Capitolo 26
Alexa
Non voglio aprire gli occhi.
Perché se lo facessi, dimostrerei a me stessa che questo non è un brutto sogno, ma la realtà.
E per crederci non mi basta l'aria fredda che si insinua sotto le coperte, né il mio corpo nudo e dolorante, e nemmeno il respiro profondo dell'uomo al mio fianco.
Ho bisogno di vederlo.
Anche se so di essere immersa nel buio.
Apro gli occhi lentamente, ancora assonnata, non del tutto lucida.
Il tempo in questa stanza sembra essersi fermato, scandito solo dal battito irregolare del mio cuore.
Come ho fatto ad addormentarmi?
Mi volto, lo sguardo fisso sul tetto, aspettando che le ultime tracce di sonno scompaiano.
La mia mente mi riporta subito indietro di qualche ora, senza che io possa evitarlo.
Questa volta ricordo tutto.
I suoi tocchi d'ombra.
Le sue mani ovunque, che mi stringevano, bloccavano e possedevano.
Ricordo la sua fretta nel togliermi la maglia, e la mia proposta di trovare un posto senza telecamere.
-Immagino che abbiano già visto abbastanza- gli avevo sussurrato all'orecchio prima che potesse spogliarmi.
In realtà volevo solo la conferma che nella sua stanza non ci fossero telecamere.
Durante il tragitto ho tentennato diverse volte, indecisa se prendergli la mano o meno, come avrei tranquillamente fatto con Ian.
Ma non ho attuato nessuno dei miei pensieri, nel timore di infastidirlo. Questa non è una vera relazione, e non solo per la mia mancanza di sentimento. Devo diventare quello che lui vuole, e compiacerlo quando serve. Se il nostro equilibrio crolla, le mie possibilità di sopravvivere faranno altrettanto.
O almeno al momento.
Ho in programma di sistemare anche questa situazione.
Per ora devo sottostare alle regole di Jason, nella speranza che almeno questa strategia mi porti dei vantaggi al più presto.
Mi lascio scappare un sospiro mentre continuo a osservare l'oscurità, consapevole di poter essere me stessa solo per qualche minuto.
Me stessa.
Non so più che significhi ormai.
Jason è ancora addormentato; non posso vederlo, ma sento il suo respiro lento e pesante.
Potrei alzarmi e frugare tra le sue cose in cerca di qualche elemento utile, ma del resto, è solo la prima sera di tante altre. Non avrebbe senso rischiare.
Invece, con calma, scosto le lenzuola, stando attenta a non toccare il corpo dell'uomo al mio fianco e mi dirigo in bagno. Recupero i miei slip dal pavimento, poco dopo esserci quasi inciampata di sopra, e li stringo nel pugno così forte da farmi male. Non voglio che rimangano abbandonati per terra, come segno della mia sconfitta.
Mi lavo velocemente, fino a graffiare la pelle con le unghie per il vigore e l'urgenza.
Ho bisogno di togliermi di dosso il suo odore, anche se non credo sia più possibile, tutto in questa camera ne è impregnato: il cuscino, le coperte, l'aria.
Dovrei iniziare ad abituarmi.
Così come dovrei accantonare, mio malgrado, i ricordi di Ian, che mi porterebbero a impazzire. Ogni gesto di Jason si scontra automaticamente con l'ombra del mio vero compagno.
"Ian non l'avrebbe mai fatto"
È la frase che più mi tormenta.
Ci pensavo mentre il mio ex-istruttore avvolgeva le sue lunghe dita intorno al mio collo, stringendo così forte da impedirmi di respirare.
E ancora una volta mentre mi possedeva, e io ero immobilizzata, quasi braccata, la mia faccia premuta contro la parete fredda.
È come se questa frase fosse la mia ancora per quando sto per cedere.
Ma non ne ho bisogno adesso.
Non posso permettermelo.
E insieme alle mani, lascio che l'acqua pulisca tutti i miei pensieri sul ragazzo bruno.
Non funziona nemmeno chiudere gli occhi e rimodellare nella mente i lineamenti spigolosi di Jason, in modo che sotto i miei polpastrelli somiglino a quelli delicati di Ian.
Ogni suo movimento irruento e feroce riesce a spezzare l'illusione.
È inutile.
Mi guardo allo specchio, con le braccia tremanti afferro il lavandino con tutta la forza che mi rimane.
Mi fa male ovunque...
Se non fossi abituata ad essere abusata adesso sarei a pezzi.
È quasi divertente, in un certo senso.
Quello che mi ha spezzato per tutta la vita adesso mi regge in piedi, impedendomi di crollare.
Incontro il mio sguardo per la seconda volta, mentre i brividi percorrono la mia pelle.
Rimango immobile concentrandomi sui miei respiri profondi e sulla loro regolarità.
Piano. Con calma.
Osservo il mio riflesso stremato, i capelli disordinati e gli occhi spenti.
Mi chiedo che ci trovi in me il proprietario della camera.
E non mi riferisco solo all'aspetto estetico, ma il mio intero corpo appare come un guscio vuoto, abbandonato dall'anima.
In questo momento non sono niente.
Né Evans, né Kline.
E non posso fare a meno di domandarmi il perché prima che le lacrime sfuggano al mio controllo.
Le ho trattenute per troppo tempo per poterle gestire, meritano di essere libere.
È questo che intendevo quando mi sono alzata dal letto per ritagliarmi qualche minuto per essere me stessa?
Tutta la mia personalità è compressa in qualche lacrima, l'ultima possibilità di espressione che mi è rimasta.
Perché sono qui?
Perché ho scelto questo futuro.
Ma adesso temo di non poter più decidere su nulla, di aver imboccato una strada senza incroci.
Non ho una vera visione da quando ho assunto il siero.
E se questa cosa all'inizio non mi preoccupava, ora comincia a farmi sentire sola, come se anche il mio talento mi avesse abbandonato.
Che cazzo faccio?
Ho bisogno di vedere cosa succederà per calcolare le prossime mosse, per rivedere Ian.
Non ho speranze di sopravvivere qui dentro, altrimenti.
Serro le palpebre con forza, concentrandomi fino a quando non mi scoppia la testa.
Riprovo più volte. Ancora. E ancora.
Cerco di attingere alle stesse sensazioni che provavo parlando con il Futuro, ma so già di essere destinata a fallire.
Mi ricordo delle voci che mi afferravano e scuotevano durante il periodo in infermeria, senza che mai mi abbiano condotto da qualche parte.
Di scatto sbatto violentemente i palmi contro il lavandino, infuriata.
-Perché non mi rispondete?- le mie parole si scontrano con l'aria umida del bagno, non ottenendo risposta.
Sono fottuta. Dovrò sul serio cavarmela da sola.
-Parlatemi, per favore- aggiungo con più calma, ma con un tono debole, sul punto di spezzarsi di nuovo.
Prima credevo che ogni mia azione fosse guidata dal mio talento, benvoluta da un'entità superiore, e che in qualche modo avrei raggiunto un lieto fine. Adesso mi sento solo una stupida per averci creduto.
Le mie scelte non mi porteranno da nessuna parte.
-Ho bisogno di parlarvi- ripeto fissando dritta il mio riflesso, incrociando l'azzurro nei miei occhi.
Silenzio. Sto iniziando a sentirmi una pazza.
-Vi ordino di rispondermi- i muscoli iniziano a dolere per la tensione.
Man mano che i secondi passano, sento tutta la mia rabbia, la profonda insoddisfazione e il dolore venire fuori con prepotenza.
Sono reali.
"Non credo che tu sia nella posizione per ordinarci nulla"
Sussulto, sorpresa.
Una parte di me si era già arresa.
"Non ci fidiamo di te"
Sussurra con astio una delle tante.
Il silenzio immobile del bagno è stato sostituito con un lieve brusio, voci spezzate che non riesco a catturare o a distinguere.
-È reciproco, non preoccupatevi-
"Però è simpatica!"
"Stupida, semmai"
"Non parlarmi sopra!"
"Questa non è una buona idea"
"...facendo?"
"Ahia"
"Lasciami i miei spazi!"
-Ferme, ferme, ferme- mi sforzo per sovrastare il caos di suoni che hanno prodotto. Ho sentito i sussurri sfociare in urla e prendere il controllo della mia testa, rendendola inutilizzabile.
Ma vengo ignorata.
La mia autorità non è nemmeno contemplata, come se fossi stata sbattuta fuori.
Porto le mani sotto l'acqua, in modo da raccoglierne abbastanza per bagnarmi il viso in un unico movimento scattante.
Appena l'acqua fredda si scontra con le mie guance arrossate per lo sforzo, il caos viene sedato con la stessa fretta del mio gesto.
Le goccioline attraversano le mie tempie doloranti, ignorando gli occhi stanchi per il pianto e scendendo verso il mento.
L'aria si scontra con la mia pelle bagnata, e inevitabilmente mi riporta alla realtà.
Devo chiarire le cose una volta per tutte.
-Avete un rappresentante? Un capo?-
Chissà se c'è una gerarchia che guida delle entità così imprevedibili.
"Siamo i residui del tempo, nessuno ci comanda."
Riconosco la voce. Sono sempre mutevoli e sfuggenti, ma questa la conosco bene.
Mi ha già sussurrato qualcosa in passato.
"Al massimo veniamo lette da altri."
"Proprio così!"
"O li confondiamo!"
"Sarebbe bello vederti impazzire..."
Non sono disposta a subire passivamente un'altra insubordinazione; mi tocca anticiparle.
-Qualcuna di voi sa spiegarmi che cosa è successo? Perché parliamo solo ora?- cerco di mantenere la calma, ma non so quanto potrò durare, il mio equilibrio è troppo instabile al momento.
"Hai perso il collegamento con il Futuro. "
"Ti sembriamo al tuo servizio?"
"Qualsiasi cosa tu abbia preso, sembra aver potenziato le tue capacità. Prima il Futuro mediava tra te e noi, leggendo i nostri frammenti al tuo posto."
"Non sei pronta per questo, guardati!"
"È troppo debole!"
"Quando torna il Futuro?"
"E le cose cambieranno ancora..."
Ignoro le altre voci, aggrappandomi il più possibile a quella dalla sfumatura soave, delicata.
Il siero deve avermi messo in questo guaio.
"O tutte le medicine che prendi"
"Non è la prima volta che parliamo con i cocainomani, è sempre divertente!"
"Questa non capisce un cazzo, te lo dico io..."
"Sicuramente sarà il siero"
"Fatto sta che non ha senso parlarle"
-Ho bisogno di continuare a vedere il futuro- confesso a denti stretti. Per la prima volta dopo un po' di tempo ammetto di aver bisogno di aiuto per sopravvivere.
Sono così stanca. Una conversazione del genere sta consumando tutte le mie energie, se non fossi appoggiata al lavandino sarei già crollata sul pavimento.
"È così noiooso"
"Non ci fidiamo di te"
"È inutile"
"Te lo dico io questa non capisce nulla"
"...ripete"
-Non potete abbandonarmi in questo modo. Il mio talento...- il mio balbettio patetico viene violentemente interrotto.
"È tutto cambiato ormai"
"Il tuo legame con il Futuro è stato reciso!!"
"...via"
"O impari in fretta a leggerci..."
"O non abbiamo nulla da dirci"
-Come faccio a imparare? Vi sembro nelle condizioni? Sapete già che non riuscirò a farlo!- e quando ricordo che Jason sta ancora dormendo nella stanza accanto è troppo tardi per moderare i toni.
Vorrei urlare a pieni polmoni, fino a consumare tutto il fiato.
Mi sembra l'unico modo per gestire le mie emozioni prima che mi corrodano da dentro.
"Noi sappiamo molte cose"
"Molte strade"
"Possibilità."
"Questa ripete sempre gli stessi errori"
-Forse perché devo fare tutto da sola!?- sbotto incapace di controllarmi.
Pensavo di poter fare affidamento sul mio talento, credevo che mi avrebbe aiutato a uscire da questo baratro, ma sembra più intenzionato a spingermici dentro.
Se non posso vedere il futuro, non ho speranze di riuscire a sopravvivere, rimarrò incastrata nel mio stesso piano.
Sono fottuta.
Il pensiero di vivere alla Base, sotto il controllo di mio padre, al fianco di Jason; mi viene da vomitare.
Rivedo la mia tortura, l'incontro con Arthur, il modo in cui Jason mi sprappava i vestiti di dosso qualche ora fa.
Anche queste immagini sono reali.
Scorgo il mio volto arrossato dal pianto per l'ennesima volta, confrontandomi con la disperazione dipinta allo specchio.
Come trovo una soluzione?
Ragiona, Alexa. Ragiona.
Esiste sul serio una soluzione?
Inizia a bruciarmi la gola, eppure non abbastanza da impedirmi di singhiozzare di nuovo.
Cosa dovrei fare?
Io ci sto provando, ci sto provando sul serio.
Ma sono esausta.
Ogni mia azione mi lascia sconfitta, e sono costretta a tornare al punto di partenza, ancora e ancora.
Come faccio ad uscire da questo loop?
Sono sola.
E sono destinata a rimanere tale.
La porta scorrevole del bagno si apre mentre io sono occupata a colpire il lavandino con le nocche, in preda alla frustrazione.
Perché tutto deve dipendere da me?
Non ho la forza necessaria.
Fino a qualche mese fa non conoscevo nemmeno i miei talenti.
Le braccia del mio ex-istruttore circondano il mio corpo da dietro, in una morsa decisa.
Invece di riportarmi alla realtà, la mia mentre registra il gesto come una minaccia, costringendomi a divincolarmi.
Non riesco a respirare.
Scuoto la testa violentemente, nella speranza che presto l'uomo faccia scivolare via le sue dita dalla mia pelle.
-Lasciami!- e lo ripeto più volte, sempre in modo diverso: arrabbiato, infastidito, in alcuni tratti supplicante, ma Jason non sembra ascoltare.
Continuo a scalciare fino a quando non sono esausta e tutte le emozioni iniziano ad affievolirsi.
Mi lascio andare contro il corpo dell'uomo dietro di me, che si limita a stringermi in silenzio.
Mi spinge a portare le ginocchia a terra, accompagnando le mie gambe tremanti nei movimenti e senza mai lasciare la presa.
Sono troppo coinvolta dalla situazione per immaginare che cosa farà, potrei aver mandato a rotoli tutti i miei sacrifici in un attimo.
Ma ormai dovrei esserci abituata.
-Jason, io...- mormoro nel tentativo di giustificarmi, ma vengo subito zittita.
Rimane fermo ad accarezzarmi i capelli con movimenti regolari, senza mai accennare a volermi lasciare.
-Non volevo...-
-Invece sì, ma va bene. Aspettavo questo momento- risponde, stranamente calmo.
Piuttosto insolito per qualcuno che non si faceva scrupoli a picchiare e umiliare dei ragazzini.
-Che momento?- tiro su con il naso, accovacciandomi per sfuggire ai brividi. I riscaldamenti non sono attivi in bagno e io sono coperta solo da un paio di slip.
-Quello in cui crollavi-
Mi mordo il labbro inferiore, valutando cosa rispondere, mentre il mio corpo si rilassa sotto le sue dita, occupate a sistemare le mie ciocche castane dietro le orecchie.
-Significa che sono debole?-
-No.- non dice nulla per un po', immerso in pensieri che non mi riguardano.
-Significa che puoi diventare un'altra persona adesso-
Ho paura di esserlo già.
Senza avvisare, solleva il mio corpo da terra, come se non pensassi nulla, dirigendosi verso la camera da letto.
Istintivamente mi aggrappo alle sue spalle, nella paura di cadere.
Jason Cox mi sta prendendo in braccio dopo aver assistito al mio crollo emotivo.
Se avessi più forza scoppierei a ridere da quanto questa frase suoni assurda.
Non sono l'unica ad essere cambiata.
Mi fa sedere sul materasso con delicatezza, e non spingendomici sopra come aveva fatto appena qualche ora fa.
Le lenzuola sono stropicciate, e le coperte appallottonate in masse informi, segno della fretta con cui ha provato a liberarsene per raggiungermi.
-Immagino tu senta freddo- riflette ad alta voce mentre accende la lampada sul comodino; deve aver notato la pelle d'oca e le labbra violacee.
Si volta per prendere una felpa dal cassetto dell'armadio, dandomi le spalle.
I suoi muscoli vengono illuminati dalla luce calda alla mia destra, che modella le sue forme, nel tentativo di renderle più dolci.
Ma la mia attenzione è rivolta ai numerosi segni che gli attraversano la schiena, adesso per la prima volta visibili.
Mi avvicino quasi ammaliata, in modo da poterle osservare meglio, per poterle comparare con le mie.
Jason sussulta quando sfioro la sua cicatrice più estesa, che gli taglia di traverso il centro della schiena.
-Alexa, torna a letto-
Lo ignoro e rimango ad ammirare le macchie e i tagli con cui deve convivere.
È strano vederle sul corpo di qualcun altro.
-Alexa...- questa volta il suo tono si fa più serio, risvegliandomi dai miei pensieri. Muoio di curiosità, ma non mi conviene contraddirlo, non questa sera.
E quando lui si volta con l'indumento tra le mani sono già seduta, in attesa di spiegazioni.
Rimaniamo in silenzio mentre mi infila la sua felpa, come se fossi una bambina. Le sue mani calde sfiorano il mio corpo non in modo passionale, ma attento, quasi delicato.
Incontra il mio sguardo quasi per sbaglio, mentre sposta i miei capelli fuori dall'abbraccio del tessuto.
Per un attimo penso che voglia baciarmi, e temo di non poter recitare nel migliore dei modi per adesso.
-Stenditi- mi ordina infine, scappando dai miei occhi azzurri.
Mi ritrovo ad ascoltare i miei arti indolenziti, condividendo il loro dolore.
Non mi sottraggo quando l'uomo mi avvicina a sé per cercare di riscaldarmi.
Aspetto con pazienza che lui parli, ma Jason si limita ad accarezzarmi le cosce nude con appena la punta dei polpastrelli.
-Tutti crollano prima o poi, perfino più volte nel corso della vita. Non mi aspettavo che ti adattassi a tutto questo con uno schiocco di dita. Non per come ti conosco-
Mi scappa un sorriso.
-Continui a dire di conoscermi-
-Perché è così. Non mi interessano tutte queste stronzate sul siero, su tuo padre o sulla tua nuova posizione sociale, sei sempre stata la stessa. Quella stupida ragazzina che non riesce a tenere a freno la lingua. Invece oggi potresti cambiare, e scegliere cosa diventare-
Ha appena dato vita a tutte le mie paure senza nemmeno accorgersene.
Temevo che mi scoprisse, che non si fidasse di me, che avrebbe fatto la spia se mi avesse beccato.
E adesso che ne stiamo parlando sembra tutto così scontato.
-Cosa diventerò?-
-Non posso saperlo, la decisione è tua-
Questa è la prima vera conversazione che ho avuto con lui in vent'anni, dove nessuno dei due ha un ruolo fisso o recita una parte.
-Hai detto che tuo padre ti ha spezzato...- mi irrigidisco appena mi rendo conto di aver esagerato, la mia curiosità mi impedisce di valutare la situazione in modo logico.
Lo sento sospirare in risposta, ma non in modo infastidito, solo...
sconfitto.
-Io non ho scelto chi diventare, Alexa.
E vorrei che questo potesse giustificare quello che faccio, ma so bene che non è così.- si blocca, perso ancora una volta nei suoi pensieri, mentre io mi rannicchio in cerca di calore.
Non credevo che potesse avere una coscienza.
-A tre anni mio padre si divertiva a spegnere le sigarette sulla mia schiena, ma non sempre, solo per punire mia madre quando secondo lui aveva passato il limite. A sette ha iniziato ad affilare i coltelli sulla mia pelle, tanto per far divertire i suoi amici durante le riunioni. Dopo la morte di mia madre siamo rimasti io, lui e la sua rabbia, e visto che non c'era più lei a gestirla, a nove anni scoprii il vero inferno. Tutto quello che lei si era addossata per anni per proteggermi adesso si riversava su di me.-
Il battito del suo cuore accompagna le sue parole perfettamente, e ogni volta aspetto con ansia di sentire il suo petto sollevarsi sotto il mio capo.
Tum tum.
-Lasciava sempre le porte aperte, anche di notte. Così ogni volta che tornava a casa con una donna o una ragazzina io ero costretto a sentire tutto. Sentivo i passi incerti e goffi della nuova ospite, che a malapena si reggeva in piedi, sentivo quello che le diceva, le cose che le faceva. Ma una volta spuntato il sole, era tutto sparito. Non c'era traccia di un'estranea, né delle sue urla, quasi mi fossi immaginato tutto. E così imparai a dormirci sopra.-
Tum tum.
Mi rendo conto di aver pianto solo quando il suo indice raccoglie una mia lacrima.
Perché mi sento così? Perché mi importa?
-Te lo sto raccontando per due motivi- il suo tono di voce è piatto, distaccato, ma le sue mani non fanno altro che stringermi sempre di più.
-Primo: so che non proverai pena per me- e ha ragione.
Non provo pena né lo giustifico per tutto quello che mi ha fatto, eppure è stato terribile da sentire.
Non riesco nemmeno ad immaginare che cosa abbia provato.
-Secondo: perché voglio che tu sappia che io non avevo intenzione di diventare come lui. Credevo che non avrei mai superato quel limite, e invece l'ho fatto con te. Non ti ho veramente chiesto scusa perché so che non servirebbe, che ormai è inutile.-
È assurdo. Lui non può dirmi questo.
Io ero così arrabbiata e ferita, ora non...
Continuo a rivedere le sue cicatrici, a trovarle così simili alle mie.
Ma non posso perdonarlo. Io non posso. O non devo?
Non è questo che devo chiedermi prima di diventare una persona nuova?
-Tu stai cambiando- osservo pizzicandogli il petto scherzosamente, mentre rinvio le mie riflessioni a un momento migliore.
-Già, non credevo che dopo tutto questo tempo fosse possibile-
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