Capitolo 16

Avviso
Nonostante ci sia un disclaimer all'inizio del libro, mi sento in dovere di precisare che non è mia intenzione promuovere relazioni violente o malate. Di conseguenza vi prego di prendere con le pinze quanto vi è scritto.

Alexa

Se c'è una cosa che tutti sapevamo era che in palestra non si entrava mai da soli.
Nessuno voleva rischiare di essere il primo e rimanere solo con Cox, al tempo stesso però nessuno osava presentarsi in ritardo.
Prima di oltrepassare la soglia si aspettavano almeno altre dieci persone.
E una decina di ragazzini che corrono per i corridoi per non arrivare in ritardo creano un notevole trambusto.
Sufficiente da interrompere il legame che io e Jason eravamo sul punto di esplorare.
Che peccato.
Mi ero già preparata ad un bacio che avrei dovuto ricambiare nel modo più convincente possibile.
Non è come dire una bugia, il corpo va educato a mentire.
E io ho costretto le mie mani a percorrere i suoi pettorali con delicatezza, usando solo la punta delle unghie.
Ho forzato le mie gambe a tremare e i miei occhi a desiderarlo.
Potrebbero piombare qui dentro da un momento all'altro.
Eppure nessuno dei due ha intenzione di cedere: lui continua a pressarmi al muro e il mio cuore gli va incontro.
So che non riesce più a resistere, non prova nemmeno a nasconderlo.
Se non pongo una fine a tutto questo, si concluderà con uno stallo.
E io voglio vincere.

Lascio che un sorriso si faccia strada sul mio volto, mutando completamente il mio ruolo.
Appoggio il palmo sulla sua guancia, come se volessi baciarlo, invece le mie labbra si posano sul suo orecchio.
-Sarà per un'altra volta- accarezzo i suoi capelli biondi aspettando che la sua presa ceda e mi lasci andare.
Sobbalzo quando stringe i miei fianchi in una morsa peggiore della precedente, le sue dita affondano nella mia carne, quasi volendola strappare.
-Quando- si ferma.
Lo guardo mentre cerca di trovare le parole, o la stessa forza per pronunciarle.
Fa un respiro profondo.
Il suo petto si gonfia e schiaccia con prepotenza il mio: una sua boccata d'aria ne ruba una a me.
-Quando ci rivediamo?- osservo la sua lingua inumidire il labbro inferiore, quasi assaporando questo momento.
O pregustando il futuro.
-Sul serio? Fino a qualche minuto fa volevi uccidermi- ribatto sorridendo, il mio tono dovrebbe essere scherzoso, ma entrambi sappiamo che in realtà sto tirando una corda che rischia di spezzarsi tra le mie mani.
Per un istante avrebbe voluto sul serio uccidermi.
-Non ti preoccupare, voglio ancora farlo- mormora spostandomi una ciocca dietro l'orecchio, il suo tono rimane tranquillo, troppo limpido per parole così sporche.
Sta cercando di spaventarmi.
Di nuovo.
Eppure se chiudo gli occhi posso sentire una parte di lui supplicarmi di non andare, di non lasciarlo solo.
E la vittima che sono stata ne è incuriosita, impaziente di fargli assaggiare la stessa sofferenza che ho provato in questi anni.
-Ah sì? E che farai? Mi strozzerai? Mi picchierai fino a farmi svenire? Abuserai di me prima o dopo?- sussurro con altrettanta serietà.
Non avrei mai immaginato di avere il coraggio di dire qualcosa del genere, di certo non guardandolo negli occhi per tutto il tempo, pesando ogni singola parola.
Non stiamo scherzando, non lo abbiamo mai fatto.
In questo momento può vedere nella sua testa ogni scena che gli ho descritto, può solo immaginare quanto potrebbe essere piacevole farmi tutto questo.
E non riesco a capire che cosa lo freni, conosco bene la sua natura.
La violenza è l'unico linguaggio che comprende, e sono così disperata da abbassarmi al suo livello.
Vuole solo farmi del male.

-Oh, Alexa. Sai che non dovresti provocarmi, sei solo una ragazzina.- mi accarezza la guancia quasi con affetto, come se improvvisamente fossi diventata delicata, come se i lividi sui polsi e sul fianco non fossero più importanti.
-Allora perché vuoi questa ragazzina più di qualsiasi altra cosa al mondo?- sollevo le sopracciglia, sfidandolo.
Vorrei ricordargli che ho vent'anni, non quindici, ma la nostra differenza di età accentua il suo potere su di me, ora che non è più il mio istruttore.
E dimostrarmi quanto io sia piccola e fragile rispetto a lui è una sensazione impagabile.
-Se io ti volessi, non saremmo qui a parlarne.-
Sbuffo, quasi divertita, come se non sentissi la sua erezione premermi tra le cosce.
-Va bene, quindi posso andare- mi basta solo provare a divincolarmi per ricevere uno strattone abbastanza brusco da scoraggiare ogni altro tentativo.
Il mio corpo uscirà da questa conversazione a pezzi.
E se sarò fortunata, alla fine di tutto questo sarà lui a curarmi le ferite.
È una follia.

Jason sfiora la cintura, ricordando ad entrambi i bei tempi.
Quando lui decideva se stavo sbagliando o meno, quando ogni punizione era personale e non "dovere".
Siamo indissolubilmente legati come vittima e carnefice.
-Non vedo l'ora di sentirti mentre mi implori di smetterla, di leggere nei tuoi occhi che ti sei pentita della scelta che hai fatto. Perché questa volta sei tu la colpevole di tutto questo, tu sei entrata nella tana del lupo. Non mi scuserò di nuovo, tienilo ben in mente.-
So in che guaio mi sto cacciando.
Essere scoperta mi fa più paura che essere torturata da lui.
Non riesco nemmeno ad immaginare di poter diventare come Adam, di perdere ogni parte di me.
Perché in quel caso non ci saranno più speranze; invece adesso anche se sono distrutta, alla mercé di Jason, se chiudo gli occhi posso rivedere Ian, ricordare di come stavamo bene insieme.
Sono il futuro, ma ho dei ricordi bellisimi e non permetterò a nessuno di strapparmeli via.
Quanto vorrei tornare a casa.

La porta emette un cigolio indeciso, chiunque l'abbia aperta teme di trovarsi faccia a faccia con l'uomo che mi sta schiacciando contro il muro.
La pila di materassini blu ci nasconde dai loro occhi, ma è solo questione di tempo.
Jason borbotta qualcosa di incomprensibile a bassa voce, poi la sua presa diminuisce, fino a quando le sue mani scivolano in maniera distratta su tutto il mio corpo palpando accidentalmente il mio sedere.

Mi avvicino per scoccargli un bacio sulla guancia, come si farebbe con un amico, con qualcuno di cui ti fidi.
La scena deve sembrare surreale pure a lui, visto che rimane di pietra, non accennando nessun movimento.
Chissà che sta pensando adesso.

Esco dal nostro nascondiglio e vado incontro al primo gruppetto ancora davanti la porta della palestra.
-Buona giornata!- esclamano due ragazze in coro, scambiandosi sguardi con il resto dei presenti.
-Buon allenamento- rispondo con il sorriso più sincero del giorno.
Non vorrei essere al loro posto.
Jason non ha ottenuto quello che voleva da me: l'ho lasciato solo, eccitato e nervoso; la sua indole non può trattenere la rabbia a lungo.
È inevitabile che la sua ira si scagli contro di loro, oggi più del solito.
Non dovrei esserne contenta, ma senza accorgermene sto già ridendo.

Solo una volta imboccato il corridoio 63 prendo consapevolezza di cosa ho fatto, di quanto potere io possa ottenere solo grazie al mio cognome e un bel sorriso.
Fino adesso ho provocato Cox e rovinato la mattinata ad un gruppo di ragazzi, ma cosa potrei fare se conquistassi la fiducia di mio padre?
La mia presenza qui è fondamentale per salvare i ragazzi rimasti, che lo vogliano o no.

Il piano.
Il ragazzo che ci ha aiutato ad entrare nei sistemi di sicurezza ha scelto di restare qui, sacrificandosi come ho fatto io.
Chissà cosa sta facendo.
È ancora in collegamento con il mondo là fuori?
Potrebbe mettermi in contatto con Ian.

Mi incammino verso l'aula di informatica senza troppa fretta, non posso evitare di essere paranoica.
So che mi stanno controllando, ma oltre qualche effusione con Jason non penso di aver creato problemi.

Dopo circa dieci minuti, mi ritrovo a pensare.
A Jason.
A me.
A qualsiasi cosa io stia facendo.
È solo sopravvivenza, strategia.
Certo, mi renderebbe la vita più facile se tutto nella sua testa fosse al suo posto.
Se non fosse sadico quasi quanto suo padre.
Se non volesse strangolarmi nel sonno.

Svolto a destra, quasi sbattendo la spalla contro la parete.
Mi ha chiesto scusa.
Lo ha ribadito pure oggi.
Ho l'impressione che quello che è accaduto quella notte non tormenti solo me.
Che non sia solo affar mio.
Eppure non capisco perché una persona come lui, che rompe, spezza, distrugge, senta il peso delle sue azioni.

Ho sbagliato strada.
Non sono qui per fare la crocerossina.
Non mi interessa quale trauma abbia o che cosa passi per la sua testa.
Non ho bisogno che i suoi problemi diventino i miei.
Voglio che mi veda come una sua responsabilità, che mi copra le spalle quando sbaglierò.
Questo è inevitabile.
Non calcolare l'errore è da stupidi, o da presuntuosi, a meno che tu non sia Ian Mitchell.
Chissà che direbbe su tutto questo.
Sarebbe fiero di me?
Mi considererebbe una traditrice? Una troia?
No, mai.

Appena la mia mano si posa sulla maniglia, mi blocco, paralizzata dai miei stessi pensieri.
All'improvviso la verità diventa chiara nella mia testa.
Le uniche volte in cui provi responsabilità, sono per le cose che ti appartengono.
Cazzo.
Cazzo, cazzo.

Entro nella stanza cercando di nascondere la frustrazione, dimenticandomi di tutto.
Sono solo una ragazzina del resto, la figlia di Arthur Kline, dovrei essere il ritratto della spensieratezza.
Chi mai potrebbe farmi del male?

Ci sono circa trenta postazioni, la maggior parte occupate perfino di prima mattina.
Non ho mai conosciuto questo ragazzo, mi è stato impossibile una volta fuori e durante la mia permanenza alla Base la mia cerchia di conoscenze era piuttosto ristretta.
Non so nemmeno che faccia abbia.
Bobby Kane.

Dietro una scrivania c'è un controllore piuttosto annoiato, dal modo che usa per premere i tasti non sembra nemmeno uno che se ne intende.
È abbastanza sveglio da notare la mia presenza, voltandosi verso di me, ancora sulla soglia.
-Signorina Kline, buongiorno. Che cosa ci fa qui?- si irrigidisce solo un po', come se l'avessi colto in fragrante e dovesse scusarsi.
Eppure non risponde a me, non potrei decidere per lui nemmeno se lo volessi.
-Sono solo passata a salutare un amico- indico le postazioni in fondo alla stanza con un gesto generico, senza indicare qualcuno nello specifico.
Il mio sguardo cade sulla scrivania, sommersa da fogli, bigliettini e graffette.
-Capisco- annuisce senza particolare enfasi.
Sepolto tra le scartoffie noto il foglio giornaliero delle presenze, dargli una sbirciata potrebbe rivelarsi utile.
Lo afferro prima che possa sparire dalla mia vista, basta solo un movimento del gomito dell'uomo che mi sta davanti per rimescolare le carte.
-Mi chiedevo se fosse presente, non vorrei cercare tra le postazioni e disturbare gli altri senza motivo- mi giustifico abbozzando un sorriso.
-Mh mh, ma chi sta cercando?- incrocia le braccia al petto sdraiandosi di nuovo sulla sedia girevole; ogni parvenza di professionalità è appena sparita.
Forse ha capito che era inutile.

Individuo la sua firma nella lista.
Bobby Kane. Postazione 23.
-Perfetto, grazie- lascio il documento sulla scrivania e mi incammino verso il fondo della sala, facendomi largo tra i monitor.
Il numero è posto sul retro delle poltrone nere, inciso su una placca argentata, abbastanza grande da poter essere visto da lontano.
O da una telecamera.
Tutto quello che fanno è monitorato a loro insaputa.
Come ha fatto questo ragazzo a non farsi scoprire?

-Bobby, da quanto tempo!- mi siedo con tranquillità sul banco grigio in legno rivestito.
Il ragazzo dai capelli rossicci mi guarda incredulo, incapace di immaginare il motivo della mia presenza.
Non ci conosciamo nemmeno, ma nessuno deve saperlo.
Non sono preoccupata per i presenti che ci circondano, i ragazzi non accennano a distogliere il volto dallo schermo, ma sono le persone nascoste che mi turbano.
-Ho pensato di passare a salutarti!- simulo un entusiasmo piuttosto contenuto, in modo da non attirare l'attenzione, ma spero sia sufficientemente contagioso.
-Alexa Kline è passata a salutarmi?- solleva le sopracciglia, più confuso che scettico.
Mi basta guardarlo negli occhi per capire che ha dimenticato tutto, nulla del piano gli torna familiare.
È tutto inutile.
Potrebbe pure aver distrutto qualsiasi traccia dal pc, sarebbe una mossa logica.

-Ascolta Bobby, c'è una cosa che devi ricordare. Se dovessi nascondere un segreto, dove lo terresti?-
-Ehm, non saprei...-
-Pensaci, ti prego. Non hai qualcosa dentro il computer a cui nessuno possa accedere?-
Non so nemmeno come facciano a cancellargli la memoria, ora come ora questo discorso non mi porterà da nessuna parte.
-Come fai a sapere della cartella fantasma?- sussurra dopo essersi guardato intorno.
Aggrotto la fronte in risposta.
-Non so cosa sia, ma sembra quello che stiamo cercando- aggiungo in fretta.
-Stiamo? Io nemmeno ti conosco-
-A questo penseremo un'altra volta, adesso mostrami questa cosa-
Lui sospira, incapace di scappare da questa situazione.
Non gli sto chiedendo di tagliarsi una mano.
-È solo una sciocchezza che ho creato a tredici anni. Questa cartella non è rilevabile nel computer, nemmeno il suo peso viene mostrato-
-E dove vengono salvati i file?-
Bobby ride come se avessi fatto una battuta.
-Sempre nel pc, solo non vengono conteggiati. Altrimenti sarebbe facile scoprirli.-
Quindi sanno di essere osservati.
O Bobby è solo paranoico?
-Basta solo inserire un codice di trenta caratteri e...-
-Trenta? Come cazzo fai a-
-Oh- esclama.
Tiene il cursore accostato ad un file in particolare: "verità"
-Come facevi a saperlo?- mi guarda diffidente, in qualche modo spaventato.
-Ascolta, io so solo che tu sei stato importante e hai aiutato tutti noi. È vero, non ci conosciamo, ma siamo dalla stessa parte.-
Deve ricordare.

Il ragazzo mi guarda, per la prima volta inespressivo.
Sembra perso nei suoi pensieri.
Lui deve ricordare, ma io non posso costringerlo a fare questa scelta.
-Ho bisogno di vederlo da solo, scusami. È che tutto questo non ha senso. Perché non mi ricordo di aver messo questo file?- si tortura le mani, frustrato.
Annuisco, l'ultima cosa di cui ha bisogno è che io lo assilli.
-Se ricorderai tutto e se deciderai di continuare, ti prego di farmi un favore: quando ne avrai la possibilità, scrivi ad Ian che-
-Signorina Kline, può seguirmi?-
Sobbalzo, colta di sorpresa.
L'uomo che mi ha accompagnato all'ascensore ieri è tornato a perseguitarmi.
Immagino che mio padre mi aspetti.

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