Capitolo 13

Alexa

Ho i muscoli del corpo tesi. Cammino vicino a Renee ed Ian. Nel corridoio si respira un'aria carica di paura. L'evento di questa mattina ha spaventato tutti, me compresa.
Credevo di essere coraggiosa
Ma non lo sono.
Credevo di essere forte
Ma non lo sono.
Credevo di essere al sicuro
Ma non lo sono.
So solo di essere inquieta, in pericolo e debole.
Questa mattina abbiamo avuto la prova che non siamo autonomi; solo stupidi burattini in mano a chissà chi. Non usciremo mai di qui, nel peggiore dei casi alcuni moriranno provandoci, e nel migliore invecchieranno in questa specie di prigione. Io preferisco morire mentre scappo, morire dopo aver visto almeno per qualche secondo il mondo; morire mentre mi ribello a loro.

Avvicino il braccio alla maniglia. Una scarica elettrica attraversa il mio corpo. All'improvviso mi é passata la voglia di andare i palestra. Una scusa; mi serve una scusa. Ian mi guarda indugiare per aprire la porta.
-Che succede? Non ti senti molto bene?- mi chiede gentilmente.
Si. Esatto, sto male portami via.
Vorrei urlare questa frase con tutta la voce che ho. Una parte di me scaccia questi pensieri; da quando sono così vigliacca? E soprattutto; da quando credo alle sensazioni? Sono solo stupidi pensieri.
Mormoro un "sto bene" ad Ian ed apro la porta. Non mi devo lasciare persuadere da stupide idee.
Ma prima in mensa hai sentito qualcosa.
Mi prometto di mantenere il controllo della mia mente; il pensiero di diventare pazza e parlare con le voci della mia testa mi spaventa. Mi ripeto che é tutto normale, tutti parlano tra se stessi; sono solo confusa e spaventata per via di quel ragazzo.

Mi guardo intorno, la palestra é molto grande e ampia. Delle lampade illuminano il luogo, anche se non completamente; degli angoli rimangono nell'ombra.

Al centro della palestra, il signor Cox ci aspetta con le braccia incrociate. Il solito fischietto attorno al collo. Inizio a tremare; non dovevo entrare.
Guardo Renee; ha la bocca spalancata e se non la conoscessi penserei che potrebbe svenire da un momento all'altro. Mi volto verso Ian, non sembra intimorito, solo turbato.
Il rumore del fischietto mi entra nelle orecchie e tutti smettono di parlare; o almeno, smettono quei pochi che lo stavano facendo.

Ci raduniamo davanti all'allenatore, e non sono sorpresa di vedere tutti con la testa bassa.
Non serve avere le mie strane visioni per capire cosa succederà.
Verremo puniti tutti.
Per quello che abbiamo visto a mensa.
- Sanders!- sbraita il signor Cox.
Un ragazzo con i capelli biondo cenere si avvicina tremando.
Non può farlo. Quel ragazzo sembra così indifeso.
Gli sferra un pugno nello stomaco.
Guardo subito a terra, stringendomi le spalle.
Un altro colpo; non ho visto dove, e non voglio saperlo. Cerco di isolarmi con la mente, immagino di essere nella mia camera; ma i gemiti del ragazzo biondo mi distraggono.
- Cosa hai visto questa mattina?- chiede l'istruttore severo.
- Niente- balbetta spaventato il ragazzo.
Riceve un pugno nel volto. Rabbrividisco.
- Non é vero. Hai visto un ragazzo; come ti é sembrato?-
- Pazzo- risponde lui confuso, sul punto dell'esasperazione. Deve dire ciò che Cox vuole sentire; e forse non dovrà andare in infermeria.
- E credi sia giusto quello che gli stavano facendo?-
A meno che non voglia morire, la risposta é solo una.
- S- trema. Sento un nodo alla gola, povero ragazzo.
- Non ho sentito- dice Cox avvicinandosi al suo viso.
- Si- esclama velocemente; spaventato dalla sua vicinanza.
L'istruttore gli rivolge un'occhiata carica di odio, così intenso da non farlo sembrare umano.
- Che questo serva da lezione per tutti- si ferma per guardarci - Quel ragazzo era un pericolo per noi e per voi- sottolinea la parola "voi"
- Dovreste ringraziarci per quello che abbiamo fatto-
Mai
Nessuno ha il coraggio di proferire parola.
Non ho intenzione di dire grazie a nessuno; ci stanno solo facendo credere che loro hanno ragione; che non é successo nulla e che loro pensano solo alla nostra salute.

I miei pensieri vengono interrotti da un suono di ossa rotte. Mi porto una mano alla bocca per non urlare. Il ragazzo é a terra, si contorce e urla. Stringe il braccio rotto.
Non può averlo fatto.
- Portatelo in infermeria- mormora Cox.
Due ragazzi si buttano a terra pronti per aiutare l'amico. Lo prendono in braccio e lo accompagnano fuori dalla palestra.
Li seguo con lo sguardo fino a quando la porta si chiude dietro di loro.
Guardo di nuovo i miei compagni, sembrano più tranquilli, un ragazzo é stato punito per tutti.
Ma non abbiamo ancora finito.
Ne sono sicura; chiamerà qualcun'altro.
- Evans- sbraita il mio cognome.
Prevedibile, come al solito.
Mi avvicino lentamente, cercando di sembrare più sicura del ragazzo di prima.
Quando arrivo davanti a lui, mi guarda con i suoi occhi grigi, potrei paragonarli alla nebbia, ma non avendola mai vista non posso sapere se sono cosí simili.
-Signorina Evans, lei che ha visto questa mattina?-
Vuoi ridurti con le ossa rotte,Alexa? No?
Allora parla solo se ti interpella. quello che vuole sentirsi dire.
- Un ragazzo mentalmente instabile- rispondo come da copione.
- E perché ti sei avvicinata?-
Mi mordo un labbro. Una scusa. Ora.
Passo in rassegna a tutte le scuse che ho usato nella mia vita, ma nessuna sembra valida in questo momento.
- Volevo sapere cosa gli era successo -

Inaspettatamente mi dà un calcio nello stomaco. Cado sulle ginocchia con il fiato smorzato. Lo stupore dei miei compagni é cosí evidente che sembra quasi provino pena per me. Quasi.
Insomma; chi si offrirebbe al posto mio? Nemmeno Renee é tanto coraggiosa da farlo. Ed a me va bene così, non voglio sentirmi in colpa per le azioni degli altri.
- Non ti interessa cosa gli é successo. Devi imparare che la curiosità é un male- mi sgrida l'istruttore.
La frase di Ian.
É così che ci tengono a bada, chi fa qualcosa di sbagliato viene punito.
Chi é curioso viene rimproverato.
Chi infrange le regole... Viene ammazzato.
- Non ti deve importare di quello che succede. Pensa solo a trovare qualcosa in cui sei brava- dice con freddezza. Abbasso la testa distrutta, non posso più sostenere il suo sguardo.

Mi prende il volto con due dita, stringendo forte sulle mie guance.
- Come si ci sente ad essere inutili? Vorrei proprio saperlo. Ti senti vuota e stupida?- si ferma un secondo. Vedo tutta la rabbia che ha covato verso di me per anni e sono sicura che non esiterà a manifestarla.

Allontana le mani dal mio viso.
- Forse perché lo sei- afferma convinto.
Rabbrividisco; cerco di pensare che ha torto, che sono intelligente, che non sono vuota, solo incompresa.
I miei pensieri cadono come castelli di carte, forse ha ragione.
- Mi chiedo anche come tu sia ancora viva. Se non ti distrugge l'allenamento, puoi sempre ucciderti da sola- fa scorrere un dito sotto il mio mento, trattengo il fiato.
- Davvero, hai mai pensato al suicidio? Non vedo il motivo perché non dovresti farlo. Amore? Amici? Io non li vedo; avrebbero preso il tuo posto non credi?- fa una linea con l'indice al centro del mio collo; come per riprodurre uno sgozzamento.

Trattengo le lacrime, non gli voglio dare la soddisfazione di vedermi piangere.
Ricevo uno schiaffo in pieno volto ed abbasso la testa. Sento il segno che mi ha lasciato bruciare sul mio viso. Sento il sangue in bocca, accompagnato dal solito sapore pungente.
- Ti immischierai più in affari che non ti riguardano?- chiede lanciandomi un'ultima occhiata furiosa.
Aspetta una risposta. Apro la bocca; mi accorgo che é piena di sangue, ne sputo un po' e alzo la testa. Il sangue ritorna, più di prima; mi limito a scuotere la testa.

Il signor Cox si allontana, un po' deluso, forse perché dopo tutti questi colpi sono ancora viva. Molti ragazzi vanno via, lasciandomi in ginocchio sul pavimento.
Due braccia mi afferrano e mi circondano la pancia, mi sollevano delicatamente. Stringono sul mio stomaco ed ho una fitta di dolore. Inizio a dibattermi ed a scalciare. Mi sento come il ragazzo della mensa.
- Calma Alexa- mi sussurra una voce familiare. Le guance mi si rigano di lacrime di disperazione.
- Ti prego sta ferma- dice stringendomi per non farmi scappare. Un'altra fitta.
- Le fai male!- esclama la voce della mia compagna di stanza.
- Non possiamo lasciarla così. Dobbiamo portarla in camera- dice Ian.
- In infermeria prima- aggiunge Adam.
Non voglio l'aiuto di nessuno.
Inizio ad urlare; urlare dal dolore, dalla rabbia, dalla tristezza.
- É impazzita- mormora spaventata Renee.
- No, solo confusa- risponde il moro.
Devo andare via. Non posso restare qui. Non voglio essere aiutata. Sono solo un errore.
Mordo il braccio di Ian e corro via. La mia vista é offuscata dalle lacrime e le mie gambe non riescono a reggere il mio peso.
- Alexa fermati- urla Adam.
Perdo l'equilibrio e cado a terra. Sento la guancia sul pavimento freddo. All'improvviso tutto si confonde: pensieri, passi, suoni e parole. Diventano tutti uguali; tutti parte di un nero che si espande, fino ad avvolgermi.

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