capitolo 17
Il mio corpo sembrava paralizzato dai numerosi brividi che le sue mani mi provocavano con un semplice tocco.
Ogni accenno di pensiero svanì dalla mia mente, soffocato dalle palpitazioni del mio cuore che mi divisero dall'ambiente intorno a noi. Era una bella sensazione, quella di non pensare. Iniziai a sentirmi leggera, cullata dal profumo di Matt che giungeva forte, senza essere invadente.
Avete presente quando vi state per addormentare nella pace più assoluta, ma senza un motivo apparente avete la sensazione di cadere e sentite di essere strappati da un sogno bellissimo?
Fu esattamente così, come se fossi stata spinta nel vuoto.
«Cosa stai facendo?» Posizionai una mano sul suo torace per allontanarlo, mentre sottraevo il mio corpo dalla sua dolce presa.
«Sto provando a baciarti.» Mi rispose con naturalezza. Fui sorpresa di vedere la confusione nei suoi occhi. Davvero non capiva perché mi fossi sottratta.
«Ma non puoi.» Lo spinsi via, sentendo anche il suo profumo abbandonarmi.
«Perché no?»
«Che domande fai? Abbiamo deciso di essere amici, non puoi baciarmi.» Gli spiegai mentre mettevo una notevole distanza tra i nostri corpi.
«Veramente, tu hai deciso di essere amici.» Puntualizzò, accusandomi con l'indice. «Io avrei voluto baciarti dal primo momento che ti ho vista. E ne sono sempre più convinto.»
A quell'affermazione avvertii il calore prendere possesso delle mie guance e le farfalle svolazzare nel mio stomaco, così spostai lo sguardo su una vetrina dietro Matt. Rimasi per un po' in silenzio, non sapendo come rispondere a quella sua frase. Cosa si risponde di solito? Grazie? Ma non era propriamente un complimento.
«Beh, mi sembrava di averlo già messo in chiaro,» dovetti prendere un respiro profondo per non rendere troppo evidente che mi fosse difficile ragionare, «non puoi.» Dissi con un tono meno fermo di quanto volessi, incrociai le braccia tornando a guardarlo, sebbene tentai di non soffermarmi sui suoi occhi, perché sapevo che mi avrebbero incastrata.
Lui assunse la mia stessa posizione e mi squadrò dall'alto in basso.
«Eppure anche tu stavi per baciarmi.» Disse con un sorriso soddisfatto e fece un passo verso di me. «Non mi sembra ti sia tirata indietro quando mi sono avvicinato.» Mi sovrastò con la sua altezza. «E nemmeno quando ho messo la mia mano qui.»
Mentre parlava fece posare di nuovo la sua mano sul fianco e capii cosa stava cercando di fare.
Io indietreggiai di nuovo con un notevole scatto, rischiando di finire in strada senza accorgermene.
«Smettila!» Gridai, attirando l'attenzione di una signora anziana che ci stava passando vicino.
«Di fare cosa?» Mi chiese facendo finta di niente.
Io lo trucidai con lo sguardo.
«Lo sai perfettamente.» Con diffidenza, mi avvicinai a lui e gli feci cenno di continuare a camminare. «Ti ho già spiegato come la penso, quindi o rimaniamo amici, oppure te ne fai una ragione e te ne vai.»
Quello che non gli dissi era che avevo usato la parola "amico" in modo sbagliato. In realtà non riuscivo ad adeguarmi alla comune concezione di amicizia, insomma, per me essere amici implicava una conoscenza abbastanza approfondita dell'altra persona, lui non mi conosceva per niente e non glielo avrei permesso, quindi non sarebbe mai stato mio amico a tutti gli effetti. Sapevo che non fosse un modo positivo di pensare ma era così e sarebbe dovuto rimanere tale. Ma chiamarlo "simpatico conoscente" non mi sembrava il caso.
Sembrò pensare veramente alla mia proposta, con le mani nelle tasche della giacca e lo sguardo perso a fissare il marciapiede. Pensai che solo in quel momento ragionò veramente sulle mie parole, mentre la prima volta aveva accettato con veemenza e senza riflettere. Trascorse non so quanto tempo prima che riportasse i suoi occhi dorati su di me e mi rivolgesse un sorriso luminoso.
«Okay, ma con questo non credere che smetterò di chiederti di uscire.» Mi avvisò in tono giocoso, anche se sapevo bene che non stesse affatto scherzando.
Tornammo in macchina, dato che Matt, alla fine, non doveva farmi vedere niente, e mentre eravamo diretti verso casa mi ricordai della mia povera auto ancora KO.
«Chi chiami?» Chiese quando tirai fuori il mio cellulare dalla tasca.
Guardai nella rubrica, ma mi resi presto conto di non conoscere meccanici in quella città. Non volevo rischiare la restante incolumità della mia auto con uno trovato su Internet.
«Volevo chiamare un meccanico ma non ne conosco nessuno.» Prima di riporre il cellulare vidi il messaggio dello sconosciuto. No? Cosa voleva dire? Non aveva sbagliato numero?
*Chi sei?*
Inviai e misi il telefono in tasca.
«Ho un amico che si occupa di macchine» mi disse subito. «Potrei chiedergli un favore.»
Io ero un po' restia. «Sei sicuro che sia una buona idea?»
«Perché?» Domandò alternando lo sguardo tra me e la strada. «Non ti fidi di me?» Si finse offeso, facendomi scappare un sorriso.
«No, non mi fido e vorrei che la mia macchina venga riparata, non distrutta del tutto.» Gli ressi il gioco continuando a sorridere.
«Ehi, stiamo parlando del mio migliore amico. Fidati, lui conosce bene le auto.» Parlò quasi con fierezza. Come se essere suo amico fosse motivo di vanto.
«Okay, ma non farmene pentire.»
Una volta arrivati davanti casa sua lanciai uno sguardo verso il mio appartamento, lì di fronte, e sperai che Chris avesse seguito le miei indicazioni. Accantonai un possibile scenario di guerra di peluche nucleare e scesi dalla macchina per poi seguire Matt all'interno della sua villetta.
Appena varcata la porta, mi trovai in un atrio dal soffitto alto, di fronte a una scala di granito che partiva dal muro di sinistra per poi curvarsi e portare in un corridoio a destra. Sotto la scala notai una porta aperta che dava sul bagno.
Alla mia sinistra si trovava la cucina, mentre a destra un soggiorno che potei guardare meglio quando Matt mi ci condusse, dopo avermi preso la giacca. Compose il numero del suo amico e mi disse di fare come se fossi a casa mia. Cosa al quanto difficile dato che il mio appartamento, in confronto, sembrava uno sgabuzzino.
Non era una stanza molto grande, ma di certo non era nemmeno piccola. Di fronte all'entrata era stato messo un divano di pelle nera, rivolto verso la parete opposta, dove c'era un caminetto con sopra una televisione al plasma. La parete di destra era praticamente una finestra unica quindi la stanza era ben illuminata, nonostante le tende chiuse. Mi guardai intorno e vidi diverse mensole sulle quali i vari libri erano alternati da alcune foto. La maggior parte ritraeva Matt con i suoi amici, ma la foto che mi saltò all'occhio fu quella in cui si vedeva lui, steso su di un divano giallo, mentre abbracciava una bambina che non doveva avere più di sei anni e pensai subito fosse sua sorella dalla somiglianza e da come la stringeva a sé con fare amorevole.
In quel momento mi resi conto che non c'erano altre fotografie della sua famiglia. Nemmeno una. E mi ricordai che avesse detto di essersi trasferito lì due anni prima.
"Forse non ha buoni rapporti con loro" e pensai subito a quanto queste cose mi facessero arrabbiare: figli che non parlano più con i propri genitori per questioni superficiali. Non so cosa avrei dato pur di avere ancora un minuto con i miei genitori.
Sono sempre stata una persona piuttosto curiosa e in quel momento capii finalmente che il mio sesto senso aveva avuto ragione. Fin da subito, Matt mi aveva incuriosito, senza che ne capissi il motivo. Forse c'entrava qualcosa con la sua famiglia. Avrei potuto chiederglielo.
«Sarà qui tra poco.» Matt mi riportò alla realtà. Si trovava dietro di me, di fianco al camino.
«Cosa?» Chiesi, non ricordando di cosa stesse parlando.
Lui mi rivolse un sorriso. Probabilmente accortosi del fatto che non lo avevo ascoltato.
«Il mio amico, Adam, ha detto che può essere qui in dieci minuti.»
«Ah.» Arrossii leggermente per essere stata così distratta. Non era da me.
«Bene.» Stavo per domandargli della sua famiglia ma mi zittii da sola quando compresi, per fortuna in tempo, che sarei sembrata un'impicciona e che non avevo nessun motivo per porgli quella domanda, a parte una curiosità invadente.
«Allora, che ti va di fare oggi?» mi chiese sedendosi sul divano e facendomi segno di raggiungerlo.
«Televisione, passeggiata, girarsi i pollici? Decidi tu.»
«L'ho già sentita questa.» Avevo una memoria formidabile per le frasi fatte dei film e fui certa di averla già sentita da qualche parte.
«Cosa?»
«Quello che hai appena detto. L'hai preso da qualche film.» Assottigliai gli occhi, concentrandomi per riuscire a ricordare dove l'avessi sentita.
«Non lo so. Ha importanza?» Sembrava nervoso. Imbarazzato.
«Se non lo capisco ora, ci penserò per tutto il giorno.» Ammisi più a me stessa. In realtà si trattava di una cosa davvero fastidiosa: ogni qualvolta non riuscivo a ricordare qualcosa che ero certa di sapere, mi era impossibile cacciarlo dai miei pensieri fino a quando non ne fossi venuta a capo.
«Oh mio dio.» Mi coprii la bocca con una mano per limitare il mio stupore quando capii. «Tu hai guardato Twilight!» Lo accusai ridendo.
«Non dire cazzate, io non guardo certa merda.» Era evidentemente sulla difensiva. Si mosse sul divano in pelle e distolse lo sguardo dal mio in un'espressione imbronciata.
«Come vuoi.» Gli lanciai un'occhiata scettica continuando a ridere e lasciai perdere. «Vuoi dirmi che mi hai tirata giù dal letto alle otto di mattina senza nemmeno avere pensato a un piano per la giornata?»
«Volevo solo stare con te. Che dici di un film?» si allungò verso il tavolino per afferrare il telecomando e accendere la grande televisione davanti a noi.
«Qualunque cosa che non sia una commedia romantica.» Dissi con una punta di disgusto. Non mi dispiaceva il romanticismo, quanto i cliché con cui erano costruiti. Matt mi guardò ed assunse una strana espressione. «Perché mi guardi in quel modo?»
«Scusa,» si strinse nelle spalle «è che ti avevo inquadrata come la classica inguaribile romantica. Per qualche motivo.»
«Noi non vediamo le cose nel modo in cui sono, ma nel modo in cui siamo.»
«Tradotto?»
«Forse qui l'inguaribile romantico sei tu.»
«Sai che ti dico? Hai ragione. Almeno ora so qualcosa in più su di te.»
Portai le gambe al petto continuando a guardare lo schermo, mentre Matt cercava un film, ma non credo che ci stesse davvero provando. Dopotutto, il suo amico sarebbe dovuto arrivare in pochi minuti.
«Sabato c'è una festa.» Smise di provare a cercare il film e lasciò su un reality.
Io non dissi niente. «Mi hai sentito?» Ruotò il suo corpo verso di me.
«Una festa?» Feci lo stesso e poggiai la schiena sul bracciolo.
«Si. Uno strano rituale moderno dove un'orda di adolescenti ubriachi finge per una notte di essere adulti per fare qualche cazzata meravigliosa e dare la colpa all'alcol, il giorno dopo, nel caso finisca male.» Mi fece una descrizione piuttosto accurata delle feste come se non avessi mai partecipato a una serata del genere. A Miami non facevo altro. Appunto, a Miami.
«Non fa per me.» Dissi, sperando che capisse che non volevo assolutamente andarci. Un tempo mi piacevano le feste con i miei amici, sebbene fossi negata nel ballo, ma da sola era tutta un'altra cosa. Sarei stata circondata da ragazzi ubriachi marci che ci provavano con la prima che passava, per non parlare dei giochi infantili e stupidi che facevano come il gioco della bottiglia, oppure obbligo o verità e senza alcol a distorcere i sensi, alla fine, non sarebbe stato così semplice divertirsi.
«Come fanno a non piacerti le feste?» Mi domandò contrariato. «Sei una ragazza attraente, hai diciotto anni e vivi da sola.»
Non capivo cosa volesse dire. «E allora?»
«E allora» continuò guardandomi come se gli avessi detto che ero un trans. «Queste sono le ragioni per cui tu dovresti vivere di feste.»
Mi presi un momento per ridere della sua espressione e di quanta importanza avesse dato a una semplice festa. «Sono le ragioni più stupide che avresti potuto trovare.» Gli dissi, credendoci davvero.
«Beh, anche se non ti piacciono le feste, devi assolutamente venire a questa.» Disse e a me sembrò quasi un ordine. Lo disse con una serietà impressionante. E del tutto inappropriata alla situazione.
Andiamo, stava parlando di una festa!
Comunque, il modo con cui la propose mi fece incuriosire molto. Forse le feste in Columbia erano diverse da quelle a cui ero stata a Miami.
«Va bene.» Accettai con ancora un po' di diffidenza. «Se riesci a trovare tre veri motivi per cui non posso perdermi questa festa, verrò.»
Inizialmente fu felice di sentirmelo dire, ma poi penso si rese conto di non riuscire a pensare a nessun vero motivo e il suo sorriso si affievolì sempre più.
«Che problema hai con il tre?!» Aprì e richiuse la bocca molteplici volte, senza mai dire nulla.
Io continuavo a guardarlo, in attesa che gli arrivasse un'illuminazione.
«Allora? Quanto devo aspettare ancora?» Gli chiesi divertita.
«Oh, andiamo, non puoi venire alla festa e basta?» Disse scocciato. Io scossi la testa in risposta mentre il suo volto si illuminò improvvisamente. «Devi venire perché sei nuova e andare ad una festa ti aiuterà a conoscere nuove persone.» Disse, fiero di aver trovato un motivo valido per convincermi. Alzò i pugni in segno di vittoria e si alzò per esultare come un bambino, il che mi fece ridere parecchio, specialmente quando fece il giro del divano con le braccia aperte, simulando un aereo.
Mentre continuava a girare, colpì accidentalmente lo spigolo del caminetto con la mano destra e passò dall'esultare all'imprecare in un nano secondo, a quel punto non mi trattenni più e scoppiai in una fragorosa risata. Penso che chiunque avrebbe riso.
Matt tornò a sedersi sul divano mentre si massaggiava la mano.
«Non ridere.» Mi rimproverò scherzosamente. «Fa più male di quanto immagini.»
Io tentai davvero di smetterla ma nella mia mente continuava a ripetersi la scena comica di poco prima e non riuscii ad evitare che un sorriso m'increspasse le labbra.
«Mi dispiace.» Mi scusai con lui, senza smettere di sorridere.
Solo dopo qualche secondo mi accorsi che Matt non si stava più massaggiando la mano e che, invece, ora i suoi occhi erano rivolti a me, in un'espressione indecifrabile ma che mi mise inspiegabilmente in imbarazzo. Non riuscii a sostenere il suo sguardo.
Mi sentii esposta in un modo strano. Era come se mi stesse leggendo senza il mio permesso.
«Perché mi guardi così?» Gli chiesi imbarazzata.
Lui distolse per un attimo lo sguardo per poi tornare a guardarmi con un espressione più. . . normale?
«Scusa. . .ehm. . .è che sei meravigliosa quando ridi.» Mi disse sorridendo.
Avvertii subito un forte calore sulle guance e abbassai lo sguardo.
«Grazie.» Non potei che sorridere al suo complimento. Non riuscivo a capacitarmi di quanto poco tempo gli fosse bastato per passare da una scena comica ad un momento dolce e, a mio parere, anche molto imbarazzante.
Tra di noi cadde un silenzio pesante, carico d'imbarazzo da parte mia.
A rompere quel silenzio fu il campanello di casa. Matt si alzò per andare ad aprire mentre io rimasi lì seduta ancora per poco, con un sorriso ebete stampato sulla faccia. Mi costrinsi a riprendermi velocemente e mi avviai verso l'ingresso, dove vidi i due ragazzi salutarsi con una pacca sulla spalla.
«Elsa» parlò Matt, «questo è Adam. Adam, Elsa.» Ci presentò velocemente.
Salutai con un cenno il suo amico e lui ricambiò.
«Allora, dov'è la macchina da riparare?» Chiese entusiasta, sfregandosi le mani. Adam era un ragazzo alto all'incirca quanto Matt, con corti capelli bruni e occhi dello stesso colore. Aveva la pelle abbronzata, sebbene fossimo quasi in inverno e quando mi sorrise notai delle fossette agli angoli delle labbra piene.
Uscimmo tutti e tre e ci dirigemmo verso il parcheggio dove si trovava la mia auto e Adam iniziò ad armeggiare con i suoi strumenti per capire quale fosse il problema. Io non capivo niente di macchine, così rimasi in disparte a guardare e sperare che non trovasse problemi troppo costosi.
Matt e io rimanemmo lì per non lasciarlo da solo, ma io ascoltavo, più che altro, i loro discorsi sullo sport, seduta sul muretto lì vicino; fino a quando Adam tirò fuori un argomento che non mi andava particolarmente a genio.
«Voi venite alla festa, Sabato?»
Subito scambiai un'occhiata con Matt, il quale mi precedette in parola.
«Io vengo, ma Elsa non vuole. Mi ha detto che se trovo tre motivi accetta.» riferì all'amico in tono scocciato.
Adam alzò le spalle e parlò con semplicità.
«Sei una ragazza, sei grande abbastanza per poterti divertire e sei sexy. Eccoti tre motivi.»
Mi misi immediatamente a ridere, portandomi una mano sulla fronte, senza speranza e con un po' d'imbarazzo per l'ultimo complimento, mentre Matt spalancava la bocca e diceva: «Quello che le ho detto anche io! Ma lei dice che sono "ragioni stupide".» Scimmiottò la mia voce. «Ho trovato un motivo valido ma me ne servono altri due per convincerla.» Continuò a parlare di me come se io non fossi presente.
«Non puoi dire che non siano stupide.» tentai di difendermi come potevo.
Adam riemerse dal cofano della mia macchina e mi guardò.
«Scommettiamo che ti trovo un motivo che fa per due?» Continuai a guardarlo per incitarlo a parlare e lo stesso fece Matt. «Elsa, se tu non verrai a quella festa, sappi che mi lascerai con un vuoto nel cuore, per tutta la vita—» venne interrotto dalla voce di Matt.
«Rinunciaci amico.» Disse ridendo. «Lei non abbocca a queste cose.» E aveva ragione. Ma ero curiosa di sapere come sarebbe andata a finire.
«Oh, non fa niente, voglio sentire cosa stava dicendo.» Divertita da come aveva iniziato.
Allora Adam andò avanti, sempre guardandomi negli occhi.
«Per tutta la vita» riprese il discorso tenendosi una mano sul cuore, «il mio unico rimpianto sarà di non essere riuscito ad avere un ballo con te, fino a quando il peso diverrà insopportabile e sarai ritenuta responsabile della mia morte di crepacuore. Allora ti renderai conto che avresti potuto impedirlo, semplicemente indossando un vestito e venendo alla festa. Ma sarà troppo tardi.»
Finì di parlare in tono melodrammatico e mi resi conto di avere i suoi occhi, come quelli di Matt, puntati su di me. So che sembra incredibile ma riflettei veramente sulle sue parole, in particolare sul fatto che non mi sarebbe costato niente andare a quella maledetta festa. Iniziai a chiedermi, anzi che "perché?", "perché no?". Non trovai risposte.
«Mi hai convinto.»
Adam sorrise soddisfatto. «Lo sapevo. Le donne non mi resistono.» Si vantò facendo roteare una chiave inglese per aria.
«E se ti avessi detto no?» Chiesi, non volendo concedergli quella soddisfazione.
Adam si strinse nelle spalle e disse: «Non ti avrei riparato la macchina.»
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Non c'è molto da dire, abbiamo capito quanto sia dolce Matt e abbiamo conosciuto il suo amico Adam!
Che ne pensate?
Lasciate una stella e correte al prossimo capitolo!
XOXO
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