Capitolo 29
Alexa
Rimango incantata nell'osservare la sabbia cadere con regolarità, mischiandosi con il tempo già trascorso.
Ogni granello spinge l'altro nel tentativo di passare da quella stretta apertura, inconsapevole che prima o poi confluiranno tutti nel recipiente sottostante.
Non avevo mai visto una clessidra fuori dai libri di testo. Ad Ian sarebbe piaciuta.
È comprensibile che sia stata sostituita dall'efficienza degli orologi moderni, eppure non posso smettere di pensare a quanto possa spaventare gli uomini. Con l'orologio analogico sei a conoscenza solo del presente, secondo per secondo, lancetta dopo lancetta. Ma con una clessidra sei costretto a confrontarti con ciò che è passato e con quello che ti rimane. Non è un concetto astratto, è proprio davanti ai tuoi occhi: un mucchio di polvere. Il tempo che scivola da un contenitore all'altro è solo una montagna di sabbia.
E fa paura.
I minuti che non hai usato si accumulano sempre di più, proprio mentre li guardi cadere. Non c'è nulla di speciale in questo.
Perché non mi spaventa?
E mentre tutti si affannano a cercare di vivere nella giuntura tra i due contenitori, il presente, così sottile e fragile, Ian si è sempre occupato di collezionare la sabbia del passato, quella che ormai nessuno voleva. Lo immagino a vivere nel recipiente inferiore, scostando i ricordi con le mani, saggiando con i polpastrelli ogni granello, in modo che nulla gli scappi.
Io ho sempre vissuto nella bolla di vetro superiore, pronta a scivolare via.
Oh, starei a guardarla per ore.
Sobbalzo appena la mia pelle si scontra con una superficie fredda, strappandomi dal mio mondo di vetro e polvere.
Mi ritraggo di scatto in modo da proteggermi dall'uomo che mi ha toccato la tempia.
-Alexa? Tranquilla, è solo un controllo- riconosco la voce di Arthur a stento, proviene da una cassa situata nell'angolo in alto, uno dei pochi elementi della stanza spoglia in cui mi trovo. Le pareti bianche mi circondano in modo minaccioso, quasi avvertendomi di non provare a scappare.
Deglutisco lentamente cercando di mantenere la calma; sono sicura che mio padre non sia l'unico a guardarmi dall'altro lato della finestra oscurata. Il mio sguardo si sposta sull'uomo, ancora con lo strumento in mano, bloccato dai miei occhi azzurri.
Dopo un respiro profondo, mi ritrovo ad annuire, incapace di poter fare altrimenti.
Rifiutare mi metterebbe in una brutta posizione.
Sono costretta ad essere ancora una volta la cavia dei loro esperimenti.
L'uomo intimorito dal mio sguardo si avvicina a me, ponendo con una leggera pressione il cavo sulla mia tempia, per poi allontanarsi in fretta, quasi potessi morderlo.
-Serve a misurare le tue attività celebrali durante il test, in modo da ottenere più informazioni sul tuo talento. Non è quello che vuoi anche tu?- la voce attraverso l'impianto audio è distorta, metallica.
-Certamente- serro le labbra mentre lo stesso uomo posiziona altri cavi intorno alla mia testa.
Stringo i braccioli della sedia per non palesare la mia inquietudine.
Cosa mi faranno?
Il mio cuore inizia a premere contro la gabbia toracica, talmente veloce che mi manca il fiato.
-Non c'è bisogno di agitarsi- mi ribecca una voce sconosciuta dall'altoparlante. Quanti di loro mi osservano?
Non importa che io sia nelle grazie di Arthur, non mi è concesso fare un passo falso.
Devo calmarmi.
Di sicuro controllano il mio battito cardiaco. Posso mentire quanto voglio, ma il mio corpo gli rivelerà cosa sento veramente.
Mi concentro sull'unica persona presente nella stanza, occupata a controllare il collegamento dei suoi aggeggi. Ha il volto stanco, segnato da rughe evidenti, forse precoci, non sembra così vecchio.
La voce dei suoi superiori deve averlo rassicurato, adesso i suoi movimenti sono prudenti ma non più impacciati, si ostina però a scappare dal mio sguardo attento, come se avesse paura del mio giudizio.
Come se potessi fargli qualcosa.
Mi ha legato anche il busto, abbastanza stretto da non poter respirare profondamente senza incontrare la resistenza del metallo.
Un segnale acustico annuncia l'apertura della porta alla mia sinistra, l'unica via di fuga della stanza. So già chi entrerà, il mio sesto senso funziona anche meglio del mio talento. So che sarà lui, ma questa volta sono pronta.
Rilasso i muscoli mentre il signor Cox avanza spensierato, del tutto estraneo al clima che aleggia tra me e il tecnico. Non voglio che mi vedano nervosa, non possono avere questo potere su di me. Non glielo concedo.
-Splendore, ti vedo bene! Legata in questo modo poi!- si siede sorridendo, lasciandosi scivolare via la giacca grigia dalle spalle.
Tutto in questo uomo mi disgusta, ma se glielo mostrassi non farei altro che il suo gioco. Non mi sono ancora perdonata per avergli permesso di entrare nella mia testa, di immobilizzarmi e spaventarmi. Ho ancora gli incubi di quel giorno: lo rivedo afferrarmi i capelli con forza mentre preme la sua fredda lama sulla mia guancia, pronto a sfregiarmi. Sento ancora il suo alito caldo, le sue mani sul mio corpo, il dolore atroce alla gamba. Non riesco a perdonarmi di avere paura di lui.
-Ho sentito che tu e mio figlio ve la spassate insieme, chissà se anche lui ti lega così...-
-Non credevo che fossi geloso- ribatto con un leggero sorriso. Il mio battito cardiaco non deve accelerare, va tutto bene.
Stiamo solo scherzando, è solo un gioco. Non posso vincere, ma non voglio nemmeno perdere.
-Allora hai ancora una lingua! Non ricordavo bene se te l'avessi tagliata o meno la scorsa volta- lui si sporge verso di me, chiaramente divertito dalla situazione.
-Ti sbagli, la scorsa volta eri troppo occupato a fantasticare su di me in ascensore per farlo-
Sono solo ricordi, non possono farmi del male. Sono passati ormai, un mucchio di sabbia in una clessidra.
-Cox, smettila di perdere tempo e procedi- la voce dell'impianto non ammette scuse, e perfino l'uomo che ho di fronte fa sparire i suo sorriso viscido per sostituirlo con un'espressione austera.
-Tu, fuori- punta il dito contro l'operatore come se potesse sparargli, godendo della sua paura, poi perde immediatamente interesse e torna a guardarmi.
-Allora ragazzina, questo è il momento di dimostrare cosa sai fare-
-Peccato che io non abbia idea di come- le mie parole vengono stroncate dalla forza di una scarica elettrica. Il mio corpo sussulta, trattenuto solo dai lacci sul busto, improvvisamente opprimenti.
È durato solo un secondo, ma un terribile mal di testa continua a monopolizzare la mia mente.
-Che cos'era?- esclamo mentre cerco di liberare i miei arti dall'intorpidimento della scossa. Abbiamo appena iniziato.
-Solo un piccolo incentivo- alza le spalle continuando a sfogliare un fascicolo, del tutto disinteressato al mio dolore, visto che non è lui in persona a causarlo.
-Noi non sappiamo come funziona questo talento, e a quanto pare nemmeno tu. Procederemo per gradi in modo da valutare le tue abilità. Devi solo svolgere dei compiti molto semplici, piccola, e nel caso avessi bisogno di una "carica" in più sono sicuro che i signori lì dietro saranno ben pronti ad accontentarti- sorride come un bambino con un nuovo gioco e io non posso fare a meno di trasalire.
Perché mi sono cacciata in questa situazione?
Sento la testa pesante, i pensieri tutti aggrovigliati tra loro. Non so come farò ad utilizzare un talento che ancora non riesco a controllare.
-Cox, possiamo iniziare- annuncia la voce proveniente dalla cassa. Forse è quella di mio padre, forse no. Non riesco a pensare.
-Fateli entrare- l'uomo alza la mano in un cenno, senza nemmeno rivolgere lo sguardo alla porta, ancora assorto nella lettura del documento.
Accompagnati da una guardia, si presentano tre persone: due uomini e una donna. Indossano tutti delle camicie blu, del tutto anonime, solo uno di loro ha arrotolato le maniche fino ai gomiti. Sul petto portano un cartellino con un numero.
Sembrano spaesati, incerti, costretti a stare qui, come me del resto.
-Queste tre persone non hanno ancora ricevuto un ordine, in questo modo ci assicureremo che la tua sarà una previsione e non lettura del pensiero. A breve andranno in un'altra stanza e tu dovrai dirci che cosa faranno, uno per uno-
-Vi ho già spiegato che il mio talento non funziona cos- vengo interrotta da un'altra scarica elettrica, di maggiore intensità della precedente. Sigillo le labbra per impedire a qualsiasi lamento di uscire, non un singolo gemito, solo qualche suono ovattato. La testa mi scoppia come se avessi la febbre, le ventose sulle tempie sembrano premere contro la mia pelle, schiacciando ogni possibilità di pensare. Non posso uscire di qui. Non posso nemmeno dargli ciò che vogliono.
Non ho mai provato una cosa del genere, ho sempre usato il mio talento per sopravvivere, non per degli stupidi giochi.
-Adesso ti senti pronta?- mi sfida con lo sguardo mentre guarda il mio petto alzarsi e abbassarsi in fretta per l'affanno.
Annuisco in silenzio, incapace di parlare. Ho la bocca secca, la gola che brucia dal dolore.
-Numero uno, avanti-
In risposta un uomo si avvicina al nostro tavolo, anche lui titubante come l'operatore precedente. Mi chiedo se sia spaventato da Cox o da me, anche se dubito di potergli incutere timore in questo stato. Riesco appena a stringere i braccioli in legno della sedia, è il mio unico modo per sfogare il dolore.
-Dimmi, Alexa, che cosa farà il numero uno nell'altra stanza?- mi incalza, ansioso di vedere cosa so fare, o di vedermi fallire, per lui sarà uno spettacolo godibile comunque.
-Non hanno dei nomi?- la mia voce esce flebile, pronta a spezzarsi da un momento all'altro, come me del resto.
Il signor Cox sbuffa, quasi ridendo della mia stupidità, mentre l'uomo in piedi abbassa lo sguardo. Chi sono queste persone? Hanno un vita fuori di qui? Una famiglia da cui tornare?
-Perché ti importa? Non-
-Albert- sussurra interrompendo il mio carnefice, un piccolo sussurro capace di incupire il volto di Cox, improvvisamente furioso. In un attimo si alza, facendo stridere le gambe di metallo della sedia contro il pavimento. D'istinto cerco di alzarmi per intervenire, ma sono bloccata dal macchinario. Sono costretta ad assistere alla scena, inerme.
Afferra l'uomo per il colletto della camicia, pronto a soffocarlo. I suoi occhi grigi sono crudeli, fissi sulla sua preda.
-Ascoltami bene, numero uno, nessuno ti ha chiesto di parlare. A nessuno frega un cazzo di come ti chiami, sei solo una pedina, quindi vedi di restare al tuo posto-
Lo guarda come se desiderasse ardentemente di ucciderlo, così come ha fatto con me e con suo figlio. Quest'uomo prova piacere nell'avere la vita altrui in mano, si diverte a giocare alla divinità, decidendo chi vive e chi muore.
-Ha solo risposto alla mia domanda- mi pento subito di aver parlato.
Volevo che distogliesse l'attenzione da Albert, che lo lasciasse in pace; riesco a vedere come trema da qui.
Cox si volta di scatto, l'espressione omicida sparisce sotto un sorriso entusiasta. Sembra divertito dalla mia risposta, come se non stesse aspettando altro.
-Vedo che non hai smesso di fare la paladina della giustizia- continua a fissarmi con i suoi occhi piccoli e spietati, lasciando la presa sul collo dell'uomo.
Mi mordo il labbro per non ribattere, non posso mettermi ulteriormente nei guai. È una battaglia che non posso vincere.
-Sai, Albert...- inizia a stirargli la camicia con le mani, sottolineando il suo potere su di lui.
-Questa ragazza ha ucciso una quindicina di voi in un pomeriggio, non è tanto diversa da me o dai tuoi superiori- il suo tono è calmo, privo dell'odio precedente.
-Siamo d'accordo che possa sembrare un angelo, ma è solo una facciata. È molto più pericolosa di quanto non sembri. Dimmi, Alexa, quanto ti è piaciuto ucciderli? Vederli supplicare come animali mentre tu sapevi già che avresti premuto il grilletto?- con uno spintone fa sbattere Albert contro il muro, per poi dirigersi verso di me.
Chiudo gli occhi, in modo da illudermi che non ci sia, che non mi stia toccando con le sue mani.
-Adesso non vuoi più parlare? Te le ricordi ancora le loro facce? Quello che ti hanno detto? Quando gridano poi è una poesia! Avanti, Alexa, a me puoi dirlo. Ti è piaciuto? Ti sei sentita potente anche tu? Ti sei eccitata? Ne volevi di più?- continua a sussurrarmi i suoi pensieri sporchi all'orecchio mentre mi tocca i capelli con delicatezza, come si fa con una bambina.
Scuoto il capo appena, se aprissi la bocca per negare scoppierei a piangere.
Certo che le ricordo quelle persone.
Ma non posso permettere a quei ricordi di possedermi.
Io sono il futuro, io devo andare avanti, devo sopravvivere.
Sono costretta a superarlo.
-Cox, non ti distrarre dal tuo lavoro- lo richiama la voce dall'altoparlante.
-Stavo solo riscaldando l'atmosfera- sbuffa a un centimetro dalla mia guancia, costretto a lasciarmi in pace.
Preferisco la scarica elettrica a lui.
Apro gli occhi solo quando sento i suoi passi allontanarsi, segno che sta tornando al suo posto, lontano da me.
Separati dal tavolo.
-Dicevamo? Che cosa farà il nostro Albert nell'altra stanza?-
Adesso lo sguardo dell'uomo è distante, non cerca nemmeno di instaurare un contatto con me. Mi sta giudicando per la morte dei suoi colleghi, probabilmente adesso mi odia.
Non posso biasimarlo.
La porta della stanza si apre per l'ennesima volta e la guardia chiama Albert per accompagnarlo fuori.
-Hai solo qualche minuto per darmi la risposta, Alexa-
Detesto quando pronuncia il mio nome.
Cox inizia a schioccare la lingua, riproducendo un orologio, nel tentativo di mettermi pressione.
Il mio sguardo cade sulla clessidra, che non ha mai smesso di fare il suo corso.
Mi sembra di essere qui da secoli.
Come faccio a sapere cosa farà quest'uomo?
Non è un evento importante nel tempo.
È solo un granello di sabbia pronto a scivolare via.
Ma non sono tutti granelli?
Forse non esistono eventi importanti.
La morte di tutte quelle persone dovrebbe essere importante, ma si accumula come tutti gli altri ricordi. Alla fine la sabbia è tutta indistinguibile.
La mia testa è ancora provata dalla scarica elettrica per mettere ordine alle idee.
Rimango concentrata sulla clessidra, sullo scorrere del tempo, rapido, implacabile.
E pian piano inizio a sentirle.
Le voci.
Sono immerse in un caos di suoni e rumori, alcune sono presenti solo come un eco sbiadito.
Sono così tante, da che parte dovrei andare?
Il chiasso nella mia testa sembra aumentare con rapidità, le voci si sovrappongono in continuazione.
Devo prendere una decisione.
Ascolto tutte le voci, guidata dal mio istinto, l'unica cosa su cui posso fare affidamento adesso.
Alcuni toni sono ammalianti, altri duri e severi, voci alte e basse, squillanti o annoiate.
In questo miscuglio colgo una voce flebile, un sussurro scattante, appena percettibile.
Sono Albert...
Mi lascio guidare dalla voce dell'uomo in modo che mi mostri il suo futuro.
Non riesco a vedere nulla.
È ancora tutto confuso.
Qualcosa cade a terra e il suono delle sue schegge impazzite irrompe nella mia mente come uno scoppio.
Poi riesco a mettere a fuoco la situazione.
-Romperà un vaso- mormoro, ancora immersa in questa nuova sensazione.
Mi sento libera, lontana dal peso corporeo.
-Di che colore?-
Torno a guardare la stanza dove si trova Albert, come se potessi fargli compagnia, essere lì vicino a lui, o meglio, un passo avanti a lui.
Deve essere una vecchia aula, vedo molti banchi e sedie disposti in modo casuale, abbandonati nello spazio.
Ci sono due vasi, uno di terracotta, credo, è lontano, non riesco ad arrivarci; l'altro di vetro.
Albert afferrerà quello di vetro e lo scaglierà a terra. Lo sento infrangersi contro il pavimento ancora una volta, ma adesso posso vedere ogni suo frammento disperdersi.
-Un pezzo del vaso lo colpirà vicino al polso, una ferita superficiale-
Cox rimane in silenzio, in attesa di notizie dall'altro lato.
Mi concentro sul battito del mio cuore, accelerato per via dello sforzo.
Ho paura di aver sbagliato.
Mi toccherà un'altra scarica elettrica?
Rabbrividisco solo al pensiero.
Evito lo sguardo invadente dell'uomo che mi sta di fronte, non ho la forza necessaria per affrontarlo.
Le sue parole rimbombano ancora nella mia testa.
Forse ha ragione, non sono poi così diversa da loro.
Ho ucciso così tante volte.
-Corretto- esclama la voce di mio padre dalla cassa. Sembrava del tutto neutra, priva dell'orgoglio che mi aveva mostrato nel suo studio.
Cox accenna a un sorriso, che è più simile a un ghigno.
-Vedi, piccola? Bastava solo impegnarti-
Vorrei vomitare.
Ogni singolo nomignolo che mi affibbia mi fa sentire abusata, come se fossi solo un oggetto.
-Numero due, avanti-
L'altro uomo esegue l'ordine, meno spaventato di Albert.
-Posso sentire la sua voce?-
È l'unico modo che ho trovato per farmi strada tra le voci del tempo, almeno al momento.
Voglio solo che tutto questo finisca.
Sono esausta.
La mia testa è continuamente sottoposta a fitte lancinanti dalle quali non posso scappare. Mi inseguono, mi torturano.
-Vuoi deliziarci pure tu con il tuo nome, numero due?-
Di fronte alla minaccia, l'uomo di irrigidisce, ricordando l'esperienza del suo collega.
-Questa è la mia voce-
-Pfff, che noia. Speravo avessi più coraggio-
È più bassa di quanto mi aspettassi, non sarà difficile individuarla.
Anche il numero due viene portato via.
Tra poco sarà tutto finito.
Anche se è da stupidi illudersi che questi saranno gli ultimi esperimenti che condurranno sul mio talento.
È troppo prezioso per rinunciare.
Mi concedo solo un respiro profondo prima di addentrarmi nel turbinio di suoni che vivono nella mia testa.
-Dopo essere entrato, prenderà un foglio di carta dal terzo banco sulla sinistra. Estrarrà una penna dalla tasca dei pantaloni-
-Quale?-
-Sinistra-
Il mal di testa mi distoglie dalla scena, riportandomi al caos delle voci.
Ho perso la traccia.
Non so dove andare.
Persa, erro senza meta tra le infinite possibilità del futuro. Alcune voci quando si avvicinano dominano la scena, impedendomi di andare oltre, ma quando si allontanano non resta che un sussurro.
Forse sono io che mi sto muovendo, non loro.
Afferro la scia lasciata dall'ormai flebile voce dell'uomo, pronta a sparire.
Vengo di nuovo inghiottita nell'aula abbandonata, in tempo per vedere il numero due scrivere sul foglio di carta.
-Ha appoggiato il foglio al muro, sta scrivendo qualcosa, non riesco a vedere le lettere... È tutto sfuocato-
Più mi concentro più la mia vista si annebbia, distorcendo le immagini nella visione.
-Forse hai bisogno di un aiuto-
E un'improvvisa scarica mi colpisce, ancora. E poi una seconda volta subito dopo, costringendomi a urlare per il dolore, incapace di sopportare due di seguito.
Delle gocce di sudore percorrono il mio viso fino ad atterrare sulla mia maglia scura.
Devo mantenere la calma, agitarmi poterà solo ad un'altra punizione.
Ci provo di nuovo, ascoltando il suono del tempo e delle sue ramificazioni, ma non riesco più accedere a quella stanza.
Il mio corpo è distrutto quasi quanto la mia mente, non so come farò ad alzarmi in piedi e andarmene.
-Non riesco a leggerlo- borbotto sconfitta, pronta per l'ennesima scarica elettrica.
Cox scrolla le spalle disinteressato, e rivolge un'occhiata all'altoparlante nell'angolo.
-Per oggi questa fase finisce qui-
Non riesco a trattenermi dall'emettere un sospiro di sollievo.
Ho finito. Mi lasceranno in pace.
Forse mi porteranno in infermeria per dei controlli, non sono sicura di stare molto bene.
Poi tornerò in camera di Jason e se sono fortunata sarà fuori per qualche allenamento, in modo che io possa stare da sola.
-Numero tre, avanti-
Cosa?
Ogni mio muscolo si blocca sotto il suono della sua disposizione.
Mi ero completamente scordata della donna. È talmente minuta che si nascondeva dietro la figura imponente di Cox.
Che cosa vogliono da me adesso?
-Alexa, tesoro, puoi prevedere il futuro del numero tre?-
I miei occhi azzurri saettano prima su di lui e poi su di lei, che gioca con le sue mani in modo nervoso.
-Anche lei andrà in quella stanza?- chiedo mentre cerco di tornare concentrata.
Un ultimo piccolo sforzo, Alexa.
-No. Deve essere una previsione generica sulla sua vita, a lungo termine diciamo: se si sposerà, se si ammalerà, un incidente, un lutto, qualsiasi cosa va bene- alza lo sguardo dal fascicolo per puntarlo su di me. Questa fase sembra divertirlo di più, è come se non vedesse l'ora che arrivi la mia prossima mossa.
Respiro profondamente per l'ultima volta, lasciando uscire tutta l'aria che mi opprimeva il petto.
Ha detto che qualsiasi cosa va bene.
-Puoi avvicinarti, per favore?- spero che il mio tono risulti gentile, non posso più sopportare il loro sguardo intimorito, come se fossi un mostro.
La donna dai capelli scuri fa qualche passo avanti, in silenzio, avvicinandosi alla mia sedia.
Voglio provare a toccarle la mano.
Il talento di Ian è facilitato dal contatto fisico, mi chiedo se il mio segua le stesse regole.
Con uno sforzo non indifferente, le porgo il palmo, nella speranza che accetti il mio invito.
Non che lo sguardo gelido di Cox le dia altra alternativa.
Quando sento i suoi polpastrelli sfiorare la mia pelle ricevo una leggera scossa.
Completamente diversa da quella che usano per punirmi, questa è quasi piacevole.
Non ho bisogno della sua voce, è come se lei mi stesse guidando verso il suo destino. Mi lascio trasportare chiudendo gli occhi, così posso scordare per un attimo il terribile posto in cui mi trovo.
Mi sento immersa nella sua vita, nei suoi pensieri, desideri, scelte; tutto è così armonico.
Il mio viaggio si interrompe con un fracasso che mi fa trasalire, costringendomi a risalire in superficie, senza fiato.
Spalanco gli occhi all'improvviso, come se mi fossi risvegliata da un brutto sogno.
È tremendo.
-Allora?- mi incalza, incuriosito.
Come faccio a dirglielo?
Non posso.
Non ho bisogno di guardare la donna per vedere la sua paura, la sento sul palmo, irradiata dalle sue dita tremanti.
-Ti prego, non farlo- mormorò tenendo la testa bassa, se lei incontrasse il mio sguardo capirebbe subito.
Non ho abbastanza coraggio per dirglielo.
-Ti prego...-
-Cosa non devo fare?- sento per la prima volta la sua voce, terrorizzata dal mio atteggiamento.
No, è la seconda volta.
-Non sta parlando con te, numero tre-
L'ho già sentita nella mia visione.
Urlare.
Non faccio in tempo a supplicarlo ancora che il colpo parte.
Preciso, diretto alla testa.
Sento il suo sangue caldo schizzare sulla mia guancia, poco prima che il suo corpo senza vita atterri sul pavimento lucido.
Sapevo che supplicarlo non sarebbe servito a nulla, ma non potevo non farlo.
Una parte di me sperava che non l'avrebbe fatto, che l'avrebbe risparmiata. Invece ora sono coperta dal suo sangue, senza nemmeno aver avuto il coraggio di guardarla negli occhi un'ultima volta.
Desideravo sbagliarmi.
Volevo quella fottuta scarica elettrica come punizione.
Vengo colta dall'impulso di rimettere, ma il macchinario frena il mio spasmo, serrando la morsa intorno allo stomaco.
Lo sento in gola, ma non posso permettermi di vomitare, non qui.
Ho bisogno di aria.
Mi sento come se avessero infilato la mia testa in un sacchetto di plastica, pronti a soffocarmi.
Come se non ci fosse abbastanza ossigeno in questa stanza.
Il mio battito cardiaco è impazzito, ma non mi importa.
Voglio uscire di qui.
Voglio dimenticare tutto.
Cox si alza chiudendo il fascicolo con un colpo secco, e scansando le gambe immobili della donna si siede sul tavolo, proprio davanti a me. Non gli fa nessun effetto averla uccisa.
Non posso piangere.
Alexa, ti prego, non-
Ma tutte le smorfie che faccio per evitare di crollare risultano inutili quando incontro con lo sguardo la fredda luce a LED del soffitto.
I miei occhi iniziano a lacrimare senza che possa gestirlo. Tengo la mia bocca sigillata per non dare la soddisfazione dei miei singhiozzi all'assassino che mi sta di fronte.
-Complimenti, angelo. Sei stata brava- allunga la mano tra i miei capelli sporchi di sangue. Si diverte a districare le parti unite dal sangue secco, come se le sue dita fossero un pettine.
Sono a pezzi.
Potrebbe farmi qualsiasi cosa e non riuscirei a impedirglielo.
-Ti va di vedere il mio futuro?-
Non capisco se è serio o sta scherzando, ma non ho il coraggio di guardarlo in faccia per controllare.
All'improvviso vengo colta un'ondata di rabbia, una fiamma nel petto che non riesco a placare.
Perché mio padre lavora con uno come lui? Perché gli permette di farmi questo?
-Non oso immaginare che cosa farà nel futuro un uomo che uccide senza pietà e che picchia sua moglie e suo figlio- le parole scappano dalla mia bocca mentre sottraggo il viso da una sua carezza.
Il suo volto si illumina, divertito.
-Quindi lui te lo ha detto, eh? Carino che senta il bisogno di confidarsi con la sua troia. Devo proprio aver sbagliato qualcosa nel crescerlo...-
I suoi occhi grigi mi fissano attenti, pronti a balzare su di me appena cadrò nella sua trappola.
Accetto la sua sfida, ricambiando lo sguardo con lo stesso odio che mi corrode il petto. Ho paura che questo sentimento mi inghiotta, proprio come ha fatto con lui e con Jason.
Ma non riesco a non pensare quanto sia ripugnante l'uomo che mi sta di fronte, a quanto vorrei vederlo soffrire, piangere. Vorrei vederlo cosparso del suo sangue, e non quello di altri.
-Oh, ma lui non ti ha detto tutto- la sua voce bassa interrompe i miei pensieri, poco prima che lui possa scoppiare in una risata.
-Non mi guarderesti così se lui ti avesse detto tutto ciò che ho fatto- aggiunge senza smettere di ridere, e non posso fare a meno di tremare.
Che altro può aver fatto?
Cosa c'è di peggio?
Si sporge verso di me, portando le labbra sul mio orecchio. Il suo petto è così vicino al mio che mi sento soffocare. Chissà se ha veramente un cuore.
Non sento nessun battito.
-Vuoi saperlo?-
Scuoto il capo con forza, sperando che si allontani.
Detesto sentirmi così. Una vittima. Debole. Ma ogni parte del mio corpo è pietrificata dalla paura che possa toccarmi di nuovo, umiliarmi davanti alle telecamere.
Vorrei essere più forte di così, ma questa è la realtà. E io non posso combatterla.
Ci ho provato, con tutte le mie forze. Lo giuro.
Poi, lo sento. Il suo futuro irrompe nei miei pensieri con prepotenza.
Morte.
Non imminente, ma è vicina.
Il suono dello sparo rimbomba nella mia mente, come una melodia per le mie orecchie.
Cox nota subito il luccichio nei miei occhi, e solleva un angolo delle labbra.
-Hai visto qualcosa, vero?- mi incalza, rimanendo vicino al mio corpo.
-Assolutamente nulla- non mi sforzo nemmeno troppo di nascondere un sorriso.
-Bugiarda-
Oh Cox, spero di essere io a premere quel grilletto.
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