capitolo 5
Fui inizialmente delusa da quella domanda, probabilmente le stavo solo dando fastidio e non aveva alcun interesse ad avermi intorno, ma poi notai che non mi stava guardando con cattiveria o disprezzo, ma come qualcuno che davvero non riusciva a concepire un motivo che giustificasse il mio interesse nei suoi confronti.
Ed ecco che la mia supposizione venne confermata: era una ragazza con l'autostima così bassa da non farle credere che qualcuno potesse volerla come amica.
«Perché vorrei essere tua amica» dissi, ovvia. «Io non ne ho. Di amici. E ti ho già inquadrata quasi del tutto; so per certo che potremmo aiutarci a vicenda.» Detto questo, mi guardò in cagnesco e forse con una punta di delusione nel viso. Si voltò e iniziò a camminare, quando capii il motivo, mi sentii in colpa e mi affrettai a rimediare. «No, non intendo per i compiti. Vado bene nelle mie materie.» La seguii. Era ancora un po' diffidente. «Intendevo dire che a tutti servirebbe un'amica per superare l'ultimo anno di liceo.»
Mi domandai cosa mai fosse accaduto nella sua vita per renderla così diffidente. Accantonai velocemente la mia curiosità quando parlò.
«Te lo ripeto», si fermò davanti alla porta di un'aula a me sconosciuta. «Perché io?»
In quel momento, quando mi guardò, mi accorsi che i suoi occhi erano tanto scuri che l'iride quasi si confondeva con la pupilla nera. Ed erano grandi. Quella ragazza era una splendida combinazione di bellezza inconsapevole, timidezza, intelligenza e un non so che di sofisticato. Se gli occhi sono le porte dell'anima, allora quella di Allison doveva essere tanto scura solo perché nascondeva una forte luce.
Mi decisi finalmente a rispondere. «Non ne ho idea» ammisi. «Forse perché mi ispiri fiducia.»
Senza aggiungere altro, si voltò ed entrò nell'aula nell'istante in cui suonò la campanella.
So che è un modo strano di fare amicizia, ma cos'altro avrei potuto fare? Aspettare in un angolo che qualcuno decidesse che andavo bene per il suo gruppo? Non ero tipo da gruppi. Non mi seppi spiegare nemmeno io il vero motivo di tutta quell'intraprendenza (di solito ero tutto il contrario) ma ne fui felice e mi allontanai da Allison con un buon presentimento.
Passai il resto della mattinata a studiare la storia greca, che era l'unica materia che detestavo e nella quale, casualmente, ero alla pari.
Nei due giorni seguenti scoprii di aver in comune con Allison altri tre corsi, il che mi aiutò a iniziare più conversazioni con lei. Avvicinarla era come cercare di avvicinare un cerbiatto: in qualsiasi momento avrebbe potuto spaventarsi e correre via. Mi sembrò propensa a fidarsi di me quando, nel parlare, mi disse che i suoi genitori si erano separati da poco e che lei e suo fratello vivevano col padre.
Giovedì fu il mio turno di andare a prendere Emily, ma mi ricordai che avrei dovuto vedermi con Allison a mensa quindi le mandai un veloce messaggio per avvisarla. Mi domandai per quanto sarei riuscita a nasconderle me. Non mi diedi una risposta, ma sperai passasse molto tempo prima di quel momento.
Emily era arzilla come sempre e non smise di parlare un solo secondo per tutta la durata del tragitto. A volte mi chiedevo seriamente se non avesse una riserva d'aria nei polmoni, per poter parlare così a lungo senza apparentemente respirare.
Una volta entrate in casa, un profumo di pasta al forno e qualcosa di fritto mi travolse e non fui mai così felice di un rientro a casa.
Chris ci salutò dai fornelli e dopo aver poggiato le nostre cose pranzammo con tutte quelle delizie che aveva preparato. Ero felice di non dover più cucinare. E penso che anche Emily lo fosse.
Dopo un pomeriggio piuttosto noioso cenammo di nuovo sul divano con la pizza e sperai che non saremmo finiti sempre così la sera. Una volta pulito il soggiorno dalla sporcizia dei "bambini", mi rilassai per mezzora leggendo uno dei miei libri preferiti, prima di dovermi preparare per il lavoro. L'avevo già divorato non so quante volte e, ogni volta, mi donava le stesse identiche emozioni, se non più forti. Leggere era una delle cose che amavo di più al mondo. Molto spesso avevo usato la scusa del libro per non parlare con qualcuno o fare finta di essere assorta al punto di non sentire niente; poi, piano piano, mi ero interessata realmente ai libri e ora non potevo più farne a meno. Ero diventata come ossessionata: se non finivo un libro entro quattro giorni, era come un'impresa fallita e mi sentivo male, in un certo senso.
Verso le nove di sera, mi alzai dal mio comodo giaciglio e iniziai a prepararmi per una serata di lavoro.
Quel lavoro da barista era praticamente perfetto: non potevo fermarmi a interagire più di tanto con le persone, mi limitavo a servire le ordinazioni perché non ero ancora capace di preparare drink complessi, al massimo lisci; ascoltavo dell'ottima musica e, cosa più importante, potevo ricevere mance molto generose se facevo qualche sorriso in più.
Lara, una ragazza che lavorava con me, mi aveva fatto capire che mostrando un po' di pelle in più le mie mance raggiungevano cifre più alte.
Lei non sembrava avere problemi a farlo: ogni sera era i suoi vestiti si avvicinavano sempre più alle dimensioni di un bikini. Grazie alla sua atustima e al corpo da modella di Victoria Secret riceveva sempre le mance migliori.
Io, al contrario, detestavo mettermi in mostra, quindi mi scoprivo il meno possibile. Avevo una tecnica per cui se dovevo mostrare qualcosa, facevo in modo da coprire qualcos'altro: se avessi dovuto indossare pantaloncini tanto corti da poter essere trovati nel reparto intimi, sotto avrei messo delle calze nere che mi avrebbero dato la sensazione di essere meno scoperta. Ero ben consapevole del fatto che sarei comunque stata scoperta, ma quella piccola illusione mi concedeva la sicurezza di cui necessitavo per trascorrere i miei turni senza sentirmi troppo esposta agli sguardi dei clienti.
Quella sera, ad esempio, avrei messo pantaloncini corti al punto da non meritare quel nome ma con sotto calze nere, leggermente coprenti; una fascia bianca mi avrebbe lasciato scoperto petto e pancia, quindi sopra indossai una giacca di pelle nera. Ai piedi un paio di stivaletti neri con, naturalmente, il tacco. Non credo di ricordare di essere mai uscita di casa senza tacchi. Non fraintendetemi, io ho sempre amato le scarpe basse per la loro comodità ma, essendo anche io piuttosto bassa, non volevo esserlo vicino ai ragazzi della mia età. Credo che le uniche persone che mi abbiano vista senza tacchi siano stati la mia famiglia e Chris.
Non mi truccai molto perché sapevo che tornata dal lavoro non avrei avuto la forza o la voglia di struccarmi come si deve prima di collassare nel letto, per cui mi limitavo sempre a matita e mascara. Misi il cellulare nella tasca dei pantaloncini, presi le chiavi della macchina e mi diressi verso la porta.
«Io vado al lavoro.» Dissi salutando Emily con un bacio per poi rivolgermi a Chris. «Non fate troppo tardi, okay? E non aspettarmi nemmeno in piedi, finisco il turno alle due ma prima che finisca di sistemare e che torni saranno le tre.» Guardai l'orologio al mio polso e mi resi conto che erano le dieci e un quarto e sarei dovuta essere lì entro venti minuti, quindi corsi verso la porta ma qualcosa mi trattenne per un braccio. Mi voltai e vidi Chris con un'espressione seria in volto, quasi arrabbiato, oserei dire.
Mi scrutò per qualche secondo.
«Dove pensi di andare vestita così?»
«A lavorare» risposi con ovvietà. «Chris, ne abbiamo già parlato.»
«Si, ma non—» iniziò ad alta voce. «non mi avevi detto che saresti stata vestita come una prostituta!» Si trattenne dall'urlare mantenendo un tono più basso per non farsi sentire da Emily che era ancora sdraiata sul divano. Capii che era davvero arrabbiato ma sapevo bene che si stava solo preoccupando per me.
Perciò lo rassicurai subito.
«Sono vestita in questo modo solo perché gli uomini bevono di più se al bancone c'è una vestita così» dissi indicando il mio corpo. «E poi è più utile per avere mance generose, sai che un po' di soldi in più ci fanno comodo.» Guardai di nuovo l'orologio e mi resi conto di essere davvero in ritardo. «Ora, per favore, mi lasci andare? Sono in ritardo.»
Anche se con diffidenza, lasciò la presa sul mio braccio facendo in modo che potessi correre giù per le scale dopo avergli dato un bacio sulla guancia.
«Stai attenta.» Riuscì a dire prima di chiudere la porta. Non piaceva nemmeno a me dovermi vendere in quel modo per qualche banconota, ma non potevo permettermi di fare la schizzinosa.
Una volta in auto, sfrecciai via ad una velocità impressionante per arrivare in tempo. E credo che la fortuna fosse dalla mia parte, perché trovai tutti i semafori verdi.
Arrivai al locale appena in tempo e mi precipitai alla porta sul retro (per noi dipendenti) dove trovai Jackson che faceva il turno del buttafuori. Lavoravo in quel posto da tre mesi ormai e avevo conosciuto tutti quelli che lavoravano nei miei stessi turni: dietro al bancone c'era Melissa, una ragazza di ventidue anni tanto simpatica quanto bella, aveva un caschetto tinto lilla che faceva risaltare i suoi occhi scuri ( l'avevo sempre incontrata la sera quindi non sono mai riuscita a capire di che colore fossero esattamente) era una ragazza alta che mostrava molto più di quanto facessi io e non sembrava avesse nessun problema a farlo. Al suo fianco c'era sempre Cameron, un ragazzo alto e pieno di muscoli che riusciva a farti sentire al sicuro con un sorriso, cosa che dedicava esclusivamente a Melissa mentre alle clienti rivolgeva il solito, fastidioso sorrisetto ammiccante. Le cameriere, oltre a me, erano Lara, una ragazza con lunghi capelli rossi e delle piccole lentiggini sulle guance, e Judy, l'unica mia coetanea che aveva una folta chioma bionda e occhi color del celo, che mi ricordavano Emily.
Riguardo ai buttafuori, conoscevo solo Jackson perché era quasi sempre di turno lui sul retro. Era un ragazzo molto più alto di me, sui venticinque anni che praticava la box. Portava i capelli biondi un po' lunghi e una leggera barba gli copriva il mento e le guance. Non sapevo molto di lui, dato che ci parlavo solo durante la mia pausa, quando uscivo per prendere una boccata d'aria, ma sapevo che una volta era quasi arrivato al livello professionista. Poi per un infortunio alla spalla era stato costretto a lasciare la box come lavoro ed era finito a fare il buttafuori nel locale di Kate che, a quanto capii, conosceva da tempo.
Quasi dimenticavo, Kate era la proprietaria del locale, una donna che mostrava sicuramente molti anni meno di quanti ne avesse. Non era molto alta quindi mi fu subito simpatica. Onestamente, era una donna forte e intraprendente che sapeva come divertirsi, aveva il pieno rispetto da parte di tutti i suoi dipendenti e sicuramente di molti clienti. Quando mi aveva assunta, sebbene non sapessi fare molto, mi aveva spiegato che voleva gente felice attorno a lei perché, secondo lei, se i dipendenti fossero stati felici, avrebbero lavorato meglio. Un'altra qualità di Kate era che riusciva a creare un rapporto con tutti e si vedeva perfettamente che erano rapporti sinceri, per questo teneva anche alla sicurezza dei propri dipendenti e per questo aveva messo una regola per la quale il buttafuori di turno sul retro, nei miei turni Jackson, avrebbe dovuto aspettare che noi ragazze finissimo di lavorare per poi accompagnarci alle nostre macchine. Il solo fatto che Kate si fidasse così tanto di Jackson, mi infondeva sicurezza.
Immersa nei miei pensieri non mi resi conto di essere già dentro il locale con Melissa che stava facendo correre le sue mani da un bicchiere all'altro, anche se c'era Cameron a darle una mano non era abbastanza. Mi guardai intorno per trovare le altre cameriere che non erano propriamente mie amiche ma in quel modo avrei almeno capito quanto lavoro ci fosse. Quando scorsi Lara e Judy capii che dovevo muovermi o quelle poverine sarebbero tornate a casa senza gambe. Era solo Giovedì quindi non ci sarebbero state grosse mance, stranamente c'era comunque molta più gente del normale: di solito il Giovedì era il giorno tranquillo, o quantomeno non sfiancante come il Sabato.
Presi in mano un vassoio e cominciai a lavorare, servendo ai tavoli in fondo al locale e sorridendo ai ragazzi di tanto in tanto, quando facevano una battuta, anche se dopo un'ora buona, quando sorridevo, pensavo solo al dolore ai piedi e che sfortunatamente ero ancora all'inizio. Verso le undici e mezza la gente aveva smesso di arrivare e le ordinazioni si calmarono un po', specialmente perché la maggior parte delle persone là dentro erano ubriachi fradici. Quando Cameron andò in pausa, dovetti andare dietro al bancone e fortunatamente non ci rimasi per molto, la pausa durava solo dieci minuti, durante i quali servii solo qualche birra.
Stavo andando a servire un tavolo vicino alla pista dove erano seduti due ragazzi che stavano già bevendo qualcos'altro, quando uno dei due si voltò verso di me e diventai, probabilmente, rossa.
Era lo stesso ragazzo che qualche giorno prima avevo incontrato uscendo da scuola, lo stesso della classe di matematica. Non potevo fermarmi a metà strada e non servire l'ordine solo perché l'avevo incontrato a scuola e non volevo che mi vedesse imbarazzata. Continuai a camminare e servii loro i drink, per poi fare un piccolo sorriso e tornare indietro.
In tre mesi che lavoravo lì dentro non mi era mai capitato di incrociare qualcuno che conoscessi e avrei preferito che andasse avanti così. Mi sentii in imbarazzo, non sapevo per quale motivo ma era così. Tentai in tutti i modi di evitare quel tavolo e quando mi trovai di nuovo nei paraggi fui felice di notare che lui e il suo amico sia erano spostati con alcune ragazze a un tavolo di Lara.
A mezzanotte fu il turno della mia di pausa, così uscii sul retro come sempre per poter finalmente respirare qualcosa che non fosse alcool e sudore.
Appoggiai le spalle scoperte al muro gelido e sospirai pesantemente, poi feci un respiro profondo per rilassarmi. Dall'esterno si sentiva la musica ovattata del locale. Dopo poco l'inizio del mio turno mi ero tolta la giacca, non sopportando il calore creato dai corpi in movimento, ma mi pentii di non averla ripresa prima di uscire. L'aria umida mi stava dando sollievo ma sapevo che sarebbe bastato un alito di vento per farmi rabbrividire.
«Qualcosa non va?» domandò Jackson. Ero talmente poco abituata alla sua voce che all'inizio mi sorprese.
Lo guardai e pensai che, a parte durante le nostre pause, lui non aveva l'occasione di parlare con nessuno per tutto il tempo.
«Non lo so.» Non c'era niente di preciso che non andasse, solo quel ragazzo. Jackson mi guardò aspettando che parlassi, così continuai. «Solo che c'è . . . un ragazzo. Dentro. E lui—»
«Ti dà fastidio in qualche modo?» m'interruppe.
«No» mi affrettai a dire. «Non mi dà alcun fastidio. Credo.» Probabilmente lo resi solo ancora più confuso. «Il fatto è che l'ho incontrato fuori da scuola e si è comportato in modo strano e. . . non lo so. Non mi era ancora capitato di vedere qui qualcuno che conosco e la cosa mi mette un po' in imbarazzo.»
Lui mi guardò per qualche secondo con la fronte corrugata, quindi tentai di spiegarmi.
«Più che altro è che vestita così sono, non lo so. . .» e mi bloccai cercando di fargli notare i miei vestiti, non sapendo in che altro modo spiegarglielo. «È più difficile essere disinvolti con qualcuno che conosci.»
Scosse la testa con un lieve sorriso. «Lascia perdere. Piuttosto, perché non mi racconti qualcosa di bello. Ci sono novità?»
Capivo il suo bisogno di interazione. «Chris è tornato Lunedì.» Dissi mostrandogli la mia felicità. Jackson sapeva della mia "situazione famigliare". Gliene avevo parlato qualche giorno dopo averlo conosciuto, perché mi mancava da morire Chris e avevo bisogno di parlare con qualcuno. Naturalmente, quando glielo svelai, cercando di evitando più particolari possibili, i suoi occhi furono il ritratto della compassione che detestavo, ma tanto l'avrei visto solo tre volte la settimana per una manciata di minuti quindi era una quantità di compassione che potevo tollerare.
Un sorriso gli si dipinse in volto. «Bene!» Esclamò. «Ancora niente tra di voi?» Mi chiese ammiccando. Sembrava un ragazzino. Si era fissato sul fatto che tra me e Chris dovesse sbocciare qualcosa di romantico.
«Te l'ho detto Jackson, tra noi non c'è—» non feci in tempo ad ammonirlo perché la porta che ci separava venne aperta e la figura del buttafuori venne coperta dalla lastra di metallo. Un ragazzo dalla corporatura possente e i capelli marroni ne venne fuori. Quel ragazzo.
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Prego proseguire al prossimo capitolo per maggiori informazioni.
Ma vi ricordo di lasciare prima una stellina per far crescere la storia.
XOXO
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