Capitolo 10
Alexa
Continua a fissarmi in attesa di una risposta.
O forse sta solo ammirando il mio stato disastroso; sebbene mi abbia schiacciato, piegato e rotto in tutti i modi possibili, non mi ha mai visto piangere in un modo tanto disperato.
Immagino che gli dispiaccia non esserne l'artefice.
E dovrei cercare di controllarmi, ma ho l'impressione che il peso che mi opprime possa soffocarmi se non lo allevio.
-Tu che ci fai qui- replico tenendo la testa bassa, il suo sguardo troppo pesante per poter fare altrimenti.
Le solite parole taglienti non mi faranno uscire da questa situazione, sono in un bel casino.
-Tu che dici? Questo è il magazzino degli attrezzi, sono le otto, il primo turno di allenamento è finito e io sono l'istruttore. Sei tu quella fuori posto-
Rimaniamo in silenzio per diversi minuti.
Poi Cox si piega sulle ginocchia per guardarmi in faccia. I suoi movimenti sono cauti, quasi come se si stesse approcciando ad un animale che non vuole spaventare.
-Allora vuoi parlare o rimaniamo qui tutta la notte?- il suo tono è meno impaziente di quanto mi aspettassi; è la prima volta che non mi urla contro o cerca di umiliarmi.
Non è normale.
Probabilmente sta solo raccogliendo informazioni da riferire ai suoi superiori.
Fare il suo dovere.
Proprio come l'ho fatto io uccidendo quei funzionari.
-Altrimenti cosa fai? Mi torturi come tuo padre?- lo sfido costringendomi a guardarlo. Cox cerca di celare le sue emozioni, fingendo di non averne.
Non è così che si dimostra di essere più forti.
Io so che anche lui ha paura di suo padre.
L'ho visto quando è stato sbattuto a muro con forza; quando ha indugiato prima di superarlo, non è stato solo per rispetto.
La paura è difficile da mascherare: il suo odore è inconfondibile tanto per gli animali quanto per gli umani.
Storce le labbra in fretta, spezzando il contatto con i miei occhi arrossati per il pianto.
Ha intuito i miei pensieri e si rifiuta di ammettere che siamo sulla stessa barca.
-È per la gamba?- borbotta cambiando argomento.
Mi rannicchio ancora di più contro lo scaffale appena lo vedo avvicinarsi.
Non ho intenzione di farmi toccare.
-C'è del sangue sul bendaggio, potrebbero esser saltati dei punti-
Lancio un'occhiata alla ferita, riscoprendo ancora una volta di essere nuda sotto la lunga maglia.
-Anche se avessi ragione, non potresti fare nulla, dovrei andare in infermieria- taglio corto mentre cerco di coprirmi il più possibile.
Non voglio dargli questo potere su di me.
Lui sospira, anzi, sbuffa.
-Sei sempre la solita testarda-
La sua frase risveglia in me un'ondata di rabbia che non ho la forza di trattenere.
Dimentico in fretta ogni cosa, perfino il dolore.
-Te lo ripeto ancora una volta: tu non mi conosci- non posso far a meno di fremere mentre pronuncio queste parole.
C'è una parte di me che sembra nutrirsi di questi incontri, continua a bramare vecchie ostilità che non posso permettermi.
Lui sorride divertito, come se stessi scherzando.
-Noi ci conosciamo bene invece- ribatte. La sua calma si scontra con il mio fervore.
-Di te so solo che non hai un briciolo di pietà-
-Ah no? Pensi che sia stato nel mio interesse andare contro mio padre e ricevere quello che non ha potuto fare a te?-
Ha torturato anche lui?
Per così poco?
Mi strattona la gamba sana per avvicinarmi a lui, la mia pelle striscia sul pavimento freddo.
Se vuole una cosa se la prende.
Analizza la situazione in silenzio, senza rivolgermi uno sguardo.
Cox non si comporterebbe mai in questo modo.
La stessa persona che ho visto spezzare ossa e procurare ematomi, adesso usa le sue mani insanguinate per aiutarmi.
Non osa sfiorare la coscia ancora gonfia, ma lo scorgo controllare il bendaggio con cura.
-Sembra che tu abbia sforzato troppo il muscolo quando avresti dovuto riposare- commenta con un tono professionale che non gli si addice: lui era solito distruggere, non aggiustare.
-Non decido io cosa fare qui- cerco di non far trasparire alcuna emozione, di sembrare una di loro.
-Hai appena scoperto come funzionano le cose alla Base-
Mi stringo nelle spalle, sperando che la conversazione finisca.
Siamo fin troppo vicini, come non lo siamo mai stati.
-C'è qualcosa che devi dirmi- esordisco incrociando le braccia per guadagnare distanza.
Da quanto sono tornata ho l'impressione di avere qualcosa in sospeso.
Con lui, con questo posto.
-Dipende- solleva un sopracciglio, quasi interrogandosi su cosa io sappia.
-Da cosa?-
-Se sei disposta ad ascoltare-
Me ne pentirò.
Annuisco scostando alcune ciocche di capelli dietro le orecchie.
La mia mano viene catturata dalla sua morsa, poi, con calma, accosta la fronte alla mia.
Cosa sta succedendo tra noi?
-Non lo fare- cerco di mettere distanza tra noi con le parole, visto che fisicamente non mi è possibile.
Non sembra nemmeno sentirmi.
Fa un respiro profondo prima di sfiorare le mie labbra, la sua barba mi pizzica il viso.
Lo sento indugiare prima di baciarmi.
I suoi movimenti diventano sempre più decisi, in contrasto con i miei quasi meccanici.
Ha ragione, noi ci conosciamo.
Non è la prima volta che assaggio le sue labbra, che sento le sue mani stringermi la nuca.
Non so né come né perché.
Seguo la scia di ricordi, facendomi guidare da questa sensazione familiare.
Cox scivola via dalle mie labbra, come se volesse darmi l'opportunità di ripensarci, di ricambiare come lui vorrebbe.
Lo guardo mentre si allontana: evita attentamente la gamba ferita e ritorna in piedi.
La conversazione si è appena conclusa, proprio come desideravo prima.
-Avevi ragione, non avrei dovuto farlo- sussurra più a se stesso che a me.
Quando sbatte la porta dopo essere uscito, il suono attraversa le mie ossa facendomi rabbrividire.
Manca qualcosa, un pezzo del puzzle.
Niente di tutto questo sembra avere un legame al momento.
Non so se ho la forza per scoprirlo adesso.
Questo non è il mio posto, ma se voglio restare devo imparare in fretta le regole.
Mi maledico quando mi precipito fuori, ignorando la mia gamba dolorante.
Lo scorgo in fondo al corridoio, una macchia scura tra le spoglie pareti grigie.
Provo a chiamarlo ma avverto un nodo in gola, la mia voce raschia nella speranza di uscire.
Mi manca il fiato, come se potessi strozzarmi con le mie stesse parole.
Come se non dovessi pronunciarle.
-Jason!- esclamo litigando con il feroce mal di testa.
Questo è il suo nome.
Come posso conoscerlo?
Lui si ferma, e spero che torni indietro perché non riuscirei a raggiungerlo.
Il mio corpo è esausto, anche solo stare in piedi senza un appoggio è impegnativo.
Si incammina verso di me con calma, ogni suo passo mette alla prova la mia resistenza fisica, non riesco nemmeno a poggiare il piede correttamente.
Si ferma davanti a me, costretto a sorreggermi per i gomiti.
-Dillo ancora- dal suo tono sembra un ordine, ma il suo sguardo è quello di un supplice.
-Jason, quando mi hai detto il tuo nome?-
È come se la linea del tempo si fosse interrotta, spezzata in un punto preciso. Non ho mai attenzionato il passato, eppure adesso percepisco il bisogno di ascoltarlo, di comprenderlo.
E se Ian fosse qui sarebbe tutto più facile.
È il suo campo, non il mio.
-Qualche anno fa- riapre gli occhi, sembra un argomento complesso da trattare anche per lui.
-Ti ho detto che sono disposta ad ascoltare- gli ricordo.
Devo sapere la verità, non possiamo più tornare indietro.
-Allora guardami- vorrei non tremare, o che almeno non potesse percepirlo, invece siamo inevitabilmente legati.
Incontro il suo sguardo solo perché sono costretta, perché voglio dimostrargli che ne sono convinta.
-Era stata una giornata orribile; la sera mi sono ritrovato ad una delle vostre stupide feste-
Noto per la prima volta il tono di distanza che usa tra noi e loro.
È sempre stato così?
Noi, quelli speciali, i ragazzini, e loro, gli adulti, quelli che vivono nella realtà.
-Ho bevuto troppo, non mi era mai capitato di andare così oltre- continua a guardarmi degli occhi, mostrandomi per la prima volta le sue emozioni.
Questo è coraggio.
E sebbene io lo odi, non posso fare a meno di apprezzarlo.
-Stavo per andarmene, quando ti ho vista con dei tizi. Non so cosa ti avessero dato, ma non riuscivi nemmeno a capire cosa stesse succedendo-
Non deve essere stata una bella giornata nemmeno per me allora.
-Ho pensato che sarebbe stata una buona idea accompagnarti in stanza-
-Tu? Tirarmi fuori da una situazione difficile?- lo interrompo, scettica.
-Ero davvero ubriaco- commenta accennando ad un sorriso.
È strano scorgere il suo lato umano, è così fragile che temo possa appassire da un momento all'altro.
Fa un respiro profondo prima di continuare.
So già cosa devi dirmi, Jason.
So come va a finire.
Il suono dei nostri passi quella sera echeggia nella mia testa, molto più lento del battito del mio cuore.
-Ho sbagliato, credevo che tu volessi e-
Qualcuno si schiarisce la gola alle mie spalle, Cox è costretto a sollevare lo sguardo.
-Signorina Evans, deve venire con me- annuncia un uomo che non ho mai visto prima.
Jason si allontana bruscamente, distruggendo tutto in un attimo.
Riesco ad afferrare il suo braccio prima che possa andarsene.
Ammettere di aver sbagliato non è sufficiente.
-Dobbiamo parlarne-
Il suo sguardo è tornato freddo, come se la situazione non lo toccasse più, come se non lo riguardasse.
-Non mi sembra ci sia altro da dire-
-Dammi un orario- mi mordo il labbro per riuscire a controllarmi e non perdere la calma, non ho intenzione di supplicarlo.
Né di gestire i suoi sbalzi di umore.
Mi osserva attentamente, analizzandomi con la sua solita aria di superiorità.
Adesso lo riconosco.
Quello che c'è stato tra noi non annulla la persona che in realtà è.
-Finisco l'ultimo turno per le dieci, sarò in camera dalle dieci e mezza in poi-
-In camera tua? Sul serio?- regolo il tono di voce in modo da non far trasparire la mia rabbia.
Ho bisogno di un alleato, è questa la verità.
E se lui racconta a qualcuno del mio sfogo nello sgabuzzino sono nei guai.
L'uomo con la camicia nera si schiarisce la gola, di nuovo.
-Non dovresti seguirlo?- alza un sopracciglio, ricordandomi il mio dovere.
-Prima ci mettiamo d'accordo, prima potrò andare- replico inclinando il capo.
Mi sembra di essere tornata agli inizi, la ragazzina che provoca il suo istruttore per non farsi mettere i piedi in testa.
-Te l'ho detto, questa è la mia disponibilità, prendere o lasciare- alza le spalle facendomi innervosire.
Va bene, starò al tuo gioco.
Mi volto senza aggiungere altro, andando incontro al signore che mi ha atteso al massimo due minuti.
Eppure non si risparmia dal mostrarsi frustrato.
Le mie emozioni invece sono tutte compresse nel petto, in attesa di trovare il momento giusto per fuggire.
Temo che non arriverà presto.
-Dove stiamo andando?- chiedo con cautela all'uomo dal passo svelto, ad ogni movimento percepisco delle fitte, il dolore si propaga per tutto il corpo.
Il mio accompagnatore non risponde, mi ignora.
Ci imbattiamo in Kira quasi all'improvviso, la vedo correre nella nostra direzione con dei vestiti tra le braccia.
-Aspettatemi!- urla cercando di non inciampare sui suoi stessi piedi.
L'uomo senza nome le lancia un'occhiata indifferente.
-Mi hanno chiesto di scortare la signorina a destinazione il prima possibile-
Quando la donna ci raggiunge è senza fiato, incapace di formulare una frase completa.
Il mio accompagnatore la guarda stizzito, i nervi tesi per il nuovo rallentamento nella marcia.
Mi godo questa pausa appoggiandomi al muro, esausta nell'animo almeno quanto Kira nel fisico.
-Non vuole mica farla partecipare all'incontro così!?- esclama retorica, punta un dito su di me per sottolineare il suo punto di vista.
L'uomo corruga la fronte, perplesso, rendendosi conto di non poterle dare torto.
-Va bene-
La mia alleata non se lo fa dire due volte: mi afferra per il braccio e mi trascina via, per poi spingermi dentro una stanza anonima.
Piano piano mi sto girando tutti gli sgabuzzini della Base.
-Tranquilla, non ci sono telecamere qui- mormora per calmarmi, nonostante sia lei la più preoccupata.
Ho bisogno di sedermi.
Mi lascio andare su uno sgabello, esausta.
Da quando mi sono risvegliata è stato tutto un incubo e una stupida parte di me continua a sperare che non sia vero.
Che sia solo un gioco della mia testa.
Una visione catastrofica, un universo parallelo, qualsiasi scherzo il tempo abbia progettato per me.
Invece è tutto frutto di una mia scelta.
Kira mi aiuta ad indossare i pantaloni, facendo scorrere il tessuto con attenzione, per non peggiorare la condizione del bendaggio.
-Ho saputo di quello che è successo, zuccherino- il suo tono è delicato, come se si stesse contemporaneamente prendendo cura sia della mia ferita che del mio animo.
-Non è stata colpa tua, sei stata costretta-
Le mie emozioni colgono il richiamo della sua voce, riversandosi tutte insieme, cercare di trattenerle è inutile, mi hanno già sconfitto.
Pensavo di non avere più forza per piangere.
-Tesoro, riuscirai a salvare tutti, sta' tranquilla- mi prende il viso tra i palmi delle mani, bagnandosi i pollici con le mie lacrime.
-Io non sono un'eroina-
Non so cosa si aspettino da me i ragazzi che sono riusciti a scappare, ma non sono così forte.
-Kira, io non so nemmeno che cosa devo provare. Se è giusto piangere, rimanere indifferenti o esprimere rabbia-
Mi stacco dalla stretta della donna per infilarmi una maglia pulita.
Cambiare vestiti è come fare la muta, entrare in un corpo nuovo.
Lasciarsi alle spalle tutto quello che è successo, o almeno provarci.
Trovo uno specchio in un angolo, sembra vecchio, ha i bordi ossidati, ma riesce lo stesso a mostrarmi il mio naso arrossato e gli occhi stanchi.
Qualsiasi incontro io abbia adesso, non posso presentarmi così, ho bisogno di un momento per riprendermi.
Per non pensare a quanto faccia schifo la vita qui sotto.
Per non pensare ai volti delle persone che ho ucciso.
Alla ferita, che continua a far male.
Al sorriso di Adam ogni volta che vedeva Renee.
A quanto mi manca Ian.
Al fatto che Jason mi abbia stuprata.
Forse.
Per quel che mi ricordo.
Per quel che sento.
Sobbalzo appena la porta viene brutalmente tempestata di pugni.
-Muovetevi!- urla l'uomo dall'altro lato.
Kira mi guarda, presa dal panico.
-Ascolta tesoro, non c'è un modo specifico in cui ti devi comportare, il siero ha mostrato effetti diversi su molti ragazzi, non prendere Adam come esempio. Qualcuno ti ha visto così?- mi accarezza i capelli, le sue mani tremano visibilmente.
Mi blocco un istante prima di pronunciare il suo nome.
-Cox, mi ha trovato nel magazzino degli attrezzi- le spiego con cautela, non voglio che si allarmi troppo.
-Okay, poteva andarci mooolto peggio, no?- mi chiede conferma con lo sguardo, è proprio sul punto di una crisi di nervi.
-Posso gestirlo- mormoro per rassicurarla.
In realtà il solo pensiero mi fa venire la nausea, io e lui avremmo dovuto chiudere il discorso in corridoio e non vederci mai più.
-Cox non dice mai nulla, raramente viene alle riunioni, non dovrebbe indagare, no? Non sarebbe logico né coerente con la sua personalità e- la interrompo abbracciandola, avvolgendo le sue piccole spalle con tutta la forza che mi è rimasta.
Ne abbiamo bisogno entrambe.
-Sono così preoccupata per te, zuccherino- mi sussurra ricambiando il gesto con affetto. Mi costringe a sorridere di cuore, cancellando tutto il resto.
-Ho solo bisogno che tu non mi abbandoni, Kira. Ti prego-
È l'unica persona di cui mi posso fidare qui dentro, non so dove sarei se lei non mi avesse aiutato.
Sta rischiando la vita per me, per noi.
-Si può sapere cosa state facendo!?- trasaliamo al suono della voce inferocita.
Posso avvertire il cuore della donna in subbuglio, non abituato a tutto questo.
-Alexa aspetta, devo dirti un'ultima cosa- mi blocca proprio mentre sto per poggiare la mano sul pomello.
Sembra incerta se dirmelo o meno.
-Ho fatto delle ricerche e ho scoperto che-
-Vedete che entro!-
-Evans non è il tuo cognome- dice tutto d'un fiato.
Buon Natale, persone!❤️
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