che non lo farà mai, perciò non ho nulla da temere. Niente di quello che mi farà potrà mai farmi dubitare di questo. E una volta avuta questa certezza, posso sopportare qualsiasi cosa.
-Allora conviene che scrivi una lista, non vorrei che ti scordassi qualcosa- sussurro senza tirarmi indietro. Più il mio sguardo incontra il suo più mi ritrovo a mettere in discussione le sue parole.
Non mi farà nulla. Né ora né tra qualche giorno.
Questo era solo il tentativo disperato di farmi ritrarre. È così palese adesso.
Anche se non sto giocando alle sue regole mi lascerà fare, perché non c'è gusto a dominare qualcuno che è già ai tuoi ordini.
Lui non vuole che io smetta di sfidarlo, perché alimenta la manifestazione del suo potere su di me.
Ci guardiamo negli occhi ed entrambi abbiamo la stessa espressione, come se per la prima volta stessimo capendo le regole di un gioco che eravamo convinti di aver creato noi. Eravamo sicuri di poter cambiare il corso della partita a nostro piacimento, smettere quando volevamo.
Detesto conoscerlo così bene adesso.
E odio ammettere che anche lui mi conosce in egual modo.

Jason abbassa gli occhi grigi sul mio braccio, ancora intrappolato nella sua morsa.
Allenta la stretta con calma, lasciando emergere i segni rossi che ha lasciato sulla mia pelle pallida. Appoggia le labbra calde sullo stesso punto, iniziando a baciare ogni centimetro.
Sono obbligata a rilassare i muscoli, lasciando cadere a terra il rasoio, che tintinna quando la plastica incontra il pavimento.
Non ho tempo per questo.
-Jason, devo andare...- ma so già che è inutile, non mi ascolta nemmeno.
Continua a baciarmi, strattonandomi verso di sé con il braccio sinistro.
-Che hai di meglio da fare?- il suo tono conserva una sfumatura inquisitoria, segno che ancora non approva la mia uscita.
-Ho solo bisogno di farmi un giro, forse passo da Kira a ritirare i risultati di alcune analisi-
-Vai all'esterno?-
-Non penso di potere, purtroppo. Sto ancora aspettando le conseguenze per aver sparato a tuo padre, ma non penso proprio di avere l'autorizzazione di uscire al momento.-
Non riesco nemmeno a immaginare che tipo di provvedimenti potrebbero adottare. Per questo ho bisogno di uscire e andare da Bobby oggi, non so quando potrò farlo di nuovo. Se decidessero di sorvegliarmi ventiquattro ore al giorno sarebbe un problema.
-Non ti faranno nulla- mormora prima di baciarmi di nuovo. È così rassicurante che scelgo di crederci, e mi basta chiudere gli occhi per fingere che sia vero.
Quando prova a toccarmi con la mano destra, soffoca un gemito di dolore tra le mie labbra. Il mio sguardo si posa sul suo busto girato, per quanto gli è possibile, e sulle ferite al fianco, sul braccio dolorante e gonfio. Non dovrebbe nemmeno muoversi, ma sta facendo tutto questo per uno stupido bacio.
Gli accarezzo la barba appena tagliata, quasi per cercare di distrarlo dal bruciore delle sue ferite. Mi accorgo di averlo tagliato leggermente sulla gola, quando lo minacciavo con il rasoio. Mi basta poggiarci il pollice perché la punta si tinga di rosso sangue.
Mi allontano lentamente, lasciando che si riprenda dallo sforzo di mantenersi girato verso di me. Ha il battito accelerato, il respiro affannato come dopo una lunga corsa. Quei lividi devono fare un fottuto male per ridurlo così.

Mi alzo di scatto, prima che possa trattenermi ancora.
-Hai bisogno che ti porti qualcosa?-
Lui scrolla il capo, reggendosi il fianco per tamponare il dolore.
Per un attimo sono tentata a restare, a prendermi cura di lui per tutto il tempo necessario. Ma non è per questo che sono qui. Non mi sono sacrificata per lasciarmi incatenare di nuovo a questo posto, l'ho fatto per essere finalmente libera.

Una volta attraversati i corridoi principali, terribilmente affollati di prima mattina, mi dirigo in fretta verso le aule di informatica.
Mi aspettavo di ricevere le solite occhiate di sdegno, anche a causa del nuovo taglio di capelli, invece mi basta percorrere qualche metro per ricordare quanto la situazione sia cambiata. Adesso nessuno sembra odiarmi o credere che io non sia abbastanza, che io non meriti di essere qui.
Eppure non posso fare a meno di avvertire l'impulso di scappare da questa situazione. Di nascondermi e tornare invisibile.
I loro sguardi, seppur cordiali e senza malignità, non fanno altro che mettermi a disagio.
Riesco quasi a superare il caos che aleggia intorno alla porta della mensa, quando una voce mi costringe a non allontanarmi.
-Alexa! Buongiorno! Ti unisci a noi per colazione?-
Sembra che oggi tutti vogliano trattenermi, quasi volessero impedirmi di portare a termine il mio piano.
È come se la Base mi stesse chiamando a sé, ricordandomi che anche se lo desidero, non posso veramente andarmene.
Quando mi volto però, nascondo ogni traccia del mio nervosismo, rivolgendo un sorriso alla ragazza e alle sue compagne.
-In realtà sono di fretta, ho delle commissioni di sbrigare- mi sforzo di apparire il più gentile possibile, come se in fondo non volessi perdere il loro favore. Alexa Evans non ne ha mai avuto bisogno, ma Alexa Kline lo desidera profondamente.
-Oh andiamo! Non ti vede mai nessuno in giro! Vieni con noi in mensa- una di loro mi prende per un braccio cercando di smuovermi. Ho la forza necessaria per resistere alla sua presa, ma accantono il pensiero in fretta e le seguo senza protestare ulteriormente.
Forse mi posso concedere un momento di normalità.
Il tipo di normalità che non ho mai assaggiato in diciannove anni.

Vengo colta da un brivido quando le guardo avvicinarsi a uno dei tavoli centrali, disposti in modo che chiunque nella sala possa guardarti.
Loro non sembrano essere a disagio in alcun modo, parlano serenamente e sistemano i vassoi in modo che tutte possano avere un piccolo spazio.
Compresa me siamo sette.
Mi siedo riluttante sotto i loro sguardi attenti e vivaci. Mi sento più a mio agio con l'uomo che mi ha torturato per anni che con delle ragazze mie coetanee.
Non ho paura di loro, ma è come se temessi di spezzare questa illusione, questa specie di incantesimo che mio padre ha scagliato su tutti i ragazzi presenti. Se mai accadesse, significherebbe che la mia posizione sociale non è stata l'unica motivazione della mia vita ai margini della società. Significherebbe che in parte è stata anche colpa mia.
-Alexa? Ci ascolti?- chiede una ragazza dai capelli biondi, sventolando una mano vicino al mio viso.
-Scusate, mi sono svegliata da poco, devo ancora togliermi il sonno di dosso-
-Parlavamo dei tuoi capelli-
Sobbalzo leggermente e spero non lo abbiano notato.
-Mi piacciono un sacco!-
-Quando li hai fatti?-
-Sono così unici!-
Mentre mi riempiono di complimenti, il mio sguardo vaga in cerca di un modo per alleggerire l'imbarazzo.
Non sono abituata a tutto questo.
Jason ha ragione quando mi rinfaccia che sono stata cresciuta per assumere il ruolo della vittima; capisco il linguaggio della violenza molto meglio di quello delle chiacchiere educate e superficiali.
Mi è molto più comprensibile una morsa ferrea intorno al braccio che un commento apparentemente gentile. I gesti e i movimenti impulsivi di Jason e di suo padre celano sempre delle emozioni incontrollabili, sanno di questioni irrisolte e rancore; mentre le loro parole non riesco ad afferrarle né a vederne l'anima nascosta. Il mio istinto mi spinge a stare sulla difensiva, ad allontanarmi prima che possano rivelare le loro vere intenzioni.
-Sul serio, come hai fatto a farli?- mi incalza la ragazza al mio fianco prima di chiedermi se può toccarli.
-È solo un taglio a caso, avevo voglia di cambiare-
So bene che se non sedessi in cima alla piramide sociale non li vedrebbero come la moda del momento.
Per ora la mia priorità è non essere considerata pazza, per quanto mi riguarda possono pure rovinarsi le loro belle acconciature con le forbicine se è questo che desiderano.
-Avrei proprio bisogno di qualcosa del genere anche io. Non sto facendo progressi con il mio talento...-
-È solo una settimana no, ci siamo passati tutti. Più ti accanisci più non otterrai nulla. Anzi, dovresti prenderti una pausa- le sorride toccandole il braccio con affetto.
Empatia.
Non ho mai creduto che ne fossero capaci.
Si sono sempre chiuse in gruppi lasciandomi fuori, senza che avessi idea di come si comportassero tra loro. Le immaginavo a ridere di cose frivole solo per consolarmi, per essere grata di essere stata esclusa.
-Non posso, la Collins mi sta alle costole perché raggiunga l'obiettivo-
-E allora fingi di esserti fatta male, sarà costretta a lasciarti andare almeno per qualche giorno-
La ragazza si tortura le treccine, piccole e numerose, così tante da ricoprire tutta la testa. Sembra tentata dalla loro proposta, ma non ancora vicina a prendere una decisione.
-Qual è il tuo talento?- chiedo dopo essermi accorta che ero l'unica ad essere rimasta in silenzio. Non sono decisamente abituata a questo scenario.
-Sollevo pesi- e quando incrocia le braccia sul tavolo noto i suoi muscoli evidenti, gonfi e rigidi. Avevo già notato le sue spalle larghe e possenti in corridoio, ma non è una caratteristica rara alla Base. Anzi, prima di uscire nel mondo esterno pensavo fosse la normalità.
-Secondo me dovremmo andare alla festa di domani!- propone la stessa ragazza bionda che mi ha costretto ad unirmi a loro. Deve essere quella con maggiore iniziativa del gruppo.
Mi scappa un sorriso.
Ho sempre cercato di dividere i gruppetti di ragazzi in ruoli, ma di certo non erano etichette di questo tipo. Lo facevo per sopravvivere e per capire subito in che tipo di situazione mi sarei cacciata.
Se avessi incontrato la ragazza che adesso mi sta di fronte sorseggiando caffè, non avrei pensato alle sue insicurezze, piuttosto a quanto male avrebbe potuto infliggermi con le braccia che si ritrova.
-Certo, andiamo a festeggiare il record di qualcun altro, che gioia- commenta dopo aver mandato giù l'ultimo sorso.
-Andiamo, potrebbe essere divertente!-
I miei occhi tornano sulla bionda e osservo come le altre la ascoltano con interesse, spesso annuendo in modo deciso.
Lei è il leader. Mettersi contro di lei è uguale a indispettire tutte le altre. Sarebbe come iniziare una battaglia che non puoi vincere.
-Ho sentito che nel corridoio 78 organizzano un concerto itinerante. Si fermeranno per un po' in ogni stanza di quella area e poi continueranno con altre tappe-
-Beh, così le persone stazioneranno nelle varie camere senza mai seguirli, non so quanto possa funzionare-
-La festa in un luogo finisce nel momento in cui non si sente più la musica. Più si allontanano per il corridoio meno si sentirà. Dovremmo comunque spostarci tutti di camera in camera per continuare a sentire. Secondo me vale la pena dare un'occhiata!-
L'altra però non sembra convinta, si limita a scuotere il capo mentre addenta un biscotto.
Sto per analizzarla con lo sguardo, pronta a etichettarla come ho fatto con le altre, ma mi costringo a fermarmi.
Non è più necessario che io lo faccia.
Nessuna di loro rappresenta una minaccia per me, non adesso che ho questioni più importanti da risolvere. Non sono più quella ragazzina che cerca di sopravvivere alle leggi del branco, ora basta che mio padre abbia appena qualche sospetto su di me e sono morta.
Lo saremmo tutti.
Nessuno di loro ha mai visto il sole sorgere o sentito la pioggia sulla pelle. Forse è meglio morire non sapendolo che farlo coscienti di ciò a cui stai rinunciando.

-Dovremmo comunque approfittare del tempo libero che abbiamo soprattutto ora che gli allenamenti di Cox sono sospesi- riflette ad alta voce una di loro al mio fianco.
-Chissà che cosa gli è successo. Posso capire un giorno o due, ma una sospensione a tempo indeterminato è molto insolita-
-Forse Alexa ne sa qualcosa-
L'ultimo commento della bionda spinge tutte a voltare il capo verso di me, in uno scatto fulmineo che non mi aspettavo.
-Ho sentito che dormite insieme, è vero?-
Questa voce deve averla sentita solo lei perché le altre spalancano la bocca, sorprese.
Non so come uscire da questa situazione.
Quando schiudo le labbra per rispondere, non esce alcun suono. Le parole sono bloccate dalla mia testa, incapace di decidere se confermare o smentire.
Come in una partita, sono costretta a valutare attentamente le mie mosse. Se confermassi, la voce si diffonderebbe rapidamente, e non sarebbe un problema troppo grave, ma la reazione di Jason potrebbe mettermi nei guai. Non ho idea di cosa lui voglia che dica.
Perché questo è il vero problema.
Ogni mia azione è calcolata in modo che io possa subire le minori conseguenze possibili dai suoi scatti d'ira.
Stare con lui è difficile quanto essere contro di lui.

-Non so di che cosa parli- alzo le spalle cercando di non distogliere immediatamente lo sguardo, sembrerei una bugiarda altrimenti.
-Siete spesso insieme però-
-Da quando ho assunto il siero è stato incaricato di seguirmi negli allenamenti in modo che io non possa avere nemmeno un attimo di pace- brontolo proprio come avevano fatto loro prima, nella speranza di essere credibile.
Come ci sono finita in questa situazione?
-Come riesci a sopportarlo per tutta la settimana? Le sue ore obbligatorie di allenamento sono già massacranti...-
-Però è un bello spettacolo da guardare- commenta con gli occhi sognanti un'altra.
Dimenticavo la comune fascinazione per l'istruttore crudele ma attraente.
Sono anni che mi chiedo come possano ignorare il suo lato violento, ma immagino che nessuna di loro abbia veramente assaggiato la sua rabbia sulla pelle.

Le chiacchiere prendono una sfumatura più allegra, allontanandosi con mio sollievo dall'argomento precedente. Mi ritrovo a ridere alle loro battute e avventure, quasi fossi una di loro. Mi convinco che è il loro carisma, e non uno degli effetti dell'ossicodone, a rendermi così spensierata. Per una volta la vita alla Base non sembra una prigione; solo ora capisco perché molti di loro hanno scelto di rimanere.
È rassicurante. Ha senza dubbio alcuni lati oscuri, ma nessuno di loro potrebbe paragonare questa vita ad altro, non riuscirebbero nemmeno ad accorgersi quanto male li circondi.

-Avete mai pensato di andarsene? Non sarebbe male vedere cosa c'è fuori- chiedo dando voce ai miei pensieri. Non dovrei farlo. È ancora troppo rischioso per parlare di un'altra fuga, ma prima o poi qualcuno doveva piantare questo seme. Devono tornare parlarne, ad organizzarsi.
Da quando me ne sono andata la prima volta ogni loro segno di iniziativa si limita a feste e concerti, ma sono quasi tentativi deboli, per nulla alla portata degli eventi di un tempo. È come se fossero sempre sedati, tenuti sotto controllo costante. E mi chiedo se questi continui condizionamenti di cui parlava mio padre non abbiano influito sulle loro capacità cognitive.

Le ragazze scoppiano a ridere tutte insieme, alcune coprendosi il viso con le mani perché una volta iniziato non riescono più a smettere.
-Oh Alexa! Sei così divertente!-
-Sii! Ti prego, esci con noi più spesso-
Non riescono nemmeno a concepirla come possibilità reale.
Sto per insistere sull'argomento quando il mio sguardo viene catturato da una figura che si avvicina a passo svelto.
Riconosco i capelli rossicci di Bobby e i suoi soliti jeans sbiaditi, non penso di averlo mai visto indossare altro.
Se per un attimo ho creduto che fosse un incontro casuale, il suo atteggiamento nervoso mi porta a scartare questo pensiero.
Mi stava cercando, deve dirmi qualcosa.
Borbotto una scusa alle ragazze e mi alzo in fretta, e con un leggero cenno del capo invito l'informatico a seguirmi fuori dalla mensa, così da non attirare l'attenzione degli altri tavoli.
Mi raggiunge subito e senza darmi il tempo di chiedere spiegazioni mi trascina lontano dall'ingresso affollato.
-Potrebbe esserci un problema- si lascia scappare un sospiro stanco, ha l'aria di qualcuno che non riposa da giorni.
-Ti ascolto-
-Non riesco più ad accedere al canale di comunicazione, è come se non fosse mai esistito. Credo si sia attivato il protocollo di autodistruzione, ma non posso saperlo con certezza, non c'è nessuna traccia. Questo è l'ultimo messaggio che hanno trasmesso-
Ian, che sta succedendo?
Mi porge un foglietto ripiegato rapidamente, come se si sentisse osservato. Mi chiedo se anche io soffrirei delle stesse manie di persecuzione se non assumessi farmaci.
-Devi calmarti, Bobby. Ci sarà un motivo-
So che è inutile rassicurarlo senza aver nessuna certezza, ma un tentativo andava fatto.
-Spero solo che lassù sappiano cosa stanno facendo! A me sembra che ci abbiano abbandonati- picchetta con il piede, nervoso. Se non fosse troppo preoccupato di essere osservato, avrebbe già dato sfogo a tutta la sua ansia.
-Non saltare a conclusioni affrettate, dobbiamo fidarci dei ragazzi in superficie, di Ian, di...- la mia voce rimane sospesa nell'aria appena dischiudo il foglietto di carta.
Ma che cazzo.

°°°°°°°°°°

Non ho idea di che cosa sia.
Non ne ho la più pallida idea.
La prima cosa sensata da fare è andare in biblioteca e cercare di saperne di più.
Credevo che io ed Ian fossimo sulla stessa lunghezza d'onda, ma adesso non ho idea di dove la corrente mi stia portando.
"La teoria del prospetto"
Questo è l'unico indizio che posso seguire. Non ho idea a chi poter chiedere questa informazione, né posso permettermi di far domande in giro attirando l'attenzione.
Qualsiasi cosa voglia dirmi sa che posso accedervi facilmente. O almeno così suppone.
La biblioteca della Base è di piccole dimensioni e non ha mai avuto un grande catalogo. La maggior parte dei libri sono didascalici, utili solo ad approfondire determinati argomenti scolastici. Passo in rassegna gli scaffali, lieta che la signora alla scrivania non mi abbia notata. Uno dei motivi per i quali non esco spesso è che temo di dover giustificare ogni spostamento a mio padre, ma oggi non si tratta solo di questo. È come se Ian mi avesse messo davanti una caccia al tesoro, e si aspetta che io la risolva nel minor tempo possibile.
Questo senso di sfida mi dà la carica più di quanto possano fare le pillole.

Mentre setaccio lo scaffale dedicato alla psicologia, un passo in più tradisce chi si trova dall'altra parte della libreria. Mi muovo senza far rumore, così da non avvertirlo, decisa a scoprire chi mi sta seguendo.
Ma quando giro l'angolo il corridoio appare vuoto, appena illuminato da una lampadina debole che scende dal tetto.
Rimango ad ascoltare i suoi passi per capire in che direzione è andato; è necessario che io lo scopra prima che riesca ad uscire dalla stanza.
Se ha bisogno di raggiungere l'uscita sarà costretto ad attraversare la fila principale. Mi appiattisco contro la parete, stando in guardia e preparandomi in uno scatto deciso per quando passerà.
A quanto pare la fretta di andarsene lo ha reso così incauto da dirigersi verso le porte immediatamente.
I suoi passi svelti sono veloci quanto il battito del mio cuore, mentre premo più possibile la mia schiena contro la libreria quasi questo potesse rendermi invisibile.
Raggiungerà la mia destra tra cinque passi. Quattro passi. Tre.
Questa volta non gli concedo nemmeno un secondo per potermi sfuggire. Gli afferro il braccio con forza, incastrando il suo corpo tra il mio e gli scaffali piedi di libri.
-Si può sapere perché mi stai seguendo?- sussurro abbastanza forte perché mi senta, ma non tanto da far scollare alla sorvegliante gli occhi dal suo manuale.
Per la prima volta guardo in faccia chi mi stava pedinando.
-Io non ti stavo seguendo, giuro- risponde con un filo di voce, il suo corpo trema ancora da quando l'ho colto di sorpresa in corridoio.
È il ragazzo che mi ha aiutato quando sono uscita dall'infermeria, colui al quale Jason avrebbe dato una bella lezione se non avessi insistito per allontanarlo.
Forse sto diventando ossessiva come Kira e Bobby.
Forse le medicine non bastano.

Allontano il braccio che premevo sul suo petto così da immobilizzarlo, pronta a porgergli le mie scuse.
Solo quando indietreggio di qualche centimetro noto che tiene tra le mani un registro marrone, vecchio abbastanza da avere gli angoli rovinati.
-Che cos'è?-
Me lo porge riluttante, senza nascondere la smorfia spontanea che si fa largo sul suo viso.
Non stava seguendo me, ma stava comunque scappando da qualcuno.
-Non è come pensi, non stavo rubando, è solo che...-
È il registro di coloro che hanno preso i libri in prestito durante gli anni.
Ci sono le date e i nomi della maggior parte dei ragazzi della Base.
-So che è strano, ma non penso che tu crederai mai a quello che-
Blocco il suo flusso di parole sollevando appena il palmo, troppo concentrata sulla lista per ascoltarlo.
"La teoria del prospetto"
Ian Mitchell
Datata cinque anni fa.
Nessuno andrebbe mai a controllare qualcosa del genere, e lui è l'unico che possa ricordarsi di un dettaglio così.
Manca la data di consegna, significa che il libro è ancora nella sua stanza.
Nella stanza di Adam.

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