capitolo 4
Entrai in casa senza fare rumore, controllai che mia sorella non fosse in salotto e feci entrare Chris, che si andò a nascondere in modo che Emily non lo vedesse arrivando dalla sua stanza. Chiusi la porta con abbastanza forza, in modo che lei la sentisse. -Sono a casa!- annunciai e, come previsto, vidi una chioma bionda e disordinata correre verso di me.
«Elsa! Ho sistemato tutta la mia camera.» Iniziò a parlare in modo frenetico. «E domani possiamo fare una torta tuuutta al cioccolato e—»
Con un perfetto tempismo, Chris saltò fuori dal suo nascondiglio per atterrare davanti a lei e prenderla in braccio ancora prima che capisse cosa stava succedendo. I miei timpani vennero perforati dall'urlo ad alta frequenza che lasciò la sua gola.
Mi immaginavo già i volti dei vicini alla riunione di condominio.
«Chris!» Cacciò un urlo e poi un altro quando lui le afferrò le caviglie per tenerla a testa in giù, come fossero due scimmie, facendola scoppiare a ridere. In quel momento mi spaventai un po'. Trattandosi di Chris, non potevo mai sapere come sarebbe finito un loro gioco.
«Ora basta», tentai di farmi sentire sopra gli urletti di Emily, «Chris, vorrei la mia sorellina intatta. Lasciala.» Solo dopo aver parlato mi resi conto delle parole da me usate.
Una delle mie tante particolarità era che davo un grosso peso all'uso delle parole e, a lungo andare, avevo coinvolto anche Chris in questa mia stranezza. Per questo, quando dissi "lasciala", lui mi fece un sorriso furbo e lanciò letteralmente Emily sul divano poco distante.
Io lo guardai in cagnesco.
«Cosa c'è?» chiese con aria innocente. «Tu hai detto di lasciarla, ma non come.» Mi fece notare mentre si sedeva al fianco della piccola peste e cominciava a farle il solletico.
Dato che sembravano non notare la mia presenza, mi diressi nella mia camera per fare i compiti, sorridendo tra me e me.
Era una stanza abbastanza semplice: al centro, di fronte alla porta, si trovava il mio letto matrimoniale con delle mensole colme di libri sopra la testiera e un comodino per lato; a sinistra dell'entrata, addossato alla parete, c'era un mobile a cassettoni che conteneva i miei vestiti, mentre sopra avevo riposto con cura gli oggetti più importanti dei miei genitori. Dopo la vendita della casa, avevo messo all'asta praticamente tutto ciò che c'era all'interno salvando solo le cose più impostanti come le foto (ora sparse in giro per casa), il portagioie di mia madre, dove sia lei che mio padre tenevano le loro fedi. Una volta, avrò avuto otto anni, le avevo chiesto perché non le mettessero e lei mi aveva risposto che erano un pegno d'amore così importante che andava custodito come un tesoro. In mezzo a molti altri oggetti c'era anche lei. La lettera. Quella lettera che avevo ricevuto da Chris il giorno del funerale e che non avevo mai aperto. Era lì. Immutata come sempre. Distolsi lo sguardo quando percepii i miei occhi pizzicare. Sulla parete opposta, appesi in ordine di data, c'erano tutti i miei disegni preferiti. Amavo disegnare e lo facevo da quando ero piccola; prima dell'incidente il mio progetto era quello di andare alla scuola d'arte di Miami ma, quando capii che non potevo sapere gli ultimi voleri di mio padre, al contrario della mamma che mi aveva chiesto di prendermi cura di Emily, decisi che il modo migliore per omaggiarlo sarebbe stato fare la scuola che lui aveva sempre voluto per poi diventare un' avvocato. Così accantonai il disegno. Ma la passione rimaneva.
Iniziai a fare i compiti per distrarmi e notai che, sebbene fossi avanti nelle materie, svolgerli mi provocava un certo fastidio. Mi sembrava una perdita di tempo. Una volta finiti tutti i noiosi esercizi e ripassato qualcosa, mi accorsi fosse l'ora di cena così tornai in salotto per vedere se quei due fossero ancora tutti interi e quello che vidi mi sorprese e non poco.
Chris era sdraiato sul divano, occupandolo tutto per il lungo mentre guardava la televisione e Emily gli stava sdraiata sopra, facendo del suo meglio per posizionare i suoi capelli sul volto di Chris. Mi scappò un sorriso e mi avvicinai a quei pazzi.
«Perché?» Si voltarono entrambi verso di me e Emily assunse un'espressione corrucciata, incrociando le braccia e sporgendo il labbro inferiore in maniera adorabile come solo i bambini sanno fare.
«Chris non voleva farmi spazio!» disse in tono accusatorio. «Quindi ora sto sdraiata su di lui finché non si sposta.» L'espressione di prima venne rimpiazzata da una piena di orgoglio.
Chris sbucò fuori dalla cascata di capelli per parlare.
«Non mi piegherò mai al tuo volere.»
A quella frase, Emily si spostò come per sistemarsi meglio, tentando di dargli fastidio senza riuscirci.
«Fai come vuoi» disse dandogli una frustata con i capelli. «Io, qui, sono comodissima.»
Lasciai quei due pazzi per andare a preparare la cena ma quando presi in mano la padella per cucinare, questa mi venne portata via senza darmi il tempo di protestare. Voltandomi trovai Chris guardarmi, con il mento abbassato leggermente e gli occhi azzurri fissi nei miei.
«Sono appena tornato da sei mesi di servizio» mi disse. «Sei mesi di sbobba terribile che nemmeno i randagi osavano mangiare.» Forse avevo capito dove voleva arrivare. «Ora, sono tornato a casa. Un posto meraviglioso dove esiste cibo meravigliosamente grasso e gustoso.» Sbuffai perché avevo afferrato perfettamente dove volesse arrivare. «Quindi mi rifiuto di mangiare altra sbobba. Ora, tu non toccherai nemmeno una padella mentre io ordinerò un po' di quella delizia dal nome fantastico: pizza.»
Dopo quell'inutile e odioso discorso, feci come aveva detto e finimmo per cenare con pizza davanti alla televisione dopo un: «Grande invenzione la pizza» da parte di Chris.
Quando Emily si addormentò la portammo nella sua stanza per poi tornare sul divano per parlare, anche se ero esausta.
«Sembra felice», mi disse con un sorriso. Io annuii in risposta, a volte la invidiavo. Invidiavo come fosse riuscita a andare avanti e adeguarsi ad una nuova vita, anche se c'era sempre il dubbio che così non fosse, che stesse solo fingendo per non farmi preoccupare.
In un caso o nell'altro, dimostrava una maturità che mi spaventava. Desideravo che vivesse la sua infanzia nel modo più normale possibile.
«E tu?» Mi destò. «Come stai?» Mi chiese in modo serio, quasi preoccupato. Sapeva di non potermi chiedere se fossi felice. Se quello stesso sguardo apprensivo fosse appartenuto a qualsiasi altra persona mi avrebbe fatto sentire il desiderio di scrollare con violenza un peso dalle spalle e allontanarmi il più possibile, ma davanti a me c'era Chris. E quegli occhi meravigliosi mi donarono un calore così piacevole che mi avvicinai a lui e lo abbracciai.
La mia testa trovò riposo sul suo petto.
«Starò bene.» Parlai ad occhi chiusi, credendo alle mie parole. Sentii il suo tocco delicato sulla testa. La televisione continuava a trasmettere, ma era lontana.
«Domani vado a fare la spesa.» Interruppe il silenzio tra noi. «E posso portare io Emily a scuola. Voglio passare più tempo possibile con lei.» Risposi solo con un movimento della testa per fargli capire che lo stavo ascoltando.
Dopo un po'andai a letto anche io per potermi svegliare presto l'indomani. Mi addormentai rivolta verso la cassettiera. Sopra c'era uno specchio che stava in piedi grazie alla parete. Mi addormentai guardando la fessura rimasta tra lo specchio e il muro, e la lettera di mio padre che vi avevo incastrato.
***
La mattina seguente mi svegliai bruscamente a causa della sveglia che avevo puntato troppo presto. La spensi all'istante ma non dovette passare nemmeno un minuto che la porta della mia stanza venne aperta altrettanto bruscamente e un Chris sveglio e pimpante apparve sulla soglia con un sorriso complice sulle labbra. Per un momento pensai che si fosse accampato davanti quella porta solo per infierire sul mio risveglio.
«Non penserai di rimetterti a dormire, vero?» Lo disse con un tono di ammonizione che usava spesso quando voleva dare ordini. Mi trattava come. . . beh, come se fossi Emily.
Scossi la testa e permisi con malavoglia al tepore di allontanarsi da me sapendo che, in caso contrario, l'avrebbe comunque fatto lui.
«Molto bene» continuò soddisfatto, «Emily la sveglio io, tu vedi di trovare la voce.» Detto questo, andò dalla mia sorellina per buttare giù dal letto anche lei.
Camminai fino al bagno per prepararmi in fretta, sapendo che Emily avrebbe impiegato molto più tempo di me. Si perdeva sempre davanti allo specchio. Posizionava il rialzo davanti al lavandino e iniziava a parlare al proprio riflesso. Una volta ricordo di averla sentita raccontare l'intera trama de "Il re leone" come se lei fosse Nala, parte della storia.
Uscii in tempo per sentire un urlo di protesta e vedere Chris uscire di fretta dalla stanza, seguito subito dopo da un peluche che lo colpì dritto in pancia. Risi, stupita e divertita dal vedere un uomo adulto e forte come quello che avevo davanti impaurito da una bambina di sei anni. Chris si accorse della mia presenza e mi rivolse uno sguardo. Anche lui sembrava stupito.
Si spostò dalla porta appena in tempo per evitare un altro peluche che volava fuori dalla porta e si schiantava rumorosamente contro la parete, ma non riuscì ad evitare un pinguino in testa.
Chris era ancora più stupito.
«Mi ha bombardato con i peluche» sembrava disorientato. «Nessuno mi aveva mai bombardato con dei peluche.» Improvvisamente si mise a ridere come non ci fosse un domani. «Ha una mira eccezionale, ma sta diventando un po' troppo violenta.» Disse non appena ebbe ripreso fiato.
Io quasi non gli urlai contro. «Ci credo che sta diventando violenta; con tutti i giochi maneschi che fate insieme.»
Decisi di mandare Chris a preparare la colazione prima di far scoppiare una guerra di peluche di prima mattina e di tentare di far alzare Emily senza essere bombardata. Quando mi vide si calmò e dopo svariati minuti di proteste da parte sua e frasi come "non puoi saltare la scuola" - decisamente una frase da mamma- da parte mia, capii che avrei dovuto usare le maniere forti, così la sollevai di peso caricandola a sacco di patate e la portai in bagno. Solo a quel punto decise di fare come dicevo io.
Certamente fu una mattina piuttosto strana.
Mi era mancato.
Bussarono alla porta nel momento in cui stavo per uscire, in ritardo sebbene avessi avuto lo sguardo costantemente sull'ora.
«Buongiorno cara» mi salutò la signora Johnson, rivolgendomi un tenero sorriso che ricambiati subito nonostante la premura. «Vi ho portato la mia famosa torta di mele.» Disse porgendomi il piatto che aveva in mano. «Non c'è niente di più americano e Christopher la merita tutta.» Portai il piatto in cucina, ringraziandola, ma la fermai prima che potesse iniziare uno dei suoi monologhi su come la sua ricetta avesse vinto per tre anni di fila il concorso cittadino. Riuscii ad avvisarmi per la scuola dopo averla ringraziata ancora.
Arrivai a lezione di diritto in ritardo. Dopo aver fatto le mie scuse al professore, mi posizionai nel banco più in fondo possibile per poter sfuggire ad almeno metà degli sguardi dei miei compagni. Di fianco a me si posizionò una ragazza che mi infuse subito tranquillità. Aveva un corpo magro, all'apparenza tanto delicato da potersi infrangere con un tocco, senza però sembrare denutrita; i suoi capelli lungi erano tanto scuri. Portava gli occhiali, perciò mi fu difficile vedere il colore degli occhi dato che il suo sguardo era diretto al professore. Decisi che era una ragazza interessante: non aveva parlato con nessuno se non il professore e per tutta l'ora aveva preso appunti facendo scorrere lo sguardo rigorosamente dal suo quaderno al professore e viceversa; di solito chi studiava con tanta concentrazione si sedeva nei primi banchi, non in ultima fila, dove c'erano più elementi di disturbo. Dopo solo mezzora, decisi di volerla conoscere. Sembrava simpatica. Grazie al professore che l'aveva interpellata, scoprii si chiamasse Allison Downey e pensai che era proprio adatto a lei: un nome con un suono delicato quando lo pronunciavi.
Trascorsi l'ora a pensare a come sarebbe stato conoscerla, ad immaginarmi il suo carattere. Alla fine della lezione avevo solo supposizioni. Quando la campanella suonò, lei sgusciò tra i banchi veloce e io dovetti correre per poterla raggiungere. Avevo capito che non avrei resistito un anno intero fra sguardi fugaci e parole sussurrate senza un' amica e secondo le mie supposizioni lei sarebbe stata perfetta.
Finalmente la raggiunsi e potei parlare mentre camminavo al suo fianco.
«Ehi, tu sei Allison, giusto?» Probabilmente si stupì che le avessi parlato perché, a giudicare la sua espressione confusa, non se lo aspettava.
«Sì», confermò titubante e mi strinse la mano che le avevo porto. «E tu sei Elizabeth» continuò subito dopo, «giusto?»
Parlavamo da mezzo minuto e avevamo solo fatto domande retoriche.
«Elsa. Nessuno mi chiama col mio nome completo.» Continuai e la seguii fino a quello che doveva essere il suo armadietto, a soli cinque dal mio. «Sai, sono nuova di qui e non ho molti amici ancora. Quindi pensavo che—»
«Perché?» mi interruppe mentre prendeva un paio di libri e ne riponeva un altro, «Perché mi stai parlando?»
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Allora... Che pensate della nuova conoscenza?
È un po' scettica, mi pare.
Ma mai giudicare dalla prima impressione.
Imparerete a conoscerla piano piano.
Se anche questo capitolo vi è sembrato un buon capitolo, lasciate una stellina.
Alla prossima!
XOXO
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