Addio III

Drew

È tutta la notte che fisso il tetto. Nick dorme come un angelo al mio fianco, avvolto tra le lenzuola. Non riesco a farmene una ragione. Neanche il piacere del sesso d'addio riesce a scacciare via questi pensieri.

Mi alzo con cautela, spostando il braccio del ragazzino biondo dal mio addome. In risposta si gira dall'altro lato, intrecciandosi maggiormente con le coperte. La luce della lampada non gli dà nessun fastidio, ed è un bene perché in un posto senza sole sto iniziando a perdere il senso del tempo, quella lampadina è uno dei pochi segnali che mi rimane. L'ho programmata per accendersi alle sei di ogni mattina. 

Rivolgo un'ultima occhiata a Nicholas, indeciso se svegliarlo. Non mi ha reso partecipe della sua decisione, coinvolgerlo nel mio tormento mi sembra il minimo. Scuoto il capo per scacciare l'idea; è il nostro ultimo giorno insieme, non voglio che inizi con una brutta piega. 

Mi trascino fuori dalla nostra camera, ho la testa pesante e i muscoli indolenziti. Mi chiedo che cosa ne sarà di me dopo che se ne sarà andato. Non abbiamo litigato ieri sera, non proprio. È stato solo tremendamente faticoso. Non posso impedirgli di andar via, e anche se ne avessi l'intenzione, non saprei come farlo. L'unico modo che mi viene in mente è attaccarmi alla sua gamba e implorarlo. Non ho né i metodi né l'autorità che aveva Ian quando ha fatto quella sfuriata ad Alexa. 

È ancora presto, ci sono poche persone in giro per il Blue Glass, coloro che non riescono a staccarsi dalla routine degli allenamenti. Ho detto a Nick che mi sarebbe piaciuto parlarne insieme, solo questo. Mi ha detto che non sarebbe cambiato poi molto, e che non è che ci pensasse giorno e notte, ecco. È stata una conclusione a cui è arrivato mettendo insieme i pezzi pian piano. E io in cuor mio avevo sempre sperato che lui non avesse uno spirito di sacrificio tanto sviluppato. 

Raggiungo la cucina impiegandoci il doppio del tempo normale. Mi sento ancora intontito, ho bisogno di un caffè. Nicholas ha detto che questa è la sua occasione per essere utile e si è innervosito parecchio quando mi sono lasciato scappare che non fosse necessario, che non doveva provare niente a nessuno, eccetera eccetera.

Afferro una tazzina abbandonata sul lavandino. Sembra pulita, lo spero. Poi Nick ha detto qualcos'altro, io ho risposto, e poi non so come ci siamo ritrovati a baciarci con molta più foga del solito. Non ricordo quante volte lo abbiamo fatto, ma a quanto pare non abbastanza da farmi cambiare idea sulla sua partenza.

-Vedo che non ha perso le sue abitudini, signorino- sobbalzo, il mio cuore salta un battito nel sentire la sua voce. Non era qualcuno che mi aspettavo di vedere questa mattina. Il piano originale era non vedere nessuno. E sotto lo sguardo indagatore dell'uomo che mi ha cresciuto mi sento in imbarazzo. Mi sono appena alzato dal letto, ho ancora i capelli arruffati e delle occhiaie spaventose, probabilmente puzzo anche. Non sarebbe la prima volta in vent'anni che mi vede più trasandato, ma una parte di me, soprattutto dopo la nostra discussione, si ostina a volergli dimostrare che riesco a cavarmela da solo. 

Brian si avvicina e con gentilezza mi sfila la tazzina dalle mani. -Lasci fare a me, mi sembra passata una vita dall'ultima volta che le ho servito la colazione- ammette, e mi aspettavo di trovare più amarezza nel suo tono. Forse sono troppo stanco per notarlo. Mi arrendo subito, non ci provo nemmeno a insistere. Cado su una sedia pigramente, la bocca ancora impastata dal sonno.

-Sei qui per Alexa?- 

-Sono qui per lei- mi dà le spalle mentre accende la macchinetta. Il suono mi martella il cervello talmente forte che mi fanno male le tempie. 

-Per me?- mi indico con il dito e sbadiglio profondamente. Non ho le forze per affrontare un discorso con lui.

-Ian mi ha detto che il signorino Nicholas ha deciso di andare alla Base-

-Allora dovresti essere qui per Nick, non per me- il maggiordomo mi lancia un'occhiata, e anche questa volta mi sorprende. Credevo mi avrebbe scoccato un rimprovero per il mio tono, o quantomeno un avvertimento. Invece si limita solo a dire: -Sta diventando molto più simile a suo fratello- 

Ora che ci penso questo potrebbe essere un insulto. 

-Brian, non sono nelle condizioni di recitare una parte in questo momento-

-Ma lei non ha mai dovuto recitare un bel niente con me. Le ho sempre dimostrato di riuscire a comprenderla, anche senza sentirle pronunciare una parola. So che non ci sono più faccende in sospeso tra noi, ma è ovvio che il nostro rapporto non è tornato quello di prima. Rispetto la sua nuova vita e comprendo che ha tante nuove priorità, ma le chiedo, per favore, un briciolo del suo tempo. Giusto quanto occorre per bere un caffè in mia compagnia e raccontarmi quello che la tormenta- mi porge la tazza fumante, anche la sua è già pronta. Un tempo la mia giornata era piena di momenti come questo, ero solito attenderli con ansia dal mio risveglio. Ogni giorno ero al corrente del fatto che Brian fosse l'unica persona della mia vita con cui potevo confidarmi. Se non parlavo con lui, difficilmente i miei sentimenti sarebbero venuti a galla con qualcun altro. Era come se lui fosse il loro custode. Non andavo da lui solo per scenate melodrammatiche, ma anche per commenti innocenti, considerazioni personali. Adesso mi rendo conto che se dovessi raccontare qualcosa, il mio giro di interlocutori sarebbe molto più esteso e con un complicato ordine di priorità. 

Afferro la tazzina e annuisco; magari tornare su miei passi è quello che mi serve. Brian non si scompone, anche se ho l'impressione di aver sentito un flebile sospiro di sollievo. 

-Non mi piace questo posto, andiamo nell'atrio- esclama prendendo un vassoio di plastica dove mettere la nostra colazione. Non che ci sia molto nella credenza oltre a delle merendine confezionate monoporzione. Lo lascio fare, posseduto da un'atmosfera di calma placida e duratura. Non voglio appoggiarmi eccessivamente su di lui, non farei che dimostrargli che non solo non sono cresciuto, ma non ho neppure sufficiente carattere per gestire il casino in cui mi sono andato ad infilare.  

Raggiungiamo l'ingresso principale del Blue Glass, le luci colorate del bancone sono sempre accese. Impiego qualche secondo per abituarmici, i miei occhi non fanno che scattare da un lato all'altro, seguendo le scie luminose. Vorrei tornare a letto. Ci sediamo l'uno di fronte all'altro, i bicchieri scintillanti tintinnano sopra le nostre teste. Quando il maggiordomo posa con cautela il vassoio tra noi, la mia attenzione viene catturata sulla custodia scura di uno strumento, abbandonata non molto lontano, sul bordo del lungo tavolo. 

-È per lei, penso che potrebbe averne bisogno- mando giù il caffè in un sorso, rischiando si ustionarmi la lingua e mi avvicino, quasi ammaliato. Avevo portato con me un violino, il giorno in cui ci siamo trasferiti qui, ma tempo qualche settimana che l'archetto e le corde si sono consumate, e chiedere a Brian di portarmene delle nuove era impensabile, oltre al fatto che non fosse una priorità. Entrambe le sicure scattano in un colpo solo, e mi concedo un attimo prima di sollevare il coperchio. Mi chiedo quale abbia scelto, la custodia, seppur tenuta bene, non sembra indicare un modello recente. Faccio un respiro profondo e svelo la forma armoniosa del violino, avvolto in un panno come ulteriore protezione. Non è uno dei più pregiati della mia collezione, non di certo uno Stradivari. Ma la cassa in legno è solida e ben lavorata, il liutaio ha impiegato tutta la sua abilità nel realizzarlo. Alcune volte penso che mi piacerebbe creare da me gli strumenti che uso, plasmare le corde e le giunture secondo le mie preferenze e inclinazioni. Magari in un'altra vita.

-Non so se avrò tempo per allenarmi. Temi che io perda il mio tocco?- borbotto cercando di distogliere lo sguardo dal violino, per me è quasi un'apparizione nostalgica. L'eco di un'esistenza diversa dalla presente.

-Temo che lei si scordi del suo talento- mi osserva con la tazzina sbeccata stretta tra le dita.

-Più passo il tempo con loro più mi rendo conto che non ne ho nessuno. Non è lo stesso, Brian. Non è come eseguire un bel brano, non ci si avvicina minimamente. Il mio non è un talento, sono solo anni di pratica forzata e un probabile disturbo ossessivo compulsivo- ammetto amaro, torno al mio posto e mi riempio un bicchiere d'acqua. Non sono certo di essere lucido al cento per cento.

-Non mi riferivo alla sua abilità nel suonare, signorino. Sebbene io ritenga che potrebbe aiutarla a gestire gli ultimi imprevisti: lei ha sempre usato la musica per schiarirsi le idee- fa una pausa per finire il caffè e io non posso dargli torto. È sempre stato il modo più efficace per me per non essere sommerso dai miei pensieri, per vederli nella loro vera forma. Un brivido mi risale la schiena quando Brian stringe la mia mano tra le sue. 

-Lei ha un dono, signorino Drew. Lo chiami come vuole, talento, inclinazione, poco importa. Se c'è qualcosa che le viene naturale è mostrare alle persone che nella vita c'è molto di più rispetto a quello che si vede. Non è solo un ideale, ma è la sua intera esistenza. Non smette mai di cercare, di volere di più. Anche suo fratello ha una predisposizione simile, ma non so dirle se per carattere o per il modo in cui è cresciuto, nel signorino Ian ha la forma della brama, in lei invece, quella della speranza. Se solo riuscisse ad accorgersi quanto le persone siano disposte a fidarsi di lei...-

-Nessuno mi conosce qui, Brian. Non sono uno di loro, perché dovrebbero farlo?- roteo gli occhi, cerco di allontanare le sue parole dalla mia testa, non voglio che mettano le radici. Anche Nick è dello stesso parere, e non mi va proprio di pensarci.

-Si guardi, ha rinunciato al lusso della sua casa per seguirli in questo magazzino polveroso. Non chiede nulla in cambio, anzi, mette se stesso in pericolo partecipando alle missioni. Non è qualcosa che si può ignorare- i suoi occhi scuri non hanno intenzione di lasciarmi andare, non è la prima volta che mi mette davanti un compito impegnativo aspettandosi che io accetti di buon grado. Non succederà. Questa non è l'organizzazione del ballo di beneficenza o la riunione degli investitori dell'azienda di mia madre, questo è pericoloso. Riguarda la vita di ragazzi della mia età, di persone che sto imparando a conoscere. Di mio fratello, di Nick e di Renee.

-Non posso prendermi una simile responsabilità- storco le labbra, solo il pensiero mi fa stare male. Non sono io quello di cui questo posto ha bisogno.

-Non può o non vuole?- 

-Fa differenza?-

-Molta, signorino. Lei non si sente all'altezza e si illude che l'opzione migliore per lei sia quella di rimanere in un angolo, possibilmente nascosto. Lasci che io sia sincero con lei...-

-Ti sei mai trattenuto dall'esserlo?- chiedo, provocandolo, ma la tattica non funziona, ricevo appena un'occhiataccia prima che prosegua con il suo discorso.

-Quando il signorino Nicholas se ne andrà le farà molto male. E magari potrebbe aiutarla fare qualcosa di concreto per lei e per i ragazzi che sono rimasti, invece che torturarsi con i suoi stessi pensieri-

-Questo non...Brian, come ti viene in mente, io...-

-È la stessa cosa che ha suggerito a suo fratello. Ne devo dedurre che dà dei pessimi consigli?- 

-Possibile!- esclamo, esasperato. L'uomo mi guarda, la merendina al cioccolato tra le dita. Riesce ad aprirla senza l'assordante rumore di scoppio prodotto dall'aria incastrata nella pellicola di plastica.

-Bè, io no.- e sollevando un sopracciglio dà un morso alla merendina, il suo odore zuccheroso arriva fino alle mie narici. Non lo avevo mai visto mangiare un prodotto commerciale e scadente, e l'immagine non può che risultarmi buffa. Mi lascio andare in un sorriso spontaneo e abbasso la testa per non farmi beccare. L'atmosfera è all'improvviso più distesa tra noi, come se fossimo tornati ai vecchi tempi. Sospiro, so che si aspetta una risposta vera da me.

-Ian non me lo permetterà mai- ammetto, odio che questa strampalata idea si stia facendo largo nel mio cervello. Continuo a sentirmi un incapace: non sarebbe la prima volta che gestisco un elevato gruppo di persone, ma il rischio non è mai stato la morte o la prigionia, al massimo la gelida occhiata di delusione di mia madre. Che, ripensandoci, potrebbe andarci molto vicino.

-Gliel'ha chiesto?-

-Non fingere di non conoscerlo- scrollo le spalle, già stanco di questa conversazione, il maggiordomo davanti a me invece è palesemente soddisfatto del suo lavoro. 

-Il signorino Ian detesta quel ruolo- mi fa notare subito.

-Detesta anche che qualcuno gli sottragga un potere che gli spetta. Magari non gli piace, ma di certo riesce a farsi rispettare, nessuno si ribellerebbe contro di lui- i miei pensieri però ricadono su Nora e sul gruppo di ragazzi insoddisfatti dalle condizioni del Blue Glass. Il fatto che alcuni rimpiangano quasi la Base mi mette i brividi.

-Ma non si fidano di lui- 

-Pensi che io possa riuscirci?- ho l'impressione che viviamo in due mondi diversi.

-Credo che lei possa fare tutto quello di cui si convince. Si guardi adesso- 

-Sporco e sul principio di un esaurimento nervoso?- sbuffo, non so da quando le mie inibizioni siano così basse, magari è proprio uno dei segnali del crollo imminente.

-Farebbe scelte diverse se potesse tornare indietro?- Brian ha deciso di ignorare qualsiasi mia battuta o risposta poco educata. 

-No, certo che no- 

-Ha un'anima buona, signorino Drew. Non la sprechi tenendosela per sé- accenna a un piccolo sorriso, poi si alza dallo scomodo sgabello alto, pronto a congedarsi. Ma io non sono ancora pronto per lasciarlo andare. Afferro le sue dita d'istinto, catturandole tra le mie.

-Se nel caso, non dico sia certo, suonassi un po' per tutti questa sera, tu verresti?- mi sento di nuovo un bambino alla ricerca di attenzioni. Dopo ogni conversazione con Brian non posso che sentirmi vulnerabile, come se mi fossi sottoposto a un intervento a cuore aperto. Non so come ci riesca, forse anche questo è un talento. Il maggiordomo ricambia la stretta, questa volta le sue labbra si curvano all'insù in modo più evidente.

-Non me lo perderei per nulla al mondo- 

Mi saluta cordialmente, lasciandomi solo, dietro il bancone, lo stomaco ancora in subbuglio, abitato dalle nostre parole. Raccolgo i piattini e le tazze che abbiamo usato per la colazione e tenendo il vassoio con una mano recupero anche il violino con la custodia. È da quando avevo sei anni che faccio questi giochi di prestigio, i cucchiaini e i bicchieri non tentennano nemmeno. Poso tutto in cucina, adesso un po' più affollata. Fanno addirittura la fila per entrare. Saluto tutti con un cenno e torno in camera. Prima di iniziare a suonare devo quantomeno lavarmi. 

Trovo Nicholas che cerca di sistemare le lenzuola del letto, le tasta e controlla che siano ben tirate. È già vestito, deve essersi svegliato poco dopo di me. I suoi capelli biondi sono spettinati come ogni mattina, si scorda sempre di pettinarli. Sono tentato di passarci le mani attraverso.

-Oh, eccoti. Mi sono svegliato e non c'eri- 

-Hai provato quello che capiterà a me domani?- la frase sfugge dalla mia bocca senza che io possa fermarla. Non volevo dirlo, non così. Noto il corpo del ragazzino irrigidirsi, smette di sistemare le coperte. -Scusa, sul serio. È che mi sento come se tu mi stessi abbandonando e non è una cosa che riesco a gestire bene- sbotto d'un tratto. Non ha senso continuare a rispondere in modo scortese a chiunque mi parli oggi, se proprio devo essere trasparente mi tocca lasciar andare anche quello che mi fa male. Il ragazzino biondo non dice nulla, scruta la mia anima in silenzio, è tremendamente serio. Si siede sul bordo del materasso e mi invita a fare altrettanto. Come faccio a propormi come capo di un branco di ragazzini se ho paura perfino di confrontarmi con la persona che amo?

-Non ti sto abbandonando, ma so che ripetertelo anche cento volte non cambierà le cose. Voglio solo fare la mia parte, Drew, come tutti. Voglio far finire questa situazione di merda per poter riprendere a vivere decentemente. O a iniziare a farlo, nel mio caso.- non c'è rabbia o delusione nella sua voce, e mi sembra quasi assurdo. Non so come faccia a restare calmo.

-Ho paura che senza di te potrei tornare quello di prima- riesco a stento a dirlo. Non sarei qui se non fosse per lui. 

-E chi sarebbe quello di prima?- si lascia andare in un sorriso prendendomi la testa tra le mani. Io posso finalmente accarezzare le ciocche bionde dei suoi capelli, pettinandoglieli un po'.

-Un ragazzo che cerca stupidamente di soddisfare le aspettative degli altri, che non conosce cosa vuole...- sussurro, mi sembra incredibile aver vissuto in quel guscio per tutto questo tempo. 

-Se riesci a vedere la differenza, non penso proprio tornerai come prima- alza le spalle e mi scocca un bacio a stampo. È sul serio così? Non c'è il pericolo che io rinneghi tutti i miei progressi? Sento chiaramente la mia vita intrecciata a quella di Nick, e spero che il nostro legame sia abbastanza resistente da sopravvivere a una follia del genere.

-Se non torni per il tempo previsto, io ti giuro che ti tiro fuori di lì personalmente- mormoro mentre lo stringo tra le braccia. Il mio ragazzino biondo si lascia andare, in un lampo di serenità.

-Hai intenzione di soccorrermi come quella volta che sono caduto nel cespuglio?- immagini del nostro primo incontro si fanno strada nel mio cervello, Si susseguono come una melodia accennata, l'inizio di un brano che vorrei scrivere. Ricordo di essere sembrato un cretino, di averlo guidato male, fino a prenderlo in braccio piuttosto che fargli fare le scale.

-Solo se i tuoi organi sono tutti intatti, lo sai che altrimenti vali di meno al mercato nero- Nicholas ride forte contro il mio petto, proprio come quella volta. 

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Mi sento in ansia come se fosse la mia prima esibizione. Ho controllato che il violino fosse accordato almeno una decina di volte. Ho composto la musica in un'oretta, Nick non ha voluto ascoltarla in anteprima. Adesso è seduto su un divanetto insieme a Brian, e parlano come se fossero vecchi amici. Si sono sempre piaciuti molto. E per Nick forse è più facile perché ha visto da subito la sua anima, ma che il maggiordomo andasse oltre le sue formalità non era qualcosa che mi aspettavo. Non tanto rapidamente. 

La stanza è gremita, ogni singolo abitante del Blue Glass ha deciso di unirsi a questo concerto improvvisato. Hanno preso ogni sedia del locale, ma anche cuscini, alcuni addirittura un materasso. Alexa è seduta sul grembo di Ian, entrambi a terra in mezzo alla folla. Eppure sembrano ugualmente nel loro mondo, per nulla distratti dal caos circostante. Scherzano come se fosse una serata normale, e mi chiedo come faccia mio fratello a nascondere così bene le sue vere emozioni. Perché sono certo che proviamo esattamente le stesse cose.

Renee arriva in ritardo e Maverick le fa cenno di sedersi accanto a lui ed Elia. Non credevo si sarebbe integrato tanto in fretta nel gruppo. La ragazza incontra il mio sguardo e mi scocca un bacio a distanza di incoraggiamento. Che cosa ne sarà del nostro trio senza Nick?

Mi siedo tra gli schiamazzi e il brusio della stanza, e con un colpo secco di archetto inizio a suonare. È forse un inizio secco e rude, ma non mi sono mai piaciute le presentazioni o gli applausi prima ancora dell'esibizione. In questo contesto posso finalmente decidere io come cominciare. Nessuna regola o convenzione, solo la musica. 

Il vociare confuso cessa immediatamente alla prima nota. So che non sono abituati a sentire il suono del mio strumento, ma le loro occhiate sorprese mi divertono. Eppure mi costringo a chiudere le palpebre, per il bene del mio brano. Non posso permettermi di distrarmi, è troppo fresco nella mia memoria perché la mia mente possa vagare. Ho sempre cercato la perfezione, l'ho inseguita per tutta la vita, adesso mi rendo conto che non è per questo che chiudo gli occhi. Ho bisogno di lasciare fuori il mondo per un attimo, di sentire meglio quello che c'è dentro di me. È la cura nei gesti a guidarmi, non la perfezione. Vorrei solo che questo discorso uscisse limpido e chiaro, ma se sarà necessario schiarirmi la voce durante, lo accetterò comunque. Mantengo un ritmo serrato, pieno di incastri e melodie interrotte, come se non sapessi da che parte iniziare. 

Lascio l'archetto rimbalzare tra le corde, dà l'impressione di essere libero, ma non riuscirei a produrre nessuno di questi suoni delicati se non lo controllassi. Ho l'impressione che i miei spettatori questa sera si sentano così. Liberi, ma a quale costo?  Ognuno cammina sulla sua corda aspettando il momento di saltare, proprio come le mie dita. Mi piace quando il suono rischia di diventare stridulo quanto un urlo soffocato, al limite tra arte e sofferenza. Ripeto due volte la sequenza, non mi importa se può suonare come non necessario o noioso. È troppo tempo che non cambia niente quaggiù. Vengono sopraffatti dal passato con la stessa forza dell'eco della mia musica. La melodia è costante ma non piatta, si mantiene vitale con qualche bemolle in aggiunta al componimento originale, il bello della ripetizione è sfidare chi ascolta a notare le differenze. E se alzo lo sguardo, io non faccio che notarne. 

Mio fratello soprattutto non è lo stesso. Non solo mi ascolta con attenzione, mi concede un momento fuori dalla sua ombra, ma finalmente concede a se stesso di essere vulnerabile. Il pretenzioso ed esagerato bariolage che segue è tutto per lui. È il tipo di mossa che suscita ammirazione e sorpresa, soprattutto negli ascoltatori meno esperti. Stupisce perché non lo si conosce. Tutti sono concentrati sul movimento dell'arco ma nessuno guarda le dita che si rincorrono l'un con l'altra. Proprio come lui ed Alexa. Forse la magia sta proprio in questo scambio, nelle note più alte che si sottomettono alle basse e viceversa. Ci sono così tante cose che vorrei dirgli. Ma esce tutto in un impreciso legato, le note, come i pensieri, inciampano l'una sull'altra, rendendo incomprensibile il messaggio. Il mio gemello lascia che la sua compagna riposi la testa sul suo petto, ma non smette mai di guardarmi. Si attacca ai miei movimenti con lo sguardo, cercando di capirmi. È solo che... io ci sono sempre per te. Qualsiasi cosa succeda. 

Rallento il brano, come una brusca frenata in un auto che sta percorrendo i duecento orari. È un po' come mi sono sentito quando ho litigato con Brian. Pronto a schiantarmi da qualche parte. E cerco ossessivamente nelle note quella sorpresa, quel sapore aspro che qualche diesis può darmi. Non è mai stata mia intenzione scendere in guerra contro di lui. E so che, per quanto dure, le note alternate riescono a sciogliersi nella melodia principale. Si evolve in uno spiccato, dei piccoli rimbalzi, un volo appena accennato. So che mi ha lasciato andare, anche se gli ha fatto male.  

Ed è una lezione che dovrei imparare anche io. Alcune volte stringere la presa sull'archetto non fa che peggiorare l'esecuzione. Guardo la figura magrolina e rannicchiata di Nicholas e mantengo un detaché, i crini non staccano nemmeno un secondo dalle corde, come se fossero le mie mani tra i suoi capelli. Sfrego con forza, come la mia pelle a contatto con la sua ieri sera. Vorrei non dover staccare adesso, continuare a incatenare le note l'una all'altra per sempre. Vorrei che questo componimento non finisse mai. Non so se questo è il modo giusto per salutarti, ma è l'unico che conosco. 

  

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