Capitolo 8
Quando varcai la porta di casa annunciai che ero tornata, ma in risposta ricevetti solo un'insolita calma che avvolgeva l'ambiente. Dopo essermi liberata della cartella nella mia stanza, cercai Emily e Chris nelle altre stanze ma non c'era traccia di entrambi. Stavo per lasciare l'ennesimo messaggio a Chris, quando entrai in cucina e vidi un biglietto sul frigo: "ciao moscerino, dato che in casa ci annoiavamo, ho portato Emily allo Zoo. Non so quando torneremo e il mio telefono ha poca batteria, comunque ti assicuro che torneremo per cena (e con la cena) quindi NON cucinare."
Non potevo crederci. Erano andati allo Zoo e mi avevano lasciata da sola a casa ad annoiarmi. Dato che avrei avuto tanto tempo libero, dopo aver studiato, ebbi finalmente l'occasione di dormire in pace, ma non ci riuscii. Improvvisamente tutta la stanchezza era svanita e mentre mi giravo sotto le lenzuola mi cadde l'occhio su una cosa a cui non pensavo da un po'.
In un angolo della stanza era stato abbandonato da ormai un anno il mio ultimo scatolone del trasloco. Non l'avevo mai svuotato e forse non avrei sentito l'istinto di alzarmi dal letto e avvicinarmi se l'anno prima non lo avessi aperto accidentalmente cercando i miei vestiti. Ed eccomi lì.
Il cartone leggermente alzato era impolverato. Lo aprii con cautela, come se potesse uscirne un mostro per divorarmi. La prima cosa che vidi fu il mio quaderno, sostenuto da una pila ondulata di fogli ai quali avevo dato il compito di custodire i colori di quella che era la mia vita senza dolore. Non fui io a decidere, eppure la mia mano si allungò per rubare quel quaderno. Lo soppesai tra le mani, cercando il coraggio di aprirlo. Non ero sicura di voler rivedere qurllo che era ormai un capitolo chiuso della mia vita.
Pensai fosse una cosa stupida tergiversare arrivati quel punto, quindi presi un respiro profondo e lo aprii, scorrendo in modo veloce le immagini che io stessa vi avevo intrappolato. No, non io.
La ragazza che aveva creato quelle forme era felice, senza preoccupazioni. Aveva creato quei disegni tra una normalità e l'altra della sua giovane vita. Per qualche insano motivo, mi venne in mente che avrei potuto disegnare qualcosa. Sembravano passati secoli dall'ultima volta che avevo impugnato una matita per disegnare e mi resi conto che non avrei mai più fatto disegni come quelli nelle pagine precedenti.
Ero un'altra persona.
Ogni volta che poggiavo la mina della matita sul foglio bianco, la mia mente veniva invasa dal volto di mio padre, mentre mi diceva che il disegno non mi avrebbe portato a nulla, e il foglio restava bianco. Non potevo disegnare il suo viso.
Certo, Chris mi aveva aiutata ad accettare la loro morte, ma ancora non riuscivo a sopportare i ricordi che spesso mi aggredivano. Ero seduta vicino alla finestra per sfruttare la luminosità, ma dato che non riuscivo a disegnare, rimasi ferma, immobile ad osservare il foglio bianco che non veniva mutato dalla matita guidata dalla mia mano. Perché era quello disegnare: mutare.
Trasformare la percezione che le persone hanno di un foglio, semplicemente facendoci scorrere della grafite, guidata da una parte di te che nemmeno tu conosci e così ti scopri ad ammirare i tuoi stessi lavori. Per questo il disegno mi aveva sempre affascinata, ma questo pensiero sereno fu subito spazzato via dal senso di colpa che provavo quando ricordavo mio padre. Lui ha sempre voluto solo il meglio per me e se mi aveva detto che l'arte non era la strada giusta, allora l'avrei ascoltato. Rimasi ferma a fissare la superficie davanti a me, come se mi stesse ipnotizzando. Quel foglio era troppo bianco e io ero terrorizzata dalla possibilità di imbrattarlo e creare qualcosa che non fosse stato degno della sua lucentezza. Sentii le palpebre appesantirsi, la luce cominciò ad affievolirsi e poi svanì per lasciare spazio al buio.
Mi piaceva il buio. Mi dava una sensazione di sicurezza e protezione. Molti direbbero che il buio, il nero, è un colore triste, ma per me era caldo, non mi aggrediva come invece faceva sempre il bianco. Così freddo e distante.
Sfortunatamente anche il nero aveva i suoi lati negativi. Nell'oscurità spesso ci si perde e si rischia di non riuscire a tornare indietro. Si rischia di cadere nel baratro, che ci viene proposto come un luogo dove finalmente trovare un po' di pace. Chi non cerca un po' di pace in questa vita?
Il mio sonno venne interrotto dalla suoneria del mio cellulare. Era Chris. In pochi secondi mi accorsi del buio che aveva avvolto la città e del fatto che poco prima di addormentarmi ero preoccupata per loro.
«Christopher Hunter! Dove diavolo ti sei cacciato!?»
«Anche per me è un piacere sentirti, moscerino.» Mi schernì. «Comunque sono quasi sotto casa ma Emily si è addormentata e io non posso portare sia lei che il cibo per due rampe di scale, quindi vieni giù e aiutami.»
Non mi diede nemmeno il tempo di ribattere che attaccò. Gli avrei urlato contro più tardi.
Indossai un maglione pesante, le scarpe e scesi per aiutare Chris. Ormai lo conoscevo bene, quando diceva di essere quasi sotto casa, significava che stava entrando nel parcheggio del palazzo.
Come da copione, lo trovai intento a slacciare la cintura del seggiolino di Emily e sorrisi quando vidi quell'angioletto addormentato, con il volto coperto da una massa bionda.
«Maledetta cintura. . .» lo sentii imprecare e il mio sorriso, senza motivo, si allargò ancora.
«Lascia fare a me.» Naturalmente fu sorpreso di sentire la mia voce, non avendo sentito il mio arrivo, ma non lo diede a vedere e mi fece spazio per poter slacciare la cintura del seggiolino. Quando prese in braccio Emily, il piccolo armadillo di peluche le cadde dalle mani e finì sotto il sedile, ma nessuno dei due aveva voglia di piegarsi a cercarlo e lui la portò in casa, lasciando a me il sacchetto fumante di cibo.
Mi stavo incamminando per le scale quando sentii qualcuno chiamarmi dall'altro lato della strada. Quando mi voltai non potevo credere ai miei occhi. Matt stava camminando scioltamente verso di me, con un sorriso da ebete stampato in faccia.
«Adesso mi perseguiti?» Volevo mandarlo via prima che vedesse anche Chris o che Emily si svegliasse. Non avevo un motivo plausibile, semplicemente sapevo che da una semplice domanda le cose sarebbero degenerate facilmente. E con i pettegolezzi a scuola sarebbe stato facile passare da quella nuova a quella nuova ragazza madre.
«Veramente sei tu che perseguiti me.» Io non capii. «Quella è casa mia.» Avrei preferito continuare a non capire. La casa che stava indicando era una piccola villetta dall'altro lato della strada, di colore bianco e uno stile che dava l'idea che appartenesse ad un'altra epoca mentre era stata probabilmente costruita solo qualche anno prima. «Sapevo che non potevi resistermi.» Sfoggiò di nuovo quel sorriso arrogante.
Mi ricomposi per rispondere.
«Io abito qui.» Dissi, alludendo all'edificio alle mie spalle.
Matt mi mostrò un sorriso compiaciuto.
«Quindi suppongo che ci vedremo spesso, d'ora in avanti, vicina di casa.»
Lo vidi spostare il suo peso da una gamba alla'altra e sapevo che di lì a poco si sarebbe voltato per allontanarsi, ma mi colse l'improvvisa voglia di parlare con lui.
«Non ti ho mai visto prima» parlai velocemente.
Lui bloccò le sue intenzioni e mi rispose mantenendo quel sorriso.
«Si, ho trascorso un periodo dai miei genitori.» Provavo una sorta di piacevole sensazione allo stomaco ogni volta che la sua voce raggiungeva la mia testa. Era una cosa nuova per me.
«Stai dicendo che vivi lì da solo?»
«Vuoi vedere l'interno?» mi chiese ammiccando.
Fui incuriosita di sapere come poteva permettersi di vivere in quella casa da solo, ma nel ragionare sul motivo per cui avesse lasciato la sua famiglia, nonostante stesse frequentando ancora l'ultimo anno di liceo, mi dimenticai di rifiutare ancora una volta la sua insistenza. Il silenzio stava invadendo di nuovo lo spazio tra di noi e mi ritrovai felice quando lui vi rimediò. «Hai ragione» disse, senza che io avessi parlato. «Prima di portarti in casa, che ne dici di un appuntamento?»
Iniziai a desiderare di togliergli in qualche modo quel sorriso baldanzoso con cui aveva parlato.
Io sbuffai in risposta. «No» risposi secca.
Matt accorciò la distanza tra noi di qualche passo e io cominciai a sentirmi strana. Non ero certo a disagio, ma le mani iniziarono a sudare rendendo difficile non far cadere il sacchetto con la cena. E il mio cuore accelerò lievemente il ritmo dei battiti. Nonostante il buio, riuscii a vede il suoi occhi dorati che mi scrutavano e un profumo nuovo invase le mie narici.
«Perché non—»
Matt fu interrotto dall'arrivo di Chris.
«Moscerino! Sto morendo di fame!» sentii il mio amico arrivare alle mie spalle. «Dove sei finita?!» Si bloccò anch'esso alla vista del ragazzo di fronte a me. «Ehm. . . ciao.»
Mi allontanai da Matt, provando un forte imbarazzo quasi inspiegabile, e rivolsi uno sguardo rassicurante a Chris che a quanto pare capì all'istante. Però quella a non capire ero io, non sapevo cosa avesse potuto percepire lui dai miei occhi.
«Mi stavo preoccupando perché non arrivavi, ma vedo che. . . insomma. . . ehm, ti aspetto su.»
«Arrivo subito» lo rassicurai a parole. Poi mi voltai verso Matt. «Ora devo proprio andare.»
Ma lui non sembrava deciso a salutarmi.
«Mi stavo chiedendo per chi fosse tutta quella roba.» Quella constatazione era del tutto insensata. Poi indicò il sacchetto colmo di cibo, che avevo ancora miracolosamente in mano. «Divertitevi.» Disse con un sorriso tirato e fece di nuovo per andarsene.
«Siamo solo amici.» Avvertii come il dovere di ribadirlo, ma mi accorsi subito di quanto fosse sciocco da parte mia quel pensiero, quando mi rivolse un ultimo sguardo e dato che non rispose, decisi di andarmene. «Ci vediamo, Matt.»
Si illuminò. «Quindi accetti di uscire con me?»
«No. Intendevo. . . in giro, a scuola.» Dopo di che lo salutai con un cenno della mano e tornai in casa.
Decidemmo di non svegliare Emily e cenammo con hamburger e patatine al tavolo, questa volta. Trascorremmo tutto il tempo in silenzio e ad un certo punto capii che non avrebbe mai parlato per primo, quindi iniziai io un discorso usando lo Zoo come pretesto.
«Conosci le regole. Non avresti dovuto portarla allo Zoo.» Avevamo stabilito quella regola dopo aver comprato l'appartamento e aveva il suo motivo: se Emily avesse pensato di poter andare allo Zoo, al Luna Park o altre attrazioni, poi sarebbe rimasta delusa quando glielo avrei negato. Avevamo a malapena denaro per l'affitto e gli alimenti, non potevamo permetterci svaghi inutili.
«Una gita allo Zoo non ha mai ucciso nessuno.» Non aggiunse altro e si diresse verso il bagno. Io sistemai la cucina e dopo essermi fatta una lunga doccia calda, dove non riuscii a non pensare a Matt, andai a dormire. Nemmeno una volta a letto, però, riuscii a smettere di pensare a lui. Non riuscivo a spiegare il comportamento della mia testa.
Mi continuai a ripetere che era solo un ragazzo. Sapevo che nel profondo desideravo poter uscire con lui come ogni altra ragazza della mia età. Non ero cieca, lui era un bel ragazzo e sembrava anche gentile, nonostante la spavalderia. Ma era il momento sbagliato.
Mi dissi che sarebbe bastato evitare il più possibile di incontrarlo e quella stupida infatuazione sarebbe svanita col tempo, come sempre. Non era la prima volta che mi capitava, solo che non era mai successo che un ragazzo riuscisse ad occupare tutti i miei pensieri. In quel momento mi tornò in mente il suo profumo. Matt aveva lo stesso profumo che si sente quando esci in piena notte, quando non fa ancora troppo freddo e la rugiada sull'erba rende l'aria umida ma piacevole da sentire sul viso.
***
Mi svegliai a causa di Chris, seduto al mio fianco, che mi scuoteva leggermente per le spalle e mi chiamava per nome.
Avevo sognato.
Era solo un sogno.
«Tutto bene?» Mi chiese Chris con tono preoccupato. «Stavi urlando. Era di nuovo un incubo?» Io ancora non sapevo come definirlo. Tecnicamente si era trattato di un incubo, perché nei sogni non si urla dalla disperazione, ma aver visto di nuovo il volto di mio padre davanti a me era stato meraviglioso, nonostante il dolore.
Annuii semplicemente. Era da molto tempo che non mi capitava di fare incubi sui miei genitori. Il primo periodo dopo la loro morte era un continuo di incubi, risvegli sudati e con la gola dolorante per aver urlato e notti insonni per via delle lacrime che mi tenevano sveglia. Ma quel periodo sembrò essere terminato dopo circa sei mesi.
Così dissi a Chris.
La spaventosa realtà era che avevano solo rallentato, come a farmi un dispetto. Durante quei sei mesi avevo la certezza, ogni sera, che la notte non sarebbe stata serena. Più avanti sembrarono essersi evoluti e avere capito che venendo solo una notte ogni tanto il mio tormento sarebbe stato maggiore, perché sottraendomi la sofferente sicurezza su cui mi ero adagiata ottennero a loro vantaggio l'elemento sorpresa adatto a procurarmi il dolore di ventitré pugnalate. Non volli coinvolgere ulteriormente Chris solo per fargli ricoprire la figura di psicologo. Aveva già fatto più di chiunque altro.
«Vuoi parlarne?» Mi chiese dolcemente. Io scossi solamente la testa. Non volevo pensarci. «Va bene, allora. . .» fece pressione sul materasso con le mani per alzarsi ma io gli afferrai il braccio per fermarlo dall'andare via e tenerlo vicino a me.
«Puoi restare?» Si bloccò per qualche secondo a pensare. «Per favore» lo supplicai. Sapevo bene che la mia era una richiesta strana, non era mai rimasto con me, principalmente perché durante quei sei lunghissimi mesi mi trovavo ancora nella casa-famiglia e lui non c'era, ma ogni volta che riuscivo a scappare da quegli incubi sentivo il bisogno che lui fosse con me. Senza darmi una risposta, mi fece spostare nel letto in modo da fargli spazio e portarsi sotto le coperte. Lui mi fece avvicinare per abbracciarmi ed io posai la testa sulla sua spalla. Il freddo che inizialmente tentò di intromettersi svanì lentamente, sostituito dal dolce profumo di Chris: non avevo mai capito cosa fosse ma mi faceva sentire a casa e questo era sufficiente. Inconsciamente mi ritrovai a desiderare che avesse un altro profumo.
«Sai,» Chris interruppe i miei pensieri. «non ho mai pensato che sarei finito nel letto di una bella ragazza solo per abbracciarla.» Non sapevo cosa volesse fare ma se era una battuta, non faceva ridere.
«Non ci credo. Sei troppo buono.» Sussurrai.
Trascorse un po' di tempo senza che nessuno parlasse, quindi provai a riprendere sonno.
Lui non me lo permise.
«Il fatto è che quando si tratta di te, divento vulnerabile.» Io non dissi niente. Volevo capire dove sarebbe arrivato. «Devo ammettere che sono addirittura spaventato da come mi rendi debole. Quando ci siamo incontrati la prima volta, ho pensato che ti avrei solo offerto un aiuto che tu non avresti mai accettato perché saresti stata sicuramente troppo fiera. Come tuo padre.» Si fermò ancora, forse aspettando un mio commento ma io ero troppo confusa e assonnata, così continuò. «Sono felice che tu non sia stata troppo orgogliosa. Altrimenti ora non sarei qui a consolare una persona a cui voglio bene da morire. Quello che sto cercando di dirti è che tu. . . Per me sei. . . non lo so, come una figlia. O forse più una sorella, vista l'età.»
A quel punto ero molto confusa e cercai di chiarire. «Bhe, grazie. Anche tu sei come un fratello per me.» Non credevo che gli servisse sentirselo dire ma mi fece piacere dirlo.
«Il punto è che io mi preoccupo davvero molto per te. Come l'altra sera: quando sei uscita vestita in quella maniera e hai detto che andavi a lavorare...» sospirò, «...sono quasi morto.»
Allora era quello il punto! Voleva parlare del mio lavoro.
«Apprezzo che ti preoccupi ma ti assicuro che è un lavoro da cameriera come un altro. E se ti fa sentire meglio, c'è un buttafuori che ci accompagna alla macchina alla fine di ogni turno.»
«Me lo giuri?» chiese con voce incerta.
«Te lo giuro.»
Di nuovo silenzio. Un lungo ed interminabile silenzio scandito dal suono del suo cuore vicino al mio orecchio. Stavo riprendendo sonno ma venni riportata alla veglia dalla sua voce ancora una volta.
«Il ragazzo di questa sera. . .» sollevai la testa lievemente per permettermi di guardarlo per incitarlo a continuare. «Era lo stesso dell'altro giorno a scuola?»
Tornai alla mia comodità sul suo petto. «Si, proprio lui.» Risposi con voce impastata.
«Ti ha chiesto di uscire?» continuò.
«Si» volevo tornare a dormire.
«Quindi uscirete insieme?»
«No» sapevo bene che era sul punto di fare un'altra domanda quindi, con voce stanca, lo precedetti. «Possiamo parlarne domani? Voglio dormire.»
Chris acconsentì col silenzio e insieme ci addormentammo, ma prima che la mia mente si spegnesse del tutto percepii una sensazione piacevole e il mio ultimo pensiero fu uno solo. Come se fosse stato sempre così.
Matt.
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Piano piano Chris si sta facendo conoscere per l'amico incredibile che è.
Cosa ne pensate?
E del fatto che la nostra protagonista si ritroverà "perseguitata"?
Vi ricordo di lasciare una stellina se il capitolo vi è piaciuto.
XOXO
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