20. Il canto del cigno (parte 1)
Forse fu proprio il ricordo del suo viso contrito a farmi rinsavire. O, forse, fu il mio battito cardiaco accelerato a fermarmi in tempo. Il cuore danzava tra la punta delle dita e la lama del coltellino, a trattenerlo c'era solo un sottile lembo di pelle.
Mollai la presa e liberai la mano dalla tasca, massaggiandomi i palmi. Giurai che non avrei più toccato il manico del coltello, per quella sera. Era stata solo una cosa momentanea, nient'altro... Appoggiai la schiena alla parete, vicino a un tronchetto pendente, accanto alla vetrata che dava sul parcheggio. Dal pavimento lucido all'aria profumata di sale e caramello, tutto vibrava d'attesa e di ordini urlati sottovoce. Molecole di segnali in codice. E io le respiravo per ritrovare la calma e la lucidità.
Osservavo con stizza l'operazione dell'ispettore, man mano che coglieva in fallo le persone che probabilmente gli erano state segnalate in precedenza.
Ero stanco di stare lì, come un colibrì in scatola. Arrivò poi il momento in cui venne vuotata la prima sala, quella in cui erano finiti i miei tre amici. In qualsiasi altra situazione la gente si sarebbe fiondata contro le porte d'emergenza, mandandole in frantumi. Si sarebbero viste corse falciate da volate a rasoterra da parte dei più ansiogeni. Avrei visto una mandria di gente impazzita, non quei gruppetti alieni che uscivano silenziosi e guardinghi. Pareva fatto apposta per farmi spazientire...
A gruppi di dieci, dopo un'accurata perquisizione, qualche domanda e la richiesta di mettersi a disposizione delle indagini, gli spettatori potevano andarsene dove volevano.
Perché io ero ancora lì, dunque?
Scattante come un serpente a sonagli, lanciavo occhiatacce a tutti quelli che uscivano. Non riuscivo a capacitarmi di quella discriminazione. Mi calmai un po' solamente quando scesero i gradini, in fila ordinata (nemmeno i bimbi delle elementari sarebbero stati capaci di tanta precisione: fu una scena commovente), Malcom, Alan e Donny, facendomi ciascuno due occhi increduli e allarmati al vedermi ancora lì. Mi credevano agonizzante sulla tazza di casa...
Mi mandarono a quel posto in ogni caso, arrabbiati perché avevo ignorato i loro messaggi e perché non ero stato con loro. I rimproveri vennero fatti a gesti confusi, richiedendomi lo sforzo di leggere il loro fremente labiale, abilità di cui riconoscevano bene i miei scarsi limiti. E che ignorarono con l'affetto sadico dei migliori amici. Per una volta, tutta quella manifestazione di fraternità fu compensata degnamente. Un rappresentante della giustizia fece il suo dovere, insomma. Eccessivamente.
Il poliziotto che stava perquisendo Alan, al vedere tutte le contorsioni facciali – per non parlare degli sguardi da "ti sgozzo", "ti spezzo il collo" e quanto appartiene del repertorio omicida – pensò male e, credendo che dialogassimo in codice, ci fece isolare e rimanere nella hall fino a che l'operazione di uscita fu conclusa.
La goccia traboccante fu il mutismo a cui fummo costretti, per non parlare dell'obbligo (insulso) di non guardarci. Precauzioni, queste, onde evitare la fuga di notizie e di mosse azzardate. Così, se si era in una delle macchine incastrate nel parcheggio, aspettando che si sturasse l'uscita, era possibile godersi la seguente scena attraverso la stessa vetrata a cui avevo appena dato la schiena: quattro manichini di diverse fattezze, circondati da altrettanti agenti di polizia guardinghi, in mezzo al caos di un qualsiasi aeroporto al momento del check-in. Sirene e luci blu intermittenti come colonna sonora portante e fotografia. Una pellicola che avrebbe potuto diventare un colossal e che invece si rivelò un flop per due motivi.
Il primo, e principale, fu da addebitarsi interamente al trio. Delle comparse, che improvvisamente vengono poste sotto i riflettori, che possono fare se non improvvisare? Il punto è che rimangono comparse, senza alcuna qualifica per ruoli di primo piano.
Malcom si guardava attorno spaesato. Senza i suoi pop corn sapevo che era un uomo perso, ma mai mi sarei aspettato di vederlo ridotto in quello stato. Un automa incapace di realizzare la situazione, che non si rendeva nemmeno conto del fatto che le sue dita stavano provocando un inizio di alopecia dietro la nuca, a forza di grattarsi sullo stesso punto per la bellezza di sette minuti. E andava avanti ancora, più cauto. Probabilmente iniziava a sentire un lieve fastidio. Forse un brivido...
Alan, invece, tentava in tutti i modi di attirare l'attenzione degli agenti per ottenere delle risposte più precise, ogni volta fallendo miseramente. Tra i tentativi che l'agente ricorderà senz'altro: quello di appoggiargli una mano alla spalla (Alan finì steso a terra in mezzo secondo, una mossa marziale da urlo), quello di parlargli all'orecchio (Alan incassò una gomitata allo stomaco e finì nuovamente a tappeto) e quello, ormai da terra, di prendergli il lembo dei pantaloni per chiamarlo (colpo di tacco da parte dell'agente, braccio torto dietro la schiena e Alan paonazzo che giurava che non avrebbe fatto nient'altro, a patto che gli spiegasse che cavolo succedeva).
Caschetto nero, d'altra parte, se ne stava taciturno a braccia conserte, lo sguardo alle mattonelle. Senza pensarci due volte, si sedette, appoggiando la schiena alla mia gamba e disse, infrangendo quindi ben due ordini (stare immobile e zitto): "Svegliatemi appena finisce."
Un agente fu lì lì per strattonarlo e rimetterlo in piedi, poi, forse mosso dalle nostre facce pietose, lo lasciò stare.
Il secondo motivo fu l'entrata di Marianne. Scese le scale come un razzo, ma con la grazia di una rondine, una corsa impossibile per qualsiasi essere di questa terra che non fosse lei. E da chi si diresse? Da me? No, da Simon.
Allibii, spalancai la mascella nel disgusto più profondo, tradito e ignorato dalla donna per cui mi trovavo in quella situazione assurda. Ero accecato da un miscuglio vomitevole di gelosia e rabbia che non mi accorsi nemmeno che Marianne era stata la sola a uscire dalla sala senza nessun altro, senza essere perquisita dagli agenti, senza essere fermata. La vedevo parlare concitatamente con l'ispettore come se si conoscessero da una vita e questo mi bastava per mettere le cose sotto la giusta luce, ma non mi aiutava ad accettare un bel niente.
Probabilmente il mio sguardo di fuoco, che non avevo motivo di nascondere, le giunse talmente vicino da farla voltare verso di me. Ma non con occhi allarmati o arrabbiati. Con un sorriso celestiale. Un battito del cuore perso per sempre.
"Reed!"
Non le risposi.
Mi prese la mano e si rivolse all'ispettore, che l'aveva seguita: "Reed, ti presento mio fratello, l'ispettore Simon..."
"Simon Martel," l'anticipai, scambiando con l'energumeno un'occhiata sprezzante.
Quello, con una faccia di bronzo, dopo aver ricambiato la mia cortesia, si rivolse unicamente a lei: "Marianne, se mi fai il piacere di seguirmi, vorrei continuare la conversazione dal punto in cui mi hai interrotto."
"Sim, lui è un testimone che può rendere schiaccianti tutte le prove."
"Io non ho visto niente," mi affrettai, facendo marcia indietro. A quanto pareva dovevo pagare un prezzo troppo alto per avere una donna così al mio fianco. Ma la mia libertà valeva di più.
Simon non parve d'accordo: "Dove vai?"
Ora sì che si degnava di prestarmi attenzione!
"A casa, come tutti. Se volete scusarmi... Buon lavoro, Marianne. A presto!" Le feci l'occhiolino e tornai dal trio sbigottito.
Gli agenti che li tenevano bloccati sembravano stanchi di quella mansione e furono ben felici di lasciarci andare, non senza gli accertamenti del caso, tra cui una seconda perquisizione.
Tornato a casa frugai nelle tasche in cerca delle chiavi. Non avevo più il coltellino. Al suo posto c'era un biglietto con una serie di numeri scritta a mano. Sorrisi come un ebete.
La cosa finì momentaneamente lì con Marianne; con Malcom, Alan e Donny andò avanti per più di un mese.
Eravamo proprio da Donny, una sera di febbraio, con i bicchieri e le bottiglie vuote in mezzo al tavolo. Ci aggiornavamo sulle nostre storie, le avventure quotidiane (e, come è giusto immaginare, nemmeno loro nuotavano in acque pulite).
Malcom era indebitato da mesi per pagare le medicine alla madre casalinga e l'affitto. Tra un po' sarebbe servita una badante e i piccoli furti con rivendita non sarebbero bastati più. Stava pensando a qualcosa di più grosso.
Donny aveva la casa a disposizione e vi lasciava entrare chiunque, a patto che lasciassero pulito e non attirassero troppe attenzioni. Quella sera in soffitta dormiva un'intera famiglia russa. Una madre con i suoi quattro figli. Completi sconosciuti appena arrivati in Italia. Ma a lui non interessava sapere chi fossero né cosa facessero. Era un tipo strano.
Sempre sul suo mac dallo schermo panoramico, taciturno ed estremamente riflessivo. Il caschetto c'era sempre se chiedevi una mano, l'importante era non ficcare troppo il naso nei suoi affari. Quello che sapevo era che non spacciava né droghe né esseri viventi. Non uccideva. Eppure nulla mi toglieva dalla testa che avesse qualche parentela con la mafia.
Alan era il più inguaiato di tutti. Quella sera confessò di averne combinata una delle sue. E già questo non prometteva nulla di buono. Il ragazzo non era dei più svegli a percepire il pericolo e nemmeno quella volta il suo intuito aveva fatto progressi.
"Mi hanno visto".
"Chi?"
Ah già, quasi dimenticavo. Poi arrivo io, il tordo di turno che gli dà retta.
"Avevo appuntamento con quell'infermiere... ricordate? Quello che mi aveva dato le indicazioni..."
"Sì, vai avanti," sospirò Malcom.
"Doveva passarmi la solita dose, ma era in ritardo. E la cosa era strana, perché lui arrivava sempre due minuti in anticipo. Insomma, non lo vedo per un quarto d'ora e comincio a preoccuparmi."
"Ma questo quando è successo?"
"Giovedì."
"Ah quindi è roba fresca! E così tu vai a passare San Valentino in un vicolo, e anche l'infermiere con cui hai appuntamento ti dà buca?"
"Meglio se ti fissavi la visita, avevi una chance in più. Metti che gli facevi pena... ti avrebbero dato tutto quello che volevi per tirarti su di morale."
L'unico a non ridere fu Alan. Il suo sguardo era così serio, Dio mio.
"Era per terra."
"Eh?"
"Avevo freddo e non ce la facevo più ad aspettare. Quello non arrivava... ed era per terra. Appena svoltato l'angolo. Ma dovevo aspettarmelo e andarmene immediatamente."
"Cosa?"
"C'era sangue dappertutto. Sui vestiti, sul marciapiede, sui bidoni. E aveva un buco qui," si indicò il centro della fronte. Continuò, avendoci silenziati.
"Tiro fuori il telefono per chiamare, non so bene chi, se l'ambulanza o la polizia, quando sento il rumore di un grilletto. Mi giro nella direzione da cui penso di aver sentito il rumore e vedo quattro uomini."
"E?" lo incalza Donny.
"E non lo so che mi è preso, ma mi sono accorto che per sbaglio avevo premuto l'icona della foto al posto di quella della chiamata. Stavo filmando tutto! Me la sono data a gambe."
"Loro?"
"Mi hanno seguito per un po', ma eravamo sotto i lampioni e c'era gente, perché ormai li avevo portati quasi in centro. Poi sono entrato da Oscar e loro mi sa che hanno proseguito fino agli appartamenti nuovi."
"Ma tu non potevi chiedere alla gente?"
"Ah."
E qui si capisce quanto inguaiato sia per non pensarci nemmeno.
Io, Malcom e Donny ci scambiammo un'occhiata, facendo un rapido calcolo: se Alan era ancora vivo e con noi, noi eravamo coinvolti? Che fine avremmo fatto?
Fu lì che mi venne un'idea. La più stupida che mi fosse mai venuta. E che allora invece ci sembrò la più brillante.
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