Capitolo 31
Ian
-Il signor Mitchell, deduco-
Mi sono serviti una decina di controlli e perquisizioni per riuscire a trovarmi di fronte ad un uomo che non conosco.
-Aspettavate altre visite?-
Sono sceso dall'auto in un parcheggio sotterraneo, circondato da soldati in uniforme. Non ho idea di dove io mi trovi, né quanto lontano io sia da casa.
Ho solo impresso nella memoria il percorso compiuto tra le pareti bianche di questo edificio, in modo da poter raggiungere la via verso il parcheggio senza problemi in caso avessi bisogno di scappare.
Abbiamo girato tre volte a sinistra, poi una a destra alla fine di un lungo corridoio.
Sarebbe necessario neutralizzare la piccola scorta che si muove dietro di me in silenzio, rende chiara la sua presenza solo attraverso il suono dei passi coordinati.
Per ora non c'è motivo di preoccuparsi.
Sono nel loro territorio e sono disposto a sottostare alle loro regole, per quanto asfissianti.
-Dov'è il generale?-
Non sono venuto qui per perdere tempo in formalità, immagino che abbiano da chiedermi un grosso favore.
-Sono abbastanza informato sulla questione per gestirla personalmente, non è necessario che il generale venga disturbato-
Mi trattengo dal sollevare un sopracciglio, non è necessario che sappia ciò che penso.
Non c'è niente di peggio di un sottoposto che gioca a fare il capo.
E la sua smania di potere potrebbe far crollare un castello di carte ben più articolato di quanto non pensi.
Non voglio farne parte.
Questo non è il mio mondo né lo sarà mai, sto solo mantenendo fede alla parola data.
-Sono proprio curioso di vedere come farà a risolvere questa situazione...diciamo intricata, sì- gesticola leggermente quando parla.
-Se iniziasse dicendomi di cosa si tratta, sono sicuro sarebbe un ottimo punto di partenza- tengo il suo passo senza problemi, mentre a mente calcolo la distanza tra noi e la scorta che si muove poco lontano.
-Sembra avere fretta- lascia le parole nell'aria, sospese tra dei corridoi che per l'anonimato ricordano quelli della Base.
-Sono piuttosto impegnato, come ben saprà-
-Lungi da me farle perdere altro tempo, allora. Deve sapere che di recente abbiamo assediato e distrutto un covo di terroristi prima che riuscissero a pianificare un nuovo attacco. Sfortunatamente quei bastardi erano preparati e quei pochi che non sono scappati si sono uccisi all'istante-
È come se stesse raccontando una storia, nessuno di questi eventi sembra reale, non per me.
Ho passato tutta la mia vita sottoterra, il mio mondo non è mai stato più grande della Base, le mie conoscenze si fermano a quello che ho potuto osservare in questa città.
Non ho nessuna garanzia che tutto questo esista, o che mi stia dicendo la verità. Non ho modo per analizzare le informazioni, smontare i suoi racconti e scoprirne di più, perché sono stato cresciuto all'oscuro di tutto.
L'ignoranza mette sempre in una posizione di sottomissione, e detesto ritrovarmici.
Ma oggi non dovrebbe importarmi se il mio interlocutore è sincero o meno, oggi sono solo una pedina nelle loro mani. Ho promesso un favore e ho dato la mia parola, sono già in una posizione di svantaggio.
Devo solo ubbidire agli ordini senza fare domande, qualcosa che invece ho imparato molto bene dove sono nato.
Perché forse è quello che speravano facessi per tutta la vita.
-Tuttavia nascosto in uno sgabuzzino abbiamo trovato un testimone, probabilmente un prigioniero.- ne parla come se fosse una seccatura, un altro problema di cui sbarazzarsi.
-E avete bisogno di me per interrogarlo?- sollevo un sopracciglio, perplesso.
Superiamo una lunga fila di porte chiuse, l'unico rumore che echeggia è il suono del nostro passo sostenuto, ma niente di più.
L'edificio sembrerebbe vuoto se non fosse per gli incontri casuali con alcuni soldati, che accennano solo a un impercettibile saluto con il capo.
-Stia tranquillo che ci riusciremmo in modo eccellente da soli-
Oh, non ho dubbi.
Immagino che usino gli stessi metodi convincenti della Base.
-Ma la persona in questione è piuttosto restia a parlare, non so se abbia fatto un voto a qualche barbarica religione o soffra di mutismo, ma non deve essere un problema di lingua perché sembra comprenderci benissimo. Quindi il generale sperava che lei e la sua... magia? O in qualsiasi modo si chiami, risolveste questo piccolo intoppo-
Non riesco a trattenere una breve risata.
-Pensa che io sia un mago?- apro le braccia in un gesto teatrale, cogliendo al volo quel minuscolo spiraglio di potere che mi è concesso.
Lo sguardo dell'uomo è distaccato, ingrigito da un completo dalle linee semplici, ma che intozziscono la sua figura.
-Non mi importa fino a quando si rivela utile per i nostri interessi. Per quanto mi riguarda può pure farsi spuntare la coda- la sua voce diventa affilata come una lama, e punta dritta alla mia gola.
È la prima volta da quando ho messo piede in questo mondo che mi sento disprezzato. Non per la mia personalità, ma per la mia natura.
Non sarebbe cambiato nulla se al mio posto ci fosse stato un altro ragazzino della Base, l'espressione sarebbe stata la stessa.
È la prima volta che mi sento diverso.
Mi sta giudicando per qualcosa che non ho scelto, e nonostante io adesso gli serva, questo non cancella la diffidenza nei miei confronti.
È proprio vero che le persone temono ciò che non capiscono, ma vale anche se non vogliono capire.
-Siamo arrivati- si ferma davanti a una porta sorvegliata da due guardie.
Lo sguardo impassibile mi lascia intendere che spetta a me la prossima mossa.
Stringo la maniglia bianca con le dita, concedendomi un respiro profondo prima di entrare.
Dieci minuti e tornerò a casa.
Questo debito sarà estinto e dovrò solo preoccuparmi di Alexa.
-Un'ultima cosa. Le ricordo che quello che succede all'interno di questo edificio è un affare di massima sicurezza. Tutte le informazioni sono riservate e non possono uscire da qui.- si sistema la cravatta intorno al collo, come se le parole gli stessero andando di traverso.
-Va bene-
Apro la porta, nulla di quello che mi attenderà all'interno potrà mai essere peggio di quest'uomo.
-E se lo porti nella tomba, se è necessario- è l'ultima cosa che sento alle mie spalle.
La stanza è spoglia come il resto dell'edificio. È da quando sono entrato che ho la sensazione che questo più che somigliare a un quartier generale, sia un'abitazione spoglia, svuotata da un trasloco.
Non ci sono dettagli rilevanti.
Le pareti sono tinteggiate di bianco in modo distratto, frettoloso, come un po' tutto all'interno della camera.
Solo la maniglia mi è sembrata solida e di buona fattura, e così anche tutte le porte che ho osservato negli spostamenti.
Un piccolo lettino è posizionato al centro, i piedi di metallo sono quasi del tutto arrugginiti e storti. Sembra sul punto di cedere.
Gli unici altri mobili presenti sono un armadio in legno e una sediolina fragile come il letto.
Spostandomi leggermente a destra noto una figura rannicchiata dietro il materasso, prima si nascondeva alla mia vista.
È un bambino.
Ogni mio muscolo si congela, lasciandomi fermo sul posto ad osservare con lo sguardo perso il proprietario della stanza.
Qualsiasi mio tentativo di pensare viene bloccato all'istante, lasciandomi incapace di agire, il cuore che pulsa così tanto che quasi lo sento tra le mani.
Non posso farlo.
Io non-
Mi volto di scatto, diretto alla porta.
Ho appena il tempo di fare un altro passo che una mano afferra decisa la mia spalla.
Non so quando siano entrati, ho smesso di essere lucido da quando l'ho visto. Non possono chiedermi questo.
-Dove crede di andare?-
Sento le dita del soldato affondare nella mia pelle, così forte che penso che voglia forarla come se fossero proiettili.
Ho dato la mia parola, non posso tirarmi indietro.
Detesto sentirmi così.
Odio dovermi sottomettere in questo modo.
Mi sembra di essere tornato quel ragazzino che si autoimponeva di imparare la disciplina sottoponendosi alle peggiori sfide.
Una volta assaggiato il potere è così difficile tornare in ginocchio.
Ma per questi dieci minuti sarò la loro puttana, non ho altra scelta.
Anche se questo significa manipolare un bambino.
Mi passo il palmo sul viso, rimettendo a posto la maschera che è necessario che io porti.
-Da nessuna parte- rispondo dopo un respiro profondo.
Brian aveva ragione: non assomiglio per nulla a queste persone.
La mano dell'uomo allenta la stretta, mentre noto che l'altra era già pronta sulla cinta, in caso io volessi oppormi.
Vorrei poterlo fare.
O questo o tornare lo stronzo di prima.
O mi rifiuto di farlo e infrango l'accordo, o dimentico tutto ciò che sono diventato in questi mesi.
Non so bene da quando io abbia dei valori morali o una dignità, ma adesso ce l'ho. E non so come poterli abbandonare per soli dieci minuti.
Appena mi volto incontro gli occhi curiosi del piccolo prigioniero, deve averli tenuti puntati sulla mia schiena per tutto il tempo che sono rimasto voltato.
Mi dispiace che abbia assistito al mio momento di debolezza. Si renderà presto conto di trovarsi davanti una persona completamente diversa dalla precedente.
Mi avvicino con cautela: è già sulla difensiva, non voglio spaventarlo.
Lascio che il mio corpo assuma un atteggiamento più affabile, disponibile. Non esagero con l'espressione, lo capirebbe subito che sto mentendo, i bambini le sanno queste cose.
-Posso sedermi qui?- indico il pavimento con un dito.
Il suo sguardo diffidente lascia posto a un'espressione sorpresa, come se non si aspettasse che glielo chiedessi.
Il tizio in corridoio aveva ragione, comprende benissimo la nostra lingua.
Acconsente con un movimento del capo per poi sfuggire dal mio sguardo tornando a fissare il pavimento.
-Grazie-
Ma lui non sembra nemmeno avermi sentito, troppo impegnato a seguire le giunture tra le piastrelle con il dito.
Aveva bisogno di un gioco per passare il tempo in solitudine.
Chissà cosa gli hanno fatto.
La comunicazione è la chiave per rendere la manipolazione efficace. Se siamo sulla stessa lunghezza d'onda il mio messaggio arriverà più chiaramente. Qualcuno che si esprime come noi ci porta a pensare di essere capiti, e inevitabilmente ci costringe ad abbassare la guardia.
È il modo più dolce che conosco per soggiogare qualcuno.
Rimango a studiare il meccanismo del suo gioco, seguendo il suo dito inventare nuovi percorsi.
Deve esserci uno schema.
Sei rimasto solo troppo a lungo per non averne creato uno.
Segue il contorno delle mattonelle con cura, per poi prendere una diagonale e passare in modo imprevedibile ad un'altra.
Ma il bello degli schemi è che prima o poi si ripetono.
E quando succede ho già memorizzato tutti i passaggi, così da prevedere la sua mossa.
Le nostre dita si incontrano una di fronte all'altra, sulla stradina ruvida tra le piastrelle.
Il bambino sobbalza leggermente, colto di sorpresa e quando i suoi occhi scuri si posano su di me sono io a trasalire.
Per un attimo rivedo Celine.
I capelli biondi e lisci e le labbra sempre incurvate in una smorfia buffa.
Non si somigliano nemmeno, ma non posso non pensarci.
Quanti anni ha?
Sono sicuramente coetanei.
Lo sarebbero se lei fosse stata ancora viva.
In lui vedo lo stesso potenziale, la stessa intelligenza vorace.
E temo che nemmeno questa volta vedrà la luce.
-Sai, io non sono come loro- sussurro così che solo lui mi senta.
I suoi occhi attenti balzano da me ai soldati in fondo, coloro che sorvegliano la porta.
-Tu lo vedi, vero?-
So che lo sa, deve averlo notato subito.
China la testa rasata, tornando a fissare le nostre dita ferme sul pavimento.
Con un piccolo guizzo cerca di afferrare il mio polso, ma poi ci ripensa, ritraendosi.
Mi scappa un sorriso, ha osservato molte più cose di quanto pensassi.
Gli porgo il palmo della mano, lentamente.
Le sue dita scattano curiose, in cerca di ciò che avevano già desiderato analizzare.
Gira la mia mano sul dorso, passando il pollice sulle cicatrici dovute all'ustione.
Segue i cerchi irregolari con attenzione, come faceva prima con le piastrelle.
Il suo tocco è delicato e mi si stringe il cuore al pensiero che non voglia farmi del male.
Spero di non fartene nemmeno io.
-È stato solo un incidente-
Alcune volte dimentico di averle.
E non dovrei perché sono lì per ricordarmi il limite che non devo superare.
Dopo aver osservato con attenzione le mie ferite, scosta la sua maglia, mostrando un'ustione che si propaga per tutto il braccio.
Questa volta sono io ad avvicinarmi per guardare meglio.
-Questa non sembra un incidente però- è abbastanza recente, non oso nemmeno toccarla nel timore di arrecargli dolore.
Evita il mio sguardo, rannicchiandosi di più.
Non è un bel argomento, capisco.
-Vuoi sapere un segreto?- questa volta mi avvicino una mano alla bocca per sottolineare il tono confidenziale.
I suoi occhi scuri si illuminano, improvvisamente interessati.
-Ho un potere speciale-
Mi sarebbe piaciuto mostrarlo a Celine, avrei voluto essere me stesso completamente, senza vergognarmi.
Senza temere che ne avesse paura.
Mi volto verso le due guardie, immobili come statue di cera.
Mi basta appena uno sguardo per incatenarle alla mia mente, è necessario solo un istante.
Adesso sorreggo il peso dei loro corpi, ogni loro muscolo è avvolto dalla ragnatela che ho già iniziato a tessere.
E quando tirerò i fili, loro si muoveranno di conseguenza.
-Ti fanno paura?- distolgo l'attenzione dalle mie vittime per rivolgerla al mio unico spettatore.
Annuisce subito, abbracciandosi le ginocchia.
-Vediamo come posso rimediare-
Il soldato alla sinistra inizia a ballare, muovendo le gambe in tutte le direzioni. Sento i suoi scarponi fare resistenza con il pavimento, impedendogli di lasciarsi andare in mosse più fluide.
L'altro uomo invece inizia a fare smorfie, mostrando la lingua e scuotendo il capo.
Il berretto con la visiera toglilo.
Ed esegue all'istante.
Adesso si mostra per quello che è: un umano come tutti gli altri, privo di quella barriera di indifferenza che indossa insieme all'uniforme.
Sento il bambino trattenere una risata, nascondendo la bocca dietro le mani.
Spero che questo spettacolo lo aiuti, so quanto le paure diventano grandi di notte, al buio.
Una parte di me però sa che è da stupidi pensare di poter migliorare la sua condizione in dieci minuti.
Non posso aiutarlo, non oggi.
Illudermi non farà altro che ostacolare il mio lavoro, e finirò per rendere le cose difficili.
Per entrambi.
Le guardie continuano a dimenarsi sul ritmo di una musica che risuona solo nelle loro orecchie.
Ricordo appena qualche pezzo di un brano che si poteva udire dietro la porta chiusa della camera di Chloe.
È stato il primo approccio con la musica di questo mondo.
Il bambino osserva incredulo i suoi carcerieri diventare giullari, segue con gli occhi scuri ogni loro movimento.
Spezzo il legame con le loro menti bruscamente, lasciandoli soli nella loro confusione. E mentre uno dei due raccoglie il berretto che non ricordava essergli caduto, porto un dito alle labbra suggellando il segreto tra me e il mio piccolo amico.
-Ascoltami, so che queste persone ti fanno paura, ma hanno bisogno di un informazione che tu potresti avere. Poi ti lasceranno libero, non dovrai più stare qui dentro- sono così convincente che per poco ci credo pure io.
E detesto che la verità sia diversa.
Non posso sapere che fine farà, se tornerà dalla sua famiglia o se lo useranno per ricattare qualcuno.
Non è al sicuro con loro.
Ma del resto non lo sono nemmeno io al momento.
-Non voglio sapere perché non parli, e se è un voto o qualcosa del genere lo rispetto, nessuno ti sgriderà più per questo.-
Immagino che abbia messo alla prova la pazienza dell'uomo che mi ha accompagnato qui.
Il suo sguardo si incupisce mentre con una smorfia mi lascia intendere che conosce bene questo argomento e che non vuole riviverlo.
-Ti hanno fatto del male?- questa volta scappa dal confronto con i miei occhi, schiacciando la guancia contro le ginocchia piegate.
D'istinto afferro le sue mani per attirare la sua attenzione, correndo il rischio di spaventarlo.
Ho bisogno di sapere che non gli è successo nulla di grave.
Per un attimo penso che possa vedere quanto io sia teso, ma né il tono della voce né i miei movimenti lasciano intendere ciò.
Il suo silenzio è la risposta che mi serve.
-Ascolta, ti prometto che se ti fidi di me questa storia finirà il prima possibile. Ricordi il mio potere? Lascia che io veda cos'è successo, ho bisogno solo che ripensi a quel giorno, quando sono arrivati i militari...-
Le sue dita sono così fragili tra le mie, temo che un gesto brusco potrebbe romperle.
-Ti prego, lascia che ti aiuti- mormoro accarezzandogli la guancia; non lo farò senza il suo consenso.
Analizzo la sua espressione in cerca di qualche inizio sul suo stato d'animo.
Vorrei avere più tempo.
Più tempo per parlare, per ottenere la sua fiducia.
Per affezionarmi e soffrire.
No, non più. Non posso fare lo stesso errore due volte.
Annuisce leggermente, insicuro.
-Non ti preoccupare, non sarà doloroso, non lo noterai nemmeno- gli rivolgo un sorriso sincero.
Mi concedo solo un respiro profondo prima di immergermi nei suoi ricordi.
Temo che sarà un abisso molto profondo.
La prima cosa che sento sono spari.
Rumori assordanti che mi stordiscono talmente tanto che per un secondo temo di aver perso i fili che mi tengono aggrappato ai suoi ricordi.
È tutto buio nella sua mente, ma i suoni del conflitto continuano a farsi largo nell'oscurità.
Si uniscono a urla di ogni tipo, confuse, ammassate, sembrano ovunque.
Sento il suo respiro affannato, il cuore che gli scoppia nel petto per la corsa. Le sue gambe stanche sono anche le mie, è come se avesse corso chilometri.
Sembra chiuso da qualche parte: una cassa, un armadio; ha l'odore del legno.
Fuori dal suo nascondiglio deve esserci il caos, lo scontro è così violento che fa sobbalzare le fragili pareti tra cui siamo rinchiusi.
All'improvviso vengo accecato da una luce, troppo diretta per degli occhi abituati al buio.
Sono i soldati, lo stanno tirando fuori dal baule.
-È solo un bambino...- commenta uno di loro, l'arma ancora saldamente stretta in mano.
-È uno di loro e anche l'unico rimasto-
Sento la canna premuta contro la tempia, è ancora calda per i numerosi colpi sparati.
-Avanti Fred, non vorrai sul serio farlo...-
-Non siamo tutti cacasotto come te- non si volta nemmeno a guardare il suo compagno, tiene gli occhi piccoli e crudeli fissi su di noi.
Il corpo del ragazzino inizia ad essere vittima di tremiti incontrollati.
-Sutton, hai infilato la testa nel culo!? Questo ci porta da tutti gli altri!-
È stato l'uomo più imponente di tutti a parlare. E a giudicare dalle medaglie che gli brillano sul petto deve essere il loro comandante.
Si avvicina al bambino, incredibilmente piccolo rispetto a lui.
-Non è vero, campione?- il suo grosso palmo si posa sulla sua spalla, facendo cessare i brividi.
Lascio andare i suoi ricordi lentamente, non solo per lui, ma anche per darmi il tempo di riabituarmi alla realtà.
Ad una nuova prospettiva con cui vedere le cose.
Che figli di puttana.
Non è mai stato un ostaggio, non ci sono mai stati dei terroristi: erano loro gli invasori.
Sperano che questo bambino gli porga gli strumenti per uccidere la sua gente.
-Dov'è la tua famiglia? Sono riusciti a scappare?- non dovrei essere così brusco, ma la mia mente sta andando a mille. Numerosi pensieri si susseguono senza che possa analizzarli con calma; non ho tempo.
Solleva le spalle debolmente, come se fossero pesanti e stanche di portarsi questo dolore addosso.
Non dovrebbe provare provare tutto questo, non alla sua età, non da solo.
Mi alzo di scatto, cogliendolo di sorpresa.
Ho troppi problemi, non dovrei mettermi in altri guai.
Ma sono troppo arrabbiato per prendere decisioni sagge.
Cerco di contenere la furia che giace nel mio petto serrando i pugni fino a quando le unghie non sono ben conficcate nei palmi.
Non basta.
La persona che ero prima avrebbe mantenuto la calma, non si sarebbe fatta coinvolgere perché sapeva che non è logico né utile farlo.
La persona che sono adesso sta per mettere sottosopra questo posto.
Non ho nemmeno il tempo di mettere un piede fuori dalla stanza sotto lo sguardo freddo delle guardie, che sento la mia gamba bloccata.
Il bambino senza nome si è avvinghiato così forte che per muovermi devo trascinarlo sul pavimento.
Immediatamente i soldati puntano le loro armi contro di lui, senza esitare un secondo.
-Hey! State calmi. Non sta facendo nulla di male- mi lascio scappare solo una leggera sfumatura altera nella voce.
-Potrebbe voler scappare-
Voglio vedere voi chiusi in una stanza per giorni.
-E delle persone addestrate come voi non riuscirebbero a riprenderlo?- sbuffo godendomi la faccia infastidita dell'uomo con il cappellino. Quando corruga la fronte, i suoi piccoli occhi diventano due fessure nere.
Mi chino verso il bambino, in modo da parlare alla stessa altezza, voglio che mi senta bene.
Lo abbraccio forte come se lo conoscessi da sempre.
-Ti prego, fa' il bravo. Sto tornando a prenderti, dammi solo dieci minuti- sussurro al suo orecchio in modo che le guardie non possano cogliere le mie parole.
-Posso portarti fuori di qui, ma dovrai seguire attentamente quello che ti dirò, non voglio che ti succeda nulla.-
Le sue dita stringono forte il tessuto morbido della mia giacca.
-Annuisci se hai capito, ho bisogno che tu sia sicuro- mi stacco dalla sua stretta contro la mia volontà, appena in tempo per vederlo confermare con il capo.
Esco in fretta senza rivolgere uno sguardo ai soldati accanto alla porta, penserò dopo a loro.
La mia priorità è trovare quello stronzo che mi ha accolto all'inizio.
Non posso attirare l'attenzione della scorta vagando da solo per i corridoi, quindi inizio manipolando loro.
Li obbligo a togliere le cartucce dalle armi e a seguirmi senza fiatare. La loro mente è un posto facile a cui accedere.
Con mio grande piacere mi imbatto subito nel generale, colui che non poteva essere disturbato per una situazione così ridicola.
-Signor Mitchell, com'è andato l'interrogatorio? È riuscito a farlo parlare?- il suo tono divertito mi irrita.
Non sono qui per fare giochetti, non questa volta. Sono stanco di stare alle loro regole, è tempo che imparino le mie.
Con un mio cenno delle dita la scorta solleva le armi scariche contro di lui, peccato che non sia a conoscenza di questo ultimo dettaglio.
In altre circostanze mi sarei goduto la sua espressione cambiare sotto i miei occhi, ma oggi non mi va. Voglio solo chiudere con tutta questa storia.
-Che cosa significa tutto questo!? Siete impazziti?- se continua ad urlare potrei dover affrontare più problemi alla volta.
Mi basta pensarlo perché lui chiuda la bocca, il corpo completamente immobilizzato, fermo nel mezzo del corridoio.
Non ho intenzione di perdere più tempo del necessario, qualcuno avrà di sicuro visto la scena dalle telecamere.
-Come avete osato rapire un bambino innocente e sottoporlo a questo incubo?- mi avvicino a lui, mentre i suoi occhi, gli unici che possono muoversi, sono puntati sulle mie mani intente a sfilargli le armi dalla cintura.
-Oh giusto, non puoi parlare- schiocco le dita in modo da annullare la manipolazione.
La sua mente è più intricata di quella degli altri uomini, ma è uno sforzo che nemmeno percepisco, sono solo cinque persone contemporaneamente, riesco a sopportare almeno ottanta grazie agli allenamenti.
-Stai tradendo il nostro accordo, Mitchell! Non puoi-
-Ah, attento a quello che dici perché se ho l'impressione che tu mi stia facendo perdere tempo, io ti uccido e chiedo a qualcun altro di rispondere alle mie domande- stringo la pistola che non ho ancora scaricato.
-Non lo farai- si ostina a mantenere l'atteggiamento orgoglioso, un generale dovrebbe sapere quando una guerra è persa.
-Cosa te lo fa pensare?- lo sfido con lo sguardo mentre immagino di afferrarlo per la gola e premere con forza.
So che lo ha sentito, anche se non l'ho mai fatto nella realtà. Per un attimo ha pensato di soffocare e morire così, in questo posto spoglio, davanti ai suoi uomini.
-Che cosa vuoi?- sussurra senza fiato.
-Voglio capire la meglio la situazione, vedere quanta cattiveria c'è dietro-
Prima che io gli mostri di quanta ne dispongo io.
-Avevamo bisogno di evacuare quella zona, non possono stare lì-
-Mi sembra che abbiano il diritto di abitare lì-
-Ci sono... È piena di petrolio, non saprebbero nemmeno come usar-
Ho sentito abbastanza.
Più mi immergo in questa schifosa società più tutto questo mi sembra assurdo. Prima Margaret in auto e adesso questi folli che pianificano genocidi per le risorse di un territorio, uccidono bambini per il denaro.
E temo che questa sia solo la punta dell'iceberg.
-Oh andiamo, smettila di guardarmi come se tu fossi migliore, come se il tuo mondo lo fosse-
-La Base è un posto orribile e io probabilmente sono uno dei frutti marci che ha partorito, ma quello che fate voi...-
Vengo interrotto dal suono dei passi frettolosi dei rinforzi. Non posso rimanere qui.
Punto la pistola contro il generale, deciso a premere il grilletto. Il suo sguardo rimane impassibile, bloccato dalla morsa della mia mente.
Risolverei veramente qualcosa se lo uccidessi?
Detesto ricorrere alla logica in questo momento.
Sono furioso, vorrei solo smettere di sentirmi così, ma non sono sicuro che un colpo di pistola mi aiuterà.
Anche se riuscissi ad uscire di qui dopo averlo ucciso, mi cercherebbero ovunque e metterei in pericolo i miei compagni.
E poi, anche se lui morisse, qualcuno prenderebbe il suo posto.
È inutile.
Mi lascio andare a uno sbuffo contrariato, devo mantenere i nervi saldi per un altro po'.
Risolverò la situazione in un altro modo. Ho un bambino che aspetta che io torni, ed è un patto che ho intenzione di rispettare.
-Voi due, andate nella sala di controllo, voglio che cancelliate tutte le registrazioni di oggi, compreso il parcheggio.- la mia testa inizia a dolere per lo sforzo, come se qualcuno ci avesse conficcato uno spillo.
Dovrò abituarmi, ho appena iniziato.
È un incarico complesso, non si tratta solo di camminare o parlare, la loro mente deve essere abbastanza annebbiata per portarlo a termine.
-A qualsiasi costo, cancellate tutto- mormoro quando mi passano vicino.
Più si allontanano da me più il filo che ho legato alla loro mente si tende per lo sforzo, e spero proprio non si spezzi prima del tempo.
Mi volto verso il generale, ancora immobile.
-Anche tu dimenticherai tutto questo. Perché io ho chiuso con questa storia, con tutti voi. Non ho bisogno del vostro aiuto, non più- e sebbene la testa continui a tormentarmi dal dolore, inizio a rimuovere ogni traccia della nostra sgradevole conoscenza.
Ogni riunione o accordo, sia con me che tramite mia madre; dimenticherà tutto.
Sradico tutti questi ricordi uno dopo l'altro senza sforzarmi di essere delicato, non lo merita.
Anche quando arrivano gli altri soldati, il mio lavoro non ne è intaccato.
So che se non sto attento potrei causargli disfunzioni celebrali importanti, ma sto manipolando venticinque persone al momento mi stupisco di riuscire a rimanere concentrato sulla sua mente.
Devo resistere solo qualche secondo.
Dovrei ordinare ai nuovi arrivati di scaricare le loro armi, ma non ne ho la forza, riesco appena a reggermi in piedi.
Quando la mente del generale diventa sgombra, spengo ogni contatto e il suo corpo crolla a terra privo di coscienza.
Inizio a sentire un ronzio fastidioso, come un allarme nel mio cervello che mi supplica di fermarmi.
Sto superando il limite.
Ma devo andare avanti comunque.
La buona notizia è che non dovrò fare lo stesso con loro, chiunque venga manipolato non ricorda nulla di quello che succede durante quel arco di tempo.
Mi incammino verso la stanza del bambino con passo incerto, mi sento come se fossi ubriaco.
Ogni volta che sento la testa così pesante da farmi sbandare, inciampando sui miei stessi piedi, spengo il collegamento con uno di loro, addormentandolo.
Richiede uno sforzo doloroso, ma è solo un attimo, poi riesco di nuovo a concentrarmi.
Raggiungo la porta in fretta, consapevole di non riuscire a resistere per molto. Solo per arrivare qui ho dovuto manipolare altre trenta persone, lasciandone andare quattro lungo il cammino.
Lui è rimasto rannicchiato sul pavimento, in attesa che tornassi. Eppure, nonostante glielo avessi detto, il suo viso si dipinge di un'espressione sorpresa.
Mi inginocchio alla sua altezza, incapace di reggermi in piedi. Devo riprendere le forze o sarà tutto inutile.
Non usciremo vivi da qui.
-Non abbiamo molto tempo, e come vedi sono un po' stanco, sei pronto?- non voglio farlo preoccupare, ma è necessario che veda che la situazione non è così facile come l'avevo fatta sembrare all'inizio.
Quando la sua mano raggiunge la mia fronte mi accorgo che scotta, mi sento la febbre.
Alcuni soldati approfittano della mia debolezza per cercare di divincolarsi dalla mia manipolazione, ma io non ho intenzione di mollare adesso.
Prendo il bambino tra le braccia sollevandolo con quella poca forza che mi è rimasta.
Saremo più veloci in questo modo.
Avanzo a fatica, ogni passo mi lascia senza fiato, ma non ho alternativa.
Devo solo risolvere un ultimo problema e poi potrò riposarmi.
E la soluzione si presenta quando l'uomo che mi ha accolto ci raggiunge, correndo. Il nodo della sua cravatta è ormai sciolto, così come la sua lingua, priva della sicurezza che ostentava inizialmente.
-Che cazzo sta succedendo?- sbraita venendomi incontro. Il bambino di stringe a me, spaventato, nascondendo la testa nel mio collo.
-Gliel'ho detto: ho fretta-
Accedere alla sua mente brucia come se stessi immergendo la testa nel fuoco. Fa così male che per un attimo temo di svenire.
-Cancella ogni file riguardante la Base, immagino che tu sappia dove li tiene il generale-
Le parole si ripetono innumerevoli volte nella mia mente, un eco che mi perseguita per tutto il corridoio.
Non ho la certezza che quell'uomo farà quanto gli ho detto, il legame che ho costruito è stato frettoloso e breve.
Non sarei riuscito a fare altrimenti.
Alcune volte il bambino tira la mia camicia per risvegliarmi dal dolore e tornare lucido, come se avesse le redini del mio corpo.
Sono bagnato dal sudore e ad ogni passo sono costretto a lasciar andare uno dei soldati, che crolla a terra in un tonfo.
Quando le fitte lancinanti si fanno più intense sono costretto a socchiudere le palpebre, limitando la mia visuale.
Scendo nel parcheggio per miracolo, mi trascino lungo il muro per non perdere l'equilibrio.
Sono quasi arrivato.
Mi illudo di aver vinto, di esserci riuscito.
Abbasso la guardia solo per un secondo, un fottutissimo secondo.
Non riuscirò ad arrivare all'auto se non lo faccio.
Lo sparo arriva immediatamente.
Cado a terra senza fiato, stordito dal rumore assordante.
-Ian!-
Mi stanno chiamando.
Cazzo, che dolore alla testa.
Non riesco ad alzarmi, non mi sento le gambe.
-Ian! Alzati, presto!-
Quando apro gli occhi Margaret è a terra al mio fianco, continua a strattonarmi.
-Non vi muovete!- urla una voce maschile poco distante.
Che sta succedendo.
Tasto la mia giacca in cerca del corpo del bambino che avevo in braccio.
Il cuore mi batte così forte che mi costringo a sollevarmi.
-Ho detto di stare fermi!-
-Ian, sei pieno di sangue!- le sue parole sfociano nel pianto incontrollabile.
Ha ragione.
Sotto la giacca scura, la mia camicia è macchiata di rosso.
Il bambino giace poco lontano, deve essersi staccato durante la caduta.
Il soldato urla di nuovo, a Margaret questa volta che non la smette di singhiozzare.
Sono stanco.
Con un ultimo sforzo riallaccio il legame con l'uomo armato mettendolo a dormire subito.
Riesco appena a respirare, non ho mai compiuto un tipo di manipolazione così estesa.
Rotolo fino al corpo del bambino, picchettando la sua spalla con delicatezza, deve essere terrorizzato.
Ma non si muove.
Non trema nemmeno dalla paura come faceva mentre attraversavamo i corridoi.
Lo scuoto con meno delicatezza, nello stesso modo con cui Margaret mi torturava poco prima.
Continua a non rispondere.
Quando lo metto supino noto il sangue sulla sua maglietta, ne è zuppa più della mia camicia.
No no no no.
I suoi occhi spalancati mi fissano, mentre le sue labbra boccheggiano emettendo un flebile suono.
Gli accarezzo la guancia fermando ogni suo tentativo.
-Hey, non ti sforzare. Ti capisco benissimo anche se non parli, lo sai- mi sforzo per sorridere, mi impegno perché ogni suo ultimo secondo non sia una merda.
Cerco di tamponargli la ferita con la mano, ma so che non è sufficiente.
È troppo tardi ormai.
È sempre troppo tardi per me.
-Non conosciamo nemmeno i nostri nomi- questa volta non riesco a trattenere le lacrime.
Sta succedendo di nuovo.
Credevo che sarebbe stata la mia seconda occasione.
-Ian! Dobbiamo andarcene-
Cerca di allontanarmi in tutti i modi, ma non mi muovo.
Non posso lasciarlo solo, non adesso.
-Mi dispiace, io ci ho provato...-
Lo osservo scuotere il capo, come se non fosse importante.
Le lacrime continuano a rigarmi il viso, sono così tante che ho la vista appannata.
-Avrei voluto salvarti- sussurro stringendo il suo corpo senza vita.
La verità è che non ho mai salvato nessuno.
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