capitolo 16
«Va bene. Parla, ti ascolto.»
Ci trovavamo in un piccolo bar rosso per fare colazione, dopo che io ebbi protestato per una buona decina di minuti per il fatto che, per la fretta, non avevo fatto colazione e stavo morendo di fame. Così Matt mi portò in quel piccolo angolo rosso della città, con tavoli rossi, divanetti rossi, muri rossi e tovagliolini di carta gialli—combinazione orribile —, e ruppe il silenzio che si era formato, dopo aver bevuto un lungo sorso dal suo cappuccino, che mi stupii non essere di qualche colore improponibile.
«Di cosa vuoi parlare?» Feci finta di niente. Non volevo affrontare la possibilità che facendomi sfuggire qualche piccolo dettaglio avrei suscitato un'altra domanda da parte sua.
Matt poggiò i gomiti sul tavolo e si protese verso di me.
«Sei seria, Elsa?» Chiese come se avessi appena esordito con la battuta peggiore del secolo. «Stai veramente cercando di evitare il discorso?» Continuò. «Da te mi sarei aspettato di più.» Continuò a parlare in tono deluso e sebbene sapessi che stava solo recitando la parte del melodrammatico, riuscì a farmi sentire realmente in colpa. «Che ne so, magari un discorso di un grande filosofo, forse finlandese, sulla curiosità, la privacy o il libero arbitrio.»
Rimasi leggermente stordita dal fiume di parole che erano uscite dalla sua bocca e cercai velocemente una risposta per non rimanere ferma impalata come un'idiota. Dovevo assolutamente trovare qualcosa da dire. Non ero mai rimasta senza parole e non avrei sicuramente cominciato quel giorno. Dopo pochi secondi mi stabilizzai.
«Mi dispiace deluderti, mio caro Matt, ma non citerò nessuno di remoto che, tra l'altro, non conosceresti. Posso invece comunicarti che io non ti devo alcuna spiegazione.» Parlai con superiorità rimanendo seria con non poca fatica, infatti per nascondere il sorriso presi un sorso dalla mia tazza.
«Ah, no?» Chiese alzando le sopracciglia.
«Nessuna.» Affermai addentando la mia brioche.
«Elsa» mi richiamò sporgendosi nella mia direzione, sopra il tavolino che ci divideva. «Vuoi che ti riassuma velocemente quello che è successo, così che tu possa capire quanto io sia confuso in questo momento?» E senza aspettare una mia risposta, continuò a parlare. «Ti ricordo che ho visto un uomo adulto e mezzo nudo in casa tua, il quale, tra parentesi, è lo stesso con cui hai fatto finta di stare insieme e che credo di poter dire che conosce abbastanza le tue abitudini, dato che ha fatto da tramite tra noi due perché tu non parlavi e non ne ho ancora capito il motivo, ma questo può aspettare. Quando ce ne stavamo andando ti ho sentito in modalità "giovane mamma" mentre gli facevi le raccomandazioni, nelle quali era compresa anche un'altra persona, una bambina, devo intuire dal modo in cui ne hai parlato e dei compiti che deve fare. Non dico che sei obbligata a darmi spiegazioni, ma le gradirei davvero e sarebbero un ottimo modo per iniziare un conversazione.»
Ingoiai un morso della mia brioche per prendere tempo. «Hai origini inglesi?»
«No, perché?» Sembrava confuso.
«Mi chiedevo da dove fosse spuntato lo Sherlock che è in te.» Lui sollevò le sopracciglia, conscio del fatto che stessi tentando di sviare il discorso.
Ammisi a me stessa che non aveva tutti i torti.
«Va bene» mi arresi. Se davvero voleva provare ad essere mio amico non avrei potuto negargli alcune informazioni su di me.
«Ammetto che ti meriti qualche spiegazione.» Nemmeno ebbi il tempo di finire la frase che il ragazzo di fronte a me si sfoggiò nel suo miglior sorriso trionfante. Mi accorsi di star cedendo troppo in fretta, però. Se avessi risposto a tutto e poi mi avesse chiesto casualmente dei miei genitori e io non avrei voluto parlarne, Matt avrebbe capito all'istante che c'era qualcosa che non andava, il che avrebbe portato ad una sua curiosità più insistente e, in fine, alla scoperta della verità; perché, andiamo, non è semplice nascondere a lungo che i propri genitori sono morti. E quando avrebbe scoperto il mio passato il suo sguardo non sarebbe più stato limpido di felicità o malizia, al contrario, cupo, colmo di pietà e nauseante compatimento.
Non sarei stata più in grado di sostenere i suoi meravigliosi occhi dorati.
«Ti concedo tre domande.» Aggiunsi finendo di bere il mio cappuccino. Mi stupii quando realizzai che il mio cervello aveva elaborato tutta quella catena di pensieri nell'arco di pochi decimi di secondo.
«Cosa? Non ha senso.» Protestò alzando la voce e così attirando l'attenzione di una donna anziana alle sue spalle. «Cosa sei, il genio della lampada?»
La vecchia non aveva solo dato un'occhiata nella nostra direzione, ci stava fissando, evidentemente interessata alla nostra conversazione. Ma io rimasi irremovibile.
«Tre o niente.» Guardai insistentemente la donna, a mia volta, capì di essere stata scoperta e distolse lo sguardo imbarazzata. Riportai la mia attenzione a Matt, quasi mi divertivo a vederlo in quella situazione. Concentrato nella scelta delle possibilità. Voleva davvero sapere qualcosa di me? Conoscermi? Insomma, un qualunque altro ragazzo se ne sarebbe andato se gli avessi detto che avrebbe potuto chiedermi solo tre cose. Io stessa mi resi conto che si trattava di una follia.
Ero cosciente del fatto che fosse un'assurdità.
«Perché proprio tre?» Mi chiese dopo essere rimasto zitto per un po'; forse scegliendo accuratamente cosa chiedere. «È il tuo numero preferito?» Domandò, apparentemente realmente curioso.
Io alzai le spalle.
«No. Veramente il mio numero preferito è il due.» Dissi senza guardarlo direttamente. Guardavo la mia tazza di cappuccino, ormai vuota, con solo un sottile strato di schiuma sui bordi.
«Come mai proprio il due?» Mi domandò. Sembrava davvero interessato, ma forse stava solo prendendo tempo.
«Non lo so.» Risposi, continuando a tenere lo sguardo fisso sulla tazzina e giocando con il cucchiaino lì di fianco. «Mi è sempre piaciuto. Sì, insomma, il due è. . . ecco. . . mi è sempre sembrato il numero perfetto.» Azzardai ad alzare lo sguardo e trovai Matt con le sopracciglia aggrottate.
«Come uno spuntino» tentai di spiegarmi. «Si dice che mangio due biscotti. . . tre o di più sono troppi, diventano più di un semplice spuntino, mentre uno. . . non ha senso e . . . se ci pensi, noi siamo fatti da numeri due. Abbiamo due polmoni, due reni, due braccia, due gambe, due occhi, due arcate di denti; molte persone hanno due lavori, pochi hanno due case, non tre, non cinque, non venti; due. . . e, non lo so. . . mi piace e basta.» Conclusi una spiegazione che a chiunque sarebbe potuto sembrare infantile, ma per me era del tutto sensata. Nel frattempo, però, continuavo a pensare al vero motivo per cui il due era sempre stato il mio numero preferito.
I miei genitori erano due; erano una coppia ed erano perfetti così com'erano. Separati era come guardare una costellazione senza una stella. Mentre quando erano insieme davano sempre l'idea di volersi estraniare dal mondo e restare solo loro due.
Due era il numero delle case in cui avevo vissuto, erano due le litigate serie con Chris, ho sempre avuto due rimpianti e due desideri; persino i miei piedi erano due.
«Ha un senso.» Matt mi risvegliò dai miei pensieri, che avevano cominciato a dirigersi verso un punto troppo delicato.
«Come?» Chiesi, credendo di non aver capito bene cosa avesse detto.
Lui si schiarì di nuovo la gola e si sistemò meglio sulla sedia.
«Sì, insomma, credo tu abbia ragione. . . ecco. . . quello che dici ha senso.» Notai che era in difficoltà a portare avanti l'argomento, dopotutto, il numero preferito non era una cosa di cui si poteva parlare tanto a lungo.
Così decisi di chiedergli io qualcosa.
«E il tuo numero preferito qual è?»
Matt alzò le spalle. «Non ho un numero preferito» mi rispose tranquillamente. «Ma credo che sceglierò il due.» Concluse dopo aver pensato qualche secondo.
Lo disse guardandomi dritto negli occhi e il tono che usò fu calmo e pieno di serietà al contempo. Inadatto alla semplice frase da lui pronunciata, come se dietro ad essa si nascondesse un significato più grande.
Fu proprio quel tono che mi fece correre i brividi lungo la schiena.
La porta a vetro del locale venne aperta dalla ragazza del bagno. Jenna, mi sembrava di ricordare, ma non ne ero certa. Comunque notò a sua volta la nostra presenza e dopo aver ordinato al bancone, mi fissò con lo stesso sguardo di superiorità che mi aveva rivolto al nostro ultimo incontro. Matt ovviamente si accorse che la mia attenzione era stata rivolta a qualcosa oltre le sue spalle, così si voltò e vidi l'espressione di Jenna mutare velocemente in un sorriso mieloso.
Per qualche motivo si sentì invitata ad avvicinarsi al nostro tavolo, dopo aver pagato il suo caffè d'asporto.
«Matty, che coincidenza trovarti qui.» Parlò con la voce più acuta di quanto ricordassi, poi si sporse per dargli un bacio sulla guancia e si sedette al posto libero di fianco a lui.
«Non direi.» le rispose. «Ci vengo da una vita e lo sai.»
Sembrava infastidito dalla sua presenza tanto quanto me e mi chiesi perché non la mandasse semplicemente via. Forse era troppo educato e non voleva essere rude.
«Hai ragione, ma noi due non ci vediamo da tanto» continuò lei, allungando una mano per posarla sulla spalla di lui, «dovremmo uscire di nuovo e divertirci un po', come una volta.»
Fece scendere velocemente le dita lungo il suo braccio, fino a prendergli la mano, che lui scansò quasi subito, alternando lo sguardo tra lei e me, forse preoccupato che potessi offendermi per come lei si stava comportando, ignorandomi. Ma fu solo Jenna ad arrabbiarsi, con un bipolare cambio espressivo.
Fissò Matt con rabbia, poi me con disgusto e parlò guardandolo dall'alto in basso.
«Eri più divertente prima.»
Notai che Matt sobbalzò a quell'affermazione e attese con quello che mi parve timore, che lei continuasse. Si rilassò quando Jenna ci diede le spalle per uscire dal bar con passo deciso.
«Chi ha lasciato chi?» Gli chiesi dopo un momento. Era ormai chiaro che fossero stati insieme e che lei lo rivolesse, ma il modo in cui aveva reagito a lei mi avevano creato qualche dubbio.
«Io, ovvio» rispose con uno sbuffo.
«Non è così ovvio. Ti sei pietrificato mentre parlava» gli feci notare. «Quindi per essere tua amica devo sopportare la ex gelosa?» gli chiesi sorridendogli. Mi faceva ridere pensare di essermi catapultata così velocemente in uno di quei melodrammi scolastici che leggevo nei libri.
«Non ti preoccupare, farò in modo che ne valga la pena.» Mi fece l'occhiolino, riprendendo l'aria serena di poco prima.
Ormai avevamo concluso entrambi la nostra colazione da un pezzo, quindi ci dirigemmo verso la cassa e lasciai che Matt mi offrisse il pasto. Non volevo sembrare una scroccona ma in quel periodo avevo deciso di accettare ogni aiuto economico, che fosse anche solo una colazione in meno da pagare.
Una volta fuori, decidemmo di fare due passi, o meglio, io avrei tanto voluto entrare in macchina per potermi riparare dalla fredda giornata di fine ottobre, ma Matt mi disse che c'era una cosa che avrebbe voluto assolutamente mostrarmi.
Mentre camminavamo sul marciapiede, il silenzio s'impossessò nuovamente dell'atmosfera, quindi decisi di iniziare una conversazione.
«Allora» attirai la sua attenzione. «Hai ancora due domande, cosa vuoi sapere?»
«No, ne ho ancora tre.» Disse lanciandomi un'occhiata veloce.
«Quando avrei fatto la prima?» Mi chiese confuso.
Io incrociai il suo sguardo.
«Mi hai chiesto qual è il mio numero preferito e perché, dovresti ringraziarmi per averle contate come una sola domanda e non due.»
«Ma quella non era una domanda!» Alzò un po' troppo la voce attirando l'attenzione di una signora che stava passando. «Era solo curiosità e. . . e. . . e stavo prendendo tempo per sceglierne altre tre importanti.»
Perché continuava ad attirare l'attenzione su di noi? Non era in grado di non urlare per una volta?
Con lo sguardo mi stava praticamente supplicando di non contarla come domanda e trattenni un sorriso quando mi resi conto del fatto che stesse facendo una tragedia di qualcosa di così poca importanza.
«E va bene» sospirai. «Hai ancora tutte e tre le domande ma fammele ora, okay?»
Matt si schiarì la gola e portò una mano dietro la testa, mettendosela tra i capelli.
«Okay, allora. . . chi era quell'uomo mezzo nudo a casa tua?» Chiese marcando molto il fatto che fosse mezzo nudo.
«Lui è Chris, un vecchio amico.» risposi sbrigativa.
«E. . .?» mi invitò a fornirgli altre informazioni.
Tornai a guardare la strada «E. . . tu mi hai chiesto chi fosse e io ti ho risposto. Una domanda, una risposta.»
Lo so, sono stata una stronza, ma meno informazioni gli avrei dato, più sarebbe stato spinto a fare domande abbastanza inutili.
«Ma non puoi fare così! Non intendevo quello, è ovvio che mi ricordo di lui: aveva detto di essere il tuo ragazzo.»
«A quanto pare posso, invece. Altra domanda e ti consiglio di pensarci bene, io do un certo peso alle parole che la gente usa.»
Questa volta valutò meglio le parole con cui porre la domanda. «Okay, mi ricordo che mi avevi detto che stavate insieme per finta quando ti ho conosciuta, per quello strano piano che ancora non ho capito bene, quindi la mia domanda è questa: sei mai stata a letto con lui?» Mi domandò fissando i suoi occhi nei miei.
«Questi non sono affari tuoi!» Scattai subito e intanto sentii le mie guance andare a fuoco, facendomi capire che si fossero colorate di rosso.
«Hai detto tu che avevo tre domande, non hai specificato di che genere.» Utilizzò il mio stesso sistema contro di me. Uno strano ghigno gli deformò le labbra e solo in quel momento mi resi conto che ci eravamo fermati l'uno di fronte all'altra.
Ripresi il controllo e cercai di far diminuire il rossore, probabilmente invano.
«Non hai nessun diritto di chiedermelo e poi, anche se fosse successo, per quale motivo ti dovrebbe interessare?» Naturalmente non era mai successo niente ma quando dissi quella frase notai che Matt contrasse la mascella e mi fissò tanto intensamente da farmi rabbrividire. Questa volta però, non erano brividi piacevoli.
«Semplice curiosità.» Alzò le spalle e interruppe il contatto visivo con me.
Divenne improvvisamente più freddo di pochi minuti.
«Sei geloso per caso?» Gli chiesi sorridendo.
«Io? Geloso? Non farmi ridere.» Disse con aria fintamente indignata. «Mai stato geloso in vita mia, perché dovrei esserlo di te?» Sapevo che quelle parole erano solo parole, eppure sapere che fossero parole di verità, nel profondo, mi ferirono.
Mi dissi che non avrei dovuto sentirmi male, ma non potei impedirlo.
«Gusto. Dopotutto, siamo solo amici, noi due.» Dissi più a me stessa che a lui.
«Giusto» fu d'accordo con me. «Allora?» Continuò subito dopo.
«Allora, cosa?»
«Siete mai andati a letto insieme?» Chiese di nuovo la stessa cosa, questa volta con più calma, ma sempre con tono freddo.
«Tecnicamente. . .» pensai che non fosse una buona idea dirgli che avevamo dormito insieme qualche volta, anche perché pensai che non avrebbe mai capito senza una spiegazione completa che non gli avrei mai dato. «Cosa intendi con andare a letto insieme?»
Matt sbuffò a questa mia precisazione.
«Intendo se avete mai scopato.» Chiarì un po' troppo bruscamente.
«Ah, allora no.» Lui mi guardò stranito quindi spostai l'attenzione su qualcos'altro. «Va bene, terza ed ultima domanda.» Annunciai, riprendendo a camminare.
Lui ci pensò su un po'.
«Okay, allora, ora che so chi è Chris e che non ci hai fatto sesso, ho due domande tra cui scegliere.» Espose ad alta voce il suo ragionamento. «Quindi o ti chiedo chi è la bambina, oppure per quale motivo quell'uomo era in casa tua mezzo nudo se non andate a letto insieme.»
«Scegli accuratamente, mi raccomando.» Gli dissi, sperando con tutta me stessa che scegliesse la prima.
«E va bene, chi è la bambina?»
Feci un sospiro di sollievo senza farmi notare. «Si chiama Emily, ha solo sei anni ed è la figlia di Chris.» Tecnicamente non era una vera bugia, dato che lui era stato il tutore fino ad un paio di mesi prima.
«Ma allora perché—» tentò di chiedere ancora qualcosa ma io lo interruppi velocemente.
«Spiacente, hai esaurito le domande.» Dissi sorridendo.
«Oh, andiamo, non puoi farmi questo.» Contestò ancora una volta le mie decisioni.
«Oh, si che posso. I patti sono patti» decretai. «Vuoi davvero sapere qualcosa in più su di me?»
Gli si illuminarono gli occhi. «Certo!» Probabilmente sperava che avessi cambiato idea.
«Io detesto i curiosi.» Che poi era un controsenso dato che io stessa ero forse la persona più curiosa del pianeta.
«Lui odia il basket» lo informai. Ma non parve capire a cosa mi stessi riferendo. «Prima, a casa, poco prima di uscire hai detto che parlavate della partita, ma a Chris non piace il basket.»
Matt parve evidentemente a disagio. Continuai a seguirlo lungo il marciapiede, mentre lui fece vagare lo sguardo verso le poche nuvole che erano apparse in cielo.
Cosa poteva avergli detto di così strano da non riuscire a ripeterlo?
Finalmente si decise a rispondermi.
«Mi ha detto che ha una pistola.» Mi guardò e i suoi occhi mi fecero capire che non sapeva come avrebbe dovuto reagire alla notizia. Esattamente come me, dal momento che non avevo idea che lui avesse una pistola. Non riuscivo nemmeno a immaginare dove avrebbe potuto tenerla.
Matt inspirò per poi parlare velocemente buttando fuori l'aria.
«E che se tu dovessi tornare a casa triste o ferita. . .» assunse un'espressione sofferente,
«. . .ha detto che conosce almeno cinque modi per disfarsi di un cadavere.»
Chris aveva sicuramente esagerato, non poteva minacciare le persone in quel modo, ma il volto del ragazzo al mio fianco mi rese impossibile restare seria. Riuscii a non esplodere in una fragorosa risata, ma il sorriso rimase.
«Devo preoccuparmi?» Mi fissò con serietà. Una sfaccettatura del suo volto che in quel momento non fece altro che aumentare l'ilarità della situazione.
«No, stai tranquillo.» La mia allegria gli fece capire che non avrebbe dovuto pensarci troppo e si mise a ridere con me.
Continuammo a camminare fino a quando raggiungemmo l'ingresso del parco, difronte agli ultimi negozi del centro.
«Dove mi stai portando?» Gli chiesi quando mi resi conto che non stava nemmeno prestando attenzione alla strada davanti a lui.
«Non lo so.» Rispose con stringendosi nelle spalle.
«Come non lo sai? Mi avevi detto di volermi mostrare una cosa.» Mi fermai prima di attraversare la strada.
«Sì. . . ecco. . . era una bugia.» Portò una mano dietro il collo con imbarazzo. «Volevo parlare un po' a quattrocchi e in auto non sarebbe stato possibile e poi. . .»
«Cosa?» Eliminò ogni traccia di imbarazzo dal suo corpo e incatenò i suoi occhi ai miei.
«Non avrei potuto fare questo.» Si avvicinò pericolosamente e con una rapida lentezza annullò la distanza fra i nostri corpi. Il mio cuore iniziò a battere più forte, i miei occhi erano intrappolati dal suo sguardo e sebbene sapessi di dovermi spostare o doverlo fermare in qualche modo, non lo feci. Non ci riuscii. Poggiò una mano sulla mia guancia, mentre poggiò l'altra sul mio fianco, provocandomi brividi in tutto il corpo e liberando alcune farfalle nel mio stomaco.
Ormai la distanza tra i nostri corpi era inesistente.
Il cuore batteva sempre più forte, tanto che temetti sarebbe potuto esplodere. O peggio, che lui potesse sentirlo.
Avvicinò le sue labbra alle mie, mentre i miei occhi iniziarono a chiudersi. Riuscivo ad avvertire il suo respiro caldo contro il mio volto, intorpidito dalla fredda aria autunnale. Venni investita dalla freschezza del suo profumo che mi donava una sensazione di serenità e desiderai di potermici immergere.
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Riusciranno a baciarsi questa volta?
Elsa è un vero osso duro quando si tratta di scavare nel suo passato, ma potete biasimarla? Io no.
Prima di proseguire per il prossimo capitolo, vi ricordo di lasciare una stella a questo, grazie!
XOXO
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