Capitolo 6

Alexa

Qualcosa mi scuote violentemente, mi muove da destra a sinistra senza pietà. I miei occhi sono sigillati, non intendono aprirsi per nessun motivo. Solo dopo un po' riesco ad avvertire una voce, sembra parlare un'altra lingua, parole totalmente incomprensibili per le mie orecchie. Non mi sforzo per cercare di comprenderla, anzi, mi rannicchio sotto qualcosa di morbido e caldo, continuando ad ignorarla. Potrei stare così per sempre, coccolata dal calore e dalla quiete che mi sono costruita da sola. Il mio senso di beatitudine viene interrotto; la sicurezza in cui mi ero rintanata non esiste più, ha preso il suo posto il freddo. Tremo per la mancanza del mio riparo e mi ritrovo a chiedermi chi mai mi farebbe qualcosa di così terribile.
- Alexa, o ti alzi o ti prendo di peso- esclama la voce spazientita, le sue minacce non riescono a scalfirmi.
- Mh mh- rispondo dandole retta, tra poco si stancherà. Renee non ha la forza per sollevarmi, sarà anche alta e agile ma non é così robusta. Sento delle mani spingermi verso sinistra e automaticamente rotolo infreddolita in quella direzione, fino a quando avverto il vuoto attrarmi. Ben presto mi ritrovo per terra, con la faccia schiacciata sul pavimento gelido. Sollevo la testa ancora con gli occhi chiusi, mi duole leggermente. Tocco la guancia gonfia per la botta e verifico la presenza di qualche livido, ma anche quello di ieri sembra sparito. La prima cosa che vedo è il volto allegro di Renee, circondato dai suoi capelli ricci un po' disordinati.
- Dai muoviti- dice strattonandomi, nel vano tentativo di farmi alzare.
- Ho sonno- ribatto con la bocca impastata, ho ancora bisogno di qualche minuto per ragionare in maniera lucida.
- Vedi che sei in ritardo, il signor Cox ti ammazzerà- guardo il soffitto confusa, le parole della mia compagna scivolano come acqua su di me, non ne colgo il significato. Il mio cervello collega questa situazione al discorso del ragazzo, se fossi in stanza con lui sarei rimasta a dormire fino a tardi. Di scatto afferro il cuscino stritolandolo per la frustrazione, devo ritrovare quel ragazzo, non è un bisogno fisico, più mentale.

-Mi ascolti?- Renee mi scuote ancora, facendo sfumare tutti i miei pensieri.

-Sì, ho tutto sotto controllo, stai tranquilla- rispondo senza preoccuparmi di essere convincente; lei esagera sempre, se ha un appuntamento alle nove, inizierà a prepararsi per le sei.

-Che ore sono?- sbadiglio e mi guardo intorno, spero di avere il tempo necessario per dormire ancora un po', vorrei rimandare l'inizio di questa giornata in eterno.

-Le sette e mezza- replica con voce piatta, come se avesse perso le speranze.

Sobbalzo e corro in bagno per lavarmi più in fretta che posso. Sono in ritardo, peggio del solito. Non posso perdere un minuto, questa volta sono seriamente nei guai, il signor Cox ha punito un ragazzo per cinque minuti di ritardo, figuriamoci mezz'ora.

-Ho provato ad avvertirti!- esclama Renee dall'altra stanza, scrollandosi di dosso la colpa. Esco dal bagno con lo spazzolino fra i denti ed i pantaloni a metà coscia, saltello in cerca di un elastico. Non provo nemmeno a guardarmi allo specchio, perderei troppo tempo inutile. Il mio sguardo viene costantemente attratto dalla mia amica che si guarda le unghie imperturbabile, per nulla travolta dalla mia fretta. Oggi è il giorno dopo il suo record, è esonerata da ogni lezione e può passare il tempo come vuole.

-Devi ancora raccontarmi del tuo fortunato incontro di ieri- dice sedendosi sul letto, come se non fossi già occupata a non inciampare sui miei stessi piedi.

-Se riesco a sopravvivere..- ribatto chiudendo la porta della stanza, una scarpa ancora stretta tra le mani.

Corro per i corridoi più veloce che posso, imprecando a voce alta per la notevole distanza dalla palestra, non arriverò mai in tempo per la fine dell'allenamento.

Una volta arrivata riconosco in fretta i ragazzi dell'altro turno riscaldarsi e lascio che tutta la mia fatica esca fuori in un sospiro, non è il modo migliore per iniziare la giornata. Con il morale a terra mi dirigo verso gli spogliatoi, sperando di poter assistere almeno alla prossima lezione. Mi faccio largo tra le ragazze che parlano tra di loro animatamente, commenteranno qualche nuovo pettegolezzo su qualcuno che non conosco. Nonostante odi origliare, il mio intuito mi forza ad avvicinarmi ad un gruppetto particolarmente strano, riesco a sentire solo vaghi sussurri, evidentemente non hanno nemmeno bisogno di parlare per intendersi. Ben presto capisco che quel "qualcuno che non conosco" sono io.

-Guardate chi ci dà l'onore della sua presenza- dice una di loro ad alta voce, in modo da catturare l'attenzione su di me; tutte mi fissano in maniera strana, probabilmente per molte è la prima volta che mi guardano in faccia.

-Eri troppo esausta questa mattina per alzarti?- questa domanda retorica scatena un'orda di risate che rimbomba per le pareti azzurrognole, circondandomi in maniera asfissiante.

-Smettetela su, dovremmo essere felici per lei- l'intromissione di un'altra ragazza fa zittire quel fastidioso brusio, azione che sottolinea la sua importanza sociale all'interno della Base.

-Insomma, è salita di rango, adesso fa la puttana di ragazzi importanti- continua il suo discorso con un sorriso sfacciato, ha sul serio pensato che io potessi credere che stesse prendendo le mie difese? Essere definita ingenua mi offende di più che essere chiamata prostituta, che ormai è diventata la mia etichetta, una simpatica soluzione alla domanda sul mio talento.

Una rossa si avvicina a me incoraggiata dalle compagne, mi provocheranno fino a quando non risponderò, fattore che unito al mio ritardo mi assicura una punizione inimmaginabile.

-Su, condividi con noi la tua esperienza con Ian Mitchell- il suo nome mi fa rabbrividire, non credevo che fosse lui la causa di tutto questo. La mia bocca si storce in una smorfia quando ripenso ad Harris, il quale ha probabilmente diffuso la voce. Una di loro molla i vestiti che stava sistemando per venire con passo svelto verso di me, ancora in pantaloncini e top, la sua rabbia trasuda dai suoi movimenti, come se il suo corpo non potesse reggerla più, e di certo la situazione in cui mi trovo è il momento ideale per farla scatenare. Mi spinge violentemente contro la parete e la mia testa evita per un pelo un armadietto grigio, se fossi stata distratta mi sarei procurata delle contusioni non indifferenti.

-Si può sapere come hai fatto? Sono mesi che provo ad attirare la sua attenzione e non posso credere che tu sia riuscita a portarlo a letto in una sera!- la sua voce stridula è fastidiosa quanto i suoi discorsi inutili, mi sembra davvero stupido infuriarsi per un ragazzo.

-Non lo so, magari hai il seno troppo piccolo- alzo le spalle; la mia è una chiara provocazione, non sono nemmeno una delle ragazze con le forme più prosperose della Base. La sua reazione furibonda non tarda ad arrivare, ma è troppo accecata dalla rabbia per notare che mi ha dato una via d'uscita per sottrarmi al suo colpo, che si scontra con il muro.

Mi sento soddisfatta nonostante la mia risposta non brilli del mio solito sarcasmo, la mia coscienza è appagata dal mio lato determinato, spesso soppresso dalla presenza di ragazzi, con i quali non posso competere nel caso la situazione degeneri in uno scontro fisico; ma con le ragazze ho completa libertà, per quanto possano essere allenate, ho parecchie possibilità di uscirne illesa.

Una forte stretta intorno al polso mi impedisce di lasciare la stanza; quando mi giro noto la rossa di prima guardarmi dritto negli occhi.

-Farò in modo che Mitchell ti screditi davanti a tutti- sussurra in modo che solo io possa sentire.

-Come se avessi una reputazione da rovinare- sbuffo ed esco dagli spogliatoi.

Esco dalla palestra solo verso l'ora di pranzo, in modo da avere la certezza che tutti siano o stiano andando in mensa, vorrei evitare di incontrare gente. Procedo dritta verso la mia camera, nonostante il mio stomaco brontoli dalla fame. I miei occhi scorgono un gruppo di ragazzi girare l'angolo e catturano subito il viso di uno di loro, costringendomi a girarmi di spalle, devo cambiare direzione.

-Evans! Che fortuna vederti, volevo proprio parlare ad Ian di te- mi volto lentamente, come se mi stesse puntando una pistola alla testa. Il mio sguardo si ricongiunge con quello del ragazzo.

La ragazza con i capelli rossi mi sorride, contenta di non dover aspettare molto per la sua vendetta.

-Non credo ci sia molto da dire- commento in tono serio, mentre la mia mente elabora qualche scusa per scappare; non era così che avevo intenzione di rincontrarlo.

-Quindi è così la ragazza senza talento di cui si parla- osserva un ragazzo del gruppo, è molto alto, supera senza problemi due metri.

-Ti aspettavi avesse le antenne?- ribatte Ian, non credevo potesse avere anche lui un tono rude; ieri era tremendamente calmo, sia con Harris che in stanza, nulla sembrava poterlo turbare.

-No, mi aspettavo fosse più carina- borbotta un altro avvicinandosi la rossa cingendole i fianchi. Trovo tutto questo disgustoso, ma lei è troppo stupida per capirlo. Io non sono quello che si aspettava, quindi si farà bastare l'altro giocattolo che ha tra le braccia. Nonostante tutti continuino a ripetermi che non sono particolarmente bella, si sentono in dovere di trattarmi come un oggetto, un po' come se fossi alla mercé di chiunque, la mia volontà è quasi inesistente.

-Evidentemente ad Ian piace- lo provoca uno dei pochi che non ha ancora preso parte al discorso, non credevo che il ragazzo riflessivo e perspicace di ieri sera potesse circondarsi di persone così. Io e lui ci guardiamo come due bambini che sono costretti a fare amicizia, non c'è un modo esatto per iniziare una conversazione.

-Non sono fatti vostri con chi passo il tempo- le sue parole sono taglienti come lame affilate, nonostante non stia parlando con me, l'eco della sua voce mi colpisce, freddo e sottile.

-Amico, sul serio? Questa ti porterà solo guai- lo avverte un ragazzo dalla carnagione molto scura, uno dei pochi alla Base insieme a Renee.

-Ho sentito che una volta ha corroso il tavolo del laboratorio di chimica!-esclama un altro che non riesco a vedere bene per via della sua posizione, il fatto che quasi si nasconda mi fa sorridere, di cosa ha paura esattamente? In mia difesa posso solo dire che è stato un incidente, non volevo davvero corroderlo, quel liquido mi è finito pure sulle scarpe, da allora inutilizzabili, le ho donate a Renee per costruirci qualcosa, almeno una delle due era contenta.

-è stato davvero un piacere assistere ai vostri discorsi su di me, adesso se non vi dispiace, io vado- senza dare il tempo di rispondere mi volto e ritorno sui miei passi, non passa molto prima di sentire la sua presenza di fianco a me. Dentro il mio corpo sento diverse emozioni scontrarsi; mi sforzo per non mostrarmi troppo serena, dovrei essere almeno un po' preoccupata per quello che sta rischiando seguendomi, la sua reputazione, i suoi amici arroganti e la sua popolarità; eppure non riesco a dirgli di tornare da loro, perché nonostante la sua decisione controproducente per i suoi interessi, è grande abbastanza per scegliere da solo, io non gli ho chiesto nulla. Il silenzio tra di noi non è imbarazzante, è consapevole, fattore che lo rende più godibile.

-stai sbagliando strada, la mensa è di là- afferma con un tono di voce distaccato, avrebbe dovuto essere sorpreso o curioso della direzione che sto prendendo, ma non dimostra nessuna delle due emozioni.

-Infatti non è lì che sto andando- aggiungo senza voltarmi, avevo guadagnato un po' di vantaggio sul suo passo.

Svolto a sinistra seguendo lo schema mentale che tutti sappiamo a memoria, una mappa indelebile intrisa nel cervello dopo anni di allentamento; una persona estranea si perderebbe. Mancano ancora parecchi metri, ma il profumo del cibo si è già espanso per i corridoi, solo adesso mi rendo conto che sto morendo di fame, non faccio un pasto decente da ieri sera.

Mi fermo poco prima dell'ultimo pezzo di strada che porta direttamente alla cucina, per poco dimenticavo la presenza di Ian.

-Hai mai fatto qualcosa di contro le regole?- sussurro appiattendo la schiena contro la parete, non voglio coinvolgerlo nell'azione che sto per compiere. Le parole del suo amico mi rimbombano nella testa, non voglio danneggiarlo in nessun modo.

-Non importa, rimani qui, torno subito- aggiungo prima che possa dire qualcosa; la risposta è quasi scontata; lui non ha bisogno di andare contro le norme.

I miei pensieri vengono interrotti dalle cuoche, che discutono tra loro animatamente, sono accompagnate dal rumore dei cardini della porta. Adesso la stanza è vuota, ma non riuscirò mai a superarle senza farmi vedere. Mi lascio sfuggire un'imprecazione, devo riflettere su un piano.

-Hai bisogno di un diversivo?- un sorriso sfacciato compare nel suo viso, sta prendendo il controllo della situazione ancora una volta. Mi mordo il labbro ostinandomi a trovare un'altra soluzione che non preveda l'uso del suo fascino o di qualsiasi cosa sia.

-Va bene, ma cerca di stare attento- mi arrendo e sbuffo sconfitta, spero solo sappia quello che fa.

-Sì capo- si porta la mano alla fronte imitando il saluto militare e svolta l'angolo con tranquillità. Il viso delle donne s'illumina quando lo scorgono mentre si avvicina a loro.

-Ian! Da quanto tempo!- strilla come una ragazzina una delle tre, intreccia le mani sul petto e lo guarda ammaliata.

-Adam ci parla sempre di te- si aggiunge un'altra avvicinandosi di più al ragazzo, il quale sorride in modo così sincero da sembrare reale, il fatto che sappia fingere così bene dovrebbe farmi preoccupare, invece questa sua abilità altera completamente i miei sensi, felici di trovare qualcuno simile a me. Mentre l'attenzione delle cuoche si dedica ad Ian, io sgattaiolo alle loro spalle per scomparire dietro le porte della cucina.

La solita montagna di scodelle sporche si erige in tutta la sua grandezza, sono tutte le pentole sufficienti per sfamare circa mille ragazzi, la pila potrebbe essere più alta di me. La schivo delicatamente, sono già cascata in questo errore una volta; una mossa sbagliata e cadono tutte in due secondi; a quell'immagine il mio cuore si blocca intimorito, diffondendo una sensazione di ansia che in breve tempo mi annebbia il cervello. Sospiro e faccio un respiro profondo, il mio cuore la deve smettere di reagire così, come se le frustate di punizione le avesse beccate lui; la mia schiena avrebbe qualcosa da ridire. Mi sforzo per accantonare questo pensiero, ma continua a martellarmi furioso in testa, forse è il disperato tentativo della mia coscienza di salvarmi.

L'odore che mi ha portato qui si fa più insistente una volta oltrepassato il tavolo grigio pieno di stoviglie, subito vengo attirata da una teglia appena sfornata di muffin al cioccolato, con tanto di un piccolo involucro bianco per la base. Raramente possiamo mangiare dolci, solo il primo giorno del nuovo anno, ovvero il nostro compleanno; è l'unica giornata in cui tutti siamo liberi da impegni o corsi, ma per me non cambia molto. Sono dolci che non usciranno mai da questa stanza, le cuoche li distribuiranno ai docenti ed a diversi membri del personale, i miei compagni non riusciranno a scorgerne nemmeno l'ombra, forse solo uno sfumato profumo. Avvicino il dito ad un pasticcino ed una volta affondatolo nell'impasto avverto un fastidioso pizzicore. Ritraggo subito la mano d'istinto, movimento incontrollato che mi ha salvato da un'ustione. Un dolce è poco più piccolo del mio palmo, ma non posso tenerli, sono troppo caldi.

Afferro l'estremità della maglia in modo che diventi una specie di sacca, dove posso mettere i muffin senza bruciarmi; anni di esperienza non mi hanno solo insegnato ad avere paura di determinate cose.

Quando la porta si apre scatto dietro il tavolo, mi rannicchio il più possibile con due dolci nella maglietta, che visto il mio movimento impulsivo, mi scaldano lo stomaco bruciando sia l'emozione che la mia pelle. Sento il persistente calore alla pancia che mi soffoca lentamente, cerco di trattenermi ma il bruciore sta diventando insopportabile.

Con un balzo mi catapulto verso l'unica via d'uscita, senza voltarmi verso le signore le quali inevitabilmente si sono accorte della mia presenza. Mantengo lo sguardo fisso sui muffin per assicurarmi che non cadano da quel contenitore di fortuna che ho fatto con la maglia. Con la coda nell'occhio scorgo Ian poggiato ad una parete, senza pensarci due volte gli afferro il polso con la forza dell'adrenalina e lo trascino via, voltando l'angolo prima che le cuoche possano vederci.

Siamo definitivamente fuori pericolo, non so nemmeno in che corridoio ci troviamo, tutte queste pareti grigie hanno perso significato per me, l'importante è continuare a correre con il suo polso ancora stretto nel pugno. Di solito sono esausta dopo qualche minuto, invece adesso riesco a tenere un'andatura media senza alcuno sforzo. Mi fermo solo quando è palese l'inutilità di questa corsa, soprattutto con i dolci avvolti nella maglietta che mi creano la costante paura di farli cadere.

Poggio tutto il mio peso sul muro e mi lascio scivolare verso il pavimento freddo, i dolori ad i muscoli iniziano a farsi sentire, percepisco quel lieve stiramento che precede il crampo. Non ho mai corso a questa velocità.

Il ragazzo si siede vicino a me, per nulla affaticato, senza nemmeno un segno di stanchezza.

-Per essere la tua prima volta, non è andata male- commento osservando i muffin ancora caldi arrotolati nella mia maglia.

-Non mi aspettavo fossi così..- mi blocco, non c'è esattamente una parola per esprimere questo termine.

-così?- alza un sopracciglio, sta fingendo di non capire.

-ligio al tuo dovere? Osservatore delle regole? - sparo le prime definizioni che mi vengono in mente e che contraddistinguono le persone della sua categoria. Lui si lascia scappare un sorriso, riconoscendo quei soprannomi che sente ogni giorno, specialmente dagli istruttori.

-Tu mi porti sulla cattiva strada-

Forse anche io seguirei le regole se avessi un talento, non lo biasimo per farlo. Ma le stupide norme della Base non riescono a tutelarmi in nessun modo, quindi non vedo perché dovrei rispettarle. Niente impedisce ai miei compagni di picchiarmi o maltrattarmi, non sono nemmeno presa in considerazione, come se la possibilità di non avere un talento sia impossibile.

-Il tuo amico ti aveva avvertito- gli ricordo allontanando la mente dai miei pensieri inutili, mi sono adattata a questa situazione da diversi anni, è stupido rimuginarci su ancora ed è pericoloso pensare di cambiare le cose.

-Sai bene che non siamo amici- mi ribecca senza lasciar trapelare nessun tipo di fastidio, potrebbe parlare di qualsiasi cosa con la stessa calma.

-Immaginavo, eppure lui non mi sembra della stessa idea-

-La cosa bella della mia posizione sociale è che per quanto tu possa trattare male alcune persone, torneranno comunque da te perché ne hanno bisogno- lo osservo incuriosita dal suo discorso.

-Hanno bisogno di vivere nella costante sicurezza della fama, sono disposti a superare qualsiasi litigio pur di mantenere la loro reputazione- adesso il suo tono ha una sfumatura amara, ma sono sicura che abbia spontaneamente deciso di farmelo notare.

-Tu no?- inclino il capo nel vano tentativo di scorgere qualcosa di più, un dettaglio che non sia costruito della sua mente.

-Non ho bisogno degli altri per vivere tranquillo- continua a guardare la parete di fronte, perso in chissà quali pensieri.

-Io vivrei più serena senza gli altri- le mie parole lo incitano a sorridere; osservo ammaliata questa anomalia nel suo sistema perfetto, riesco a vedere la bellezza naturale in quei pochi gesti involontari.

-Allora, cosa hai sentito su di me?- gli porgo un muffin mentre osservo il mio che è posato sulla coscia. Nell'afferrarlo sfiora le mie dita fredde, incatenando ancora di più il mio sguardo sulle gambe; ieri non provavo questo imbarazzo, ma adesso che è giorno sembra tutto così reale.

-Oltre che hai corroso un tavolo? Diverse cose. Ma nessuna vera- mormora rivolgendomi uno sguardo, ha davvero così tanta considerazione di me?

-Come fai a saperlo?- ho ancora la costanze sensazione che lui possa leggere nel pensiero, è sciocco solo ipotizzarlo, ma sembra che sappia interpretare ogni persona solo guardandola.

-Le persone ti trattano male e tu cerchi solo di difenderti. Non sei il tipo che fa sesso per far parlare di te- afferra un pezzettino del dolce al cioccolato e lo porta alla bocca. Rimango in silenzio, la sua accuratezza nelle risposte mi spinge a stare sulla difensiva; sa troppo su di me per essere semplicemente intuitivo.

-è la cosa migliore che io abbia mai mangiato- sussurra quasi a sé stesso, ma abbastanza forte in modo che io possa sentirlo. Sorrido ed inizio a mangiare il mio; siamo due mondi opposti, lui non può far parte del mio come io non posso appartenere al suo, quest'idea non mi rende triste, è solo un po' amara. Appoggio la testa sulla sua spalla, se non posso avvicinarmi a lui mentalmente, posso solo confidare nel lato fisico. Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, voglio fissare nella mia mente ogni singolo particolare di questo momento, due persone diverse accostate in un corridoio spoglio che improvvisano un pranzo con cibo rubato.

-Mi sento bene- mormoro spingendo la guancia sulla sua spalla, riesco a sentire le ossa schiacciare il mio viso. Memorizzo l'odore dei pasticcini e quello della maglia di Ian, il classico profumo di ammorbidente con cui vengono lavati i vestiti di tutti; perché dovrebbe essere diverso?

-Anche io, mi sento vivo- la sua voce cristallina riesce a destarmi dalle riflessioni, alzo lo sguardo sul suo volto rilassato, ancora una volta mi ritrovo a pensare a chi sia veramente.

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