Capitolo 1
Alexa
Alcune volte vorrei non avere il mio talento.
Vorrei non dover essere braccata dal futuro, perché quando tutto accade secondo le mie previsioni, a me non rimane un granché tra le mani. Il presente giace a pezzi ai miei piedi, e io non posso fare a meno di pensare che vorrei tornare indietro, rubare il talento di Ian e soffocare tra i ricordi. Ma la natura deve aver previsto che non sarei stata in grado di reggere un simile potere. Quindi, mentre tremo per il freddo davanti a uno stupido furgone e ripeto per la millesima volta che non sono armata, mi sforzo per ricordare quello che è successo. È così difficile per me.
Ricordo la stretta di Ian intorno al mio polso, seduti in un camion più piccolo di questo, proprio prima che la situazione degenerasse.
-Ti basta una parola- mi aveva detto cercando il mio sguardo con i suoi occhi scuri. La sua presa era inaspettatamente salda per uno il cui ginocchio destro non la smetteva di tremare. L'avevo guardato fingendo di non capire, del resto era un discorso che non ci avrebbe portato a nulla. Nulla di buono, per essere precisi.
-Una parola e mando tutto a puttane, Alexa. Una. Il più piccolo ripensamento, qualsiasi dubbio ti venga in mente, e io ti giuro che lo faccio- sapevo che lo avrebbe fatto, non ho mai dubitato delle sue parole, per questo non ho detto niente. Ho stretto le sue dita tra le mie, ancora sul mio braccio, e sono rimasta ad osservarlo in silenzio. Entrambi sapevamo il significato di parole tanto devote e romantiche: annullare l'operazione avrebbe portato alla condanna a morte di un ragazzo innocente. E Ian lo avrebbe fatto, senza esitazione. Questo ci siamo detti nella nostra chiacchierata silenziosa, mentre non facevo che accarezzare il dorso della sua mano. Se avessi voluto veramente rimanere al Blue Glass con lui e gli altri non avrei messo su questo piano, Ian sa che non sono il tipo che si tira indietro all'ultimo minuto. Avevo storto le labbra ricacciando indietro le visioni di un futuro, uno su un milione, in cui gli dicevo sì. Non le volevo vedere. Con un leggero colpetto degli anfibi gli avevo fatto notare il moto ballerino della sua gamba, anche se era improbabile che non ne fosse già al corrente. Eravamo soli in quel cubicolo claustrofobico, poteva permettersi di apparire debole. Questo lo aveva spinto ad avvicinarsi, strattonando per il braccio anche me così da trovarmi a un soffio dal suo viso.
-Niente da dire, eh?- e in risposta avevo serrato le labbra con maggiore forza e scosso la testa. È stato un addio strano, per la prima volta eravamo entrambi consapevoli di quello che sarebbe successo. Ian rivedrà il nostro bacio questa sera, sfiorerà il ricordo con la sua testa proprio come il suo respiro sulla mia guancia. A me di quella sensazione rimane solo la sua richiesta, ben scavata nella mia memoria: -Devi promettermi che proteggerai te stessa così come proteggeresti me- e non mi aveva fatto scendere dal furgone se non dopo avergli dato la mia parola. Non so come mantenere questa promessa.
-Sente freddo, signorina Kline?- il tono del comandante mi costringe a tornare al presente, a quello che ne rimane.
-Sto bene- ribatto secca, e cerco di evitare di sfregare i palmi sulle braccia, ma fa un cazzo di freddo e non ho altro modo per combatterlo, ci sono già troppe battaglie nella mia testa. Studio lo sguardo dell'uomo che mi sta di fronte, non sembra cambiato dall'ultima volta che ci siamo visti, poco più di un mese fa.
Il capitano Stearns mi osserva dall'alto, il suo corpo imponente dovrebbe intimidirmi, ma i suoi occhi stanchi mi permettono di non agitarmi più di tanto. Non è il tipo che ama la violenza. Nella scorsa missione avrebbe potuto fermarmi con la forza innumerevoli volte, gli sarebbe bastato anche solo minacciarmi di fracassarmi il cranio con una mano. La mia attenzione cade sulle sue dita con le unghie corte e curate, sì, ne sarebbe capace.
-A cosa sta pensando?- mi chiede, interessato. Sembra sincero e questo non fa che mettermi sulla difensiva. Vuole conoscere i miei pensieri per riferirli al suo superiore.
-Nulla di importante. Notizie di mio padre?-
-Il signor Kline ha detto che un'auto verrà a prenderla immediatamente, dice di essere sollevato di sapere che lei è sana e salva-
-Non si fida di me- traduco ad alta voce le sue parole piatte, non credo di poter sopportare i suoi teatrini questa volta. L'espressione del capitano muta rapidamente, sorpreso dalla mia sincerità. Sono già stata perquisita troppe volte, le mani di questi estranei hanno spazzato via da me ogni tipo di autocontrollo.
-Ha motivo di dubitare di lei?- mantiene il tono di voce neutro, le braccia incrociate dietro la schiena. Le sue labbra carnose contornate dalla barba scura e corta sono ritte in una linea che si altera non molto spesso. Non ha mai reazioni esagerate, non è divertente. Scuoto il capo lasciandomi scappare un sospiro gelido, che cazzo di freddo. Stringere le cosce tra loro non attutisce l'impatto del vento che si abbatte sul mio corpo esile. Se mi spazzasse via farei una fine migliore che nelle mani di mio padre.
-L'intera operazione sarebbe stata un fallimento senza il suo aiuto- sottolinea l'uomo, immagino che i suoi abiti scuri siano termici, perché non l'ho visto rabbrividire nemmeno una volta. Gli altri membri della scorta cercano di mantenere la stessa impassibilità, ma li ho beccati ad imprecare un paio di volte. Si chiederanno perché devono perdere il loro tempo ad aspettare un'altra auto per una ragazzina che entrava tranquillamente nel camion.
-La smetta- taglio corto. Sono esausta, mi si sta ghiacciando il culo, e un'ora fa ho sparato all'amore della mia vita.
Per sua fortuna ho un'ottima mira.
-Prego?- questa volta la reazione che ottengo è talmente brusca che lo porta ad alzare un sopracciglio.
-Che cosa vuole da me? O da mio padre, è lo stesso. Vuole un aumento? Un giorno libero forse? Vuole che io le confessi qualche segreto con cui farmi ricattare?- le mie domande sono aggressive, devono sopperire al mio svantaggio fisico. Mi sento come una bestiolina che abbaia e fa la voce grossa, e questo non fa altro che alimentare la mia rabbia. Non ho paura, non ho proprio niente da perdere. Le guardie alle sue spalle scattano fulminee in cerca delle loro armi alla cintura.
-State calmi, non c'è nessun pericolo- li rimprovera per la loro avventatezza senza nemmeno voltarsi, la sua voce è autoritaria in un modo che invidio. Nessuno si piegherà mai alle mie parole con la stessa celerità.
-Non sono nemmeno armata- sbuffo e sollevo le braccia in alto, nel caso ci fossero dubbi. Non nascondo la mia irritazione, più perché il capitano mi prende poco sul serio che per il ridicolo tentativo di intimidirmi.
-Non voglio niente da lei, signorina. Sto solo facendo il mio lavoro- rimane calmo, non arretra di un passo, sicuro nelle sue scarpe pesanti che affondano nel terreno. Quanto vorrei avere una pistola, mi chiedo se lo agiterebbe. Ho dovuto buttare la mia fingendo una colluttazione con Renee, se l'avessi portata alla Base avrebbero scoperto che non spara proiettili.
I freni di un'auto dalla lunga coda richiamano l'attenzione generale. Chiunque sia dentro, non sembra volersi sporcare le scarpe per venirci incontro.
-Tutti vogliono qualcosa da me, e sono stanca di fingere di non saperlo-
-Perché allora ha deciso di tornare alla Base?- non me lo chiede come me lo avrebbe chiesto mio padre, il tono e il fine sono decisamente diversi. Mio padre vuole scavare dentro di me e trovare ogni angolo in cui insidiarsi per controllarmi, il capitano Stearns ha la genuina curiosità di sapere perché una stupida ragazzina gli sta urlando contro mentre lui e la sua scorta sono fuori in pieno inverno.
-E dove altro potrei andare? Che posto c'è per me? Non c'è nient'altro che la Base per quelli come me, e i ragazzi che sono ancora fuori sono destinati a fallire. Quindi, se non ha altre domande, capitano, adesso devo andare: la punizione ideata da mio padre mi aspetta- indico l'auto scura con un cenno del capo, non ho bisogno di usare il mio talento per sapere che mi aspetta un viaggio di ritorno piuttosto scomodo. So già chi c'è dietro quelle portiere lucide, ad attendere che io mi faccia avanti, e per un attimo la paura deve essere balenata nel mio sguardo perché il capitano Stearns mi afferra per il braccio prima che possa fare un passo. Non dice nulla, si limita a guardarmi in cerca di un altro indizio, e io davvero non capisco cos'ha da guadagnarci. Ritrovo il controllo abbastanza da sussurrargli:
-Le consiglio di lasciarmi andare, non le conviene sfidare la pazienza di Arthur Kline. Tutto questo non la riguarda, rimanga al suo posto. È questo che le hanno insegnato, no?- anche a me. Riesco a liberarmi con uno strattone deciso e mi incammino verso l'auto, i miei anfibi sprofondano nel terreno umido insieme a un suono sgradevole. Il pensiero che il capitano volesse intromettersi nella mia vita mi fa rabbrividire, non è qualcosa a cui sono abituata. Non è così che funziona alla Base.
So già chi si nasconde dietro la portiera dell'auto prima ancora di aprirla. C'è solo una persona che mio padre usa per intimidirmi. Lui gli serve per preparare il terreno per la nostra futura chiacchierata, vuole che lui mi riduca in pezzi così che io sia disposta a fare qualunque cosa per non rivederlo mai più. Alcune volte vorrei non avere il mio talento per non dover rivivere lo stesso incubo due volte.
L'interno è interamente coperto di pelle lucida, due larghi sedili si fronteggiano, separati da un sottile tavolino in vetro, abbastanza limpido da farmi intravedere le scarpe del mio interlocutore. Qualcuno chiude in fretta la porta alle mie spalle, senza darmi il tempo di rivolgere un'ultima occhiata all'uomo all'esterno. Non poteva aiutarmi, nessuno può farlo. Quella di prima è stata tutta una recita per caricarmi, un riscaldamento per affrontare il mostro che siede di fronte a me, chino sul tavolino, intento a sniffare una striscia di cocaina proprio sotto il mio sguardo.
-Fammi indovinare, mio padre vuole che abbiamo un'altra conversazione intima?- faccio del mio meglio per non cercare con gli occhi la videocamera che ha sicuramente installato. Il signor Cox alza la testa, rivelando il suo viso, disgustoso proprio come nei miei sogni. Quello che rafforza il suo potere è senza dubbio il fatto che rimanga sempre uguale: il viso rasato alla perfezione, i completi su misura, i capelli biondi sempre con lo stesso taglio corto. Non lo fa sembrare reale. E un nemico che non sembra umano viene subito ingigantito dalla testa, in un attimo i miei pensieri sono suoi. Tira su con il naso e si lascia scappare un sorriso forzato, il mio intero corpo trema, sono costretta ad aggrapparmi alla fodera del sedile per non scappare.
-Quanto sei sfacciata, dove sono finite le care e vecchie formalità, Alexa?- nei suoi occhi grigi c'è una quantità di follia tanto intensa che quando li passa su di me per squadrarmi mi chiedo se sia contagiosa. Detesto essere toccata dal suo sguardo, la mia pelle brucia e non riesco ad immaginare come potrei reagire se solo mi sfiorasse con le dita.
-Pensavo di essere il tuo angelo. Che c'è, hai trovato un'altra? Devo essere gelosa?- ricambio il suo sorriso, anche se in modo meno convinto. Ormai sono in gabbia con questa bestia, se posso fargli perdere tempo prima di sbranarmi lo farò. Se fingo di essere impavida, forse mi verrà più facile raccogliere quello che rimarrà di me una volta arrivati. Ma qualsiasi cosa io faccia, so che non posso fermarlo. E questo pensiero rimbomba nella mia mente troppo spesso.
-Hai iniziato tu tradendomi con mio figlio, tesoro. Poi, non soddisfatta, sei tornata da Ian Mitchell, ma non deve averti scopato abbastanza bene se adesso sei di nuovo qui- ha iniziato a mettere le basi per il suo interrogatorio e a me viene già da vomitare. La mia mente mi tiene lontana dal ricordo del mio primo giorno di prigionia, ma il mio corpo ha una memoria incredibile. Ogni sua parola accarezza con la lingua le mie ferite, come se volesse riaprirle per insinuarsi di nuovo dentro di me. L'ha già fatto parecchie volte, gli porgo così tanti punti di accesso che ha l'imbarazzo della scelta.
-Sono una donna piuttosto esigente- ribatto con le braccia conserte, interrompendo il suo lungo sguardo sul mio seno. Il mio corpo si irrigidisce sotto le sue attenzioni, non credo di aver mai provato un tale ribrezzo.
-Oh, immagino. A questo proposito ti trovo bene per essere una tossica, certo, le tue mani tremano leggermente ma non so dire se è merito mio o della tua dipendenza. Non fare i complimenti, prendine quanta ne vuoi!- e indica i rimasugli di cocaina sul tavolino tra noi. Non provo a controllare le mani, lui non vale questo sforzo. E vedermi tutta imbarazzata per cercare di contenere questo impulso involontario mi renderebbe solo ridicola. E se mina il mio ego avrà accesso alla mia testa, e io lì non lo voglio.
-No, grazie-
-Oh, non fare la guastafeste, devono essere stati giorni difficili senza le tue medicine speciali. Perché non ti rilassi un po'? Mi hanno detto che ti sei data un gran da fare per salvare l'operazione, ti meriti un regalo-
-E il mio regalo saresti tu con un po' di droga? Mio padre non ha proprio badato a spese- roteo gli occhi al cielo, ma non riesco a mantenere la recita quando lui scoppia a ridere e si inizia ad allentare il nodo della cravatta. Le sue dita avvolgono il tessuto verde prima con eleganza, poi tirano e scuotono fino a quando la legatura non ha la forma che lui desidera.
-Sei piuttosto insolente oggi, non trovi? Perché non usi quelle tue belle labbra per raccontarmi tutto quello che è successo, oppure se preferisci, non ci metto niente a trovare un altro uso per quella bocca- mi chiedo quanto manchi all'arrivo, eppure non mi stupirei se l'auto stesse girando in tondo solo per permettergli di torturarmi. E Cox non ha nemmeno iniziato.
-Come ho detto al capitano Stearns, non ho fatto niente di speciale- non voglio irritarlo troppo presto, ma vorrei diluire il discorso il più possibile, e con la speranza che lui rimanga seduto al suo posto, lontano da me.
-Il capitano Stearns? Perché parli con quella scimmia?- si versa il contenuto di una bottiglia di whiskey in un bicchiere e mi guarda disgustato. Non capisco che ho fatto per meritarmi una simile occhiata, ma se riesco ad allontanarlo facendogli ribrezzo tanto meglio. C'è forse una rivalità interna tra lui e il capitano?
-Non so che cosa intendi-
-È per questo che è divertente chiacchierare con te, angioletto. Sai così poco del mondo che mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere all'esterno- la sua finta compassione non è solo stucchevole, ma anche già sentita: Jason mi ha fatto un discorso simile mesi fa, in un suo disperato tentativo a farmi credere di aver bisogno di lui.
-So quello che basta per sopravvivere- ribatto e questo non fa che divertirlo, come se ogni volta che gli rispondessi stessi recitando la migliore battuta del repertorio.
-E sentiamo allora...- afferra il bicchiere e si alza, nonostante l'auto sia in movimento e lui sia sotto droghe riesce a tenersi in perfetto equilibrio per raggiungere il mio sedile. -Quali sono queste capacità di cui disponi?- sprofonda nel cuscino al mio fianco, le sue gambe sfacciatamente aperte mi costringono a farmi sempre più piccola nel mio posto. L'odore della sua colonia si avvolge introno alla mia gola e mi impedisce di respirare, se puzzasse lo preferirei. Mi chiedo quante cose disgustose cerca di nascondere sotto quel profumo speziato. Mi sento soffocare.
-Ad esempio avevo previsto che avreste scambiato i ragazzi nascondendo il volto, probabilmente lo avete fatto per mantenere il mistero fino alla fine e questa strategia vi si è ritorta contro- cerco di controllare il mio tono di voce, ma le parole tremano sulla punta della mia lingua. I suoi pantaloni costosi mi sfiorano appena, ma è come se avesse cento mani a raschiarmi la pelle.
-Costringendovi a salire all'ultimo piano dell'edificio, Ian ha diviso la formazione della vostra scorta, mentre vi attirava in alto, qualcuno stava preparando il terreno per il suo inganno- non posso rivelargli che in realtà è stato Drew a rimanere con Nick fino alla fine, mentre Ian manipolava gli uomini rimasti a guardia del furgone.
-Ha coperto il volto ai sottoposti del capitano Stearns, cambiato i loro vestiti e tappato loro la bocca, gli altri ragazzi della Base li hanno costretti a salire. E di sicuro mio padre avrà fatto studiare loro la pianta di quella fabbrica abbandonata, ma è incredibile come un posto possa cambiare se riempito di specchi. Concedo ad Ian che il labirinto di riflessi è stata un'ottima idea- mi schiarisco la gola quando sento il suo braccio infilarsi tra lo schienale e il mio corpo, per tenermi stretta a lui.
-Non essere timida, Alexa, continua a raccontare. Come hai trovato il ragazzino?- le sue dita ossute si stringono attorno al mio braccio e faccio del mio meglio per non iniziare a scalciare in preda al panico. Lo odio, lo odio, lo odio. Come una stupida credevo che non mi avrebbe mai più toccata, ma per le persone come lui l'unica cosa che può farli smettere è una pallottola in testa. Anche due, per sicurezza.
-Nicholas è cieco, non si lascia ingannare dalle illusioni degli specchi e di conseguenza cammina molto più velocemente di tutti gli altri. Quando Ian si è accorto che stavo portando Nick al capitano Stearns ha provato a fermarmi e ho dovuto sparargli- evito di guardarlo, il bicchiere vuoto tintinna una volta che lo ha appoggiato al tavolino.
-C'è una cosa che mi chiedo...- mi afferra il volto, obbligandomi a incrociare il suo sguardo gelido. Stringe la morsa sulla mia mascella, mi costringe a respirare il suo odore, misto alla pelle dei sedili e all'alito pregno di whiskey.
-Un angelo come te, dalla mira perfetta, come fa a sbagliare un colpo tanto facile?- credevo mi urlasse contro, invece deposita le parole sulle mie labbra, prendendosi una libertà che io non gli ho mai concesso. Sento che potrebbe baciarmi, e solo il pensiero manda un brivido lungo tutta la mia colonna vertebrale. Sono in trappola, ci sono entrata con le mie stesse gambe quando ho aperto lo sportello di questa auto. E ho combattuto fino alla fine contro la parte di me che avrebbe voluto rannicchiarsi in un angolo e sparire, ma appena sento gli occhi pizzicare, pronti al pianto, dimentico tutto.
-È quello che ti chiedi la notte, steso nel letto, mentre la spalla ti fa un fottuto male? Per caso non ti fa dormire? Forse riposeresti meglio se io avessi puntato al cuore- parlo prima che le voci nella mia mente mi facciano cambiare idea, non so quale parte di me abbia preso il sopravvento, ma sembra l'unica in grado di continuare questa conversazione. Sono così arrabbiata. Talmente tanto che non è colpa della sua vicinanza se ho il fiato corto, ma è dello sforzo che devo fare per non saltargli al collo. Potrei ucciderlo, o morire provandoci. Non c'è nient'altro che voglio adesso che non sia vedere quel viscido sorriso sparire per merito mio. È il potere che voglio, il potere che mi merito.
Ricevo uno schiaffo talmente forte che la mia testa si scontra contro il cuscino del sedile, il suono non fa che risuonare nelle mie orecchie. I denti mi fanno così male che non riesco nemmeno a serrarli per trattenere l'urlo di dolore. Mi riacciuffa per le guance, mentre quella sinistra brucia come se avessi posato la faccia su una piastra bollente.
-Per essere una puttana dalla bocca piccola hai proprio una lingua lunga, al termine della nostra piccola chiacchierata potremmo tagliarla, che dici? A chi serve una donna che parla?- cerca di infilare le sue dita sporche dentro la mia bocca, e quando il suo indice riesce ad andare in profondità mi viene un conato. Saggia la mia lingua con il polpastrello come se stesse prendendo le misure, mentre l'altra mano mi regge la nuca, immobilizzandomi. Caccio indietro le lacrime e quando finisce di esaminare il contenuto della mia gola inizio ad ansimare. Come faccio a toglierlo da lì adesso? Quanto sapone dovrò sfregare sulla mia lingua per dimenticare il suo sapore? Vorrei sputargli addosso, ma penso che lo ecciterebbe soltanto. Non fa che guardare le sue dita, bagnate dalla mia saliva.
-Jason di certo non si è mai lamentato- sbiascico con il fiatone e la mia frase lo fa agitare immediatamente, la competizione con suo figlio non fa che evocare il suo lato peggiore, ma se proprio deve toccarmi, preferisco che mi picchi. Se sono fortunata sverrò dopo qualche minuto. Il mio corpo ha sopportato abbastanza per poter reggere un'altra umiliazione, ma la mia mente non me lo perdonerebbe mai. Sento di star facendo gli stessi errori di qualche anno fa: non tengo a freno i commenti sarcastici e sembro a costante caccia di guai, ma non riesco a trattenermi. Non ci sono più farmaci in circolo nel mio organismo disposti ad anestetizzare queste situazioni. Ci sono solo io a raschiare il fondo del mio cervello in cerca della sanità mentale rimasta. Non c'è altro modo per sopravvivere alla Base.
-Oh ma guarda, lo chiami per nome, è per questo che ti tiene con sé?-
-Questo e anche perché sono incredibilmente carina- riesco a farlo ridere e per un attimo allenta la presa sulla mia spalla, e io posso tornare a respirare. Mi sento risucchiare dalle mie emozioni.
-Il fatto che tutti ti vogliano scopare ti ha dato alla testa, vero? Perché sei tornata, Alexa, ti mancavo? Mi dispiace tesoro ma non sei il mio tipo, sei troppo grande per me- le mie labbra si schiudono appena, non sono sicura di aver chiaro quello che intende. Ho troppe battaglie in corso per soffermarmi sulle sue perversioni, eppure non riesco a ribattere. La sola ipotesi di quello che fa fuori dalla Base fa irruzione tra i miei pensieri con violenza, ed è doloroso quanto un taglio. Mi chiedo se mio padre conosca questo lato di lui, e mi viene impossibile non immaginarlo con un dossier dettagliato di ogni persona sotto il suo controllo. Caccio indietro un conato di vomito e non faccio in tempo calmare i brividi che Cox mi afferra per la maglia.
-Rispondi alla mia domanda- mi minaccia a denti stretti e il disgusto provocato dalla sua vicinanza riesce a farmi rinsavire.
-Quale delle due? In ogni caso la risposta è sempre la stessa: sono cazzi miei- gli mordo la mano con tutta la forza di cui dispongo, in un moto di adrenalina. Se anche volesse farmi del male, non posso rendergliela facile. Fa una smorfia di dolore e mi spintona sul sedile dietro di me. Rimango distesa per meno di un secondo e mi trascino con la schiena dolorante lontano da lui. Incontro in fretta lo sportello e il vetro freddo del finestrino.
-I tuoi giochetti hanno iniziato ad annoiarmi, ti va se decido io adesso?- lo sento appena, non faccio altro che scalciare per tenerlo lontano. I miei anfibi sporchi macchiano i il suo completo grigio, ma non sembra curarsene. Sta già pregustando il momento in cui me la farà pagare, lo leggo nei suoi occhi grigi, l'unico momento in cui emetto un leggero bagliore vitale è quando incastra la sua preda. Mi sento morta non appena afferra il mio ginocchio, ignorando totalmente i calci che riceve sulla spalla. Colpisco qualsiasi cosa mi capiti sotto tiro, il bicchiere sul tavolino va in frantumi con una pedata. Lo scoppio lo distrae abbastanza per lasciarmi la possibilità di gattonare via dalla sua morsa, verso il sedile di fronte, quello che era il suo posto. Non ho un piano, come cazzo potrei avere un piano? Sopravvivere con il minimo dei danni è una ridicola speranza.
Mi acciuffa di nuovo, questa volta per i fianchi, e con uno strattone cerca di riportarmi vicino a lui. Sbatto la faccia contro il tavolino e il mio zigomo destro si schianta contro il vetro, sono talmente terrorizzata che urlo appena. Forse mi sono pure tagliata la lingua, sento il sapore del sangue tra le labbra. Il signor Cox non sembra più avere fretta, mi tiene ferma, vulnerabile a qualsiasi cosa passi per la sua mente perversa.
-Sai cosa, angioletto? Potrei pure ripensarci- mormora mentre mi accarezza il sedere da sopra i jeans, i suoi palmi non si fanno scrupoli a forzare i limiti della stoffa e le sue dita a intrufolarsi dove non dovrebbero. Le mie dita, invece, tastano il pavimento rivestito dell'auto, in cerca di un pezzo di quello stupido bicchiere.
-Mi dispiace, non sei il mio tipo, sei troppo grande per me- borbotto ancora stordita dalla botta e i miei polpastrelli accelerano la ricerca disperata. Forse non ci farò niente con un ridicolo frammento di vetro, ma in questo momento è l'unica cosa che mi spinge a contrastarlo. Se mi arrendo è finita, vince lui.
-Sono sicuro che potrai fare uno sforzo, del resto hai già familiarità con i Cox- mi taglio l'indice e il medio cercando di raggiungere uno dei cocci sotto di me, i graffi diventano sempre più profondi mentre arranco a fatica. Cox è troppo occupato ad esplorare le mie curve come se gli appartenessero, tocca ogni parte, come se fossi un oggetto nuovo, appena comprato. Un secondo in più su questi pensieri e i miei muscoli potrebbero irrigidirsi, e una paralisi per la paura è l'ultima cosa di cui ho bisogno. Con un ultimo sforzo stendo il braccio fino al limite e afferro il pezzo di vetro, è della grandezza del mio palmo.
-Penso di aver già avuto il meglio che questa famiglia possa offrire- ammetto controvoglia, difendere Jason in questa situazione, e soprattutto in questa posizione, mi sembra incredibile. L'uomo dietro di me affonda le dita nei miei fianchi e mi scaraventa sul sedile accanto, sfioro lo sportello con la nuca per un soffio. Sono tornata con le spalle a muro, non mi lascerà scappare di nuovo. Questa volta però quando stringo il frammento del bicchiere nel pugno mi sento meglio, mi sembra di avere un uscita di emergenza in caso in cui le cose dovessero mettersi male. Stanno già precipitando, ma i miei pensieri riescono ad immaginare molto di peggio. So qual è il mio limite, ne siamo fin troppo vicini, ma resisterò comunque il più possibile. Anche se riuscissi a ferirlo, non posso saltare giù da un'auto in corsa, sono abbastanza certa di aver sentito il suono della sicura scattare dopo che sono salita. Più che a ferire il mostro che ho davanti, questo pezzo di vetro serve a mantenermi lucida, lo sento scavare nel palmo ogni volta che rafforzo la stretta.
Cox si sfila la cravatta borbottando qualcosa che non comprendo, poi con il nodo ancora quasi intatto mi costringe ad infilare entrambe le mani nel cappio. In un attimo il tessuto morbido si serra intorno ai miei polsi e i miei muscoli obbediscono ai suoi comandi, come se mi avesse messo un guinzaglio. Mi costringe a tenere le braccia in alto e aggancia la cravatta intorno alla maniglia sopra il finestrino. Non faccio che stringere il frammento del bicchiere fino a sanguinare, se si è accorto dei rivoli rossi che scendono dal palmo, non lo mostra, non gli interessano abbastanza. Torna a parlarmi vicino l'orecchio mentre respira a fondo l'odore della mia paura, ho impressione che la cocaina non sia nemmeno paragonabile a quello che mi sta facendo.
-Allora ti va se ti dico anche il mio, di nome? Così costruiamo un legame speciale- scuoto la testa mentre sento che il nodo non fa che stringersi ogni volta che provo ad allentarlo. Sono in trappola e non posso nemmeno usare la mia arma di fortuna. Ho il cuore che batte talmente forte nel petto che non riesco a sentire nient'altro, e detesto che perfino lui possa udirlo.
-Ah ma come ho fatto a dimenticarlo! Noi abbiamo già qualcosa che ci unisce, oltre ad aver visto mio figlio nudo, s'intende- controllo il mio respiro e chiudo gli occhi, sto soffocando tra le sue parole. I pensieri che si affacciano nella mia mente mi spaventano più del suo tocco lascivo. Penso che preferirei morire che continuare così. Penso che il mio limite stia per essere superato e non sarò più la stessa.
-Mi chiedo perché voi donne vi ostiniate a indossare i pantaloni, non fate che rendere tuto più difficile-
Devo solo continuare a respirare, una manciata di secondi alla volta. fin quando i miei polmoni non si riempiono, li devo sentire tirare, devono fare quasi male, e poi, solo a questo punto, lascio tutto andare. La lama che tiene sempre nascosta nella manica della giacca fa capolino e ne assaggio le carezze gelide. Squarcia il tessuto dei jeans e si insinua lungo la mia pelle in cerca di qualcosa. Non sta succedendo davvero, è nella mia testa. Devo solo respirare. Il pezzo di vetro ormai è conficcato nel mio palmo, fa un fottuto male.
-Alexa devi guardare, non ti ricordi quanto ci siamo divertiti insieme durante il nostro primo incontro?- ricevo un altro schiaffo quando mi rifiuto di aprire le palpebre. Non riesco nemmeno ad urlare, la mia voce è sparita. Insieme alle mie mani ha annodato le mie corde vocali. Ha tagliato un quadrato nei miei pantaloni, mostrando la mia pelle come se fosse la superficie di una tela. Al centro risiede la ferita che mi ha procurato con lo stesso coltellino, mesi fa. Certo che me lo ricordo. Nemmeno se Ian mi manipolasse riuscirei a sradicare questo incubo dalla mia testa, i miei arti tremano come quella volta. Sento il corpo bagnato per la secchiata d'acqua che mi avevano gettato per svegliarmi, la cravatta che mi lega diventa fil di ferro sui polsi. Che cazzo è cambiato da quel giorno? Credevo che non mi sarei sentita così mai più.
Lo osservo avvicinarsi alla mia ferita, ormai perfettamente rimarginata, e leccarla lungo il segno della cicatrice, come se cercasse di aprirla con la lingua. Trattengo i singhiozzi serrando la bocca, rinchiudendoli per sempre dentro la mia gola, non posso fare lo stesso per le lacrime. Non c'è comando che stiano a sentire. Mentre Cox è occupato a limonare la ferita che lui stesso mi ha procurato, mi ostino a cercare di liberare almeno una mano. Il pezzo di bicchiere è troppo piccolo per fargli un danno significativo o per ucciderlo, ma se potessi anche solo sfregiargli i genitali potrei definirmi soddisfatta nella miseria. Questo è il massimo del potere a cui posso aspirare.
-Posso fartene un'altra quando vuoi, angioletto. Che ne dici sul viso? Così ti ricorderai di me ogni giorno della tua vita. Oppure, lasciami pensare...- abbassa lo sguardo sul mio seno e inizia ad aprire dei fori nel maglioncino nero. Vedere le mie lacrime ha come unico effetto farlo sorridere e cazzo, vorrei smettere, ma non riesco. Lo odio. E odio me per non avere abbastanza per contrastarlo.
-Supplicami e io ti lascio stare, Alexa. Dovevamo fare solo una semplice chiacchierata, ma tu hai iniziato a sfidarmi e io questo non posso proprio accettarlo. Ma se fai la brava e mi implori di smettere, io lo farò- continua a parlare vicino alla mia bocca, le sue labbra hanno sfiorato le mie fin troppe volte oggi. Ci sono tante cose che dice che mi ricordano Jason, ma questa frase, il tono, la finta pietà, è identico. Ho passato anni a sentirmi fare questa proposta, immagino che il mio istruttore ne abbia vissuti altrettanti nella mia stessa posizione.
-C'è mai stata una volta in cui lo hai fatto sul serio?- rispondo con la voce rotta, mi scappa un singhiozzo e mi maledico per questo. Sono a pezzi, anche se riuscissi a liberare uno dei due polsi, non so se riuscirei ad usarlo. Voglio solo che finisca, in qualsiasi modo.
-Non ti spezzi proprio mai, eh?- ridacchia e continua pigramente ad aprire la mia maglia. Come fa a non vedere che sono distrutta? Jason si sarebbe già fermato da un pezzo. Ma lui non ha nessun interesse nel preservarmi per la volta successiva, se mi rompo troverà un altro giocattolo nuovo con cui divertirsi. Il mio cuore va troppo veloce, sembra voler risalire dalla mia gola. Se muoio adesso non posso avere la certezza che smetterà. Potrebbe torturare il mio cadavere fino a quando non sarà soddisfatto.
Quando lo sportello si apre e la luce mi colpisce dritta in faccia come un pugno, mi rendo conto di non essermi nemmeno accorta che l'auto si fosse fermata. Cox sbuffa seccato e non si gira nemmeno verso il capitano Stearns.
-Non ho ancora finito con lei-
-La signorina Kline deve viaggiare con noi adesso, c'è stato un cambio di programma- il suo tono rimane fermo e austero, ma il suo sguardo non fa che cercarmi oltre la spalla del mio carnefice. Questo non fa che farmi stare peggio. Se prima eravamo solo io e Cox, adesso sento lo stomaco in subbuglio e la vergogna riaffiorare. L'uomo si lascia andare in uno dei suoi sorrisi sghembi e si avvicina al capitano, in piedi in strada. Dove siamo? Che cosa vogliono farmi ancora?
-Cambio di programma? Ma non mi dire-
-Procederemo in due direzioni separate, la signorina Kline verrà con me e i miei uomini-
-Stronzate, vuoi anche tu farti un giro con la ragazzina? Mettiti in fila, appena avrò finito sarà tutta tua- non può essere vero. Questa volta non so se riesco a trattenermi. Avevo promesso ad Ian che avrei fatto il possibile per proteggermi, ma come faccio a mettermi in salvo da questo?
-Sto solo seguendo gli ordini, lei dovrebbe fare altrettanto-
-Non dirmi cosa devo fare, pezzo di merda- il capitano è molto più alto di chiunque abbia mai conosciuto, ma non mi farà mai paura quanto Cox. Anche quando sono vicini, entrambi in piedi, la statura del biondo non influisce sul ribrezzo che provo nei suoi confronti.
-Sleghi la ragazza o dovrò farlo io- nessuna reazione all'atteggiamento degradante del suo collega, non sembra esserci niente che possa scalfirlo. La mia mano è quasi fuori, il tessuto della cravatta cerca di tenermi ancorata alla sua morsa, non vuole lasciarmi andare.
-Capitano, lei può avere i miei scarti, ma non esiste che tocchi con le sue mani da sporco nero qualcosa che prima non ho consumato. Quindi perché non va a cercare qualche campo in cui lavorare e mi lascia parlare con la nostra ospite?- rientra in auto e avanza minaccioso verso di me, non è decisamente il tipo che sopporta le interruzioni.
-Signor Cox, non mi costringa a...- le parole dell'uomo si perdono una volta che quel mostro torna su di me, il suo corpo stretto con il mio.
-Tesoro, ignora quel coglione là fuori, che stavamo dicendo?- il suo odore torna su di me e quando mi sfiora la guancia non riesco a controllare i brividi. Non avrò un'altra occasione.
-Volevi creare un legame con me- sussurro a denti stretti, non ci sono più lacci a bloccare le mie braccia, ma sento comunque gli arti di pietra. Come se ormai dopo essere rimasta nella posizione della vittima per così tanto tempo non potessi uscirne.
-Ah, giusto! Allora dove vuoi che...- non riesco a pensare, non so se esiste un momento giusto, non so se dovrei essere cauta. So solo che taglio il suo discorso affondando il pezzo di vetro sulla sua faccia. Non la smetteva di parlare, le sue parole mi sembrava durassero troppo tempo. Forse avrei dovuto aspettare, ma il mio corpo non ce la faceva più. Urla in modo straziante, per me e per lui. Tutto quello che non ho detto in questa auto, esce adesso dalla sua gola. Gli ho scavato la guancia con quel frammento di bicchiere, ho abbassato le braccia su di lui affamata di qualsiasi forma di vendetta. Forse anche il suo occhio sinistro è andato.
Lo spingo lontano da me, premendo sulla sua spalla, in un punto che entrambi ricordiamo bene. Arranco, striscio e gattono fino allo sportello ancora aperto, e una volta che tocco l'asfalto con gli anfibi mi rendo conto che mi tremano le gambe. Riesco appena a correre, troppo lenta perché il capitano Stearns non mi acciuffi al volo.
-Non mi toccare!- mi divincolo così forte che per un attimo ho l'impressione di averlo fatto sbilanciare in avanti. L'uomo però è abituato a questo tipo di situazioni molto più di me, e io non vedo nulla per colpa delle lacrime. Non so che altro fare, non so come proteggermi. Mentre Cox continua ad urlare per il dolore, si avvicinano a noi gli uomini della scorta del capitano, scendono dal loro furgone con le armi in mano.
-Capitano, che succede?- uno di loro, poco più grande di me, solleva la pistola all'altezza della mia testa.
-Non succede niente, abbassate queste armi!- per la prima volta la sua voce prende una nota emotiva, rimane pur sempre austera, ma suona parecchio infastidita. Soprattutto se i sei ragazzi usciti a dargli supporto non lo ascoltano.
-Cristo, è solo una ragazzina! Non voglio vedere quelle armi!- ripete questa volta guardando tutti i presenti in faccia, a uno a uno. Appena l'adrenalina inizia a svanire, il bruciore acuto al palmo mi ricorda che ho anche io un'arma. Ridicola e poco efficiente, ma comunque uno strumento per difendermi.
-Non sono una ragazzina...- mormoro stringendo il bicchiere rotto, il dolore mi aiuta a rimanere lucida, perché se cado in uno dei miei pensieri non penso che farò ritorno. Niente di tutto quello che è successo mi rende una ragazzina.
-Hai paura e lo capisco, ma nessuno ti vuole fare del male. Verrai nel furgone con noi, stiamo andando alla Base- provo di nuovo a liberarmi dalla sua presa e questa volta mi lascia andare, so che è così, non ho abbastanza forza per liberarmi da sola, sto tremando da morire. È il primo giorno e sono già ridotta così. Devo trovare Jason, devo riprendermi quella parte di me che custodisce lui, quella che sa come sopravvivere a qualsiasi costo. Quella che non conosce un'altra vita che non sia questa.
-Adesso però devi lasciare quel pezzo di vetro, va bene?- c'è qualcosa nel suo sguardo di diverso, alcune volte i suoi occhi scuri mi ricordano quelli di Ian. Non riesco a leggerli, ma noto subito quando si inteneriscono. Scuoto il capo, non posso farlo. Non posso lasciare andare la mia arma, non ho nient'altro. Non faccio che aggrapparmi e stringermi intorno a questo coccio per tenere insieme tutti gli altri. Non voglio lasciarlo andare. Che mi succederà poi?
-Signorina Kline, non posso farla entrare nel furgone con un'arma da taglio. Le ripeto che nessuno vuole farle del male, nessuno la toccherà senza il suo esplicito consenso. Ma non posso permetterle di viaggiare con noi con un oggetto pericoloso. Devo proteggere la mia squadra, lo capisce?- si avvicina lentamente, mi porge il palmo guantato, aspettandosi che io obbedisca. Non so se ci riesco. Sarebbe tutto più facile se gli credessi. Al momento la mia unica fede è nel sangue intorno a questa scheggia di vetro, quello è reale. Ed è mio.
-Io proteggo la mia squadra e loro proteggeranno lei, è così che funziona. Non la farò nemmeno perquisire, se lei dichiara che questa è l'unica arma in suo possesso. Io le credo, sono convinto che lei sia dalla nostra parte-
Mi guardo intorno per valutare possibili vie di fuga, ma le auto che sfrecciano rapide nelle corsie accanto a noi tagliano il tempo in un modo fin troppo veloce. Siamo in una zona industriale non molto diversa dal luogo dello scambio, questa però sembra ancora in funzione. Il mio sguardo scivola sugli edifici grigi e bianco sporco, incapace di trovare un qualsiasi appiglio, lo spunto per un piano improvvisato. Ma la verità è che non devo scappare, non posso farlo. Sono qui per questo, ho scelto io di tornare. E queste sono le prime conseguenze che devo affrontare. Non cercare di fuggire va contro la mia natura, e sento ogni parte di me ribollire per la rabbia quando lascio cadere il frammento del bicchiere sull'asfalto. Il suo leggero tintinnio accompagna la mia sconfitta. Mi sento vuota adesso. Ho lasciato andare l'ultimo pezzo delle mie speranze ai miei piedi. Mi lascio guidare per il braccio dal capitano Stearns ma non riesco a scollare gli occhi dalla mia mano insanguinata, la guardo come se fosse la prima volta che la vedo. Le mie gambe si muovono da sole, alcune volte sento che l'uomo al mio fianco mi aiuta a sorreggermi, perché sono troppo debole.
Esce davvero tanto sangue dal mio palmo, non posso smettere di pensarci. È rosso vivo, non posso crede che sia mio. Fa talmente tanto male che dopo aver stretto il vetro per tutto quel tempo, le ferite non mi permettono di chiudere le dita in un pugno. Solo al pensiero formicolano tutte e sento come delle scosse elettriche che mi mozzano il fiato. Quando salgo sul furgone, buio e traballante, il capitano mi fa sedere vicino a lui. Non sento più le urla di Cox da qui dentro. Che strano.
-Signorina Kline, vuole che le medichiamo le ferite?- chiede un uomo della guardia, il kit del pronto soccorso già in mano. -Hai bisogno di farmaci per il dolore?- aggiunge subito, vedendomi tremare. Forse me lo merito, potrei concedermelo. Smetterei di pensare per un po'.
Scuoto il capo con forza, sento il collo e le spalle tutti indolenziti. Non voglio smettere di sentire il sangue che scorre sul mio braccio, né le fitte che mi fanno serrare la mascella. Questo dolore è mio,
e io devo ripartire da qui.
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